Omicidio di Alatri, caccia al terzo uomo ma è sparito: si è cancellato da Facebook e si è liberato del telefonino
di Roberta Catania
È caccia al terzo uomo, il terzo «picchiatore» di Emanuele Morganti, la persona che insieme a Paolo Palmisani e Mario Castagnacci potrebbe aver provocato la morte del 20enne della provincia di Frosinone. Per ora si sa solamente che questo ragazzo, indicato ai pm dal cuoco di 27 anni in carcere con il fratellastro per omicidio volontario, abbia fatto perdere le proprie tracce. Il giovane sarebbe andato via dalla Ciociaria all’indomani della violenta rissa che ha causato la morte del 20enne della frazione di Tecchiena e ha cancellato il proprio profilo Facebook. L’indiziato sul quale stanno lavorando in queste ore i carabinieri del frusinate si sarebbe anche disfatto del proprio cellulare, per evitare di essere «tracciato» e individuato come era stato per Paolo e Mario, scovati a casa di una parente grazie al localizzatore del telefonino.
Le indagini dei carabinieri di Alatri e della procura ciociara sono sempre più complicate: non c’è un movente che giustifichi tanta ferocia verso un ragazzo per bene e che pare non conoscesse i suoi aggressori, non è stata trovata nessuna delle armi indicate nel pestaggio della notte del 24 marzo (un manganello, forse telescopico, e una brucola a L per svitare i bulloni della ruota di scorta) e, secondo gli inquirenti, starebbero venendo a galla «pressioni fatte sui testimoni» per spingerli a mentire e, soprattutto, ad omettere nomi e particolari di quello che è accaduto quel venerdì sera dentro e fuori il “Mirò”. Il procuratore Giuseppe De Falco purtroppo non ha più dubbi circa l’omertà di alcuni concittadini di Emanuele e promette che «chi non ha detto e continuerà a non dire la verità, non resterà impunito».
Sicuramente la procura di Frosinone vuole ricostruire la dinamica esatta di quello che è accaduto fin dal primo diverbio, scoppiato prima delle due al bancone del locale. Per questo, ieri notte i carabinieri del Ris di Roma hanno passato al setaccio tutto il Mirò di piazza Regina Margherita con il Luminol, alla ricerca di altre tracce di sangue. La fidanzata della vittima, Ketty, ripete che Emanuele è stato picchiato «anche dentro il locale, in un angolo oscuro» dove si era accasciato, con la bocca sanguinante e la maglietta strappata. Un resoconto che inguaierebbe due dei buttafuori indagati. Si starebbe alleggerendo invece la posizione di un terzo collega, il 26enne al quale era stato trovato in macchina un manganello, ma che continua a ripetere di non averlo «mai usato», che era un «regalo del nonno» e che gli esami del Ris dimostreranno l’assenza di qualunque traccia biologica, in particolare di Emanuele.
Nuovi interrogativi e qualche risposta arrivano dall’autopsia della vittima, eseguita giovedì scorso a Tor Vergata e per la quale il medico legale di è preso 60 giorni di tempo per depositare i risultati, completi di esami tossicologici eseguiti con alla mano le cartelle cliniche di Emanuele, che tra il pestaggio e la morte è stato ricoverato 36 ore al policlinico Umberto I di Roma e sottoposto a due interventi chirurgici alla testa.
Dalle prime indiscrezioni sul lavoro del medico legale, sembra che il colpo mortale non sia stato il pugno alla nuca e neanche la botta che il 20enne ha dato alla macchina parcheggiata nell’accasciarsi a terra. Quei colpi hanno verosimilmente spezzato il collo di Emanuele, ma la grave emorragia cerebrale sarebbe stata causata da uno o due colpi inferti alla tempia del ragazzo mentre questi era già esamine sull’asfalto. Colpi inferti con il presunto “manganello telescopico”, che per le ridotte dimensioni, combacerebbe con l’ecchimosi larga 3,5 centimetri e lunga 9 riscontrata sul lato sinistro della fronte di Emanuele.
