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mercoledì 18 gennaio 2017

Bianca Berlinguer si prende il Pd? La zampata: chi ha (già) fatto fuori

Pd, Pier Luigi Bersani lancia Bianca Berlinguer: già superato Roberto Speranza


di Elisa Calessi



E se spuntasse un «giovane Prodi»? O una donna, giovane o no, nel ruolo che fu del Professore? Se, nel campo degli anti-renziani, vittoriosi al referendum, ma incapaci di tradurre quel risultato in un’alternativa, emergesse una carta in grado di archiviare per sempre Matteo Renzi?Finora questa possibilità sembrava affidata, senza troppe chance, a Roberto Speranza, pupillo di Pier Luigi Bersani e leader in pectore della minoranza.

Ieri, però, in un’intervista a Repubblica, l’ex segretario ha rimesso tutto in discussione. Alla domanda se fosse il giovane Speranza l’anti-Renzi, ha risposto così: «Lo stimo, non è un segreto. Ma al di là dei nomi serve un segretario che si occupi del partito sdoppiandolo dalla figura del premier e non escludiamo a priori di pescare da campi che non sono del tutto sovrapponibili alla politica. Qualcuno può escludere che in giro ci sia un giovane Prodi?».

Parole che, tra i dem, hanno provocato un piccolo terremotato. «Ha dato il benservito a Speranza»,è la frase più gentile che girava ieri. È vero che da tempo Bersani e tutta la minoranza sostengono la necessità di sdoppiare il ruolo di segretario e premier. Finora, però, non era mai stato specificato se Speranza, che da tempo si è candidato per sfidare Renzi al congresso, corresse per un ruolo o per l’altro. Bersani, ieri, l’ha chiarito via Repubblica: può andare bene come candidato alla segreteria. Ma per la premiership bisogna cercare qualcun’altro. Il «giovane Prodi», appunto.

Tra i dem circolano almeno due nomi che corrispondono all’identikit. Il primo è quello di Enrico Letta, legato a Bersani da antica amicizia, discepolo di Prodi (da qui l’espressione dell’ex segretario) e proprio ieri impegnato nella seconda edizione del summit Youth & Leader, organizzato dalla Scuola di Affari Internazionali di Sciences Po, presieduta dall’ex premier (un seminario con 600 ragazzi in cui si è parlato di migrazioni, crisi economica, diseguaglianze sociali). L’altro nome, invece, è quello di Bianca Berlinguer, ex direttrice del Tg3, ora conduttrice di un programma su Rai3 (Cartabianca) e soprattutto depositaria di un cognome che rappresenza un pezzo importante della sinistra. Profilo che potrebbe andare bene per Palazzo Chigi, ma anche per il Pd, magari in ticket con l’ex premier.

Letta, quando ha lasciato Palazzo Chigi e poi si è dimesso da parlamentare, ha sempre detto di non voler smettere con la politica, ma di aver scelto momentaneamente un’altra modalità. Senza contare che la possibilità di sfidare l’uomo che lo ha sostituito a Palazzo Chigi, potrebbe avere un suo fascino. Quanto alla Berlinguer, la minoranza dem da mesi la corteggia. Si era parlato di lei anche come possibile candidato per Roma.

L’uscita di Bersani nasce poi da un’altra riflessione: per aver una chance di battere Renzi al congresso, la minoranza deve andare aggregare pezzi dello schieramento renziano. Sia Letta, sia Berlinguer potrebbero ottenere i consensi di pezzi di sinistra dem che ora stanno con Renzi. Resta una domanda, che ieri in tanti si facevano: come l’avrà presa Speranza? Sarà stato informato, da Bersani, prima di leggere quelle parole su Repubblica? Si sa solo che ieri non ha commentato.

L'ultima porcata di Obama Libera la "talpa" di Wikileaks

Barack Obama grazia Manning, la talpa di Wikileaks



A tre giorni dalla fine del suo mandato Barack Obama ha commutato la pena a 35 anni di reclusione per spionaggio a Bradley - oggi Chelsea Manning, 29 anni, il caporale dell’esercito Usa che passò nel 2010 a Julians Assange 700.000 documenti segreti del dipartimento di Stato e della Difesa che Wikileaks rivelò al mondo nel 2010. Manning, che sarà liberato il prossimo 17 maggio, e che poi si sottopose a trattamento ormonale per cambiare sesso, è stato l’unico a pagare per la più grande fuga di notizia fino allo scandalo Nsagate di Edwaerd Snowden. Nei giorni scorsi Julian Assange aveva promesso che si sarebbe consegnato agli Usa se Obama avesse graziato Manning.

L'uomo che ha schiantato il Fisco Doveva 509mila euro: ne paga 54mila

Doveva 509mila euro al Fisco: grazie a una legge del Pdl ne paga solo 54mila



Doveva al fisco la bellezza di 509mila euro. Ma se l'è cavata pagando 54mila euro. Ossia, ottenendo uno sconto da Equitalia, incaricata della riscossione, di 455mila euro. Il fortunato protagonista di questa vittoria è un ex imprenditore al quale nel lontano 1993 era stato fatto un accertamento fiscale.

