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mercoledì 30 dicembre 2015

Salari, orari e pensione: c'è il part-time ecco l'idea del governo per gli over 60

Lavoro, il ministro Poletti lancia il part time per gli over 60: salario, orario e pensione, tutte le condizioni



Il governo è pronto a rafforzare le risorse messe nella legge di Stabilità per il part time a chi è vicino alla pensione. In un'intervista al quotidiano La Stampa, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti afferma che bisogna "trovare soluzioni perché nella parte finale della vita lavorativa una persona possa lavorare in modo diverso e di meno" e "anche l'azienda ha interesse che i lavoratori più anziani possano gradualmente essere sostituiti". 

Orario, salario, pensione: le condizioni - "La norma - spiega Poletti - riguarda i lavoratori del settore privato cui mancano tre anni al pensionamento di vecchiaia. All'azienda e al lavoratore è offerta un'opportunità: una riduzione del 50% del tempo di lavoro, che si può definire liberamente. Solo la mattina, solo due giorni alla settimana... Il lavoratore avrà un orario dimezzato, un salario pari al 65% di quello precedente, e dopo tre anni una pensione pari al 100% di quella che avrebbe avuto. Lo Stato garantisce i contributi figurativi e l'azienda versa in busta paga la sua quota di contributi. Con soddisfazione reciproca". Rispondendo ad una domanda sull'occupazione e sulle previsione del Fmi, il ministro ha affermato che secondo i numeri di quest'anno ci vorranno molti meno anni dei venti stimati dal Fondo per tornare ai livelli di occupazione pre-crisi: "Le nostre - ha concluso - sono le politiche giuste e daranno risultati stabili nel tempo".

Zichichi smonta tutte le eco-balle Allarme clima e smog: che cosa succede

Il guru Zichichi smonta le eco-balle: clima e smog, cosa sta succedendo



"Proibiamo di immettere veleni nell'aria con leggi draconiane" ma ricordiamoci che "l'effetto serra è un altro paio di maniche, e noi umani c'entriamo poco. Sfido i climatologi a dimostrarmi che tra cento anni la Terrà sarà surriscaldata. La storia del climate change è un'opinione, un modello matematico che pretende di dimostrare l'indimostrabile". Antonio Zichichi, 85 anni, in una intervista a Il Mattino avverte: "Noi studiosi possiamo dire a stento che tempo farà tra quindici giorni, figuriamoci tra cento anni".E poi si chiede Zichichi: "In nome di quale ragione si pretende di descrivere i futuri scenari della Terra e le terapie per salvarla, se ancora i meccanismi che sorreggono il motore climatico sono inconoscibili? Divinazioni".

Lo scienziato spiega che "per dire che tempo farà tra molti anni, dovremmo potere descrivere l'evoluzione del tempo istante per istante sia nello spazio che nel tempo. Ma questa evoluzione si nutre anche di cambiamenti prodotti dall'evoluzione stessa. È un sistema a tre equazioni che non ha soluzione analitica". Quindi perché molti scienziati concordano sul riscaldamento globale? "Perché hanno costruito modelli matematici buoni alla bisogna. Ricorrono a troppi parametri liberi, arbitrari. Alterano i calcoli con delle supposizioni per fare in modo che i risultati diano loro ragione. Ma il metodo scientifico è un'altra cosa".

E "occorre distinguere nettamente tra cambio climatico e inquinamento. L'inquinamento esiste, è dannoso, e chiama in causa l'operato dell'uomo. Ma attribuire alla responsabilità umana il surriscaldamento globale è un'enormità senza alcun fondamento: puro inquinamento culturale. L'azione dell'uomo incide sul clima per non più del dieci per cento. Al novanta per cento, il cambiamento climatico è governato da fenomeni naturali dei quali a oggi gli scienziati, come dicevo, non conoscono e non possono conoscere le possibili evoluzioni future. Ma io sono ottimista".

Luca Telese demolisce Sandro Bondi: "Vi racconto cosa mi disse al telefono..."

Telese demolisce Bondi: "Cosa mi disse al telefono..."


di Luca Telese
@Lucatelese

Telese demolisce Bondi:

«Pronto, onorevole Bondi, mi ha cercato?».
- «Oh, dottor Telese, buonasera: sono due giorni che la cerco!».
- «Addirittura?».

- «Si: io ho una richiesta importantissima da farle, più che una richiesta è un appello, un appello alla sua sensibilità di professionista e di uomo...».
- «Un suo appello? A me?».

