Venezia, tangenti per il Mose: 35 in manette, anche il sindaco Orsoni. Richiesta d'arresto per Galan
Trentacinque arresti, un centinaio di indagati nell'inchiesta avviata dalla Procura di Venezia sulle presunte tangenti pagate per gli appalti del Mose, il sistema di dighe mobili per la salvaguardia di Venezia. Tra gli arrestati dalle Fiamme Gialle, con le accuse di corruzione, concussione e riciclaggio, nomi eccellenti come l'assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, il consigliere regionale Pd Giampietro Marchese, il presidente del Coveco, cooperativa impegnata nel progetto Mose, Franco Morbiolo, il generale in pensione Emilio Spaziante, e l'amministratore della Palladio Finanziaria spa Roberto Meneguzzo. C'è inoltre una richiesta di arresto anche per il senatore di Forza Italia Giancarlo Galan, ex presidente della Regione Veneto. Le accuse sono di corruzione, concussione, riciclaggio. L'indagine della Finanza era partita tre anni fa, lo scorso anno c'era stato l'arresto di Piergiorgio Baita, ai vertici della Mantovani, società padovana colosso nel campo delle costruzioni. Dopo qualche mese l'arresto di Giovanni Mazzacurati, l'ingegnere "padre" del Mose. Ora la catena di arresti che segna lo sviluppo di una Tangentopoli veneta. Una richiesta di arresto, come detto, è stata formulata per il senatore di Foza Italia Galan, coinvolto per il periodo in cui è stato presidente della Regione Veneto. Gli atti dovranno essere trasmessi al Senato. Secondo le carte degli inquirenti, Galan avrebbe ricevuto 200mila euro da Baita per accelerare le procedure di approvazione di project financing di Adria infrastrutture. Si sarebbe fatto inoltre ristrutturare la villa di Cinto Euganeo attraverso lo stesso gruppo Mantovani.
Gli arresti eccellenti del 2013 - Partita tre anni fa, l'indagine della GdF è guidata da un pool di pm della procura di Venezia composta da Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonini. Già l'anno scorso erano arrivati i primi arresti eccellenti: a finire in manette, appunto, Baita e Mazzacurati, che si era da poco dimesso dai vertici del Consorzio Venezia Nuova. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, in particolare, Baita, fermato il 28 febbraio 2013, assieme a Nicolò Buson, che lavorava sempre alla Mantovani, a Claudia Minutillo, imprenditrice ed ex segretaria di Galan, e a William Colombelli, broker attivo a San Marino, avrebbero creato, attraverso un giro di fatture false, fondi neri indirizzati poi su conti esteri, che sarebbero serviti, almeno in parte, per finanziare politici e partiti, di ogni schieramento, durante le campagne elettorali. Lo scorso dicembre i quattro imputati hanno scelto di patteggiare e sono stati chiamati a risarcire complessivamente 400mila euro, mentre le pene sono andate dall'anno e 10 mesi di Baita e l'anno e 2 mesi di Buson. Per Mazzacurati, arrestato lo scorso luglio, l'accusa fu di turbativa d'asta in relazione ad un presunto appalto "pilotato" del 2011 per lavori portuali a Venezia ma per il pm Tonini l'ex presidente di Cv era "il grande burattinaio", con un ruolo di primo piano "nell'attività collusiva che porterà al turbamento delle gare...", scrive il magistrato nella richiesta di misura cautelare: per tacitare pericolosi malumori da parte dell'imprenditoria veneta "minore" in ordine al "monopolio" delle cosiddette Grandi Imprese nell'esecuzione dell'opera Mose, "interviene direttamente, con disposizioni d'imperio, per creare un accordo spartitorio".
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