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sabato 31 maggio 2014

Procura di Milano, ecco come finirà la guerra delle toghe

Procura di Milano, ecco come finirà la guerra delle toghe


di Filippo Facci 



Ma quale democrazia renziana: dovete leggere l’incredibile intervista al vicepresidente del Csm Michele Vietti (La Stampa di ieri) se volete comprendere che cos’è l’opacità, l’arte di non rispondere, l’indecisionismo, il pilatismo irresponsabile, il corporativismo, la facoltà di vedere grigio quando la realtà è bianca o nera. Peraltro non si capisce neanche perché abbia concesso l’intervista (pure lunga) a meno che l’intento fosse semplicemente dire: il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati verrà prosciolto e le accuse del suo aggiunto Alfredo Robledo finiranno in niente, arrivederci. Che poi è quello che tutti - proprio tutti - si attendono da quel grappolo di verbosi mandarini che siede al Csm, organo che è comprensivo coi magistrati più di quanto i padri lo siano coi loro figli.

Il collega Guido Ruotolo della Stampa ha provato addirittura a fargli qualche domanda, a Vietti: poi è crollato estenuato. Le risposte sono tutta un’escrescenza di «la materia richiede cautela», «mi limito a fare una notazione», «mi limito a una considerazione», «non posso anticipare le conclusioni dei colleghi», il solito amido formalese: poi però va anche peggio, perché qualche risposta arriva. C’è da capire se alla Procura di Milano abbiano fatto assegnazioni anomale o sospette, se certe cose si possano fare oppure no, se Bruti Liberati abbia torto o ragione, se il suo accusatore abbia torto o ragione, o, ancora, se le sue accuse siano false: ma su tutto questo vince il fatto che «la vicenda nuoce all’immagine dell’intera magistratura» - dice Vietti - come a dire che il vero problema di questa faccenda è stato raccontarla, già, perché a Milano i panni sporchi li avevano sempre lavati in casa. 

La sostanza della chilometrica intervista (sostanza si fa per dire) alla fine è tutta qui: «La riforma dell’ordinamento giudiziario ha concentrato nella sola figura del procuratore capo la titolarità dell’azione penale», «il procuratore capo mantiene la competenza a intervenire nelle determinazioni sull’esercizio dell’azione penale», insomma, il capo era Bruti Liberati, quindi ha ragione lui.

E già lo sapevamo, ma il diavolo è nei dettagli. Significa - domanda - che Bruti Liberati può fare le cose che ha fatto? Oppure significa che non le ha fatte, dunque che le accuse sono false e che l’accusatore verrà punito? Meglio: un tizio, nel registro degli indagati, può essere iscritto o non iscritto secondo discrezione? Si può farlo, non farlo, farlo sei mesi dopo? Farlo col suo nome o con uno di fantasia? Si può dimenticarsi di un fascicolo per un mese o addirittura per sei mesi, e lasciarlo chiuso in cassaforte? Si può mandare un fascicolo a un dipartimento oppure a un altro, farlo rimpallare in eterno, rubricarlo a modello 45 o 44 o su altri binari morti? Si può regolarsi diversamente a seconda che ci siano delle elezioni politiche o delle trattative d’affari? Si può chiedere che un tizio non finisca in carcere e tutti gli altri sì? Si può riesumare un fascicolo dormiente solo perché è uscito un articolo di giornale? Oppure: tutte queste domande sono malposte, non hanno fondamento? E chi le ha messe nero su bianco davanti al Csm, dunque, verrà sanzionato? I testimoni che le hanno suffragate - altri magistrati - verranno sanzionati a loro volta? Ci sono in ballo anche delle querele tra magistrati: faranno il loro corso? Verranno ritirate? Ecco, sono queste alcune delle domande che attendono una risposta, dopodiché, dottor Vietti, importa assai relativamente se «la vicenda nuoce all’immagine dell’intera magistratura».

È un problema della magistratura. Lei provi a immaginare, a fronte di certi scandali, che i politici avessero risposto che «la vicenda nuoce all’immagine dell’intera politica»: sarebbero volate le pietre. Dice Lei, Vietti, nell’intervista: «Aver accreditato che a Milano si violino le regole ne pregiudica l’affidamento». Bene, ma il problema è averlo accreditato o che le regole le hanno violate? Dice Vietti nell’intervista: «Aver fatto passare l’idea che a Milano si facessero pastette e i processi venissero assegnati senza regole ha un effetto negativo sull’affidamento che l’opinione pubblica ripone nell’intera magistratura». Sì, ma le pastette si facevano o no? I processi venivano assegnati senza regole oppure no? Il problema, cioè, è che l’aggiunto Robledo ha raccontato il falso o che ha raccontato il vero? Dice Vietti nell’intervista: «Leggere per mesi di beghe che ricordano le liti condominiali rischia di destabilizzare anche l’ufficio più solido».

D’accordo, ma il problema è che c’erano le beghe o che i giornali ne hanno scritto? Domande capziose, forse: perché Vietti, poi, passa a dire che tanto il Csm conta niente. E certo: il Csm può solo promuovere il trasferimento d’ufficio per incompatibilità (o non promuoverlo) e infatti è come tutti scommettono che finirà: Bruti Liberati a Milano sino alla pensione, Robledo trasferito in qualche altra procura. Promoveatur ut amoveatur. E la sacrale immagine della Magistratura ancora una volta salvaguardata.



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