- «Sì, caro dottor Telese: un favore, una preghiera. Non so come dirle, ma spero che vorrà esaudire questo desiderio».

A dire il vero non ero propriamente "carissimo", per Sandro Bondi: avevo passato almeno tre anni della mia vita professionale a scrivere male dell' allora ministro della cultura. Questo appello non poteva che stupirmi. Il tono affettato dell' ex coordinatore di Forza Italia era quello di sempre, ma la cosa più sorprendente era la richiesta che mi stava per fare. Mi sono venute in mente ieri, questa e altre telefonate che tra poco racconterò come spiegazione (para-psicanalitica) dell' esternazione melodrammatica dell' ex ministro del culto berlusconiano, oggi apostata, a Dario Cresto Dina di La Repubblica. Ieri Bondi, nel celebrare il suo strappo definitivo e irreversibile col Cavaliere è arrivato a paragonarsi, sia pure attraverso il filtro di una interpretazione letteraria, a Giuda. Ha detto che Forza Italia è decaduta (senza di lui), che la linea è sbagliata, che lui se ne va. Ecco uno dei passaggi più belli dell' imperdibile intervista in cui l' ex aedo si è fatto oppositore e perseguitato allo stesso tempo, il saggio di maestria in cui è riuscito a vestire sia i panni del pugnalatore che quelli della vittima, amante deluso e nuovo cantore del renzismo insieme: «Sì - ha ammesso l' uomo di Fivizzano - potrei essere accostato a Giuda. Ma chi ha letto Amos Oz, sa che Giuda è stato forse quello che ha preso più sul serio Gesù».

Così ritorno a quel giorno, anno 2012. Mentre mi scervellavo per capire cosa mai potesse produrre una così tanto accorata invocazione, Bondi aveva preso un respiro profondo: «So che lei, con grande lealtà ha scritto, anche severamente, su di me. Adesso sono qui per implorare un suo invito». E io: «Onorevole Bondi, lei non deve implorare nulla. Nel mio programma sentiamo tutte le voci, può venire senza suppliche...«. Silenzio. Pausa. «Ecco... Veramente... Dottore io la sto chiamando per chiederle, non di invitare me, ma l' onorevole Repetti!».

Ero rimasto perplesso. Tutto si era sentito, nella politica italiana, ma non l' invito conto terzi. Però Bondi era già partito, come in trance: «Ma è una donna straordinaria, sa? Una donna intelligentissima! Una straordinaria comunicatrice che le chiedo di promuovere nel suo programma» Cult.

«Dottor Telese, se lei la conoscesse! voglio invitarla a cena con Manuela, sarà nostro ospite, potrà apprezzare la sua bellezza intellettuale!».

L' unico dettaglio che Bondi ometteva era che la Repetti fosse la sua compagna. Ma lo sapevo bene. Insieme al collega Malcom Pagani, al Fatto avevamo inseguito per due giorni l' allora ministro, per raccontare una incredibile storia di nepotismo. Bondi, ai Beni culturali, aveva usato 25mila euro del Fondo unico per lo spettacolo per assegnare una consulenza ad un certo «professor Indaco». Un provvidenziale anonimo, dal ministero, ci aveva segnalato chi fosse il signore in questione: l' ex marito della signora Repetti, poi segretaria, addetta stampa, factotum, musa, amante del ministro. La cosa vagamente curiosa è che anche il figlio del signor Indaco (e della signora Repetti) lavorava pure lui ai Beni Culturali, con un telefono, una paghetta, e una scrivania alla direzione cinema. Per due giorni avevamo cannoneggiato Bondi scrivendo la notizia. Nessuna risposta. Ma quando il ministro era venuto a sapere che avevamo scoperto e che stavamo per scrivere anche del papà del ragazzo, aveva telefonato lui. Con lo stesso tono salmodiante che è diventata il cardine di una meravigliosa imitazione del suo collega di partito Simone Baldelli: «Posso dare una spiegazione, dottore. Sono solo intervenuto per risolvere due casi umani.

La tragedia di un uomo che era rimasto disoccupato e senza lavoro». All' epoca la Repetti era in attesa di divorzio, il figlio era disoccupato, e al ministro era sembrato del tutto normale pescare dai fondi del suo ministero per risolvere due "casi umani" che - casualmente - erano entrambi nella sua famiglia. Avevo chiesto - anche io incredulo - al ministro: «Ma non le pare un plateale vicenda di nepotismo?».

