"Minacce da Russia a Cina". L'America è pronta alla guerra
di Glauco Maggi
Siamo sempre i più forti ma il nostro vantaggio è seriamente minacciato. I pericoli hanno nome e cognome, dall'Iran all'Isis, e le accuse a Mosca di barare sugli accordi sono di particolare durezza, certo non tali da calmare i venti di guerra. L' annuale rapporto del Pentagono sulla Strategia Militare Nazionale è un severo allarme sui crescenti pericoli per la sicurezza americana e mondiale.
Nell'introduzione, il chairman dello Staff Congiunto dei Capi dell' Esercito, generale Martin Dempsey, avverte che «stiamo fronteggiando multiple sfide simultanee alla nostra sicurezza da tradizionali attori statali e da networks transregionali di gruppi sub-statali. Ed è probabile che avremo da affrontare campagne prolungate piuttosto che conflitti risolvibili velocemente». La tecnologia dà agli avversari nel mondo globalizzato gli strumenti tecnici militari per contrastare i vantaggi che gli Usa hanno avuto nel passato, e ciò richiede «una maggiore agilità, innovazione e integrazione», e «rafforza la necessità per l' esercito Usa di restare impegnato sul piano mondiale per definire il quadro della sicurezza e preservare la rete di alleanze», avverte Dempsey. Nel documento non si parla di budget, ma suona pressante il suggerimento delle gerarchie militari di non andare troppo oltre nei tagli in uomini e mezzi, la politica tradizionalmente cara ai democratici e che Obama ha imposto per propugnare il welfare domestico durante gli anni di ristrettezze post-crisi.
«Gli Usa restano la nazione più forte del mondo, e godiamo di vantaggi unici in tecnologia, energia, alleanze, partnership e demografia, ma questi vantaggi continuano ad essere minacciati», avvisa il Pentagono. Sul banco degli accusati ci sono Russia, Iran, Nord Corea e le Veo (violent extremist organizations), ossia Isis e Talebani. La strategia esposta per contrastarli, a parole, è perfetta: «Dissuadere, contestare e sconfiggere gli Stati» nemici, e «disgregare e degradare le organizzazioni estremiste». Mosca è accusata di aver stracciato di fatto «numerosi accordi con le sue azioni militari», un non velato riferimento non solo alla invasione della Crimea ma anche alle violazioni del Trattato sulle Forze Nucleari di Raggio Intermedio, a cui Obama ha risposto qualche mese fa con i piani di difese missilistiche in Polonia.
Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha reagito duramente: «L' ostilità verso la Russia è la testimonianza di un approccio di sfida privo di obbiettività» che non aiuta a «orientare le nostre relazioni bilaterali verso la normalizzazione». L' Iran e la Corea del Nord sono nel mirino di Washington perché vogliono dotarsi di armi nucleari. Mentre la dittatura stalinista già ne possiede e punta ad arricchire l' arsenale, è stridente che il Pentagono citi Teheran come un pericolo, proprio nei giorni in cui Obama, attraverso il segretario di stato John Kerry, sta accettando di annacquare i termini dell' intesa con l' Ayatollah.
Di fatto, per dare via libera all' armamento atomico del regime islamico, pur di vantarsi di essere il firmatario di un accordo storico. Sulla Cina, che di recente ha saccheggiato i file di milioni di dipendenti del governo federale Usa in una cyber-guerra non dichiarata con l' America, il testo è timido: gli Usa non indicano Pechino come un rivale, ma piuttosto come un partner nel mantenere l' ordine internazionale, anche se di recente i cinesi hanno espanso la presenza militare nel Pacifico, erodendo il peso americano e minacciando le altre potenze regionali, dal Giappone al Vietnam. Il Pentagono, in conclusione, «non crede che alcuna delle nazioni citate persegua un conflitto militare diretto con l' America, ma ciascuna di esse pone serie preoccupazioni per la sicurezza». E sempre il generale Martin Dempsey avverte che c' è «una bassa ma crescente» probabilità che gli Usa possano combattere un conflitto con una maggiore potenza.
Nessun commento:
Posta un commento