Visualizzazioni totali

lunedì 29 settembre 2014

Serie A, il Napoli vince col Sassuolo: 1-0, Callejon "salva" Rafa Benitez

Serie A, il Napoli vince col Sassuolo: 1-0, Callejon "salva" Rafa Benitez






Un Napoli più concreto e con meno turnover è tornato con merito al successo, vincendo al Mapei Stadium 1-0 contro il Sassuolo, nell'anticipo dell'ora di pranzo del quinto turno di Serie A. Di Callejon, su assist di Higuain al 28' il gol che ha deciso la sfida. La squadra di Rafa Benitez, a rischio panchina, è apparso più attento in fase difensiva e per la prima volta nella stagione l'estremo difensore azzurro non ha subito reti, pur tremando in un paio di occasioni nel corso della ripresa. Bene ad inizio gara gli ospiti, crollati fisicamente e anche mentalmente (per la "paura di vincere") nell'ultimo quarto d'ora della partita. Da rivedere, invece, il Sassuolo, che anche oggi è sembrato "molle" durante le battute del primo tempo, per poi ritrovarsi soltanto verso la fine delle ostilità.

Benitez respira - Nei padroni di casa, privi dello squalificato Berardi e dell'indisponibile Floro Flores, mister Eusebio Di Francesco ha puntato inizialmente sul consueto 4-3-3, schierando Gazzola, Cannavaro, Acerbi e Peluso a protezioni di Consigli; Brighi, Magnanelli e Taider in mediana e il trio composto da Zaza, Sansone e Floccari in avanti. Negli ospiti, con la rosa al completo, Benitez ha mandato i campo i migliori con Zuniga, Albiol, Koulibaly e Britos in difesa, davanti a Rafael; David Lopez e Gargano in mezzo e Callejon, Hamsik e Insigne a sostegno di Higuain. Al 28' Koulibaly ruba palla a Zaza e serve Hamsik, assist d'oro per Callejon e vantaggio ospite. Nella ripresa il portiere del Sassuolo Consigli è bravo a respingere una conclusione velenosa di Insigne. Poi, via via, il Napoli è scomparso e il Sassuolo ha preso coraggio. Al 17' il neo entrato Missiroli, dopo un tocco di Zaza, sfiora il palo calciando dal limite. Al 38' è Pavoletti di testa a mancare clamorosamente il pari mentre due minuti arriva la traversa di Peluso su deviazione di Zuniga. Per una volta, però, non è il Napoli a dover recriminare sulle occasioni perse. In classifica, gli azzurri salgono a quota 7 punti, -8 dalle capoliste Juventus e Roma che negli anticipi di sabato hanno battuto rispettivamente l'Atalanta (3-0 a Bergamo, doppio Tevez e Morata) e il Verona (2-0 all'Olimpico, Florenzi e Destro).

Auto piomba sui tavolini di un bar Morti quattro giovanissimi Tra le vittime il fratellino del pirata

Salerno, auto piomba su avventori bar: 4 morti




Quattro giovani tra i 14 e i 21 anni hanno perso la vita dopo essere stati investiti da un’auto a folle velocità a Sassano, nel salernitano. A quanto si apprende i giovani del posto si trovavano nei pressi di un bar, nelle vicinanze di una rotatoria in frazione Silla, quando una BMW nera è sbandata perdendo il controllo e li ha travolti. L’impatto è stato molto violento e i giovani sono morti sul colpo. Sul luogo della tragedia sono in corso i rilievi dei carabinieri del Reparto operativo e della compagnia di Sala Consilina, oltre ai vigili del fuoco del locale distaccamento. Il conducente della BMW, un 22enne del posto, è stato ricoverato in ospedale ma le sue condizioni non sarebbero gravi. I giovani uccisi dall’auto sbandata improvvisamente si trovavano all’esterno di un bar. Tra le vittime anche il fratello 14enne del pirata della strada e i due figli del proprietario del bar. Il conducente, che sarebbe risultato positivo all'alcol test, è stato arrestato con l'accusa di omicidio colposo.

Rimpasto e tre uomini nel governo: pazza idea del Cav per Forza Italia

Forza Italia, l'idea di Silvio Berlusconi: rimpasto di governo e tre uomini fidati nel governo




Forza Italia resterà all'opposizione, costruttiva ma pur sempre all'opposizione. Lo ha ribadito Silvio Berlusconi intervenendo telefonicamente a un convegno azzurro organizzato a Perugia dall'europarlamentare Antonio Tajani. Parole che vogliono ricucire il possibile strappo con la fronda più anti-renziana del partito, guidata da Raffaele Fitto: "Sul lavoro saremo coerenti, non possiamo dire no alle riforme che vogliamo - ha spiegato il Cavaliere -, ma restiamo alternativi al governo". Mano tesa, dunque, ai falchi fittiani che vorrebbero una rottura dell'asse con il premier: "Ho letto di presunti screzi in Forza Italia - ironizza Berlusconi -, mi pare che siano altri i partiti divisi". Chiaro riferimento al Pd, che su Jobs Act e articolo 18 rischia una scissione vera e propria. 

I rapporti con gli alfaniani - Ma sull'agenda politica del Cav non ci sono solo le riforme. C'è un quadro più ampio che vorrebbe Forza Italia dentro il governo, in un'ottica di riunione dei moderati e dei centristi che a Berlusconi non dispiace affatto. Si tratta però di capire come e quando concretizzarla. Fallita infatti la cosiddetta "operazione Lassie", che avrebbe voluto ricondurre all'ovile un pezzo di parlamentari del Nuovo Centrodestra, sarebbe ancora in piedi la strategia opposta: portare cioè nella squadra dell'esecutivo alcuni uomini fidatissimi di Berlusconi. Impossibile che siano di Forza Italia, più facile che vengano proprio da Ncd o dai moderati già nell'orbita di Renzi.

La strategia di Berlusconi - Il piano è chiaro: giocare sul probabile rimpasto di governo successivo alla nomina di Federica Mogherini in Europa. Si libererebbe il posto alla Difesa con conseguente effetto domino su altre posizioni, sottosegretariati compresi. E' lì che gli azzurri vorrebbero piazzare qualcuno. Il Corriere della Sera butta là tre nomi: esponenti alfaniani e centristi con cui il Cav avrebbe contatti costanti. Sono Renato Schifani, storico forzista pidiellino che nel 2013 ha seguito Alfano. Lui per ora respinge le avances di ritorno tra gli azzurri, ma sullo scenario alternativo ancora tace. Poi 'è Tonino Gentile, senatore calabrese di Ncd silurato ai Trasporti (era già stato nominato sottosegretario) e costretto alle dimissioni con l'accusa di aver fatto pressioni per bloccare le rotative dell'Ora della Calabria. Il terzo papabile sarebbe Mario Mauro, big forzista anche in Europa, da sempre "cerniera" tra Alfano e Berlusconi e tentato di spostare i suoi Popolari per l'Italia un po' più a destra. Una partita lunga, in cui a vincere potrebbero essere in tanti. Ma occhio, perché i rischi sono altrettanti: gli ultimi sondaggi danno Ncd e Udc tra il 3,7 e il 5,5%, come ricorda il Corriere. Ed è su questo punto che Berlusconi si fa forza: fino a quando i moderati continueranno a sostenere Renzi, perdendosi nella sua ombra?

Un flop le primarie in Emilia Il Pd perde un terzo dei votanti

Emilia Romagna, un flop le primarie Pd




Saranno state le polemiche conseguenti allo scandalo sui rimborsi irregolari in Regione. O il momento opaco del governo Renzi. Fatto sta che in Emilia Romagna l'affluenza alle primarie per la scelta del candidato Pd alla successione di Vasco Errani alla guida della regione "rossa" per eccellenza ha subito un vero e proprio tracollo rispetto a precedenti edizioni delle consultazioni democratiche. A scegliere tra Stefano Bonaccini e Roberto Balzani erano andati alle 17, in tutta la regione, appena 41.816 elettori, il 34% dei 122mila votanti alla stessa ora delle primarie per i parlamentari del 30 dicembre 2012.

Un flop annunciato, soprattutto a causa del percorso travagliato di queste primarie, in bilico fino a meno di dieci giorni dal voto, e sulle quali è pesata per giorni l'ombra delle inchieste sulle "spese pazze" dei consiglieri regionali. 

L'ultimatum di Domnica al capitano-amante: "Hai sei giorni per dire la verità sulla Concordia"

L'ultimatum di Domnica: "Schettino, hai sei giorni per dire la verità"





Domnica Cemortan torna a farsi viva. La moldava che era in plancia di comando nella maledetta notte del naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio lancia un ultimatum al comandante Francesco Schettino. E' il 24 settembre quando, come riporta il settimanale "Oggi", sulla sua pagina Facebook scrive in inglese: "Francesco Schettino, ti do sei giorni per dire la verità su quello che è successo immediatamente dopo aver dato l’annuncio di abbandono della nave. Solo sei giorni!". Domnica non aggiunge altro. Ma lascia intendere che al processo non è stato detto tutto.