Bondi si era quasi arrabbiato: «Dottor Telese desidererei rispetto. E le chiedo, la imploro, facendo appello all' uomo, di non scrivere nulla di quello che sa! Si tratta di fatti molto dolorosi, e molto personali».

Risposi al ministro quello che penso ancora oggi. La vicenda era privata e dolorosa, forse. Ma i fondi erano pubblici. Così quando Bondi mi chiamò per perorare la causa della sua signora mi fu chiaro che, guidato da questa liberissima interpretazione dello spirito civico, Bondi avrebbe fatto qualsiasi cosa per appagare l' ambizione della nuova compagna. Il fatto è che le relazioni con l' universo femminile del ministro erano strettamente intrecciate con le sue scelte politiche. Non si poteva raccontare delle seconde senza ricorrere alle prime, e ancora oggi (per l' intervista a La Repubblica) è così: Bondi aveva divorziato da una prima moglie, la signora Maria Gabriella Podestà, donna assennata (e preside con una sua vita professionale solida e autonoma). La signora aveva lavorato negli Stati Uniti, e aveva un figlio (all' epoca di 12 anni) avuto proprio dal matrimonio con il coordinatore di Forza Italia. Ridevamo di Bondi quando ci spiegava che non poteva vedere il ragazzo perché, terrorizzato dall' aereo, poteva andare in America «solo con il piroscafo». Poteva durare un genitore così? No e infatti i due si erano separati un anno dopo.

Appena liquidata la signora Podestà, il ministro per i Beni culturali aveva ufficializzato il suo rapporto professional-sentimentale con la deputata Manuela Repetti. Ma i problemi erano subito iniziati quando Il Riformista di Antonio Polito nel luglio del 2009, aveva anticipato gli scabrosi capitoli di un libro assai curioso: Il pesce rosso non abita più qui della scrittrice pugliese Maria Gabriella Genisi. La Genisi tratteggiava una travolgente passione venata di morboso erotismo tra un politico immaginario di nome Salvo Toscani (curiosamente anche Bondi lo è), e una commessa di nome Cleo. La relazione tra il ministro e l' amante trovava la sua acme nel desiderio erotico di Toscani: sdraiarsi nudo e larvale con la sua compagna e farsi suggere il capezzolo (Bleah!). In quella estate, il Bondi che non si era vergognato della sua campagna di assunzioni fu così sconvolto dall' anticipazione del libro da cancellare diverse conferenze stampa legate alla sua attività istituzionale. Come avrebbe potuto rispondere ad eventuali domande? Invece silenzio, solo Dagospia rilanció la notizia. Andò bene. Senonché a parlare fu l' ex moglie, scovata da Marianna Aprile che su Novella 2000 raccolse una irata intervista piena di fatti personali che qui non meritano di essere ricordati (abbandono del figlio, litigi violenti eccetera) e da un giudizio politico che invece si rivelò folgorante: «La sua devozione per Berlusconi? Una sudditanza - la definiva l' ex moglie - di cui io non sarei capace. Vederlo così devoto ha accresciuto il mio disprezzo nei suoi confronti. Mio marito ha sempre cercato il potere, Berlusconi glielo ha dato. Se glielo avessero offerto a sinistra - concludeva - sarebbe tornato lì». Profetica.

Asciutto e mirabile anche il ritratto della Repetti: «Dicono sia una sorta di tutor del ministro, che dipenderebbe da lei in tutto e che gli fa da filtro con chiunque. È verosimile - osservava - lui ha bisogno di qualcuno che lo guidi. Prima erano i genitori, ora la compagna».

Il Bondi austero figlio di emigranti che aveva raccontato a Susanna Turco su Sette la sua infanzia povera e piena di umiliazioni in Svizzera, l' ex sindaco del Pci si era perso nelle lusinghe del potere. Era diventato l' asso che scriveva saggi apologetici e liriche struggenti su Berlusconi. Partiamo dalla più sobria, A Silvio: "Vita assaporata/ Vita preceduta/ Vita inseguita/ Vita amata/. Vita vitale/ Vita ritrovata/ Vita splendente/ Vita disvelata/ Vita nova".

E proseguiamo con quella dedicata alla madre del Cavaliere, asciuttamente definita così: "Mani dello spirito/. Anima trasfusa/. Abbraccio d' amore/ Madre di Dio".

