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martedì 4 aprile 2017

"Niente soldi, Forza Italia chiude" Berlusconi, parte l'ultima lettera

Forza Italia, l'ultimatum del tesoriere Messina: "Grave stato di insolvenza"



Il futuro di buona parte dei senatori e deputati di Forza Italia era già traballante, adesso è quasi del tutto compromesso. E in gioco non c'è solo la carriera personale di parlamentari e consiglieri comunali, ma lo stesso avvenire del movimento di Silvio Berlusconi che in bilancio ha sviluppato una voragine abissale da circa 100 milioni di euro. Come riporta Repubblica, se fosse un'azienda qualunque, Forza Italia sarebbe a un passo dal "grave stato di insolvenza", a un pelo dal portare i libri in tribunale.

Due mesi fa era partito l'ultimatum del tesoriere Alfredo Messina che invitava i 50 deputati, 43 senatori e un'ottantina di consiglieri comunali a mettersi in regola con i versamenti al partito. La missiva è rimasta lettera morta, visto che più o meno un terzo di loro ha messo mano al portafogli per versare il dovuto per il triennio 2014-2016: 25 mila euro per la candidatura del 2013, mille per l'adesione a FI, 800 al mese di contributo per i parlamentari e 500 per i consiglieri comunali. Chi più chi meno ha fatto lo gnorri - c'è chi deve anche 60 mila euro mai versati - sfidando così la minaccia del numero due di Mediolanum - e quindi del Cav - di perdere il diritto a ogni carica elettiva dentro e fuori il partito.

Ancora pochi giorni e Messina tornerà all'attacco con l'offensiva finale, l'ultima disperato tentativo dopo che già i toni perentori di pochi mesi fa del Cav erano stati serenamente ignorati. "Nei prossimi giorni - ha scritto il tesoriere ai dirigenti morosi - sarò in grado di trasmettere la situazione di tutti perché siano assunte le conseguenti determinazioni". Arrivano i conti definitivi, insomma, i cui pagamenti sarebbero già scaduti il 28 febbraio. E se anche quest'ultimo appello sarà ignorato, Forza Italia potrebbe ritrovarsi stavolta a rinunciare del tutto alla sua struttura, già ridotta all'osso. E non si parli al Cav di "ricapitalizzazione": al di là dei limiti di legge, in famiglia hanno già fatto capire a Silvio che altro denaro nelle casse di Forza Italia non deve essere più versato.

PUTIN, REAZIONE BRUTALE Stamattina, gesto clamoroso: asfaltati i jihadisti / Foto

Putin, la reazione è brutale: il gesto che stamattina asfalta i terroristi



La lezione di Vladimir Putin ai terroristi e all'Occidente: lunedì sera il presidente russo è andato alla stazione della metropolitana di San Pietroburgo per deporre dei fiori alla memoria degli 14 morti dell'attentato che potrebbe avere matrice islamista. Dopo il ritrovamento di una seconda bomba inesplosa, tutta la rete sotterranea della città russa è stata chiusa per le operazioni di bonifica. Ma questa mattina, a meno di 24 ore dalla strage, ecco la decisione dello Zar: tutto riaperto, corse regolari, nessuno spazio per il dolore pubblico né tanto meno la paura. San Pietroburgo e la Russia ricominciano a vivere, pensando già a come prevenire altri attentati e colpire il terrorismo interno (Cecenia) e internazionale (il presunto kamikaze sarebbe un 22enne russo di origini kirgise, con legami con i jihadisti siriani). Con l'aiuto, magari, del presidente americano Donald Tump, che ha telefonato al Cremlino per porgere le sue condoglianze offrendo il sostegno del governo Usa. Lo ha riferito la Casa Bianca, aggiungendo che i due leader "si sono detti d'accordo sul fatto che il terrorismo deve essere sconfitto in modo deciso e rapido".

"IL KAMIKAZE È UN RUSSO" Svelato il volto del terrorista: il tragico sospetto sull'islam

San Pietroburgo, sospetti sul 22enne kirghizo Akbarjon Djalilov: "È il kamikaze"



Il responsabile della strage di San Pietroburgo sarebbe un kirghiso di 22 anni originario di Osh. Secondo le autorità di Bishkek il kamikaze si chiamava Akbarjon Djalilov, nato nel 1995 e di nazionalità russa. La sua identità sarebbe stata confermata anche da Rakhat Saooulaimanov, portavoce dei servizi di sicurezza dello stato kirhiso, anche se manca ancora l'ufficialità.

Da sei anni Djalilov viveva a San Pietroburgo, nel corso del tempo aveva cambiato diversi passaporti e l'ultimo in suo possesso era valido per l'espatrio. Già poche ore dopo l'attentato, il ragazzo era ricercato attraverso anche la segnalazione della sua auto, una Daewoo Nexia. Nella città russa Djalilov era iscritto all'università e frequentava il terzo anno di economia. 

