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giovedì 9 marzo 2017

TUMORE DEL SENO Carcinoma: l'unione di farmaci ‘fa la forza’ e riduce le recidive

Carcinoma: l'unione di farmaci ‘fa la forza’ e riduce le recidive



Novità positive in arrivo per chi soffre di carcinoma mammario Her2 positivo: Roche, congiuntamente a Breast international group (Big), Breast european adjuvant study team (Breast) e alla fondazione Frontier science (Fs) annuncia i risultati positivi dello studio di fase III, 'Adjuvant pertuzumab and herceptin in initial therapy in breast cancer, ntc01358877/ bo25126/ big4-11', meglio conosciuto come 'Aphinity'. Il carcinoma mammario Her2 positivo è una forma aggressiva di tumore al seno che colpisce circa il 20 per cento dei pazienti e che dà spesso esito a una prognosi molto sfavorevole se non trattato adeguatamente. Infatti ad oggi una donna su tre trattate col farmaco antitumorale trastuzumab - un anticorpo monoclonale umanizzato - e chemioterapia potrebbe andare incontro ad una recidiva. Ebbene la situazione sembra poter cambiare, poiché lo studio Aphinity ha dimostrato che il trattamento adiuvante - somministrato cioè dopo l'intervento chirurgico - con l'associazione di pertuzumab, trastuzumab e chemioterapia ha ottenuto una riduzione statisticamente significativa del rischio di ricomparsa della malattia invasiva o di decesso nelle donne con carcinoma mammario in stadio iniziale Her2 positivo, rispetto al solo trastuzumab più chemioterapia. L'unione di pertuzumab e di trastuzumab risulterebbe particolarmente efficace in quanto i due principi hanno sul recettore Her2 un meccanismo d'azione complementare, in particolare pertuzumab è un farmaco progettato specificamente per impedire al recettore Her2 di unirsi con altri recettori presenti sulla superficie delle cellule tumorali e, di conseguenza, far crescere il tumore. Inoltre quando pertuzumab si lega a Her2 il sistema immunitario dell'organismo riceve segnali che lo spingono a distruggere le suddette cellule tumorali.

"I risultati positivi dello studio Aphinity, si aggiungono al già ampio corpus di dati relativi a pertuzumab nel trattamento delle donne affette da carcinoma mammario in stadio iniziale Her2 positivo – afferma Sandra Horning, chief medical officer & head of global product development di Roche - attendiamo di condividere questi risultati con le autorità regolatorie internazionali". I dati dello studio infatti saranno presto sottoposti alle autorità regolatorie, comprese la Food and drug administration (Fda) degli Stati Uniti e l'Agenzia europea dei medicinali (Ema). "Lo studio Aphinity - aggiunge Gunter von Minckwitz, coordinatore dello studio per il Big - conferma quanto importante sia la collaborazione tra l'industria farmaceutica e il mondo accademico per il progresso della cura dei tumori e per le persone affette da questa malattia così complessa". Il trattamento precoce del carcinoma mammario, quindi prima della sua diffusione all'interno dell'organismo, potrebbe migliorare le chance di prevenire la ricomparsa della malattia e la sua potenziale evoluzione allo stadio metastatico. La terapia adiuvante viene somministrata dopo l'intervento chirurgico e ha l’obiettivo di eliminare eventuali cellule tumorali residue per ridurre il rischio di ricomparsa del tumore. L'associazione di pertuzumab, trastuzumab e chemioterapia è inoltre già approvata come trattamento neoadiuvante - da somministrare cioè prima dell'intervento chirurgico - per le donne affette da carcinoma mammario Her2 positivo in oltre 75 paesi in tutto il mondo.

"Presenza femminile fondamentale nel mondo del farmaco del Duemila"