Dopo aver dato l’annuncio di abbandono della nave, quel tragico 13 gennaio 2012 Schettino sarebbe salito al ponte 11 della Concordia proprio con Domnica e il maitre Ciro Onorato, per controllare la dritta della nave. "Ma cosa siamo andati a fare lassù?" dice Domnica. "Il comandante dice che doveva controllare il lato a dritta della nave, quello verso l’isola. Siamo sicuri che la racconti giusta? Per vedere le condizioni della Concordia non aveva bisogno di salire al ponte 11. Poteva farlo uscendo dalle alette sulla plancia comando, che sono fatte apposta per avere una visione sull’esterno della nave". Il suo ultimatum scadrà il 30 settembre e fino a quel giorno non intende parlare. Mancano ancora due giorni.

Detrazioni fiscali: ecco cosa salta sopra i 30mila euro di reddito

Renzi toglie 80 euro a 5 milioni di italiani

di Antonio Castro


Detrazioni fiscali nel mirino di Renzi e Padoan? L’ipotesi comincia a circolare con particolare insistenza e con preoccupanti dettagli. L’idea allo studio prevede di ridurre il rimborso fiscale in base al reddito del richiedente. Sopra i 30mila euro lordi l’anno, il rimborso fiscale che oggi è del 19%, scenderebbe al 17%, forse più in basso. A dire il vero sia il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, con i tecnici del Tesoro, da tempo stanno studiando il “malloppo Ceriani”, il monitoraggio (“tax expenditures”) di tutte quelle deduzioni e detrazioni fiscali che rimborsano il contribuente ma riducono l’incasso per l’Erario.

Per il momento sembra (?) essere stata accantonata l’idea di aggredire, per fare cassa, anche le detrazioni per lavoratori dipendenti (che si esauriscono a 55mila euro lordi): assegni per coniuge e figli a carico, intervento giudicato “socialmente e politicamente delicato”, tanto da aver sconsigliato qualsiasi variazione. Anzi si pensa di aumentare la detraibilità per famiglie numerose (poche). Anche per rispondere al Vaticano. Solo l’altro ieri la Conferenza dei vescovi (Cei), ha chiesto al governo di fare qualcosa «di concreto a favore» proprio delle famiglie. E limare le buste paga di chi ha familiari a carico sembra un’ipotesi repentinamente archiviata anche perché l’eventuale prelievo verrebbe immediatamente percepito (busta baga di gennaio).

Meglio quindi, sembra questa la riflessione politica, agire su altri fronti. Ovvero sui rimborsi fiscali 2015 (relativi ai redditi e alle spese del 2014). L’idea di base è quella adottata per concedere il bonus 80 euro, ma in senso opposto e penalizzante: tracciare una riga (soglia) oltre la quale i rimborsi fiscali diminuiscono progressivamente all’aumentare del reddito.

Tosare il ceto medio - Per avere un qualche ritorno in termini di risparmi, però, la soglia da prendere in considerazione deve scendere pericolosamente, andando ad aggredire chi ricco non è: l’ipotizzata soglia dei 30mila euro lordi individua una platea di contribuenti (sono 5,5 milioni) che può contare su uno stipendio mensile pari a circa 1.800 o più euro (per 13 mensilità).

Tax day il 15 ottobre - La Legge di stabilità 2015 si incammina rapidamente verso la presentazione europea (entro il 15 ottobre dovrà essere depositata a Bruxelles). Il Pil rivisto al ribasso per il 2014 e il 2015 certo non aiuta neppure il gettito fiscale. E a Via XX Settembre i tecnici stanno facendo girare i cervelloni per scovare parte dei 20/22 miliardi che serviranno per passare l’esame europeo e dare stabilità ai conti pubblici del prossimo anno. Si sta valutando (e Padoan lo ha detto chiaramente anche nell’intervista concessa a la Repubblica di mercoledì scorso), dove intervenire: la Legge di stabilità «prenderà in considerazione anche le tax expenditures, cioè deduzioni e detrazioni. A priori non ci sono voci che non vengono esaminate. Il che non vuol dire tagliare, ma valutare. Sarà una questione di scelte politiche».

Il tesoretto - E vediamo chi rischia: oltre 19 milioni di contribuenti chiedono ogni anno allo Stato il rimborso fiscale. Secondo i dati del ministero dell’Economia la "spesa complessiva sulla quale i contribuenti hanno potuto applicare la detrazione del 19% ammonta nel 2011 a 28.826 miliardi di euro, con un risparmio d’imposta di 5.477 milioni". Sono quasi 14 milioni i contribuenti che stanno sotto la soglia dei 30mila euro lordi di reddito. E, secondo simulazioni realizzate dagli economisti de lavoce.info "la riduzione di ogni punto percentuale della detrazione produce un incremento del gettito di 288 milioni di euro". E ancora: "Nel 2012 la detrazione del 19% ha fatto risparmiare a ogni contribuente mediamente 282 euro di Irpef. La riduzione di un punto percentuale della spesa detraibile comporta, pertanto, un aumento d’imposta medio di 15 euro". Sempre stando ai dati del Mef oltre i 30mila lordi sono annoverati circa 5 milioni e mezzo di contribuenti che godono sia delle detrazioni da lavoro dipendente (che si esauriscono oltre i 55mila euro di reddito lordo), sia delle detrazioni e deduzioni Irpef.

Scippo retroattivo - Se è vero che un lavoratore che incassa 300mila euro lordi l’anno (sono 40.615 quelli che che stanno in questa fascia di reddito) può serenamente sopravvivere anche senza parte del rimborso fiscale (694 euro quello medio), il problema è che un intervento retroattivo sui redditi e le spese 2014, violerebbe lo Statuto dei contribuenti. In teoria non si potrebbe cambiare le regole del gioco retroattivamente. Però è stato già fatto (governo Letta), con la “clausola di salvaguardia” introdotta nel 2014. Clausola che prevede proprio questo tipo di intervento per risistemare i conti: se non ci saranno tagli alla spesa - ha confermato Padoan alla Camera ad agosto - i contribuenti saranno chiamati a sopportare un aggravio fiscale di 3 miliardi di euro a partire dal 2015, con cifre poi crescenti. La legge di stabilità 2014 prevede già un intervento (sollecitato pure dal Fmi), per avviare "la revisione delle agevolazioni e detrazioni fiscali", tanto da "garantire 3 miliardi nel 2015, 7 nel 2016 e 10 nel 2017". Per farlo, però, Renzi dovrà approvare un decreto (Dpcm) entro il 15 gennaio per tagliare, eventualmente, proprio dove indicato dal suo predecessore.

Renzi piange: "I poteri forti vogliono farmi fuori, ma io non mollo"

Articolo 18, Matteo Renzi: "Vogliono farmi fuori ma non mollo". D'Alema: "E' istruito da Verdini e Berlusconi"




"L'Italia non è un paese finito", ha detto Matteo Renzi nel suo video-messaggio "aereo" di ritorno dagli Stati Uniti. La speranza di parte del Pd e della sinistra più radicale, però, è che a essere finito sia il suo governo. Sabato sono arrivati i messaggi chiari e tondi di Cgil e minoranza interna. Il segretario generale Susanna Camusso ha ribadito che se la riforma del lavoro sarà attuata per decreto dell'esecutivo allora sarà sciopero generale. Dal canto suo, Pippo Civati ha annunciato che se il premier toccherà l'articolo 18 allora il Partito democratico sarà a fortissimo rischio scissione. 

Messaggio ai poteri forti - Renzi ha chiaro che i movimenti intorno al Jobs Act, con tutte le minacce e le prevedibili ritorsioni, sono indirizzati non tanto al merito quanto agli equilibri politici, e dalle pagine di Repubblica in una lunga intervista a Claudio Tito parte al contrattacco: "I poteri forti vogliono sostituirmi? Ci provino ma non mollo". Suggestivo però che dal Corriere della Sera, non tenero con il premier nell'ultima settimana, ci sia un'altrettanto ampia intervista al suo diretto avversario interno, Massimo D'Alema: "Matteo è istruito da Berlusconi, Verdini e dai vecchi di Forza Italia". Non male, come assist per la mediazione.

D'Alema: "Articolo 18? Un favore all'Europa" - "Renzi è in difficoltà con Bruxelles. Per questo vuole abolire l'articolo 18", è l'attacco di D'Alema, che punta il dito sull'operazione che vuole condurre alla modifica dello statuto dei lavoratori, anche a costo di rompere con la minoranza del Pd: "Sull'articolo 18 - spiega - è in atto un'operazione politico-ideologica che non corrisponde a nessuna urgenza, non esiste un'emergenza legata alla rigidità del mercato del lavoro". Rompere con la minoranza interna e il sindacato, sospetta D'Alema, sarebbe un modo per "lanciare un messaggio all'Europa e risultare così affidabile a quelle forze conservatrici che restano saldamente dominanti. Spero che Renzi si renda conto che una frattura del maggior partito di governo non sarebbe un messaggio rassicurante".


domenica 28 settembre 2014

Scattano i controlli sulla tassa rifiuti La guida per evitare di restare fregati

Tassa rifiuti, scattano i controlli. Ecco come difendersi




Scattano i controlli sulla tassa rifiuti. Dopo il lavoro svolto per introdurre la nuova Tari, gli uffici tributari degli enti locali sono impegnati in queste ore nell'accertamento delle annualità pregresse. I controlli avviati da parte dei funzionari comunali hanno generato il caos agli sportelli. E "Il Sole 24 Ore" pubblica oggi una guida per i contribuenti con cui verificare la correttezza degli accertamenti anche al fine di escludere eventuali errori.

