Il sondaggio: Pd in caduta libera, è al 23%
di Brunella Bolloli
Pd in caduta libera, lo dicono i sondaggi. Quelli riservatissimi, che girano ai piani alti del Nazareno, raccontano di una situazione disastrosa, che non va oltre il 22%: altro che primo partito, i bei tempi del 40% alle Europee del 2014 sono un lontano ricordo. Ma anche le rilevazioni appena diffuse in tv a Porta a Porta mostrano una situazione desolante per Matteo Renzi e la sua truppa.
Secondo Euromedia Research, istituto di Alessandra Ghisleri, i democratici hanno perso in un mese il 3,1% e sono scesi al 25,5. Mentre per Michela Morizzo di Tecné i punti lasciati per strada sono addirittura 6, per cui oggi, Lingotto o no, il Pd non va oltre il 23%. Anzi, per essere precisi, il Pd prima della scissione era al 28,7% mentre ora, senza la minoranza dem, è crollato al 22,8 per cento dei consensi.
In entrambi i casi il dato per i governativi è allarmante perché significa che il Movimento Cinquestelle balza in testa e, se si andasse a votare adesso, a Palazzo Chigi ci finirebbe, con molta probabilità, Luigino Di Maio o qualcuno dei suoi colleghi. La creatura di Grillo, nonostante i tanti errori a livello locale, resta in vetta ma con quotazioni differenti: 26,4% per Euromedia (mezzo punto in meno rispetto al mese scorso) e 29% per Tecné (un punto in meno).
In particolare, quest'ultimo istituto distingue tra M5S prima della scissione (30,3%) e M5S dopo (27,6), segno che la formazione del nuovo soggetto rosso di Bersani e transfughi dem (dato da Euromedia al 3% mentre da Tecné a più del doppio, 6,5%) rosicchia qualcosa anche ai grillini, senza calcolare l' altra new entry a sinistra di Pisapia e compagni che otterrebbe tra il 2,3 (Ghisleri) e il 4 per cento (Morizzo).
Unico sondaggista che dà un po' di ottimismo ai renziani è Nicola Piepoli, secondo il quale i pentastellati sono ancora sotto al Pd, seppure di un punto soltanto (29 a 28) e, insomma, la scissione ha pesato indubbiamente, ma ormai la crisi è archiviata e al Lingotto si è visto un gruppo molto compatto. Ma la convention torinese fortemente voluta da Renzi ha rialzato il gradimento piddino oppure no? Risposta di Piepoli: «Non l'ha spostato di un millimetro. Le nostre rilevazioni danno il Pd al 29 sia prima che dopo il Lingotto. La merce non è cambiata».
Forza Italia cresce arrivando al 14% secondo la Ghisleri, mentre per Tecné si assesta al 13,5% e per Piepoli all' 11. Quanto alla Lega, per vari sondaggisti è stabile al 13% e i Fratelli d' Italia di Giorgia Meloni sono accreditati tra il 4,5 e il 4,9. Il Nuovo Centrodestra (che sta essere sciolto per volere dello stesso Angelino Alfano) si ferma tra 1,5 e 2%.
Morale: se il centrodestra si unisce supera il 28 per cento, arriva al 30 e vince. Se va in ordine sparso consegna la vittoria nelle mani dei Cinquestelle o, comunque, ad un testa a testa all'ultimo voto tra M5S e Partito democratico.
Anche a vedere le percentuali che ogni lunedì Emg illustra nel Tg di Enrico Mentana, i grillini sono saldamente in testa, sfiorando il 30%, a danno soprattutto degli avversari democratici che, in una settimana, sono scesi al 27,1. Leggerissima flessione per la Lega che passa al 12,8 regalando circa mezzo punto a Forza Italia, mentre salgono dello 0,2 gli scissionisti che arrivano a quota 4,2.
In realtà, oltre alle percentuali di voto, nei sondaggi politici di La7 sono stati mostrati i seggi che ogni partito otterrebbe con il nuovo sistema elettorale. Il M5S avrebbe 201 seggi, il Pd 188, la Lega 85, Forza Italia 83, seguita da Fdi con 32 e da Mdp con 28.
Cosa vuol dire questo? Che con queste aggiudicazioni di seggi avere una maggioranza è, ancora una volta, impossibile. I 316 seggi necessari per ottenere la maggioranza sono un' utopia. Partito democratico insieme a Sinistre e Autonomie arriverebbe solo a 223, mentre PD+Fi+Ncd+ Autonomie salirebbe a 277.
L'unica coalizione possibile per avere la maggioranza sarebbe quella che si ottiene dalla strana alleanza tra Lega, Fratelli d'Italia e grillini, che insieme raggiungono 318 seggi, superando la maggioranza di 2 seggi. Un asse smentito a più riprese dagli esponenti dei tre soggetti politici, che, a parte temi comuni in materia di Europa, lotta agli sprechi e immigrazione, restano molto distanti, infatti hanno già ribadito di non avere alcuna intenzione di allearsi tra loro e quindi la situazione resta di ingovernabilità.
Renzi sconta la divisione con la minoranza dem, l' inchiesta Consip, le politiche sull'immigrazione e sul lavoro. Ma almeno si può consolare con le analisi che lo danno in netto vantaggio nella corsa alla segreteria rispetto ai suoi sfidanti interni, Andrea Orlando e Michele Emiliano. Secondo alcuni poll dei giorni scorsi, alle primarie del 30 aprile l'ex premier raccoglierebbe tra il 53% (Ipsos) e addirittura il 64% (WinPoll), con gli avversari nettamente distanziati, segno che è ancora forte nel partito, molto meno fuori.