"Presenza femminile fondamentale nel mondo del farmaco del Duemila"


di Matilde Scuderi



“Chi l’ha detto che donne e uomini sono uguali?” da questa domanda ha preso nome e ispirazione il convegno promosso da Farmindustria dedicato alla posizione delle donne nel mondo del farmaco, sia come produttrici che come consumatrici. Durante il convegno, tenutosi a Roma, al cospetto di un parterre prevalentemente femminile che ha visto presenti tra i relatori il ministro della salute Beatrice Lorenzin, la senatrice Emilia Grazia de Biasi, presidente commissione igiene e sanità del senato, l'onorevole Eugenia Roccella, componente commissione affari sociali della camera e Francesca Merzagora, presidente dell'Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) si sono affrontati diversi argomenti riguardanti la salute declinata al femminile, partendo dalla necessità di continuare a sviluppare e a diffondere il concetto di medicina di genere, perché questo non venga più banalmente inteso come “medicina delle donne”, ma venga compreso nella sua interezza di approccio personalizzato al paziente, che prende in considerazione la diversità – biologica e culturale – tra uomini e donne. Conseguentemente occorre continuare a investire su farmaci diversificati, messaggio che la ricerca farmaceutica sembra aver pienamente recepito, visto l'arrivo di ben 850 farmaci specifici per il genere femminile. Interessante constatare che questi nuovi farmaci non riguardano tutti le malattie ginecologiche, molti di questi mirano invece a risolvere problemi a livello di sistema muscolo-scheletrico e sistema immunitario oppure a combattere neoplasie: questo vuol dire che sono ormai diverse branche della medicina dove la medicina di genere è già una realtà.

E per quanto riguarda le donne che lavorano nel settore dell'industria farmaceutica? A rispondere a questa domanda è Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria che illustra la situazione attuale fornendo numeri che valgono più di mille parole: le donne del settore rappresentano il 43 per cento dei lavoratori, con un picco che supera il 50 per cento nel settore ricerca e, per quanto riguarda le posizioni dirigenziali, una su tre è occupata da un membro del sesso femminile. Il tutto in un contesto che vede un'altissima percentuale di laureate e diplomate, ben il 90 per cento. Questo quadro così roseo è reso possibile dal felice incontro tra una selezione meritocratica del personale e l’adozione di un welfare aziendale "a misura di donna", con il 70% delle imprese farmaceutiche che offrono un ampio ventaglio di servizi anche finalizzati alla conciliazione del tempo di vita e di lavoro. Dalle mense alle agevolazioni sull’orario, dalle assicurazioni alla sanità integrativa con screening mirati gratuiti di medicina preventiva, dagli asili aziendali allo smart working. Una serie di facilitazioni è adottata solo dal 43% delle aziende degli altri settori. Per celebrare ulteriormente il ruolo importantissimo che hanno le donne nella ricerca sono stati inoltre consegnati tre premi Telethon-Farmindustria ad altrettante ricercatrici che si sono distinte ottenendo finanziamenti dall'European Research Council nell'ambito della Life science. 

Così l'Europa ci ammazza con l'euro La stangata: quanti soldi ti rubano

Europa a più velocità: per farla restare nell'euro ammazzano l'Italia


di Giuliano Zulin 



Attenzione, fregatura in arrivo. Non solo la Ue vuole che il governo aumenti l’Iva - dal 22 al 24 per cento e dal 10 al 13 per cento - ma pare abbia chiesto a Gentiloni anche di dare una sforbiciata agli sgravi fiscali. Una montagna di agevolazioni che permettono, indirettamente, a contribuenti e imprese di pagare meno tasse.

Stiamo assistendo a una manovra a tenaglia, orchestrata da Bruxelles e con Palazzo Chigi che tace, che punta a mettere in riga quei disgraziati di italiani che non si rassegnano ad obbedire agli euro-diktat, suggeriti dalla Germania. Si dirà: ma perché proprio adesso la Ue vuole infilare la lama nella nostra debole carne? Per comprendere questa accelerazione bisogna rileggere le frasi dei quattro leader europei riuniti lunedì sera a Versailles: Angela Merkel, Francois Hollande, Mariano Rajoy e Paolo Gentiloni. Stiamo parlando dei capi di Stato e di governo che rappresentano le principali economie del Vecchio Continente. Usciti dal summit hanno detto in coro: avanti con l’Unione europea, ma spazio alla flessibilità. Cioè se un Paese non ha voglia di rispettare le regole può serenamente fare un passo indietro. Occhio, non si parla di moneta unica a due velocità, ma di integrazione politica e fiscale a più velocità. Sembra un dettaglio da poco, ma è sostanziale. Il concetto è: l’euro non si tocca, perchè fa comodo ai tedeschi, ai francesi, agli spagnoli e agli italiani che sono attualmente al governo. Semmai, se uno Stato non ha intenzione, ad esempio, di mettere soldi pubblici sul fondo europeo salva-conti corrente - quello che dovrebbe intervenire per proteggere i clienti sotto i 100mila euro in caso di crac - sarà libero di rifiutarsi. Come ripetono in continuazione da Berlino, che non vuole aiutare i correntisti di una banca italiana in difficoltà con gli euro dei contribuenti tedeschi.