L'importanza della ricevuta di versamento -  E' possibile che il contribuente abbia regolarmente effettuato il versamento, che non risulta invece contabilizzato dall'ente per un disguido nell'inserimento dei dati oppure per un errore in sede di pagamento (dipeso ad esempio dall'utilizzo dell'F24). In tal caso il contribuente deve reperire la ricevuta di versamento ed esibirla all'ente al fine della corretta imputazione.

Verificare eventuali errori di calcolo - Dopo aver verificato la corrispondenza dei pagamenti sulla ricevuta (da conservare per almeno cinque anni), occorre escludere la presenza di eventuali errori di calcolo, seguendo il percorso logico effettuato dall'ente per il conteggio del tributo e relative sanzioni. Potrebbe trattarsi di una verifica complessa, perché occorrerebbe munirsi di tutti i dati necessari, a partire dalle delibere tariffarie e dagli altri parametri relativi in particolare alla base imponibile.

Nel mirino dei controlli anche le quote - Tra gli errori commessi da alcuni Comuni, specie nel passaggio dalla Tarsu alla Tares, spesso ricorre il calcolo della quota variabile delle utenze domestiche, che va computata una sola volta a prescindere dal numero delle pertinenze. Ipotizziamo di avere un'utenza dalla superficie complessiva di 150 mq., composta da un appartamento (100 mq), un garage (30 mq) e una cantina (20 mq). Consideriamo un nucleo familiare di 4 componenti a cui corrisponde una quota fissa di 0,8 €/mq e una quota variabile di 30 euro, secondo il piano tariffario stabilito dall'ente. Applicando il metodo normalizzato (Dpr 158/99) dovremmo avere una quota fissa pari a 120 euro (0,8 x 150 mq.) e una quota variabile di 30 euro, quindi il contribuente dovrebbe pagare complessivamente 150 euro. Il comune potrebbe però aver moltiplicato la quota variabile per tre unità (abitazione e 2 pertinenze), falsando così l'importo finale che lievita a 210 euro.

La superficie campanello d'allarme per i controlli - Un ulteriore controllo, per verificare la correttezza dei versamenti effettuati, va effettuato sulla superficie indicata nell'avviso di pagamento della tassa rifiuti: potrebbe costituire un vero rompicapo per il contribuente. Al momento non è ancora entrata "a regime" la regola dell'80% della superficie catastale, quindi il Comune può aver utilizzato il dato della superficie "calpestabile" oppure di quella "catastale".

Le sanzioni in caso di errori sugli importi - Da questi primi sommari controlli, se risultassero sbagliati gli importi dei versamenti effettuati, il contribuente potrebbe incorrere in alcune sanzioni. Gli eventuali errori emersi ovviamente si riflettono sul calcolo finale e quindi anche sull'importo delle sanzioni, calcolate in percentuale: 100% per omessa denuncia, 50% per infedele denuncia, 30% per omesso versamento. L'ente potrebbe comunque contestare con un unico avviso più annualità (ad esempio dal 2010 al 2013): in tal caso le sanzioni non vanno sommate (c.d. cumulo materiale) ma va applicata la sanzione più grave aumentata dalla metà al triplo (c.d. cumulo giuridico). 

L'avviso di accertamento deve riportare i dati  - Gli avvisi di accertamento che contestano i versamenti relativi alla tassa rifiuti vengono generalmente redatti e stampati con strumenti informatici, quindi non si può pretendere la sottoscrizione autografa del funzionario responsabile. D'altronde è la stessa legge che consente di sostituire la firma con il nominativo stampato sull'atto (articolo 1 comma 87 legge 549/95), purché siano indicati gli estremi del relativo provvedimento (Cassazione 23976/2008 e 3941/2011). 

L'avviso di accertamento va notificato correttamente - Se ti contestano il versamento della tassa rifiuti di qualche anno fa, non è detto che l'avviso di accertamento ricevuto sia stato inviato in modo corretto. Tra i vizi formali che vengono frequentemente contestati in sede giudiziaria rientrano quelli relativi al procedimento di notifica degli avvisi. Sul punto va chiarito, anche al fine di evitare inutili contenziosi, che il comma 161 della legge 296/2006 consente al Comune di effettuare la notifica anche a mezzo di semplice raccomandata con ricevuta di ritorno, senza utilizzare la busta verde prevista per gli atti giudiziari. Il Comune non può invece affidarsi agli addetti del servizio di posta privato, poiché non rivestono la qualifica di pubblici ufficiali.

L'istanza di autotutela per difendersi - Il contribuente a cui venissero contestati i pagamenti relativi alla tassa rifiuti, dopo aver effettuato i primi controlli, potrebbe valutare l'opportunità di presentare un'istanza di riesame in autotutela, prima di esperire la via giudiziaria. L'autotutela è il rimedio più idoneo per richiedere la correzione di errori materiali di calcolo oppure la mancata considerazione di pagamenti del tributo. Occorre tenere sotto controllo i tempi al fine di rispettare il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica dell'accertamento.

Sciopero generale e scissione del Pd Articolo 18: minacce incrociate per Renzi

Articolo 18, minacce incrociate per Matteo Renzi. Camusso (Cgil): "Sciopero generale". Civati (Pd): "Scissione"




Da una parte lo sciopero generale, dall'altra la scissione del Pd. Sono le due minacce che il premier Matteo Renzi si trova a superare sulla strada del Jobs Act e dell'abolizione dell'articolo 18. Il segretario della Cgil Susanna Camusso è chiara: se il governo proseguirà sulla riforma del lavoro attraverso un decreto, "saltando" il confronto con le parti sociali e il Parlamento, il sindacato e i suoi iscritti scenderanno in piazza. E nel frattempo il sindacato rosso ha già indetto una grande manifestazione a Roma, il prossimo 25 ottobre.

La Camusso: tutti uniti contro il governo - Per la leader della Cgil, intervenuta all'assemblea nazionale della Fiom, "bisogna costruire un punto di tenuta sui contenuti" perché "non si può offrire l'idea di lavoro, di libertà del lavoro, di universalità dei diritti dando l'impressione che il sindacato non è unito su queste cose". "Abbiamo tanto da discutere - ha ammesso la Camusso -. Ho sentito le affermazioni di un segretario dimissionario (Raffaele Bonanni della Cisl, ndr) che mi hanno fatto pensare che non ci fosse il necessario rispetto nei confronti della Cgil, ma credo che dobbiamo guardare davvero un po' in avanti". 

Civati: "Rischio scissione nel Pd" - E avanti guarda, a modo suo, anche Pippo Civati: il terzo incomodo nelle ultime primarie democratiche, quelle che hanno visto trionfare Renzi, è tornato ad alzare la voce cercando di radunare intorno a sé la fronda Pd più allergica ad ogni "rivoluzione" sul tema di lavoro e articolo 18. Jobs Act sì, ma il "totem" dello Statuto dei lavoratori non si deve toccare: "Altrimenti c'è il rischio di scissione". Questo mentre uno dei leader della minoranza Sinistradem, Gianni Cuperlo, sembra frenare il dissenso: "Si cambia l'Italia unendo le sue energie sane e migliori. Se questa è la sfida, ognuno di noi la deve affrontare con la maturità che richiede. Mai come adesso, si vince o si perde assieme. Faccio appello al premier e segretario del Pd perché assuma una posizione coerente col profilo della principale forza del progressismo e del socialismo europeo". Quindi la proposta: "Servono risorse certe, e per questo è giusto saldare il confronto sul Jobs Act a quello sulla legge di stabilità. Ciò che promettiamo dobbiamo mantenere. Sull'articolo 18, nessuno ritiene abbia un peso nella sfida del cambiamento. La riforma Fornero ha già ridotto confini e impatto della vecchia norma. Il punto è prevedere che a fronte di un licenziamento discriminatorio, illegittimo o privo di motivazioni, alla fine della prova la possibilità di reintegra venga mantenuta come accade in Germania".

