L'ombra di Telekom Serbia nell'inchiesta sul padre di Renzi
di Giacomo Amadori
L’inchiesta per bancarotta fraudolenta contro Tiziano Renzi si arricchisce ogni giorno di nuovi colpi di scena e da oggi si intreccia clamorosamente con la vicenda Telekom Serbia. Per rendersene conto bisogna concentrarsi su Antonello Gabelli, 51 anni, originario di Alessandria, uno dei tre indagati per il fallimento della Chil post (datato 7 dicembre 2013). Libero lo ha cercato diverse volte negli ultimi mesi. L’ultima domenica scorsa, quando, a sorpresa, siamo stati ricontatti: «Sono Vincenzo Vittorio Zagami, avvocato del Foro di Roma, tessera numero A… e assisto il signor Gabelli. È stato nominato amministratore della Chil post, ma in realtà era una testa di legno.
Chi dava le disposizione, anche dopo la vendita e sino al fallimento della società, era il papà del signor Renzi». L’incipit non è esattamente nel tipico linguaggio felpato dei difensori di fiducia. Ma il prosieguo è persino più spumeggiante: «Il mio cliente è una persona assolutamente impossidente. Per fare il prestanome gli avevano promesso dei soldi che non sono arrivati e ora sarebbe disponibile a rendere una testimonianza scoop in audio e in video perché ha delle carte relative al padre di Renzi. Però, giustamente, vuole qualcosa in cambio. Si deve pagare l’avvocato, visto che tra poco l’arresteranno per bancarotta fraudolenta». L’uomo è esuberante e ci invita a bere un caffè nel pomeriggio a Cap Saint Martin alle porte del Principato di Monaco. Decliniamo l’offerta, ma ci accordiamo per un incontro il giorno successivo ad Alessandria, dove Zagami è residente in un’elegante palazzina nella frazione Valmadonna. Prima di partire cerchiamo su Internet notizie su questo difensore sui generis e scopriamo diverse cose curiose.
Per esempio che è iscritto al foro di Roma solo dal 2012 come «avvocato comunitario stabilito», essendo stato abilitato a esercitare la professione in Francia e in Spagna. Pugliese e di ottima famiglia, è titolare dello studio Zagami e associati con sedi a Molfetta, Roma e Milano. Marco Travaglio nel suo libro La scomparsa dei fatti ricorda la sua storia e come a un certo punto sia diventato il “super-testimone” della vicenda Telekom Serbia, con un’intervista a Paolo Guzzanti, vicedirettore del Giornale e senatore di Forza Italia: «Tal dottor Favaro si descrive come uno “dei due italiani che erano sul volo da Atene a Belgrado per portare i famosi 1.500 miliardi (in sacchi di iuta ndr) per la conclusione dell’affare”. Favaro sostiene pure di aver assistito alla consegna di tangenti e di possederne addirittura una ricevuta. L’uomo in realtà si è presentato a Guzzanti, col suo vero nome, Vincenzo Vittorio Zagami, sedicente collaboratore del Sismi. Basterebbe un semplice controllo per scoprire che si tratta di un volgare truffatore, pluripregiudicato, con varie condanne alle spalle».
Il 13 maggio 2002 viene arrestato dall’Interpol nella sua casa di Cap Saint Martin e, secondo Travaglio, «la bufala viene smascherata». Adesso, 12 anni dopo, Zagami difende Gabelli e chiede soldi per incastrare babbo Renzi. Quanti soldi? Non molti: «Dodici mensilità da neanche mille euro l’una. Il mio assistito deve campare». Lunedì incontriamo la strana coppia in un bar di Piazza della Libertà ad Alessandria. L’ex amministratore della Chil post rimane praticamente muto per tutta la durata della riunione. Capelli scuri, polo bordeaux, corpulento e un po’ claudicante, Gabelli ha il volto tirato. Il suo avvocato è invece un fuoco d’artificio. Rolex e gemelli d’oro, scarpe di Gucci, esibisce i tesserini professionali di tre diverse nazioni. Quindi squadra il cronista: «Per combattere le pellacce ci vogliono le pellacce. Non ho paura di niente, ho fatto il carcere, la latitanza». Incuriositi, gli chiediamo lumi sulle sue disavventure giudiziarie, ma a questo punto Zagami ci accusa di «andare in cerca di sensazionalismo»: «Ho un passato molto particolare, ma che cosa interessano fatti di vent’anni fa senza nessuna attualità? Non sono io indagato a Genova». Poi assicura di essere stato prosciolto con formula piena per Telekom Serbia e di aver girato per quasi tutte le prigioni italiane per colpa delle false accuse che gli sono piovute addosso. Zagami è certo che Gabelli sia stato messo in mezzo e ci ripropone l’intervista a pagamento: «Noi non stiamo violando nessun segreto istruttorio perché non siamo mai stati ascoltati dai pm. La procura, al di là del semplice avviso di garanzia, non ha fatto neanche un’audizione. Il fascicolo è completamente vuoto».
In realtà a maggio il curatore fallimentare Maurizio Civardi ha scritto ai pm che Gabelli «si è reso indisponibile a un incontro e che a tutt’oggi non ha neppure riscontrato le richieste di chiarimento sottoposte dal curatore». Per Zagami l’inchiesta non può rimanere in Liguria: «Il giorno che il magistrato ci chiamerà, chiederò lo spostamento del processo, la competenza è di Firenze, dove si sono svolte le compravendite, o meglio ancora del tribunale dei ministri, infatti l’unico dirigente della società che è fallita era Matteo Renzi». Zagami punta il dito sulle due cessioni fatte da Tiziano Renzi nell’ottobre del 2010: la prima in cambio di 3.800 euro alla moglie Laura Bovoli e la seconda, sei giorni dopo, per 2 mila euro al settancinquenne sedicente prestanome (e non indagato) Gian Franco Massone. In tutto 5.800 euro per una società con 60.400 euro di valore nominale e un valore della produzione di 4,5 milioni nel 2009. Per l’avvocato ci troveremmo di fronte a una good company (venduta a Bovoli) e a una bad company affidata a Gabelli che nel dicembre 2010 ha firmato il bilancio con quelle operazioni finanziarie oggi sotto la lente della procura.
«Hanno venduto una scatola vuota, dopo averla privata di tutti i contratti commerciali» insiste Zagami. Su Massone viene scaricato anche un mutuo da 497 mila euro garantito sino a quel giorno dalla mamma di Matteo Renzi. Nell’atto notarile del 14 ottobre, un documento chiave per la procura genovese, si legge che Massone «si obbliga a liberare la signora Bovoli Laura dalla fideiussione prestata a favore della Banca di credito cooperativo di Pontassieve entro 30 giorni». La banca all’epoca aveva nel consiglio di amministrazione uno dei fedelissimi dell’attuale premier, l’ex boy scout Matteo Spanò, oggi presidente dello stesso istituto di credito. Il legale di Gabelli se la prende pure con il notaio che ha firmato i due atti, Claudio Barnini, il professionista di fiducia dei Renzi, colpevole di aver avallato le compravendite senza precisare le modalità di pagamento. «Perché la società viene ceduta senza un dimostrato passaggio di soldi? Si tratta di cessioni simulate? In casi come questo il notaio ha l’obbligo, per le norme antiriciclaggio, di fare una segnalazione». La chiacchierata termina qua. Il legale ribadisce: «Gabelli non rilascia nessuna intervista se non dietro un contributo per le spese che dovrà affrontare». Replichiamo che non siamo disponibili a versare alcunché. «E allora di che cosa parliamo? C’è altra gente che sta venendo con gli assegni in mano. La saluto».