Dalle prime ricostruzioni, il kamikaze doveva trovarsi vicino alle porte al momento dell'esplosione, verso il centro del vagone. In quel punto sarebbe stata trovata: "la sua mano con dei fili, subito portati a esaminare" ha aggiunto una fonte tra gli inquirenti che ha rilevato la somiglianza dell'ordigno esploso con quello ritrovato nella stazione di Ploshad Vostannaya. La bomba poteva contenere circa 300 grammi di tritolo, con l'aggiunta di sfere di acciaio e dadi da bullone.

Sigarette e tumori, la tragica verità Quanti ne muoiono ogni 100 malati

Tumore ai polmoni: quanti ne muoiono ogni 100 malati



Numeri che fanno paura. Sono, purtroppo ancora, quelli dei nuovi casi di tumore ai polmoni registrati nel 2016: 41mila, a fronte di 33mila decessi. Quello al polmone resta tuttora il tumore più diffuso e letale nel nostro Paese, così come nel resto del mondo. Negli ultimi 5 anni, però, l'arrivo dei nuovo farmaci immunoterapici ha triplicato le possibilità di sopravvivenza dei malati con una forma avanzata di tumore ai polmoni, che sono passate da meno del 5 a quasi il 16%. Ossia, come riporta il Corriere della Sera citando dati della American Association for Cancer Research (AACR), se fino a 5 anni fa solo cinque di quei pazienti su 100 sopravvivevano, ora sono 16.

lunedì 3 aprile 2017

Legittima difesa, vincono i criminali Così il Pd aiuta sempre i delinquenti

Legittima difesa, tutte le volte che il Pd ha salvato i criminali


di Antonio Castro



Gli unici che dormono sonni tranquilli sembrano essere i politici del Pd. Gli italiani, in casa loro, a bottega o al lavoro, proprio sereni non sembrano essere. E se provano a difendersi, e a proteggere i propri cari o la «roba», rischiano di finire nei guai. Magari in galera, sicuramente in un tribunale. E mentre aumentano furti ed effrazioni, alla Camera delle 4 proposte di legge che fanno la spoletta tra Aula e Commissione Giustizia, da quasi 2 anni, non ce n' è una che riesca ad andare in porto.

I fatti di cronaca rimettono ciclicamente sotto i riflettori la materia, ma è dal 2015 che se ne discute senza trovare un' intesa. Tanto che la Lega a Verona per il prossimo 25 aprile, ha pure organizzato una manifestazione («La difesa è sempre legittima»), facendo infuriare i partigiani che non vogliono altri «cappelli» sulla Festa di Liberazione.

Matteo Salvini ieri ha ribadito da che parte vuole stare: «Se muore un rapinatore non mi dispiace». Sottolineando che l' altra notte «a Budrio è morta la persona sbagliata». E torna a reclamare un rapido aggiornamento della legislazione. La riforma del 2006, che prevede oggi che la difesa debba essere, comunque, «proporzionata all' offesa», viene reputata insufficiente. E infatti la Lega da anni (primo firmatario Nicola Molteni), sta portando avanti la riforma che preveda «la legittima difesa in tutti i casi di violazione dell' abitazione o del luogo in cui si svolge il proprio lavoro», prendendo a modello il codice penale francese.

In sostanza la Lega vuole modificare l' articolo 52 del codice di procedura penale, introducendo la facoltà, per il cittadino, di difendersi appellandosi al presupposto che l' aggredito «abbia agito per difesa legittima». Ovvero «per respingere l' ingresso, mediante effrazione o contro la volontà del proprietario, con violenza o minaccia di uso di armi da parte di persona travisata o di più persone riunite, in un' abitazione privata, o in ogni altro luogo ove sia esercitata un' attività commerciale, professionale o imprenditoriale».

Ma al Pd la proposta leghista non è va giù, e infatti ha riscritto un altro pdl durante la discussione in commissione Giustizia, approvando un proprio emendamento a firma di David Ermini. Il Pd non vuole mettere mano all' articolo 52 del codice penale (legittima difesa), ma al 59 (Circostanze non conosciute o erroneamente supposte), e ipotizza che «è sempre esclusa la colpa di colui che, legittimamente presente in un domicilio, usa un' arma legittimamente detenuta contro l' aggressore, se si verificano contemporaneamente», e qui cominciano i sofismi, «due condizioni: se l' errore nel valutare la situazione di pericolo è conseguenza di «un grave turbamento psichico, e se è stato causato, volontariamente o colposamente, dalla persona contro cui è diretto il fatto». Per esempio, «se si rientra in casa la sera e si trova un estraneo che si dirige verso la stanza da letto di un minore presente nella stanza stessa, è considerato errore, quindi circostanza che esclude la pena».

Differenze non da poco che lo scorso 23 marzo hanno fatto infuriare proprio gli esponenti leghisti in commissione. Ma sono sulle barricate anche quelli di Fratelli d' Italia. Non a caso ieri il presidente di Fdi, Giorgia Meloni, ha sposato pienamente la linea leghista, cogliendo il fatto di cronaca per criticare l' immobilismo a sinistra: «Nel nome di Davide (il barista morto durante la rapina a Budrio, ndr), Fratelli d' Italia continuerà a battersi per chiedere più sicurezza e una legge che sancisca un principio sacrosanto: la difesa è sempre legittima. Alle anime belle della sinistra che si scandalizzano quando i cittadini si difendono da soli», scandisce su Facebook la Meloni, «la storia di Davide racconta il destino tragico al quale spesso va incontro chi non riesce a difendersi».