Cosa sta succedendo a Repubblica? Redazione in rivolta "Basta, quella firma ormai fa solo marchette alla Rai"

Repubblica, dopo Spinelli e Maltese, cdr contro Giovanni Valentini: scrive "marchette" per la Rai




Grossi guai a Repubblica. Ormai è ufficiale: i giornalisti di largo Fochetti sono in guerra contro le grandi firme del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Una polveriera in cui il comitato di redazione chiede da settimane al direttore Ezio Mauro di intervenire per mettere un po' d'ordine tra le scrivanie, tra gente eletta all'Europarlamento che non rinuncia al (lauto) stipendio per vergare i propri editoriali e altri colleghi che si esibiscono in imbarazzanti "marchette" (auto) promozionali, come nell'ultimo caso di Giovanni Valentini. Vuoi vedere che il giornale-partito è simile in tutto e per tutto ai più classici partiti-partiti?

Spinelli e Maltese allarme rosso - Il 2014 caldissimo di Rep è iniziato con il "balletto" di Barbara Spinelli, storica penna prestata alla politica. Candidata alle Europee con l'ultra-sinistra della lista Tsipras "solo per dare visibilità ai compagni", aveva promesso di cedere il seggio se eletta. Solo che eletta lo è stata per davvero, e al seggio non ha rinunciato (senza peraltro farsi vedere mai a Strasburgo). Caso simile quello di Curzio Maltese, pure lui eletto con Tsipras. All'Europarlamento ci va e il problema è questo: il prestigioso giornalista pretende di ricevere l'emolumento per il proprio incarico politico mantenendo quello per la collaborazione con Repubblica. Mauro gli aveva proposto di continuare a scrivere gratuitamente, anche per dribblare possibili sospetti di conflitto d'interessi, ma Maltese tiene duro, anche perché sa di poter sempre agitare lo spauracchio di una causa civile.  

Il caso Valentini - Ma c'è un altro compagno che rivendica i propri diritti, alla faccia di stagisti e precari vari. E', appunto, Valentini. Dagospia ha pubblicato la lettera del cdr e i contenuti sono, per così dire, piccanti. "Nel corso dell'estate abbiamo formalmente sollevato con la direzione (attraverso uno scambio di mail che ha coinvolto anche il collega interessato) la per noi decisiva questione dell'oggettivo conflitto di interessi in cui è venuto a trovarsi Giovanni Valentini allorché, nella sua rubrica, ha espresso giudizi lusinghieri sulle scelte di programmazione della dirigenza Rai, pur trovandosi nella condizione di essere in quel momento in trattativa con la stessa dirigenza Rai per una possibile collaborazione remunerata". Il problema è che Valentini nel suo Sabato del villaggio ha perseverato, firmando un secondo articolo assai benevolo nei confronti di Petrolio, programma condotto da Duilio Giammaria. Peccato che nella puntata recensita fosse ospite (gratuito), guarda un po', proprio Valentini. L'editorialista dapprima ha replicato sostenendo di tenere più a Repubblica che alla Rai, comunicando di aver sospeso ogni trattativa ("Senza l'intervento del Cdr - ribattono i colleghi - avrebbe potuto percepire compensi dalle persone e dell'azienda di cui aveva scritto su Repubblica") e poi a sua volta ha accusato i membri del cdr di volerlo censurare. Ma al comitato di redazione le spiegazioni di Valentini non bastano, anzi, e chiedono di non alimentare spiacevoli conflitti d'interessi. La risposta della firma sotto accusa è arrivata ancora una volta a mezzo stampa, cioè su Repubblica: l'ultima puntata della sua rubrica è in pratica uno spot per la Rai, un invito a evitare noiosi talk show e guardare in tv Italy in a day, docu-film di Gabriele Salvatores realizzato su invito, il caso, di Rai Cinema. 

sabato 27 settembre 2014

Grandi manovre dei centristi per spingere Silvio in maggioranza

Il piano dei centristi per portare Silvio al governo

di Franco Bechis 


Ogni due tre giorni una riunione. Ieri incontro ufficiale fra rappresentanti di partito. Qualche giorno prima si sono visti in maniera più carbonara alcuni senatori e una manciata di deputati. La prossima settimana dovrebbero incontrarsi alla luce del sole anche alcuni gruppi parlamentari. Sono in corso grandi manovre al centro del centrodestra italiano.

Ne sono protagonisti Mario Mauro, Pierferdinando Casini, alcuni esponenti del Ncd come Renato Schifani e Giuseppe Scoppelliti, membri del gruppo parlamentare di Gal al Senato, e in maniera più defilata (ma compiaciuta) anche Silvio Berlusconi. Ufficialmente il tentativo - non proprio nuovissimo - è quello di mettere insieme dentro e fuori dal Parlamento e riunire in un solo gruppo chiunque si riconosca nel partito popolare europeo. Ed è quel che ammette lo stesso Mauro, che si intesta la regia dell’operazione: «mi sembra naturale farlo. È quello che ho sempre desiderato, e mi sono impegnato a realizzarlo con i vertici del Ppe. Al momento stiamo tessendo la tela fra Popolari per l’Italia, Udc e Ncd pensando a una fusione dei gruppi parlamentari. Ma naturalmente è benvenuta anche Forza Italia, visto che il Ppe è il suo riferimento ufficiale in Europa. Si è vero, ci stiamo incontrando non solo per discutere, ma anche per pensare gli aspetti operativi. E ci vedremo anche la prossima settimana».

Fusione fredda - Detto così il progetto di una fusione fredda, perseguito dai tempi in cui i numeri di quell’area politica erano ben più consistenti degli attuali. Ma sotto la coltre dell’ufficialità si sta muovendo qualcosa di ben più caldo. L’idea concreta è quella di creare un nuovo gruppo parlamentare che diventi una sorta di terra di mezzo fra l’area di governo classica e quella di opposizione più morbida. Potrebbe essere vista così, o anche come una sorta di ponte parlamentare fra il Pd di Matteo Renzi e Forza Italia. Chi muove la costruzione punta da un lato ad assorbire parte del Nuovo centro destra non particolarmente soddisfatto della strategia di Angelino Alfano e più timoroso dell’immediato futuro. Una decina di senatori (l’area sarebbe quella calabro-siciliana) pronto a trasferirsi lì insieme a Popolari per l’Italia, Udc e qualche senatore di Gal, attendendo anche un distacco di una parte dei senatori di Forza Italia.

Anche se il gruppo dovrebbe coccolare malumori esistenti sia nelle fila Ncd che in quelle azzurre, formalmente la creazione del gruppo della terra di mezzo non avrebbe toni polemici o particolarmente battaglieri nei confronti di chi guida i due partiti. Anzi si offre come ponte per la loro riconciliazione. Secondo alcune indiscrezioni chi è tentato dal passaggio ne avrebbe parlato con lo stesso Silvio Berlusconi ottenendo se non un via libera formale, almeno un interesse di massima. Che cosa dovrebbe fare il nuovo gruppo? L’idea è quella di condizionare Renzi più di quanto non riesca oggi a Ncd, perché se l’operazione dovesse riuscire, il governo senza quei numeri non avrebbe più la maggioranza. Tre gli obiettivi principali: grazie a quel condizionamento, allungare la vita della legislatura evitando ogni tentazione di Renzi di andare ad elezioni nella primavera 2015; cambiare radicalmente quell’Italicum che è stato disegnato su un quadro politico che probabilmente non esiste più, e infine creare le condizioni per un successivo ingresso di tutta Forza Italia nella maggioranza di governo.

Desideri e malumori - Desideri e maldipancia si uniscono con facilità in un progetto di questo tipo. Si borbotta in casa Ncd, sia per ragioni di emarginazione interna, sia per la sensazione che non sia così fruttuoso continuare a fare la ruota di scorta di un leader di governo che ti scarica addosso tutti i problemi e gli insuccessi e nei rari casi di successo, non ne divide con alcuno i frutti. A non pochi di questi pontieri preme anche una sorta di assicurazione sul futuro politico. Che sarebbe facilitata se con l’operazione terra di mezzo riuscissero davvero a imporre con la forza dei numeri l’ingresso strisciante di Forza Italia nella maggioranza attuale.

Tonino contadino, Giggino silurato Rottura totale per la brigata anti-Cav

Che fine ha fatto la brigata anti-Cav




E' in rotta totale la banda anti-Cav. A testimonianza del fatto che Silvio Berlusconi, coi suoi pregi e le sue magagne, ha di fatto tenuto in vita  per anni (mediaticamente e politicamente) personaggi che oggi, con lui in posizione defilata e ormai quasi fuori dai guai giudiziari, hanno assai poca ragione di esistere.

Il primo a finire ai margini è stato Antonio Di Pietro, "dio" con la toga di Manipulite poi riciclatosi in politica come leader dell'Italia dei valori. Oggi, Tonino fa l'agricoltore a Montenero Di Bisaccia, suo paese naatale in Molise. E ieri è tornato a parlare in pubblico dopo lungo tempo. Dove? Ospite di un convegno sul "piano di sviluppo rurale 2014-2020. Quale futuro per l'agricoltura molisana?". Ad Antonio Ingroia, pure lui fu magistrato riciclato in politica, è andata anche peggio: la sua Azione civile ha fallito in tutti gli appuntamenti elettorali cui si è presentata, le politiche 2013 e le europee 2014. Nessun eletto in entrambe le occasioni. Per consolarsi, Ingroia ha ottenuto due incarichi pubblici nella natia Sicilia dall'amico Rosario Crocetta: commissario di "Sicilia e servizi" e commissario della Provincia di Trapani (incarico, quest'ultimo, scaduto lo scorso 30 giugno).