Dal figlio di questa Madonna lombarda Bondi (non era del tutto disinteressato al denaro) ha avuto tutto: soldi per i libri grazie alla Mondadori, contratti, privilegi. Protezione politica quando era crollata persino Pompei. Dimissioni respinte dopo le disfatte elettorali. Ma ieri il coordinatore poeta ci ha spiegato che in realtà era un dissidente agguerrito, che Forza Italia in mano a questi ragazzi di oggi è decaduta, che la linea sul governo Monti la dettavano Nagel e Doris (lui era così indignato che la difese a spada tratta votando tutte le leggi). Ma davvero Bondi è come il Giuda di Amos Oz? Purtroppo per lui no: quello dell' ex apostolo è un grande tradimento, frutto di una necessità teologica.

Giuda tradisce perché Gesù deve morire sulla Croce. Quel Giuda è un prodotto della provvidenza. Quello di Bondi - invece - è il tradimento politico di un opportunista. Bondi è il cane fedele che diventa randagio e rimane senza padrone. È un tradimento di piccole cose, del provinciale che ha creduto di abitare la grandezza ed è invece rimasto piccolo piccolo. Come le sue piccole censure, e i suoi piccoli nepotismi. Un servo (parole di Cresto Dina da lui sottoscritte) che se avesse ottenuto un incarico da portavoce del partito per la sua protetta sarebbe lì a ricoprire di Salmi Maria Rosaria Rossi e Giovanni Toti. Fortunatamente non ha ottenuto nulla.

È così chiede di sparire, manifestando il suo dramma di dissidente che cerca una nuova casa, (per sé e per l' amata Manuela) nel nuovo potere, e nel renzismo. Non tutti hanno diritto di dire tutto: sei sei stato ciambellano non puoi pretendere di essere anche Solgenitsin.

martedì 29 dicembre 2015

Il dossier dell'Europa contro l'Italia Renzi demolito, futuro da brividi

Il dossier dell'Europa contro l'Italia: Renzi demolito, futuro da brividi



La ripresa dell'Italia sarà difficile e il percorso non breve. E se il nostro Paese vuole evitare il declino, riporta il Corriere della Sera, non può più aspettare. E' questo il monito di tre analisti europei, Dino Pinelli, István P. Székely e Janos Varga, al centro del lavoro che la Commissione europea sta svolgendo sulla Legge di stabilità e sul programma di riforme del governo di Matteo Renzi, che hanno espresso i loro timori su  www.vox.eu. 

I tre funzionari il 22 dicembre hanno proposto alcune anticipazioni partendo dal fatto che è da metà degli anni '90 che il reddito per abitante in Italia perde terreno rispetto alle altre economie europee. E questo perché la "produttività totale dei fattori" (l'organizzazione e le regole del lavoro, le competenze, gli investimenti e la tecnologia, la burocrazia, l'apertura del mercato, le infrastrutture o le forniture energetiche) è in calo (0,3% l'anno) dalla fine del secolo scorso, caso praticamente unico, visto che cresce quasi ovunque nel resto d'Europa e negli Stati Uniti. La "produttività totale dei fattori", più del debito o della crescita, è il termometro del sistema. E in Italia, scende da 15 anni.

Le cause, secondo Pinelli, Székely e Varga sono: quota bassissima dei laureati e competenze di base, ritardo dei giovani nell'istruzione (persino rispetto a Polonia, Corea del Sud o Spagna), lentezza della burocrazia e della giustizia (che rallentano pure gli investimenti dei Paesi esteri). Il Jobs Act toglie solo un quarto del ritardo dell'Italia sull'area euro per i costi di ogni contratto. Restano quindi "debolezze strutturali fondamentali" e "il ritorno a una crescita sana richiederà uno sforzo straordinario".

La "leccata" della Mannoia a Renzi Pugnalata ai grillini: cos'ha detto

Fiorella Mannoia pugnala i 5 Stelle "No a strumentalizzazioni"



Esclusa dal concertone di Capodanno, Fiorella Mannoia aveva scritto su Facebook "non chiedetemi perchè, non lo so, anche se un'idea ce l'ho" lasciando intendere un'ostilità del governo nei suoi confronti per passate dichiarazioni non proprio renziane. In suo soccorso erano scesi i 5 Stelle, lanciando un hashtag #iostoconfiorella che era balzato in testa ai trend topic. Oggi, però, la Mannoia ha fatto dietrofront, pugnalando i grillini: "Questa faccenda sta assumendo dimensioni esagerate - scrive su un post su Facebook - in fondo sono solo una cantante. Non mi piace la strumentalizzazione, da qualsiasi parte arriva. Non mi piace si faccia campagna elettorale con il mio nome. Penso l’Italia abbia altri problemi ben più gravi cui dedicare queste energie".