Insomma, al vertice di Roma del 25 marzo, finirà l’Europa improntata alla solidarietà e nascerà un’Url: Unione a responsabilità limitata. Ovviamente a uso e consumo della Germania, con un club di privilegiati che detterà la linea e influenzerà le scelte della Bce e un clan di seconde linee, alla mercè dei migliori.

Dove starà l’Italia? Ecco, qua sta il guaio. Gentiloni vuole tenerci nella zona nobile dell’Europa. Peccato che il Belpaese vanti una crescita economia fra le più basse dell’intero continente - ieri l’Ocse ci ha ricordato che anche nel 2018 il Pil salirà di circa l’uno per cento -, un debito pubblico superiore ai 2.200 miliardi, una montagna di sofferenze bancarie difficili da scalare. Senza contare la giustizia lumaca, la burocrazia scandalosa, l’invasione di immigrati e l’instabilità politica che emergerà alle prossime elezioni. Il premier però non vuole restare nella serie B dell’eurozona. E allora qual è l’unica via per rimanere nella massima serie? Far morire gli italiani. Di tasse. Da anni Ue e il Fmi predicano un cambio di rotta del fisco italiano: più tasse sui consumi, meno sul lavoro. E ancora: meno sgravi. Infine: inasprire l’imposta di successione e sugli immobili. Certo Ue e Fmi propongono anche un’aliquota Irpef più bassa. Ma non si è mai visto che la sinistra riduca le tasse sul reddito.

Già con Prodi e Ciampi gli italiani pagarono una manovrona e l’eurotassa per entrare nell’euro. Abbiamo visto i risultati. Dobbiamo soffrire di nuovo? Forse più che lottare per stare nel club dei Paesi migliori è meglio che l’Italia mandi tutti a quel paese

La bastonata al pm Woodcock: quelle (brutte) ombre sull'inchiesta

Csm, scontro con Woodcock sulla fuga di notizie



Batosta del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini al pm Henry John Woodcock. Legnini ha infatti espresso "apprezzamento" per la Procura di Roma perché dopo la fuga di notizie sull'inchiesta Consip "ha immediatamente avviato una indagine penale e iniziative finalizzate a preservare il prosieguo delle indagini". Riporta il Corriere della Sera che il vicepresidente del Csm ha affermato che "il tema del segreto di indagine non possiamo farlo gravare sugli organi di informazione, ma riguarda gli uffici giudiziari". Un'accusa netta proprio alla Procura di Napoli, titolare e "custode" del fascicolo da diversi mesi. Perché, la "gravità delle fughe di notizie si concretizza nel rischio di ledere il principio costituzionale di non colpevolezza".

Pronta la risposta di Woodcock: "il vicepresidente Legnini sostiene una tesi giusta e corretta, perché la prima vittima delle fughe di notizie è il pubblico ministero", considerato che "se devo andare a interrogare una persona e sui giornali viene pubblicato il contenuto degli atti processuali, le mie verifiche sono bruciate". Ovvero quello che è successo alla vigilia dell'interrogatorio di Tiziano Renzi: "Solo un cretino potrebbe agevolare una cosa del genere". E ancora: "Io apprezzo e concordo con quanto detto dall'onorevole Legnini in ordine all'assoluta impellenza di una riflessione circa gli strumenti organizzativi idonei per tutelare il segreto investigativo. Proprio a tale riguardo, e in questa prospettiva, credo che abbia grande rilievo e rivesta straordinaria attualità la riflessione delle ultime settimane sulla applicazione dell’articolo 18 comma 5 del decreto 177 del 19 agosto 2016".

