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martedì 27 settembre 2016

SILURATO COMPLOTTI A 5 STELLE Ecco come Raggi e Grillo hanno fatto fuori Di Maio

Il "golpe" contro Di Maio: così Raggi e Grillo l'hanno fregato


di Franco Bechis



Altro che direttorio o mini direttorio. A Palermo il pubblico dei militanti del Movimento 5 stelle hanno incoronato la loro preferita: Virginia Raggi. Solo Beppe Grillo ha ricevuto ola, il proprio nome ritmato da migliaia di persone, applausi in continuazione a interrompere il discorso come è accaduto ieri alla sindaca di Roma. La festa grillina di Palermo si è rivelata così l’esatto opposto di quel che era atteso. Non solo non c’è stata la formalizzazione del passo di lato di Grillo, che è invece tornato alla testa del movimento, ma anche il “caso Raggi” è stato capovolto rispetto a quel che ci si immaginava. È stata celebrata dai militanti come una sorta di santa martire del grillismo: perseguitata dai poteri forti e dalla stampa, per questo da circondare e proteggere. È stato plasticamente evidente fin dall’arrivo della Raggi al Foro Italico, dopo un lungo faccia a faccia nell’albergo di Grillo. La sindaca ha tentato la passerella già interpretando la diva della due giorni, è stata circondata da telecamere, fotocamere e giornalisti, ed è scattato un naturale cordone di militanti a difenderla. Con fischi e cori «venduti, venduti» verso i giornalisti e qualche spintone che è pure diventato un caso diplomatico. Gran parte del pubblico era locale, o di regioni vicine, profondo sud. Per lei ha abbandonato ogni superstizione: in fondo la Raggi aveva bucato la prima giornata perché era crollato un palazzo a Roma. E quando il secondo giorno è arrivata a Palermo nel luogo della festa, il cielo prima si è fatto nero, ed è crollato denso di pioggia e vento sui poveri partecipanti. Comunque lì, a inneggiare e applaudire con i pochi ombrelli aperti subito venduti dai bengalesi in loco.

Non che la Raggi sia sembrata in sé una trascinatrice. Imbarazzata, impacciata, timida ed euforica ai primi applausi, la sindaca di Roma è apparsa assai più fragile della collega di Torino - Chiara Appendino - che ha mosso con lei i primi passi in politica. Ma bastava aprire bocca, e la magia scattava. Di Roma ha parlato assai poco, alla sua giunta ancora bucata come un groviera e degli scontri interni al movimento che hanno contribuito alla paralisi, non ha manco fatto cenno. Però l’ha buttata sulla politica nazionale, indossando lei stessa i panni da leader del movimento più che da amministratrice con qualche difficoltà. E ha funzionato in quel consesso: «Noi andiamo avanti», ha promesso galvanizzando il pubblico, «tutti vogliono metterci i bastoni tra le ruote, ma non c’è pericolo, noi andiamo avanti, onestà è una parola che li spaventa». Una parola alla volta, lunghe pause prima della frase successiva quasi fosse un modo studiato di recita del copione della Raggi. Il crescendo però c’è stato, ed è divenuto boato con la chiusa dell’intervento: «Abbiamo preso due città importanti, Roma e Torino, poi tocca a Palermo, alla Sicilia, all’Italia, il futuro è nelle nostri mani». Quanto alla capitale, la sua sindaca ha sostenuto che «L’obiettivo di chi ci governava era trovare il consenso, accontentare le lobby, così si costruivano bacini elettorali. Dobbiamo tornare a fare ciò che serve. Per questo facciamo paura. Perché abbiamo le mani libere e non dobbiamo dire sì a nessuno, solo ai cittadini. Abbiamo trovato una città devastata, non c’è nulla che funziona, è tutto da ricostruire ed è quello che stiamo facendo». Finale col classico coro «onestà, onestà».

Che sia stato un trionfo della Raggi, è indubbio. Non proprio così netto visto da dietro le quinte, e cioè da chi nel bene o nel male era nel gruppo che in questi mesi ha guidato il movimento. «Che volete si dicesse alla Raggi», ha spiegato a un gruppetto di giornalisti Massimo Bugani, il bolognese che è amico stretto di Davide Casaleggio, «lei deve decidere da sola, fare le sue scelte e governare. Anche a Bologna abbiamo una persona di cui ci fidiamo che notoriamente ha una storia marcata di sinistra. Ci sa fare e possiamo mettere la mano sul fuoco per lui. Quindi non mi sembra il problema tutto questo chiacchericcio sui rapporti fra la Raggi e personaggi che hanno una storia di destra. Raffaele Marra? Beh? Era di destra? Ma se non vedo un sms di Gianni Alemanno che gli dice cosa deve fare, quale è il problema?». Quel che spiega Bugani ha una sua rilevanza, perché spiega l’atteggiamento dello stesso Grillo nei confronti della Raggi e dei suoi contestatori romani.

Grillo ieri ha fatto di Roma un simbolo anche nel suo saluto finale che ha chiuso la festa. «Ci sono cose impossibili», ha detto, «che diventano possibili. Dieci anni fa c’erano due cose impossibili, che un aereo a pannelli solari potesse fare il giro del mondo e che noi vincessimo a Roma», e qui si è lasciato andare al gesto dell’ombrello come ai bei vecchi tempi. Però ha corretto il clima che stava nascendo con una spiegazione più gentile e poetica: «Più voliamo in alto, più quelli che non volano ci sembreranno sempre più piccoli». Il ritorno sul palco del fondatore ieri ha avuto anche un momento importante grazie a una telefonata via Skype con il fondatore di Wikileaks, Julian Assange. Un duetto all’unisono sulla stampa menzognera, con Grillo che spiegava che in Italia i giornalisti «si occupano solo della cellulite e dei peli sulle gambe di Raggi». Assange ha ricambiato i complimenti, paragonando però il Movimento 5 stelle al leader laburista e quasi comunista Jeremy Corbyn, e chissà quanto quella vicinanza abbia fatto piacere.

La giornata si era aperta in tv con una coppia - Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, che dovrebbero fare il nuovo tridente con Davide Casaleggio dietro Grillo. Dibba è stato coccolato dai militanti, e ha girato per gli stand tutto il giorno, firmando autografi e magliette del no al referendum. Di Maio si è auto-eclissato rispetto al solito. In un angolo, dietro il palco, raramente a contatto con i militanti. Anche sabato sera, quando gran parte del vertice si è trovato a mangiare panelle e pane co la milza (c’era Casaleggio jr, ed è passato pure Grillo), Di Maio si è avvicinato alla friggitoria a bordo di un taxi con i vetri oscurati. Ma è restato a bordo, ed è scesa la sua fidanazata Silvia Virgulti che non lo ha mai lasciato solo. Ha ordinato panelle e arancine, e con il vassoio è risalita sul taxi senza andare a salutare ai tavoli. I fatti delle ultime settimane hanno lasciato il loro segno...

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