Alla politica sono invece riusciti ad approdare dal mondo dei media due ex "intellettuali giustizialisti" come Barbara Spinelli e Curzio Maltese. La prima aveva dichiarato in campagna elettorale di voler rinunciare all'eventuale seggio in favore del primo dei non eletti, ma ha poi preferito tenersi stretto il posto a Strasburgo. Il secondo, invece, sta facendo il diavolo a quattro per tenersi lo stipendio che riceve a Repubblica accanto al ricco compenso di parlamentare europeo.

Dei tanto celebrati (un tempo) "Popolo viola" e "Girotondi" non si hanno notizie ormai da anni.E forse, chissà, tra un anno si perderanno le tracce (almeno televisive) anche di Michele Santoro, il cui intento di mollare "Servizio pubblico" alla fine della stagione appena iniziata non potrà che uscire rinforzato dai risultati di share della prima puntata, con un misero 5,7% e un milione di telespettatori persi per strada rispetto all'esordio della stagione scorsa. Marco Travaglio, da quando non può più prendersela col Cav, disserta di antimafia e Napolitano con infiniti sermoni sul Fatto. E il flop di Santoro su La7 è anche il suo e del vignettista Vauro. Come lo è di Sabina Guzzanti, idola delle (ex) folle antiberlusconiane e che, lei pure come Travaglio, ha preferito virare la sua verve polemica sul tema della mafia.

Poi c'è il tragicomico caso di Luigi De Magistris, pure lui ex pm buttatosi in politica (ma forse la faceva anche con la toga addosso). Tragico perchè una città con mille problemi come Napoli si trova pure col problema di un sindaco condannato che, verosimilmente, dovrà lasciare l'incarico con l'applicazione della legge Severino. Comico perchè la prima cosa che Giggino ha fatto dopo aver saputo della pena di un anno e tre mesi inflittagli per abuso d'ufficio è stata partire testa bassa all'attacco dei giudici. Ma quello che faceva così non era Berlusconi?

giovedì 25 settembre 2014

Sul babbo indagato di Matteo Renzi si allunga l'ombra di Telekom Serbia

L'ombra di Telekom Serbia nell'inchiesta sul padre di Renzi

di Giacomo Amadori 


L’inchiesta per bancarotta fraudolenta contro Tiziano Renzi si arricchisce ogni giorno di nuovi colpi di scena e da oggi si intreccia clamorosamente con la vicenda Telekom Serbia. Per rendersene conto bisogna concentrarsi su Antonello Gabelli, 51 anni, originario di Alessandria, uno dei tre indagati per il fallimento della Chil post (datato 7 dicembre 2013). Libero lo ha cercato diverse volte negli ultimi mesi. L’ultima domenica scorsa, quando, a sorpresa, siamo stati ricontatti: «Sono Vincenzo Vittorio Zagami, avvocato del Foro di Roma, tessera numero A… e assisto il signor Gabelli. È stato nominato amministratore della Chil post, ma in realtà era una testa di legno.

Chi dava le disposizione, anche dopo la vendita e sino al fallimento della società, era il papà del signor Renzi». L’incipit non è esattamente nel tipico linguaggio felpato dei difensori di fiducia. Ma il prosieguo è persino più spumeggiante: «Il mio cliente è una persona assolutamente impossidente. Per fare il prestanome gli avevano promesso dei soldi che non sono arrivati e ora sarebbe disponibile a rendere una testimonianza scoop in audio e in video perché ha delle carte relative al padre di Renzi. Però, giustamente, vuole qualcosa in cambio. Si deve pagare l’avvocato, visto che tra poco l’arresteranno per bancarotta fraudolenta». L’uomo è esuberante e ci invita a bere un caffè nel pomeriggio a Cap Saint Martin alle porte del Principato di Monaco. Decliniamo l’offerta, ma ci accordiamo per un incontro il giorno successivo ad Alessandria, dove Zagami è residente in un’elegante palazzina nella frazione Valmadonna. Prima di partire cerchiamo su Internet notizie su questo difensore sui generis e scopriamo diverse cose curiose.

Per esempio che è iscritto al foro di Roma solo dal 2012 come «avvocato comunitario stabilito», essendo stato abilitato a esercitare la professione in Francia e in Spagna. Pugliese e di ottima famiglia, è titolare dello studio Zagami e associati con sedi a Molfetta, Roma e Milano. Marco Travaglio nel suo libro La scomparsa dei fatti ricorda la sua storia e come a un certo punto sia diventato il “super-testimone” della vicenda Telekom Serbia, con un’intervista a Paolo Guzzanti, vicedirettore del Giornale e senatore di Forza Italia: «Tal dottor Favaro si descrive come uno “dei due italiani che erano sul volo da Atene a Belgrado per portare i famosi 1.500 miliardi (in sacchi di iuta ndr) per la conclusione dell’affare”. Favaro sostiene pure di aver assistito alla consegna di tangenti e di possederne addirittura una ricevuta. L’uomo in realtà si è presentato a Guzzanti, col suo vero nome, Vincenzo Vittorio Zagami, sedicente collaboratore del Sismi. Basterebbe un semplice controllo per scoprire che si tratta di un volgare truffatore, pluripregiudicato, con varie condanne alle spalle».

Il 13 maggio 2002 viene arrestato dall’Interpol nella sua casa di Cap Saint Martin e, secondo Travaglio, «la bufala viene smascherata». Adesso, 12 anni dopo, Zagami difende Gabelli e chiede soldi per incastrare babbo Renzi. Quanti soldi? Non molti: «Dodici mensilità da neanche mille euro l’una. Il mio assistito deve campare». Lunedì incontriamo la strana coppia in un bar di Piazza della Libertà ad Alessandria. L’ex amministratore della Chil post rimane praticamente muto per tutta la durata della riunione. Capelli scuri, polo bordeaux, corpulento e un po’ claudicante, Gabelli ha il volto tirato. Il suo avvocato è invece un fuoco d’artificio. Rolex e gemelli d’oro, scarpe di Gucci, esibisce i tesserini professionali di tre diverse nazioni. Quindi squadra il cronista: «Per combattere le pellacce ci vogliono le pellacce. Non ho paura di niente, ho fatto il carcere, la latitanza». Incuriositi, gli chiediamo lumi sulle sue disavventure giudiziarie, ma a questo punto Zagami ci accusa di «andare in cerca di sensazionalismo»: «Ho un passato molto particolare, ma che cosa interessano fatti di vent’anni fa senza nessuna attualità? Non sono io indagato a Genova». Poi assicura di essere stato prosciolto con formula piena per Telekom Serbia e di aver girato per quasi tutte le prigioni italiane per colpa delle false accuse che gli sono piovute addosso. Zagami è certo che Gabelli sia stato messo in mezzo e ci ripropone l’intervista a pagamento: «Noi non stiamo violando nessun segreto istruttorio perché non siamo mai stati ascoltati dai pm. La procura, al di là del semplice avviso di garanzia, non ha fatto neanche un’audizione. Il fascicolo è completamente vuoto».

In realtà a maggio il curatore fallimentare Maurizio Civardi ha scritto ai pm che Gabelli «si è reso indisponibile a un incontro e che a tutt’oggi non ha neppure riscontrato le richieste di chiarimento sottoposte dal curatore». Per Zagami l’inchiesta non può rimanere in Liguria: «Il giorno che il magistrato ci chiamerà, chiederò lo spostamento del processo, la competenza è di Firenze, dove si sono svolte le compravendite, o meglio ancora del tribunale dei ministri, infatti l’unico dirigente della società che è fallita era Matteo Renzi». Zagami punta il dito sulle due cessioni fatte da Tiziano Renzi nell’ottobre del 2010: la prima in cambio di 3.800 euro alla moglie Laura Bovoli e la seconda, sei giorni dopo, per 2 mila euro al settancinquenne sedicente prestanome (e non indagato) Gian Franco Massone. In tutto 5.800 euro per una società con 60.400 euro di valore nominale e un valore della produzione di 4,5 milioni nel 2009. Per l’avvocato ci troveremmo di fronte a una good company (venduta a Bovoli) e a una bad company affidata a Gabelli che nel dicembre 2010 ha firmato il bilancio con quelle operazioni finanziarie oggi sotto la lente della procura.

