Filippo Facci: "Ecco perché odiavo l'islam e adesso continuo a odiarlo"
di Filippo Facci
Ho scritto che odiavo l’Islam, circa un anno fa, e voglio chiarire che lo odio ancora. Molti lettori sapranno che il 15 giugno scorso l’Ordine dei giornalisti della Lombardia (meglio: il Consiglio di disciplina territoriale, composto dai colleghi Paolo Colonnello e Anna Migotto più l’avvocato Claudia Balzarini) ha deliberato una mia sospensione di due mesi dalla professione e dallo stipendio. La ragione non è chiarissima, e neanche chiara: nasce da un esposto fatto da una collega (che non so chi sia) e ogni procedimento dell’Ordine viene inviato anche alla Procura generale presso la Corte d'Appello, e questo significa che, se fossero stati ravvisati reati - tipo la violazione della Legge Mancino, che tratta l’incitazione alla violenza e alla discriminazione razziale-etnico-religiosa - la Procura avrebbe dovuto procedere. Non lo ha fatto. Certo, non c’è solo la legge dello Stato, c’è anche la legge professionale dei giornalisti che regola la deontologia: tuttavia nella sentenza è citato vagamente solo «l’articolo 2, punto b» che parla della necessità di tutelare «la persona umana e il rispetto della verità sostanziale dei fatti, principi da intendere come limiti alle libertà di informazione e di critica». Ora: io di singole «persone umane» non ho parlato, ho parlato solo di idee, le quali, certo, non nascono sugli alberi perché sono elaborate da uomini, ma allora qualsiasi idea - e dottrina, ideologia, religione, filosofia - non dovrebbe essere criticabile perché elaborata da uomini. Quanto al «rispetto della verità sostanziale dei fatti», nel mio corsivo non si parlava di fatti. Comunque sia: la sanzione non scatterà subito perché ho proposto appello, ma in ogni caso ne è nata una reazione insperata che ha visto molti miei colleghi scagliarsi contro l’esistenza stessa dell’Ordine (io non sono tra questi) o comunque difendere la libertà di espressione da una decisione che a molti è parsa assurda logicamente e giuridicamente.
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LE CASTRONERIE
Ma non di questo volevo parlare. Il punto è che molti colleghi hanno ritenuto di dover difendere la mia libertà di opinione pur considerando - hanno detto - una porcheria quello che avevo scritto, anzi, «castronerie», «una stronzata illeggibile», cose così. Pazienza: lungi da me volerli convincere del contrario, ma ai lettori di Libero vorrei perlomeno far sapere che io, di quell’articolo, non cambierei una virgola o quasi. Mettersi a fare l’esegesi di un proprio scritto, ora, è un po’ da toccati, anche perché qualcuno potrebbe interpretare che la scrittura non fosse chiara: quando il problema, semmai, è che lo era troppo. Forse fa eccezione la prima parte: che nessuno cita mai anche se speravo restituisse il senso dell’articolo che perlomeno io avevo in mente, che è il senso dell'invettiva, della provocazione liberatoria allo stato puro: «Odio l’Islam. Ne ho abbastanza di leggere articoli scritti da entomologi che osservano gli insetti umani agitarsi laggiù, dietro le lenti del microscopio: laddove brulica una vita che però gli entomologi non vivono, così come non la vivono tanti giornalisti e politici che la osservano e la giudicano dai loro laboratori separati, asettici, fuori dai quali annasperebbero e perirebbero come in un’acqua che non è la loro. È dal 2001 che leggo analisi basate su altre analisi, sommate ad altre analisi fratto altre analisi, commenti su altri commenti, tanti ne ho scritti senza alzare il culo dalla sedia: con lo stesso rapporto che ha il critico cinematografico coi film dell’esistente, vite degli altri che si limita a guardare e a sezionare da non-attore, da non-protagonista, da non vivente. Ma non ci sono più le parole, scrisse Giuliano Ferrara una quindicina d’anni fa: eppure, da allora, abbiamo fatto solo quelle, anzi, abbiamo anche preso a vendere emozioni anziché notizie. Eccone il risultato, ecco alfine le emozioni, le parole: che io odio l’Islam, tutti gli Islam, gli islamici e la loro religione più schifosa addirittura di tutte le altre, odio il loro odio che è proibito odiare».
Ecco: voleva essere una premessa, anzitutto, che criticava come i quindici anni seguiti all’11 settembre, dopo una fiammata iniziale, ci avessero celermente riportato a un cerebralismo parolaio e a una «correttezza» che avevano soltanto caricato a molla molti di noi, così come l’iper-correttezza statunitense intanto avevano a molla tanti americani che poi avrebbero votato Trump. La mia morale, dopo 15 anni, è che odiavo l’Islam, tutti gli Islam, e odiavo il loro odio che è proibito odiare. Quanto alla «religione più schifosa addirittura di tutte le altre», mi riporto a posizioni che a molti lettori di Libero non piaceranno: quelle che furono di Bertrand Russell e più di recente di Christopher Hitchens, secondo le quali le religioni «pubbliche» avvelenano ogni cosa, temi che ora non v’interessano. Ma l’Islam - tutti gli Islam - rappresentano qualcosa di peggiore e invasivo perché respinge la separazione tra Stato e religione, non contempla la democrazia, respinge l’equivalenza di altre religioni e culture, esclude la parità giuridica e di genere, nega l’eguaglianza, ammette le pene corporali e la tortura, contempla e pianifica la sottomissione del nemico, e simpatizza - essa sì - per l’odio. Tutta roba che si può trovare su quel Corano che ho serenamente definito «manualetto militare» e nondimeno «libro di merda»: problemi miei. Nessuno può impedirmi di non sopportare anche le moschee, la cultura aniconica, il muezzin, l’ipocrisia sull’alcol e sulle vergini, soprattutto certa permalosità sconosciuta alla nostra cultura e le loro povere donne rinchiuse in quei sarcofaghi. «Odio l’Islam», scrissi, «perché l'odio è democratico esattamente come l'amare, odio dover precisare che l’anti-islamismo è legittimo mentre l’islamofobia no, perché è solo paura: e io non ne ho, di paura. Io non odio il diverso: odio l’Islam, perché la mia (la nostra) storia è giudaica, cattolica, laica, greco-latina, rousseauiana, quello che volete: ma è la storia di un’opposizione lenta e progressiva e instancabile a tutto ciò che gli islamici dicono e fanno». Non si smette mai di imparare, ma ho studiato quanto basta, ho viaggiato quanto basta, e posso volerlo ripetere sinché mi pare: «Odio l’Islam ma gli islamici non sono un mio problema: qui, in Italia, in Occidente, sono io a essere il loro». L’ho scritto e lo ripeto.
LE LEGGI VIOLATE
C’è una frase del mio articolo, molto contestata, che riletta oggi non piace molto neanche a me, ed è questa: «Un calcio ben assestato contro quel culo che occupa impunemente il mio marciapiede è il mio miglior editoriale». Non la riscriverei così, e non solo perché quel «culo» mi sembra una volgarità ridondante, ma perché distrae dal termine «impunemente» che è quello a cui tenevo di più: prega dove vuoi - volevo dire - ma non sul marciapiede che a noi serve per camminare; non trasformare un tuo-vostro problema (la religione) in un problema mio, perché qui da noi non ci sono solo la democrazia e la tolleranza, ci sono anche le leggi, che se non rispetti, alla decima volta, spingeranno il mio piede verso il tuo sedere e mi farai passare dalla parte del torto. Ma ci passerò, prima o poi.