Travaglio rovinato da babbo Renzi? La mossa fatale (da 300mila euro)

Tiziano Renzi contro Marco Travaglio: "Voglio 300mila euro di danni"



"Non parlo con nessuno, tanto qualsiasi cosa viene travisata o, peggio, inventata", premette Tiziano Renzi, il babbo dell'ex premier invischiato nell'inchiesta Consip. Eppure, poi, in un'intervista a Il Giorno, qualche parolina gli sfugge. Prima gli chiedono se davvero partirà per un nuovo pellegrinaggio a Medjugorje, ma non si sbottona: "Non ho nessuna intenzione di dire che cosa farò". Poi gli viene chiesto perché non denuncia chi "inventa le cose", così come lui sostiene. E occhio alla risposta: "Venite il 16 marzo al tribunale di Firenze. C'è la prima udienza contro Marco Travaglio e Il Fatto Quotidiano. Credo sia pubblica". E di cosa si tratta? "Di una richiesta di risarcimento danni di 300mila euro". Poi stop. Zitto. Tiziano Renzi aggiunge soltanto: "Parlerò. Il 16 marzo. Ormai manca poco". Travaglio è avvisato.

Quanto guadagna davvero Di Maio "3mila euro? Balle: la cifra da urlo"

M5s, i veri stipendi dei grillini: "A Luigi Di Maio 9mila euro al mese"



"Non è un sacrificio tagliarsi lo stipendio come facciamo noi, io guadagno 3mila euro al mese e ci faccio una vita da nababbo", dice Alessandro Di Battista. Certo, la verità sul compenso autoridotto, è un'altra, sostiene il Giornale, perché i portavoce del M5s guadagnano di più. Se infatti il movimento di Beppe Grillo è l'unico a restituire parte degli emolumenti (20,5 milioni restituiti finora), la verità sulle buste paga degli onorevoli grillini è un diversa.

Lo sostiene Lorenzo Andraghetti, ex collaboratore parlamentare del M5s, sul suo profilo Facebook: "Odio fare i conti in tasca altrui ma ho letto troppe imprecisioni in questi giorni sul tema dello stipendio dei parlamentari del M5S. All'epoca in cui lavoravo come collaboratore, quelle rendicontazioni le compilavo personalmente. So come funziona il giochino".

Alla decurtazione, infatti, vanno poi aggiunte le cosiddette voci accessorie. Prendiamo come esempio Luigi Di Maio: "Riceve entrate sul suo conto corrente per 60 mila 960 euro (stipendio netto), oltre a 99 mila 892,38 euro di rimborsi forfettari. Le uscite documentate sono relative esclusivamente ai bonifici da lui fatti, ovvero i 25 mila 122,32 euro all'anno restituiti per scelta politica dal M5s e poi la quota che il deputato usa per pagare gli assistenti, che ammonta a 44 mila 280 euro annui. Entrate meno uscite fanno 91 mila 450 euro all'anno". Ergo: 7.620 al mese. Non i "3mila netti gridati ai quattro venti pubblicamente".

Alessandro Di Battista secondo Andraghetti guadagna 5.462 euro al mese. Roberto Fico, presidente della commissione di Vigilanza Rai, al netto di entrare ed uscite: "6.888 euro al mese".

MARWA, FORUM SOCIOSANITARIO: Sentenza Giudici francesi tutela vita

MARWA, FORUM SOCIOSANITARIO: Sentenza Giudici francesi tutela vita


di Mario Setola


Prof. Aldo Bova

“Ci uniamo alla gioia enorme della famiglia francese Bouchenafa per il verdetto del Consiglio di Stato francese che ha dato ragione ai genitori della piccola Marwa, stabilendo, contrariamente alle decisioni del collegio medico dell’ospedale La Timone di Marsiglia, che non bisogna interrompere l’alimentazione e la respirazione artificiali somministrate alla bambina, paralizzata da un virus fulminante e con gravi lesioni cerebrali”.

Ad affermarlo, in una nota, e’ il prof. Aldo Bova, presidente nazionale del Forum sociosanitario cristiano, il quale aggiunge:

“I genitori amano la piccola Marwa e ritengono che possa riprendersi, perche’ reagisce agli stimoli, come la voce della sorellina. La decisione dei giudici transalpini rafforza la convinzione di coloro che ritengono che la vita vada sempre tutelata e difesa e che per far si’ che la vita delle persone in grave sofferenza continui ci vuole tanto amore”.

“Contro la cultura della morte, come semplificazione dei problemi e contro la cultura dello scarto, bisogna lavorare per diffondere la cultura della vita, e prima ancora, la cultura dell'amore, che e’ la forza vera e grande per realizzare cose positive e belle”, conclude la nota.