«Hanno venduto una scatola vuota, dopo averla privata di tutti i contratti commerciali» insiste Zagami. Su Massone viene scaricato anche un mutuo da 497 mila euro garantito sino a quel giorno dalla mamma di Matteo Renzi. Nell’atto notarile del 14 ottobre, un documento chiave per la procura genovese, si legge che Massone «si obbliga a liberare la signora Bovoli Laura dalla fideiussione prestata a favore della Banca di credito cooperativo di Pontassieve entro 30 giorni». La banca all’epoca aveva nel consiglio di amministrazione uno dei fedelissimi dell’attuale premier, l’ex boy scout Matteo Spanò, oggi presidente dello stesso istituto di credito. Il legale di Gabelli se la prende pure con il notaio che ha firmato i due atti, Claudio Barnini, il professionista di fiducia dei Renzi, colpevole di aver avallato le compravendite senza precisare le modalità di pagamento. «Perché la società viene ceduta senza un dimostrato passaggio di soldi? Si tratta di cessioni simulate? In casi come questo il notaio ha l’obbligo, per le norme antiriciclaggio, di fare una segnalazione». La chiacchierata termina qua. Il legale ribadisce: «Gabelli non rilascia nessuna intervista se non dietro un contributo per le spese che dovrà affrontare». Replichiamo che non siamo disponibili a versare alcunché. «E allora di che cosa parliamo? C’è altra gente che sta venendo con gli assegni in mano. La saluto».

Beppe Grillo in ginocchio da Bersani: "Insieme contro Renzi". Poi minaccia...

Beppe Grillo chiama Pier Luigi Bersani: "Insieme per sbarazzarci di Matteo Renzi"




Torna a farsi sentire Beppe Grillo. E torna a farsi sentire con la più improbabile delle piroette: chiama per un'alleanza Pier Luigi Bersani, lo stesso Bersani che sbertucciò rifiutando ogni alleanza dopo le elezioni politiche della non-vittoria dell'uomo da Bettola. Nel mirino del grande capo Beppe c'è la riforma del lavoro e, fa sapere, i Cinque Stelle sono disposti a un'intesa con la minoranza del Pd pur di mandare a casa Matteo Renzi e il suo governo.

Gli obiettivi - Al solito, l'appello viaggia sul blog, dove su un post firmato da Aldo Giannulli si legge: "Lo scontro che si sta profilando impone che abbiamo tutti molta generosità, mettendo da parte recriminazioni pur giuste per realizzare la massima efficacia dell'azione da cui non ci attendiamo solo il ritiro di questa infame 'riforma', quanto l'occasione per mandare definitivamente a casa Renzi: con l'azione parlamentare e con l'azione di piazza, con gli scioperi, spingendo la minoranza Pd a trarre le dovute conseguenze di quanto accade".

"Compagni" - Un appello davvero esplicito, dunque. E ancora: "Renzi sta riuscendo dove non sono riusciti Monti e Berlusconi, lui, segretario del Pd, sta trattando la Cgil come uno straccio per la polvere: compagni del Pd cosa aspettate ad occupare le sedi e far sentire la vostra voce? O siete diventati tutti democristiani?". Beppe Grillo, stella (già) cadente dell'antipolitica, dunque, pur di restare a galla tende la mano allo "zombie" Bersani, all'ex leader di quel partito ("il Pd-L"), che al pari di tutti gli altri partiti, ha sempre disprezzato. Fino ad oggi.

Yara Gambirasio, la svolta definitiva? Quella prova che "incastra" Bossetti

Yara, Massimo Bossetti andò nel campo dove fu ritrovato il cadavere




Una prova che rischia di compromettere la posizione di Massimo Giuseppe Bossetti, l'unico sospettato per l'omicidio di Yara Gambirasio. Due settimane dopo il delitto, infatti, andò nel campo dove fu ritrovato il cadavere della ragazzina di Brembate Sopra. La prova sta in una fattura rintracciata dai carabinieri del Ros durante l'analisi della contabilità del muratore. Secondo quanto rivelato dal Corriere della Sera, la versione fornita da Bossetti ai pm - secondo la quale sarebbe stato in un cantiere nei pressi del campo per portare della sabbia - sarebbe stata smentita dalle verifiche. Quel 9 dicembre, Bossetti, non andò a lavorare; nella bolla allegata alla fattura, tra l'altro, sarebbe indicato un quantitativo di un metro cubo di sabbia.

"Avevo 13 anni, mi toccava e mi filmava" La testimonianza contro l'arcivescovo

Vaticano, la testimonianza sul nunzio apostolico arrestato: "In spiaggia mi toccava"




E' stato arrestato in Vaticano l'ex nunzio a Santo Domingo, Josef Wesolowski, riconosciuto colpevole di abusi nei confronti di minori e condannato dalla Congregazione della Dottrina della Fede alla dimissione dallo stato clericale. L'arresto, reso noto dal TgLa7, sarebbe stato realizzato con il consenso di Papa Francesco. Wesolowski aveva fatto recentemente appello alla sentenza canonica di primo grado.

Le parole del portavoce - L'arresto dell'ex nunzio Wesolowski "è conseguente alla volontà espressa del Papa, affinché un caso così grave e delicato venga affrontato senza ritardi, con il giusto e necessario rigore, con assunzione piena di responsabilità da parte delle istituzioni che fanno capo alla Santa Sede", ha precisato portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi. Wesolowski sarà processato in base alle norme in vigore prima della riforma penale del 2013, e rischia una pena tra i 6 e i 7 anni di carcere più eventuali aggravanti.

"Pericolo di fuga" - La procedura istruttoria sul caso dell’ex nunzio - continua padre Lombardi - "richiederà alcuni mesi prima dell’inizio del processo", che potrebbe quindi aprirsi negli "ultimi mesi di quest’anno" o "i primi del prossimo anno". Dopo l’arresto il promotore di giustizia, Gian Piero Milano, "compiute le indagini ulteriori che riterrà necessarie e gli interrogatori opportuni dell’imputato assistito dal suo avvocato, potrà formulare al Tribunale la richiesta di rinvio a giudizio". Il provvedimento degli arresti domiciliari, "con la conseguente limitazione dei contatti, intende evidentemente evitare la possibilità dell’allontanarsi dell’imputato e il possibile inquinamento delle prove".

La testimonianza shock- Alla fine di agosto 2014 il New York Times aveva pubblicato un’inchiesta in cui ha ricostruito con testimonianze dirette di minorenni quali erano le abitudini dell’ex arcivescovo: racconti pieni di dettagli raccapriccianti (rapporti sessuali addirittura “comprati” in cambio di medicine). Ecco invece la testimonianza di una delle vittime dell'ex nunzio a Santo Domingo, Josef Wesolowski, intervistato dalla giornalista Nuria Piera: "Avevo 13 anni, ci siamo conosciuti in spiaggia. Mi ha salutato mentre facevo il bagno, poi ci siamo parlati. Mi ha detto di chiamarlo Giuseppe, non sapevo fosse un sacerdote. Mi ha toccato. Poi mi ha chiesto di toccarmi, mentre lui mi filmava. Mi ha dato mille pesos (circa 17 euro, ndr). L'ho rivisto 2-3 volte, so anche di altri bambini che lo hanno incontrato".

Prendi subito metà della liquidazione: busta paga, rivoluzione in arrivo

Metà liquidazione in busta paga: l'idea del governo




Possibile rivoluzione in busta paga, che potrebbe accogliere il 50% del Tfr, mentre l'altra metà dell'accantonamento finirebbe alle imprese. Per un anno almeno, possibilmente anche per tue o tre, cominciando dai dipendenti del settore privato. Il piano del governo viene anticipato da Il Sole 24 Ore: una mossa per provare a rilanciare i consumi e sostenere l'attività produttiva dopo il flop degli 80 euro e del taglio Irap. Il premier, insomma, ci vuole riprovare, tentando di aumentare il salario dei lavoratori dipendenti grazie al sostanziale anticipo della liquidazione.

Decide il dipendente - Secondo quanto anticipato dal quotidiano economico, parte della quota del Tfr "maturando" e accantonata ogni mese dal lavoratore potrebbe essere smistata in busta paga, magari con un'unica soluzione annuale. Il Tfr, dunque, non arriverebbe più al termine dell'esperienza lavorativa. La scelta, comunque, spetterebbe al dipendente. Il governo punterebbe a varare il provvedimento il prossimo 10 ottobre (come detto, è prevista la possibilità per le imprese di mantenere una fetta pari al 50% delle liquidazioni).

Compensazioni aziendali - Resta però il nodo delle compensazioni aziendali, ancora da risolvere. Tra le opzioni quella di mantenere il meccanismo fiscale agevolato oggi previsto per il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. Per evitare problemi di liquidità, inoltre, verrebbe esclusa la possibilità di prevedere un accesso al credito agevolato per il flusso di Tfr da trasferire in busta paga o, alternativamente, un dispositivo creato ad hoc con il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti.

Potere d'acquisto e Iva - Altro tema delicato, e da risolvere, è la copertura dell'intero intervento, in particolare per quel che concerne l'accelerazione dell'esborso di cassa al quale dovrebbe far fronte lo Stato, con un'ovvia ricaduta sull'indebitamento. Da affrontare, inoltre, la probabile esclusione degli statali dal provvedimento, almeno in prima battuta, nonché il prelievo fiscale sulle quote di Tfr erogate con lo stipendio con quella che si configurerebbe come una sorta di "nuova quattordicesima". L'obiettivo, come detto, è far aumentare consumi e potere d'acquisto delle famiglie. Lo Stato recupererebbe parte dell'esborso con le ipotetiche maggiori spese e la conseguente crescita dell'incasso Iva.