Le audizioni in caserma e in procura vanno avanti. Domani, su sua sollecitudine, sarà sentito Franco Castagnacci, padre di Mario e indagato a piede libero per rissa, il quale sicuramente proverà a discolpare se stesso e la sua famiglia. Ma potrebbe fornire altri nomi di persone ancora non identificate che avrebbero partecipato al massacro di un ragazzo «per bene».
Le indagini dei carabinieri di Alatri e della procura ciociara sono sempre più complicate: non c’è un movente che giustifichi tanta ferocia verso un ragazzo per bene e che pare non conoscesse i suoi aggressori, non è stata trovata nessuna delle armi indicate nel pestaggio della notte del 24 marzo (un manganello, forse telescopico, e una brucola a L per svitare i bulloni della ruota di scorta) e, secondo gli inquirenti, starebbero venendo a galla «pressioni fatte sui testimoni» per spingerli a mentire e, soprattutto, ad omettere nomi e particolari di quello che è accaduto quel venerdì sera dentro e fuori il “Mirò”. Il procuratore Giuseppe De Falco purtroppo non ha più dubbi circa l’omertà di alcuni concittadini di Emanuele e promette che «chi non ha detto e continuerà a non dire la verità, non resterà impunito».
Sicuramente la procura di Frosinone vuole ricostruire la dinamica esatta di quello che è accaduto fin dal primo diverbio, scoppiato prima delle due al bancone del locale. Per questo, ieri notte i carabinieri del Ris di Roma hanno passato al setaccio tutto il Mirò di piazza Regina Margherita con il Luminol, alla ricerca di altre tracce di sangue. La fidanzata della vittima, Ketty, ripete che Emanuele è stato picchiato «anche dentro il locale, in un angolo oscuro» dove si era accasciato, con la bocca sanguinante e la maglietta strappata. Un resoconto che inguaierebbe due dei buttafuori indagati. Si starebbe alleggerendo invece la posizione di un terzo collega, il 26enne al quale era stato trovato in macchina un manganello, ma che continua a ripetere di non averlo «mai usato», che era un «regalo del nonno» e che gli esami del Ris dimostreranno l’assenza di qualunque traccia biologica, in particolare di Emanuele.
Nuovi interrogativi e qualche risposta arrivano dall’autopsia della vittima, eseguita giovedì scorso a Tor Vergata e per la quale il medico legale di è preso 60 giorni di tempo per depositare i risultati, completi di esami tossicologici eseguiti con alla mano le cartelle cliniche di Emanuele, che tra il pestaggio e la morte è stato ricoverato 36 ore al policlinico Umberto I di Roma e sottoposto a due interventi chirurgici alla testa.
Dalle prime indiscrezioni sul lavoro del medico legale, sembra che il colpo mortale non sia stato il pugno alla nuca e neanche la botta che il 20enne ha dato alla macchina parcheggiata nell’accasciarsi a terra. Quei colpi hanno verosimilmente spezzato il collo di Emanuele, ma la grave emorragia cerebrale sarebbe stata causata da uno o due colpi inferti alla tempia del ragazzo mentre questi era già esamine sull’asfalto. Colpi inferti con il presunto “manganello telescopico”, che per le ridotte dimensioni, combacerebbe con l’ecchimosi larga 3,5 centimetri e lunga 9 riscontrata sul lato sinistro della fronte di Emanuele.
Le audizioni in caserma e in procura vanno avanti. Domani, su sua sollecitudine, sarà sentito Franco Castagnacci, padre di Mario e indagato a piede libero per rissa, il quale sicuramente proverà a discolpare se stesso e la sua famiglia. Ma potrebbe fornire altri nomi di persone ancora non identificate che avrebbero partecipato al massacro di un ragazzo «per bene».
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