Montecarlo, i Tulliani divisi sul ruolo di Fini: "Semmai è lui il corruttore"
I Tulliani smentiscono i Tulliani. E i Tulliani, o meglio Giancarlo Tulliani e papà, inguaiano ulteriormente Gianfranco Fini. Siamo all'ultimo atto dell'odissea che inizia a Montecarlo e finisce nelle procure, con la famiglia imparentata con Gianfry inquisita per riciclaggio nell'indagine su Francesco Corallo, il cosiddetto "re delle slot". L'ultima puntata, come spiega Il Corriere della Sera, va in scena davanti al tribunale del Riesame, dove i componenti della vicenda si schierano su fronti opposti: sul primo padre e figlio, Sergio e Giancarlo Tulliani (il secondo latitante a Dubai dopo l'ordine d'arresto di due settimane fa), e sull'altro la figlia Elisabetta Tulliani, moglie di Fini.
Il punto è che i maschietti sostengono davanti agli inquirenti che il reato contestato non può essere riciclaggio, poiché i soldi trovati a Sergio e Giancarlo sembrano quote di una tangente che fa presupporre altri reati: la corruzione, oppure il millantato credito, o il traffico d' influenze illecite che però è stato introdotto solo nel 2012 e dunque non sarebbe applicabile perché i fatti sono antecedenti. Elisabetta, al contrario, afferma che non vi è alcun reato, che Amedeo Laboccetta mente e che i suoi comportamenti sono spiegabili con normali attestati di disponibilità alle richieste del fratello.
Insomma, la famiglia si spacca nel corso della discussione davanti ai giudici chiamati a decidere sull'istanza di restituzione dei beni sequestrati per un valore di 5 milioni di euro. L'avvocato Titta Madia, che assiste Giancarlo e Sergio, spiega possibili alternative. Una su tutte: la corruzione, pagata da Corallo attraverso i Tulliani, che così diventerebbero i beneficiari finali di una maxi-mazzetta. L'avvocato mostra di non crederci, ma afferma che questa sarebbe una costruzione più sostenibile del riciclaggio. E, soprattutto, quando il tribunale chiede chi, nel caso, sarebbe un corrotto, risponde chiaro e tondo: Gianfranco Fini, ovvero il politico che, attraverso le leggi favorevoli a Corallo, poteva influire sulle concessioni di licenze pubbliche.
L'ipotesi, va detto, viene scartata dagli inquirenti perché le prove vanno in un'altra direzione. Resta però il fatto curioso dei "maschi Tulliani" che ipotizzano un Fini corruttore, mentre la moglie Elisabetta, attraverso i suoi legali, rigetta in toto la "suggestione". I suoi avvocati puntano tutto sull'inattendibilità di Laboccetta, e sostengono che i comportamenti della moglie di Fini sono del tutto giustificabili e leciti.
Il punto è che i maschietti sostengono davanti agli inquirenti che il reato contestato non può essere riciclaggio, poiché i soldi trovati a Sergio e Giancarlo sembrano quote di una tangente che fa presupporre altri reati: la corruzione, oppure il millantato credito, o il traffico d' influenze illecite che però è stato introdotto solo nel 2012 e dunque non sarebbe applicabile perché i fatti sono antecedenti. Elisabetta, al contrario, afferma che non vi è alcun reato, che Amedeo Laboccetta mente e che i suoi comportamenti sono spiegabili con normali attestati di disponibilità alle richieste del fratello.
Insomma, la famiglia si spacca nel corso della discussione davanti ai giudici chiamati a decidere sull'istanza di restituzione dei beni sequestrati per un valore di 5 milioni di euro. L'avvocato Titta Madia, che assiste Giancarlo e Sergio, spiega possibili alternative. Una su tutte: la corruzione, pagata da Corallo attraverso i Tulliani, che così diventerebbero i beneficiari finali di una maxi-mazzetta. L'avvocato mostra di non crederci, ma afferma che questa sarebbe una costruzione più sostenibile del riciclaggio. E, soprattutto, quando il tribunale chiede chi, nel caso, sarebbe un corrotto, risponde chiaro e tondo: Gianfranco Fini, ovvero il politico che, attraverso le leggi favorevoli a Corallo, poteva influire sulle concessioni di licenze pubbliche.
L'ipotesi, va detto, viene scartata dagli inquirenti perché le prove vanno in un'altra direzione. Resta però il fatto curioso dei "maschi Tulliani" che ipotizzano un Fini corruttore, mentre la moglie Elisabetta, attraverso i suoi legali, rigetta in toto la "suggestione". I suoi avvocati puntano tutto sull'inattendibilità di Laboccetta, e sostengono che i comportamenti della moglie di Fini sono del tutto giustificabili e leciti.