Pontida 2015, la prima volta dei leghisti del Sud al raduno della Lega
di Matteo Pandini
Il popolo di Pontida non contesta la svolta a Sud di Matteo Salvini, se non altro perché preferisce aggrapparsi alle parole d’ordine contro l’immigrazione e la sinistra o ai nuovi simboli come la ruspa. Ma certamente la strada per miscelare istinti indipendentisti e ambizioni nazionali è in salita. Anche se ai cori per la secessione, i militanti che hanno invaso il prato bergamasco hanno preferito quelli contro Renzi. Bersagliato da vaffa. Roberto Calderoli, l’Azzeccagarbugli che conosce a menadito leggine e regolamenti, chiarisce che l’articolo uno dello statuto leghista resta «l’indipendenza della Padania». E ripete che anche il simbolo è sempre il solito, con il Sole delle Alpi accanto al guerriero, e quindi niente Lega italiana: «Piuttosto mi taglio la mano!». Per non farsi mancare nulla, ricorda che suo nonno era un indipendentista bergamasco che diceva: «Bergamo nazione, tutto il resto è Meridione». Ancora più esplicito, prima di lui, il rappresentante dei Giovani padani Andrea Crippa che urla la voglia di indipendenza incassando applausi.
Insomma, se Salvini volesse davvero modificare il Dna del partito, rendendolo più digeribile anche al Sud, avrebbe molto da lavorare. Se non altro perché rischierebbe di raffreddare molti dei suoi sostenitori che vivono a Pontida e dintorni. E che ieri sono rimasti un po’ spiazzati, sentendo un paio di interventi con marcato accento meridionale. «Anche Bossi ci ha provato più volte a prendere consensi sotto Roma, ma è sempre andata male…» osserva un militante lombardo di lungo corso. Nel pratone sono spuntate parecchie bandiere di Noi con Salvini. Tra questi vessili, ecco uno striscione che invoca il segretario del Carroccio per «riscrivere l’unità d’Italia». A poche centinaia di metri, alcune camicie verdi srotolano un lenzuolo contro il tricolore. Quanti saranno i meridionali? «Impossibile saperlo» spiega un ragazzo dell’organizzazione.
Il Matteo milanese ha provato ad accontentare tutti, suggerendo gemellaggi tra militanti sparsi in tutta la Penisola. E gridando che solo un patto sancito dalla Padania fino al Salento potrà cacciare Renzi. In passato, Umberto Bossi aveva provato alcune strade per sfondare sotto il Po. Prima, la creazione di una Lega Centro e di una Lega Sud. Poi alcune alleanze, come quella con Raffaele Lombardo e il Movimento per l’autonomia. Esperimenti falliti. Pure Angela Maraventano, ex vicesindaco di Lampedusa, era sì arrivata in Senato grazie alla Lega. Ma era stata candidata in Emilia Romagna.
A dire la verità, c’è solo un leghista che ha dimostrato - soprattutto nell’ultimo anno - di saper trasformare il suo secessionismo entusiasta in un nuovo patriottismo di destra, assai apprezzato soprattutto a Roma. Parliamo di Mario Borghezio, eletto all’europarlamento anche con i consensi dei nazionalisti di CasaPound. Ieri non ha parlato. Ma negli ultimi mesi ha spesso definito la Lega una sorta di realtà patriottica a difesa degli italiani da Nord a Sud. Ma per farlo, ha dovuto nascondere la Padania con nuove parole d’ordine. Tutela del made in Italy, feroce eurocritica, opposizione durissima all’immigrazione. Visto dalla Pontida 2015, il Sud è sembrato un po’ meno lontano. Ma non ancora abbastanza vicino.
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