Pd, tira aria di scissione. Guerra sull'Italicum, Gotor: "Così non lo votiamo". Matteo Renzi: "Niente ricatti, non siete un partito nel partito"
Prima il salva-Cav, poi il caso Cofferati, infine l'Italicum. Ogni giorno la sinistra del Pd sembra avere a disposizione un'occasione buona per far saltare il banco. In altre parole: fare le scarpe a Matteo Renzi, o comunque metterlo in grave difficoltà. "Non ci svendiamo a Berlusconi", ha tuonato il senatore Miguel Gotor, bersaniano di ferro, durante l'assemblea dei dem a Palazzo Madama. Il tema è quello della legge elettorale: "Berlusconi vuole i capolista bloccati perché tanto, arrivando secondo o terzo, eleggerà deputati solo nominati. Ma questa è una svendita non è una trattativa", è l'accusa di Gotor davanti a Renzi. Logico che, su queste basi, sia molto complicato trovare un'intesa interna. "Senza modifiche l'Italicum non lo votiamo", ha avvertito ancora Gotor a nome della minoranza interna. Renzi, per il momento, resta sulle sue posizioni: "O troviamo un accordo o si va a votare con il Consultellum". La decisione finale, ha confermato il premier, sarà presa "entro mezzogiorno".
"Non sono sotto ricatto" - "Non siete un partito nel partito", è la risposta brusca di Renzi ai contestatori interni, intorno all'ora di pranzo. Ma Gotor disotterra l'ascia di guerra: "Se non ci saranno novità, in trenta di noi voteranno l'emendamento" sull'Italicum con le proposte della minoranza (preferenze per tutti i candidati nei collegi e riduzione della quota "nominati"). "Critiche ingiuste e ingenerose", ha bollato Renzi le parole di Gotor, ribadendo che il premier cerca "accordi con tutti fino all'ultimo ma non sono sotto ricatto di nessuno".
Tutti i motivi della frattura - Logico però che la battaglia, potenzialmente devastante, sulla legge elettorale sia il riflesso di una frattura più profonda, che parte dalla vittoria di Renzi alle primarie per la segreteria nell'autunno 2013. Da allora la scalata del baldanzoso Renzi non ha conosciuto freni, sostenuto da spregiudicatezza politica e abile strategia comunicativa. Il trionfo alle Europee di maggio 2014 ha messo a tacere i dissidenti, costringendoli a mettersi il bavaglio. L'autunno caldo, il calo nei sondaggi (l'ultimo, confermato dai dati Ipsos) il fallimento della manovra e delle politiche finanziarie del governo, il pasticcio clamoroso sul decreto fiscale (il "salva-Cav") e il caos delle primarie liguri con Sergio Cofferati che prima denuncia brogli (favorevoli alla renziana Paita) e poi straccia la tessera del Pd, sono le perle di una collana che sta per stracciarsi. Se sarà scissione (magari per seguire proprio Cofferati, "Tsipras italiano" come già definito dai più entusiasti nella sinistra dura e pura, fuori e dentro il Nazareno), si vedrà forse già nelle prossime ore. Di sicuro, se Renzi supererà l'imboscata dell'Italicum, la prossima patata bollente sarà l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, come già annunciato minacciosamente da un altro dissidente Doc, Stefano Fassina.