Se alla Camera l' iter di riforma sembra impantanato, al Senato si discute solo di "stretta sui furti in casa" nel ddl di riforma del processo penale. Sulla carta si prevedono pene maggiori per questi reati, senza alcun riferimento alla legittima difesa di chi subisce il furto. E comunque questo testo, se mai approvato, dovrà tornare a Montecitorio per una nuova lettura. Insomma, si spara e si muore. Ma i politici ronfano, sereni, sulle scartoffie.

Il Movimento Cinque Stelle pensa a Piercamillo Davigo come candidato premier nel 2018

Il Movimento Cinque Stelle pensa a Piercamillo Davigo come candidato premier



La corte del Movimento Cinque Stelle a Piercarmillo Davigo è appena cominciata. Il magistrato del mitologico pool di Mani Pulite ha da poco lasciato la carica di presidente dell'Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe, e intanto i grillini sono a caccia da tempo di nomi credibili da spendere per l'eventuale vittoria elettorale con il voto alle politiche del 2018. E così il candidato premier, si sussurra, potrebbe essere lui. Con buona pace di Luigi Di Maio, il premier in pectore.

L'intesa non è scontata, ma neanche così impossibile. Come riporta La Stampa, la mossa di avvicinamento a Davigo potrebbe seguire lo stesso schema usato in passato, tra il 2013 e il 2014, per avvicinare al Movimento personaggi del calibro di Stefano Rodotà o Nino Di Matteo. All'epoca i numeri che sostenevano l'onda grillina però non erano stati sufficienti per imporre i propri candidati. Ma stavolta le cifre che man mano emergono dai sondaggi potrebbero costringere i grillini a decidere davvero cosa vogliono fare una volta al governo.

Sul proprio futuro in politica, Davigo non si è mai sbilanciato del tutto. Anzi sin dalle sue ultime battute sull'impegno dei magistrati che diventano politici, Davigo è sempre stato netto sul tenere le due carriere separate. Per poi aggiungere che in realtà sono i partiti a trascinare i magistrati in politica, in una sorta di "reato a concorso necessario".

Davigo non sarebbe quindi del tutto intenzionato a mollare per sempre la toga per fare il premier dei grillini, sempre che superi l'arduo scoglio della selezione online sulla piattaforma Rousseau. Certo il contatto sembra esserci, visto che contattato dalla Stampa, Davigo non ha negato l'interessamento dei vertici grillini su di lui, rifugiandosi in un "preferisco non commentare". Immaginarsi Davigo fare una campagna elettorale sotto le bandiere grilline sembra al momento lo scenario meno probabile. ben più percorribile, invece, sarebbe l'ipotesi più simile a una trappola innocente: una volta conquistata la vittoria con il sistema proporzionale, i pentastellati sarebbero chiamati a formare un governo, e a quel punto una "chiamata" al magistrato dovrebbe smuovere l'orgoglio e l'animo del servitore dello Stato. Difficile dire di no così.

SESSO, PANARELLO-CHOC "C'è una cosa che non..." La confessione di Veronica

Veronica Panarello dal carcere: "L'unica cosa che oggi non rifarei"



E' in attesa del processo d'appello Veronica Panarello, la donna condannata in primo grado per l'omicidio del figlio Lorys a Santa Croce Camerina il 29 novembre 2014. E oggi "Mattino 5" ha mandato in onda l'audio dell'intervista realizzata in carcere tramite l'avvocato della donna Francesco Villardita.

Veronica ribadisce di non aver ucciso lei il piccolo: "Non sono una lucida assassina nè una criminale. Cosi’ come è scritto nella sentenza. Mi ha dato molto dispiacere, non dico fastidio ma mi ha procurato dolore essere dipinta per quello che non sono. Ho detto la verità e non sono stata creduta. Ho raccontato tutto e non mi credono: ho fornito arma del delitto, complice e movente. E non sono stata creduta. Cos'altro devo e posso fare? Il giudice dice che potrei continuare ad uccidere. L'errore è proprio in quella parola… 'continuare'. Non posso continuare a fare una cosa che non ho fatto. Io non ho ucciso mio figlio".

C'è però una cosa che Veronica ammette (ma chi da lei tirato in ballo dice di essere cosa del tutto falsa): il tradimento nei confronti del marito Davide: "Le confesso, oggi l'unica cosa che non farei è quella di tradire Davide… di avere una relazione con un'altra persona. Men che meno tradirlo con mio suocero Andrea. Così non avrei nulla da nascondere a mio marito. E poi, se avessi avuto il coraggio di parlargliene forse… no ne sono certa. Lui mi avrebbe aiutata".