Bossetti fuori dal carcere per papà: i suoi 50 minuti di lacrime e dolore

Massimo Bossetti alla camera ardente di suo padre Giovanni: 50 minuti di lacrime tra i parenti


Cinquanta minuti di dolore e lacrime nella camera ardente dell'Hospice di Bergamo. Tanto è stato il tempo concesso a Massimo Giuseppe Bossetti per salutare il padre Giovanni, morto a 73 anni dopo una grave malattia aggravata, secondo i famigliari, dalla vicenda giudiziaria che ha travolto l'operaio di Mapello. Bossetti, in arresto dal giugno 2014 con l'accusa di aver ucciso la 13enne Yara Gambirasio, è stato scortato da sei agenti fuori dal carcere di via Gleno. Arrivato alla camera mortuaria verso le 11 di domenica mattina, i cronisti lo descrivono "leggermente appesantito" ma soprattutto distrutto dal dolore. Ha abbracciato a lungo la madre Ester Arzuffi, la sorella gemella Laura Letizia (insieme al marito Osvaldo Mazzoleni), il fratello minore Fabio con la moglie e gli altri parenti accorsi per salutare l'anziano, scomparso a Natale. Nell'ultimo mese a Bossetti ha ottenuto due volte il permesso di fare visita al padre in ospedale. Secondo i periti dell'accusa, il padre naturale di Bossetti non sarebbe Giovanni ma Giuseppe Benedetto Guerinoni, autista di pullman scomparso nel 1999. "Siamo figli di Giovanni Bossetti - hanno sempre ribadito Massimo Bossetti e la sua sorella gemella Laura Letizia -. E siamo fieri di esserlo. Noi figli porteremo al collo una catenina con l'immagine di nostro padre".

Rimpasto: l'alfaniana, il bersaniano e... ecco a chi Renzi regalerà una poltrona

Governo, il rimpasto di Renzi: un ministero a Ncd, posti per il bersaniano e la sindacalista Cgil


Governo, il rimpasto di Renzi: un ministero a Ncd, posti per il bersaniano e la sindacalista Cgil
La Vignetta (Satira)  di Benny

Il rimpasto di governo non è più un'ipotesi o una suggestione, ma una certezza. Il premier Matteo Renzi ha deciso di consegnare qualche posto all'alleato Ncd, ai nemici interni bersaniani e alla Cgil per blindare l'esecutivo in un momento di accerchiamento e difficoltà evidenti. È Repubblica a tracciare le linee delle grandi manovre a Palazzo Chigi. A fine gennaio il Ministero degli Affari regionali lasciato libero un anno fa da Maria Carmela Lanzetta andrà al Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano: nel toto-nomi, accanto a Dorina Bianchi, spuntano ora Laura Bianconi e Federica Chiavaroli. 

Una poltrona per tutti - Dopo aver accontentato il compagno di maggioranza, Renzi potrebbe concentrarsi sulla mossa per disinnescare le contestazioni dentro il Pd. Cosa ci sarebbe di meglio, allora, se non dare una poltrona a uno storico uomo di Bersani come l'ex governatore emiliano Vasco Errani, uscito indenne dalle inchieste della magistratura bolognese? Al più potente politico dem nella regione rossa toccherebbe il posto di viceministro dello Sviluppo di Claudio De Vincenti. Se non ci fossero le condizioni per portare in squadra Errani, Renzi vorrebbe Teresa Bellanova, oggi sottosegretario al Lavoro. Nome forte perché lei, sindacalista della Cgil, diventerebbe il volto del "sindacato buono, moderno e costruttivo", almeno secondo le interpretazioni del premier. Altro capitolo: il viceministro degli Esteri. A sostituire il dimissionario Lapo Pistelli dovrebbe essere Enzo Amendola vicino al ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina e gradito al ministro Paolo Gentiloni.

Schiaffo a Cav e Verdini - L'operazione di rafforzamento di governo e maggioranza arriverebbe anche in Parlamento, dove il forzista Nitto Palma potrebbe essere sostituito alla presidenza della Commissione Giustizia dall'alfaniano Nino D'Ascola. Sorprenderebbe, sottolinea Repubblica, lo schiaffo a Denis Verdini: nessuno dei suoi uomini "responsabili", potenzialmente decisivi soprattutto al Senato per la sopravvivenza del governo, verrebbe incluso nel giro di nomine.