Fedeli, una ministra da cacciare: scuole a pezzi, lei fa assumere 25mila prof
di Fausto Carioti
Prima di dire che i sindacati sono morti e non contano più nulla, è meglio fare un supplemento di riflessione sul caso di Valeria Fedeli. Sessantasette anni, quasi tutti dedicati alla Cgil, paracadutata in Parlamento da Pier Luigi Bersani e quindi al governo grazie a un provvidenziale salto della quaglia che l'ha portata alla corte di Matteo Renzi, la ministra dell'Istruzione senza laurea continua a fare quello che ha sempre fatto: la sindacalista. Per una vita ha chiesto più assunzioni e più soldi in busta paga agli imprenditori tessili, oggi fa la stessa cosa con il datore di lavoro degli insegnanti. Ovvero con Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia, dal quale in queste ore pretende l'assunzione di 25mila docenti. E siccome la campagna elettorale è già iniziata, i voti degli insegnanti e l'appoggio dei sindacati servono alla causa dei democratici e i soldi ce li mette il solito contribuente, non ci sono dubbi che Valeria la rossa la spunterà.
«Non c'è alcuna polemica, ma è vero che ho chiesto al ministro Padoan, anche per iscritto, questa cosa importante» ha detto ieri la ministra, confermando le indiscrezioni uscite sul Corriere della sera. Quello che non ha detto è che la sua iniziativa rottama definitivamente la «Buona Scuola» di Renzi.
L'idea dell'ex premier di spostare gli insegnanti dal Sud, dove sono in eccesso, verso le regioni del Nord, dove scarseggiano, non ha funzionato. Gli espedienti adottati da tanti docenti sono stati più forti del vincolo di permanenza triennale previsto dalla legge e al resto ha provveduto la stessa Fedeli, a gennaio, introducendo la deroga che cancella l' obbligo di restare tre anni nella stessa sede. Una concessione, anche questa, alle richieste dei suoi ex colleghi appartenenti alla Cgil e alle altre sigle sindacali.
Morta e sepolta l'idea di spostare gli insegnanti là dove servono, si torna al vecchio sistema di aumentare le assunzioni: le 25mila che la Fedeli chiede per il prossimo anno, in aggiunta alle 55mila già previste dalla legge di bilancio, comporteranno un esborso non previsto di 400milioni. Padoan, già costretto a inventarsi numeri da circo per impedire che scattino le clausole di salvaguardia che stabiliscono l'aumento dell' Iva dal primo gennaio del 2018, dovrà trovare la copertura anche per questa operazione. Al momento tace e non risponde alle lettere della Fedeli, per nulla contento che la collega ne abbia divulgato il contenuto ai giornali.
Ma presto si vota, Padoan di fatto è già stato commissariato dal Pd ed è chiaro che quei soldi salteranno fuori.
Il primo posto in cui li si andrà a cercare sono gli stanziamenti già previsti per la scuola, aggravando così il grande male dell'istruzione italiana. Che non è la bassa quota di spesa pubblica a essa destinata, in parte spiegata dal fatto che il nostro è il Paese con meno giovani d'Europa. Il problema è che quei soldi sono spesi in modo sbagliato: grandissima parte se ne va negli stipendi degli insegnanti e del personale non docente e solo una frazione minima è usata per gli investimenti.
La spesa pubblica per ogni alunno delle scuole elementari, ad esempio, è più alta in Italia (8.392 euro) che in Francia (7.201) e in Germania (8.103). E non è vero che abbiamo pochi insegnanti: nelle nostre scuole medie ce n'è uno ogni 12 alunni, negli equivalenti istituti francesi uno ogni 15 e in quelli tedeschi uno ogni 13.
Falso anche che le nostre classi siano più affollate di quelle degli altri Paesi: le medie italiane hanno 20 alunni per classe, quelle francesi 26 e le tedesche 24. Ma proprio l' alto numero di insegnanti, che adesso la Fedeli vuole incrementare, riduce le risorse disponibili per la tecnologia: in Italia ci sono 9 computer ogni cento studenti, contro una media europea di 24, e una lavagna interattiva ogni 250 studenti, di fronte a una media continentale di 167; in Europa il 96% degli studenti ha a disposizione un collegamento internet a scuola, in Italia solo l' 82%.
Anche tra gli stessi insegnanti i soldi sono spesi male. La gran parte dei contratti integrativi - il 55% - serve infatti per garantire la retribuzione extra a quelli che tra loro svolgono l' attività di sindacalista; solo il 4% premia invece chi lavora nelle scuole «ad alto rischio educativo», cioè i docenti impiegati nelle aree più povere e dove più alto è l'abbandono scolastico. Ulteriore conferma che la priorità del sistema è soddisfare le richieste dei sindacati, non diffondere l' istruzione dove ce ne è più bisogno. E almeno da questo punto di vista si può dire che la Fedeli è la donna giusta al posto giusto.