I precedenti tentativi - In verità, l'idea di trasferire parte del Tfr in busta paga, non è nuova. Anche su questo punto Matteo Renzi mostra di non disdegnare affatto le politiche proposte in passato dai governi Berlusconi. Seppur in forme diverse, il medesimo principio fu proposto da Giulio Tremonti. Nel 2011, invece, fu il turno della Lega Nord, mentre nel marzo dello scorso anno la proposta fu avanzata dal sindacalista Fiom Maurizio Landini proprio a Renzi. Anche Corrado Passera, nel programma della sua Italia Unica, ha inserito il trasferimento del Tfr maturato direttamente in bsuta paga.

Punito il suo "metodo patacca" De Magistris condannato a un anno e tre mesi di carcere

Why Not, De Magistris condannato a un anno e tre mesi




Un anno e tre mesi di reclusione ciascuno, con sospensione condizionale della pena e non menzione sul casellario giudiziale: è la condanna che la decima sezione penale del tribunale di Roma ha inflitto all’ex pm di Catanzaro, Luigi de Magistris, attuale sindaco di Napoli, e al consulente informatico Gioacchino Genchi, accusati di concorso in abuso d’ufficio per aver acquisito illegittimamente, nell’ambito dell’inchiesta calabrese ’Why not’, i tabulati telefonici di alcuni parlamentari senza la necessaria autorizzazione delle Camere di appartenenza.

I due imputati, cui sono state concesse le attenuanti generiche e applicata l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per un anno (pena accessoria che rientra nella sospensione condizionale), sono stati condannati al risarcimento dei danni morali e materiali da liquidarsi in separata sede, salvo una provvisionale di 20mila euro, nei confronti dei parlamentari Francesco Rutelli, Giancarlo Pittelli, Romano Prodi, Clemente Mastella, Antonio Gentile, Sandro Gozzi e, per il solo Genchi, Domenico Minniti. Il 23 maggio scorso il pm Roberto Felici aveva concluso la requisitoria sollecitando l’assoluzione per l’ex pm di Catanzaro e la condanna a un anno e mezzo di reclusione per Genchi.

L’accusa di abuso d’ufficio era stata formulata perchè  i tabulati riguardanti gli uomini politici appartenenti al  centrodestra e al centrosinistra erano stati acquisiti al fascicolo  dell’inchiesta senza aver preventivamente richiesto ai rami del  Parlamento a cui appartenevano i politici in questione l’autorizzazione ad acquisirli. Il processo conclude una lunga vicenda giudiziaria che era cominciata nel 2009. La decisione del Tribunale è stata commentata favorevolmente dagli  avvocati Nicola e Titta Madia i quali ha assistito nel procedimento  Francesco Rutelli e Clemente Mastella. "La sentenza emessa oggi dal  Tribunale di Roma -hanno sottolineato i penalisti- rende piena  giustizia agli uomini politici tra i quali Francesco Rutelli e  Clemente Mastella. La grande violazione delle prerogative dei  parlamentari in questione determinò una violentissima campagna di  stampa contro il governo all’epoca in carica".

Da parte sua, De Magistris affida a Facebook la replica alla condanna, che definisce "un errore giudiziario. La mia vita è sconvolta". E annuncia ricorso in appello: "Sono profondamente addolorato per aver ricevuto una condanna per fatti insussistenti. Sono stato condannato per avere acquisito tabulati di alcuni parlamentari, pur non essendoci alcuna prova che potessi sapere che si trattasse di utenze a loro riconducibili".

La casta della Camera: niente tagli ai super-stipendi di commessi e dirigenti

Vietato tagliare i super stipendi della Camera




La diffida è arrivata nelle ultime ore al presidente della Camera, Laura Boldrini, al collegio dei questori e ai membri dell'ufficio di presidenza di Montecitorio. A inviarla è stata l'Osa, uno dei sindacati autonomi dei dipendenti degli organi costituzionali (ha un responsabile alla Camera e uno al Senato). Nel testo della diffida si intima ai membri dell'ufficio di presidenza di non procedere all’approvazione del documento attraverso cui si accoglie sia pure in forma diversa-anche dentro i palazzi della politica quel tetto massimo di 240 mila euro lordi annui che il governo di Matteo Renzi ha inserito nella pubblica amministrazione.

Da mesi infatti Camera e Senato si stavano accapigliando sulla necessità di inserire quel tetto anche all’interno delle loro amministrazioni. Le prime ipotesi erano state fatte a inizio estate. Quando stavano per essere approvate, è andata in scena la protesta dei dipendenti che avevano assediato con grande scalpore la Boldrini e i suoi collaboratori con ironici battimano. Una sorta di atipica manifestazione sindacale (i dipendenti degli organi costituzionali non hanno il diritto di sciopero). 

Certo ha facilitato questo imprevisto la lentezza delle istituzioni: l’ufficio di presidenza della Camera doveva varare quel tetto da 240 mila euro (che in realtà è di oltre 300 mila euro lordi) lo scorso 18 settembre. Ma non l’ha fatto, rinviando tutto a fine mese e ora rischiando uno scontro istituzionale molto delicato con la magistratura del lavoro. Anche se il tetto in sé riguarda solo qualche decina di dirigenti o funzionari avanti nella carriera, nella bozza di delibera che doveva andare in ufficio di presidenza si faceva riferimento anche a una rimodulazione degli emolumenti di tutte le altre categorie di personale. È evidente che se scendono gli stipendi apicali, anche quelli immediatamente sotto debbono essere adeguati per non avere livellamenti salariali a funzioni diverse.

In ogni caso il progetto allo studio nelle Camere è ben diverso da quello applicato al resto dei pubblici dipendenti. Innanzitutto perchè al tetto ci si arriverebbe gradualmente da qui al 2018. Poi perchè il livellamento è stato pensato come una sorta di contributo di solidarietà provvisorio: nella sostanza una volta raggiunto, l’anno successivo si tornerebbe agli attuali livelli retributivi. Terza differenza: dal tetto di 240 mila euro sarebbero esclusi i contributi previdenziali che verrebbero versati come se lo stipendio continuasse ad essere quello attuale, e quindi non mettendo a rischio gli importi pensionistici previsti anche con il regime contributivo. Quarta differenza: dal tetto vengono escluse le indennità di funzione- legate all'incarico ricoperto-che possono arrivare al massimo a 60 mila euro l’anno, e che continuerebbero ad essere cumulate. Quindi non esisterebbe un tetto per tutti, e lo stipendio più alto comunque potrebbe essere ancora di 370 mila euro lordi annui (240 mila di base, più 70 mila euro di contributi previdenziali, più 60 mila euro di indennità di funzione), e quella cifra si arriverebbe progressivamente solo nell'arco di un triennio.

Non certo una tragedia (dopo un anno il segretario generale della Camera passerebbe da 478 mila a 453 mila euro lordi annui) , ma il semplice allineamento degli organi costituzionali a una moderazione salariale che nel pubblico impiego ormai è legge, e che comunque si è fatta sempre più strada anche nelle imprese private.

mercoledì 24 settembre 2014

Bersani va da Floris e spara su Renzi: "Sei al governo grazie a me"

Di martedì, Pier Luigi Bersani: "Renzi governa con il mio 25%"




"Renzi ha preso il 40%? Con il mio 25% Renzi sta governando. Io non ci sono al governo, mi va bene, non chiedo riconoscenza ma rispetto". Così l'ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani a Dimartedì, in onda ieri sera su La7. L'ex segretario Pd non ha risparmiato affondi nei confronti del premier: "Dall'entourage di Renzi mi vogliono spiegare, a me, come si sta in un partito. Ma vorrei chiedere: dove sta scritto nel programma di cancellare l'articolo 18?". 

L'attacco - L'articolo 18, ha proseguito "non è certamente un simbolo ma un suo aspetto simbolico sicuramente lo ha: non si può buttarlo via perché il lavoro non può essere inteso totalmente solo come salario ma è anche diritti e dignità delle persone". Il lavoro, ha detto ancora Bersani, "si dà con gli investimenti e servono regole precise per l'occupazione".

La minaccia - Renzi, ha continuato l'ex segretario Pd, "è svelto, intelligente, impaziente" ma deve avere "un rapporto più colloquiale e meno aggressivo". Anche perchè "non usciamo dai guai con improvvisi miracoli". Il presidente del Consiglio, ha continuato Bersani, "ha creato un'enorme aspettativa e ora deve cominciare a tirare qualche somma". Sul fronte economico, ha proseguito, "a fine anno saremo ancora con il segno meno ed è troppo facile dire che la soluzione sono i tagli alla spesa pubblica".

