LA FILOSOFIA DI MONTI: "IL POSTO FISSO? CHE
NOIA"
di Sabatino Laurenza
Il Presidente del Consiglio,
Mario Monti, ospite a Matrix ha rilasciato un'intervista che ha
tornato ad accendere il dibattito. "Che monotonia avere un posto
fisso per tutta la vita, è bello cambiare", ha fatto sapere il
Premier. Apriti cielo: le parole del Professore hanno infiammato la
polemica sul web, scatenando l’indignazione online e offline,
creato ironie, stuzzicato una ferita ancora dolorosamente aperta:
quella della disoccupazione. Monti si rivolgeva ai giovani, sempre
loro, bamboccioni, sfigati e, spesso, disoccupati. «Si abituino ad
accettare nuove sfide», il messaggio. Insomma, devono svegliarsi. Il
mito del posto fisso, preferibilmente statale, non deve sembrare ai
giovani un punto d’arrivo. Ma una modo per esigere di più da loro
stessi, anche per una questione di successo personale. Le ultime
statistiche parlano di una generazione tragicamente senza lavoro, né
fisso né mobile. Con tutto il rispetto dovuto, sono rimasto sorpreso
e indignato dalle dichiarazioni del Presidente Del Consiglio. Questa
della monotonia del posto fisso è davvero inascoltabile. Gentile
dottor Monti, occupatevi prima delle banche e del credito e poi del
posto fisso per i giovani. Esatto le banche, quelle che quando si
tratta di concedere mutui..... preferiscono le persone monotone! Il
problema fondamentale, che il mondo politico non ha mai voluto
affrontare, è che non è tanto la fine di un rapporto lavorativo che
preoccupa i giovani, ma la possibilità di trovare un'altra
occupazione in breve tempo. Detto ciò, è anche doveroso dire che è
inutile puntare il dito verso il Premier Monti. Non è lui
"l'artefice" della preoccupante situazione di crisi che ci
circonda. L’errore che ha commesso non è tanto nella frase in sé,
ma nell’aver permesso ai nostri vecchi politici di cavalcarla per
accreditarsi nuovamente ai nostri occhi come interlocutori politici
seri. Se al termine della parentesi Monti a governarci tornerà la
“vecchia scuola” come purtroppo plausibile, abbiamo finito.
Finito come sistema sociale, finito come Paese, finito come
cittadini. Perché questi hanno rubato, si sono fatti i fatti loro,
ci hanno affamato e non hanno pagato. Ogni tanto qualche povero capro
espiatorio viene sacrificato all’altare della nostra indignazione,
e tanto ci facciamo bastare. E questa è una nostra precisa colpa e
responsabilità. Chiunque lo neghi, non vuol vedere la realtà e ad
oggi è pericoloso non volerlo fare.
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