Peggio del peggio. Il curriculum "horror" di Piero Fassino: guarda cosa (e come) lo ha scritto. E c'è anche una balla spaziale... / Foto

Piero Fassino, il curriculum horror (e c'è anche una balla spaziale...)




La classe dirigente si può permettere un curriculum - permetteteci il giudizio - osceno (guardate la fotografia). E non tanto per i contenuti, ma piuttosto per la forma. I comuni mortali per mettere nero su bianco il foglio con cui cercano impiego spendono ore del loro tempo e spremono meningi. Piero Fassino, per esempio, invece no. La Repubblica Torino ha infatti scovato e pubblicato il cv del sindaco di Torino: un foglietto che si distingue per la sciatteria e la noncuranza con cui è stato compilato. Scritto a penna, parte con inchiostro blu e parte con inchiostro nero: roba che di solito, quando finisce in mano all'ufficio del personale, viene stracciata con disgusto per poi rotolare accartocciata nel cestino delle scartoffie. Ma per il democratico Fassino non è così. Nel suo curriculum vengono scritti con sufficienza i suoi ruoli in politica; nessuna competenza viene specificata, men che meno gli interessi, figurarsi il voto di laurea, l'argomento della tesi e tutto il pregresso percorso di studi. Inoltre Fassino afferma di conoscere "francese, inglese e spagnolo". Sul francese e sullo spagnolo non ci si può esprimere, ma sull'inglese invece sì: il fatto che lo conosca è una balla spaziale. Un comune mortale, infatti, quando nel cv scrive di conoscere una lingua è perché quella lingua la padroneggia con particolare dimestichezza e disinvoltura. Eppure nel febbraio del 2014, quando pubblicò su YouTube un videomessaggio (in inglese), in qualità di sindaco di Torino venne sbertucciato ad ogni latitudine. No, l'inglese il buon Fassino non lo padroneggia con dimestichezza...

A chi assomiglia chi? Il sondaggio semiserio dei nostri deputati alla Camera

A chi assomiglia chi? Il sondaggio semiserio dei nostri deputati alla Camera






Chi assomiglia a chi? Nel giochino intellettuale delle somiglianze fra volti noti e meno noti, i nostri politici ci cascano con tutte le scarpe. Pare che alla Camera, gli onorevoli politicians si sbellichino un mondo a indovinare le somiglianze più strambe e bizzare all'interno della stessa classe politica: la regola, come nei migliori divertissement, è che non ci siano regole: potete assomigliare ad altri politici, a giornalisti, a pallonari d'altre epoche e pure, udite udite, ad attori hollywoodiani. Ma andiamo con ordine. Se Andrea Orlando è la copia sputata di Mr Bean, che dire di Matteo Renzi? E dell'ex leader maximo in salsa dem Pierluigi Bersani che vogliamo dire? I nostri delegati a Montecitorio non hanno dubbi: è la copia carbone, precisa precisa, del giornalista Pierluca Terzulli (non paghi, pure di nome fanno assonanza). Rimangono il forzista Luca D'Alessandro, identico all'attore Raf Vallone e Guglielmo Epifani. Ecco, sapete a chi assomiglia l'ex segretario Pd secondo il parere autorevole dei suoi stessi colleghi? Ad Harrison Ford. Ma ne siamo così sicuri?

Rivoluzione Cisl: "Bonanni si dimette" Una donna in pole per la successione

Cisl, Raffaele Bonanni si dimette oggi 




Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni oggi, mercoledì 24 settembre, annuncerà l'addio alla guida del sindacato. Fonti vicine a Bonanni spiegano che vuole accelerare il percorso di uscita (la scadenza del mandato era per il 2015 a 66 anni). La notizia dell'avvicendamento era stata anticipata nelle ultime ore da Dagospia. Da sottolineare che la rinuncia di Bonanni arriva proprio in uno dei periodi storici più critici per i sindacati, messi alle strette dal nodo "Articolo 18" e dalla riforma del lavoro voluta del governo Renzi. In pole per la successione, secondo i rumors, Annamaria Furlan.

Identikit - Cinquantasei anni, genovese, Annamaria Furlan ha iniziato la sua attività sindacale nel 1980 come delegata del Silulap, la categoria Cisl dei lavoratori postali di cui poi è divenuta segretaria provinciale e regionale. Successivamente Furlan ha guidato la Cisl di Genova e la Cisl regionale della Liguria. Dal 2002 è segretario confederale della Cisl dove si occupa del settore terziario e servizi, che comprende commercio, turismo, banche, assicurazioni, telecomunicazioni, spettacolo, editoria, trasporti, poste, authority, politiche agroalimentari ed energetiche. La Furlan, segretario generale aggiunto della Cisl, è stata eletta il 24 giugno scorso numero due della confederazione di via Po.

La riunione - Tra poche ore è prevista una riunione della segreteria confederale con i responsabili delle categorie e delle strutture regionali (riunione convocata all'ultimo, un indizio che sin dal principio aveva fatto pensare a un cambio della guardia). Comincia così un percorso che dovrebbe portare alla sostituzione del leader Cisl e al rinnovamento della segreteria confederale con il Consiglio generale, probabilmente nella prima decade di ottobre. Domani Bonanni, alla guida del sindacato dal 2006, presenterà le sue dimissioni all'esecutivo e con ciò decadrà tutta la segreteria confederale.

Da Milano a Roma in 2 ore e 30 minuti: la rivoluzione del nuovo Frecciarossa Guarda le fotografie del bolide italiano

Presentato il nuovo Frecciarossa 1000, il gioiello del trasporto ferroviario




Nel pomeriggio di martedì 23 settembre, alla Fiera di Berlino, è stato presentato il "più bel treno del mondo", come si legge in una nota delle Ferrovie dello Stato. E' il Frecciarossa 1000, il nuovo prodotto di FS che batte tutti i record, con una velocità massima di 400 km l'ora (velocità commerciale 360k/h) si è attestato alla fiera InnoTrans come il treno più veloce d'Europa. La velocità "supersonica" permette una marcata riduzione dei tempi di viaggio: da Roma a Milano, per esempio, si viaggerà in 2 ore e 20 minuti (rispetto alle tre ore necessarie fino ad oggi). Il restyling, inoltre - come potete vedere nelle foto -, coinvolge gli interni, resi più accoglienti e confortevoli.




La presentazione - Nel crocevia di treni, prototipi e progetti più innovativi e ambiziosi che ogni due anni popolano InnoTrans - la più grande fiera internazionale dell'industria del trasporto su rotaia - ha fatto la sua comparsa il Frecciarossa 1000. Il nuovo modello, costruito dalla joint venture AnsaldoBreda-Bombardier, è costato in totale 30 milioni di euro. Il nuovo Frecciarossa è dotato di 8 carrozze, dispone di 447 posti a sedere segmentati per quattro diverse fasce di clientela. Alla presentazione del convoglio hanno partecipato il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi e l'amministratore delegato di Trenitalia, Michele Mario Elia. Il nuovo convoglio debutterà con un prima corsa inaugurale il 1 maggio in occasione dell'avvio di Expo e prenderà servizio da metà giugno.

Golpe 2011, le toghe danno ragione al Cav "Dati truccati per farlo fuori"

I pm stanno con Silvio "Le agenzie di rating truccarono i mercati"




Se la tesi della procura di Trani si rivelerà fondata, ci sarà la conferma (o quasi) del complotto internazionale macchinato per sfrattare Silvio Berlusconi da palazzo Chigi. Siamo nell’estate del 2011 e qualche mese più tardi, a novembre, l’allora premier rassegnò le dimissioni nelle mani del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Non c’era stata alcuna sfiducia votata in Parlamento al governo eppure il Cavaliere gettò la spugna. Per pressioni fortissime, dirà. E le parole pronunciate ieri dal pubblico ministero di Trani, Michele Ruggiero, sembrano dare corpo a quei sospetti. «Abbiamo la prova che è stata falsata l’informazione ai mercati finanziari» ha detto il pm chiedendo il rinvio a giudizio di analisti e manager dell’agenzia di rating Standard & Poor’s accusati di manipolazione del mercato. Prossima udienza il 28 ottobre: già si sa che Ruggiero concederà il bis con Fitch, «sorella» di S&P. Che ieri si è difesa sostenendo che si tratti di «accuse infondate» in quanto «non supportate da prova». 

Il fascicolo della procura farà il suo corso e, di là dall’eventuale giudizio, sarebbe azzardato scommettere fin d’ora su una sentenza di condanna. Restano in ogni caso i dubbi su un periodo opaco per il nostro Paese e per le sue finanze pubbliche. Complotto politico o meno, in quella fase c’è stata sicuramente una speculazione intensa sui titoli di Stato italiani con lo spread che arrivò nel giro di poche settimane a 570 punti e il Tesoro firmò per mesi emissioni con interessi generosissimi. Per l’Italia fu un incubo, ma quelle emissioni di btp ancora oggi fanno incassare cedole da sogno alle banche, straniere e italiane. (F.D.D.)