All'epoca l'uomo era titolare del 20% del maglificio di famiglia, poi fallito, e da lì era derivato il suo debito col fisco: 166mila euro cui sono poi state aggiunte le sanzioni (125mila euro), gli interessi di mora (187mila euro), l'aggio e gli oneri di riscossione (per altri 29.500 euro). Fino ad arrivare alla cifra monstre di 509mila euro, quando il debito era stato contestato. Da allora sono passati 25 anni. L'imprenditore è diventato un impiegato amministrativo che guadagna 1.700 euro e non possiede immobili. Imposssibile, per lui, come riporta il quotidiano Il Giornale, ripagare il debito.

Ma qui entra in gioco il suo avvocato, Pasquale Lacalandra del Foro di Milano, il quale va a rispolverare una legge numero 3/2012 sul Sovraindebitamento, promossa dal senatore del Pdl Roberto Centaro. Prevede, quella norma, che i debiti anche di natura fiscale siano ridotti in relazione alle concrete possibilità economiche del debitore. "Ho cercato di far ragionare i funzionari dell'Agenzia delle Entrate e grazie a quella legge siamo riusciti ad avere la meglio".

L'importo è stato determinato prendendo la busta paga del mio cliente e applicato la legge sul Sovraindebitamento, che prevede che lo Stato possa pignorare solo un decimo delle entrate di un suo debitore nel caso questi guadagni fino a 2.500 euro al mese. Questo decimo è poi stato moltiplicato per tutti i pignoramenti che gli sarebbero potuti arrivare fino all'età di 84 anni, considerata anche la pensione che il mio cliente percepirà al termine dell'attività lavorativa. Su questo ragionamento è stato trovato l'accordo con l'Agenzia.

Gli assegni per le famiglie povere? Schiaffo agli italiani: solo agli immigrati

Gli assegni per le famiglie povere vanno solo agli immigrati


di Andrea E. Cappelli



A Milano nel 2015 gli assegni familiari Inps previsti come sussidio per chi ha tre figli minorenni sono stati assegnati per l’80% a degli stranieri. Ad annunciarlo è Alessandro Morelli, capogruppo leghista a Palazzo Marino, intervenuto durante il Consiglio comunale di lunedì scorso. Nel capoluogo lombardo, su un totale di 3.175 famiglie che due anni fa hanno staccato l’assegno da 1.800 euro circa, gli italiani sono circa 700; se a questo si sommano l’assegnazione di case popolari, assegni familiari di altro tipo, contributi allo studio e alla sanità, la questione si fa seria. «Stiamo parlando di un numero eclatante, che segna l’ennesimo campanello d’allarme di una situazione dalla quale è urgente uscire», dichiara Morelli, che prosegue: «Alla luce di questi dati possiamo capire come la frase “gli stranieri ci pagano le pensioni” sia una barzelletta».

Due le proposte dei leghisti sul tema: la prima prevede la creazione di un database - da parte del Comune - per capire quali prebende pubbliche siano assicurate ad ogni famiglia. Inoltre - considerato che il limite Isee per accedere all’assegno sopracitato è di 8.555 euro all’anno - il consigliere comunale del Carroccio presenterà una mozione per imporre al sindaco di intervenire sul governo e attuare le politiche necessarie per dare la priorità ai reali bisogni della città: «È evidente che a Milano è impossibile vivere mantenendo tre figli con una cifra così bassa, chiederemo che ci siano verifiche a campione su chi richiede di accedere a questi assegni. Chi ne ha realmente diritto potrà continuare a proporre le richieste, per gli altri ci dovranno essere punizioni gravi perché distolgono ingenti quantità di risorse a chi rispetta le regole».

Sulla questione interviene anche l’assessore del Municipio 9 Pellegrini (Ln): «Credo sia ora di cambiare rotta anche nei Municipi, preoccupandoci delle povertà autoctone e pensando a provvedimenti che non estromettano le famiglie italiane in stato di disagio». La questione fa il paio con la volontà dei leghisti in Regione di abolire il «fattore famiglia». Per il 31 gennaio è prevista la discussione in consiglio del ddl proposto dai consiglieri di “Lombardia popolare” che punta a istituire il «fattore famiglia lombardo» come criterio per l’accesso alle politiche regionali, basandosi sul numero dei figli e che integra l’Isee nazionale,impostato sul reddito. Un welfare basato sul numero dei figli rischia di «penalizzare i lombardi» rispetto agli extracomunitari quindi per il Carroccio si tratta di una «discriminazione al contrario». Interpellato sulla questione, l’assessore al Welfare Majorino afferma che «l’82% dei cittadini seguiti dai servizi sociali, secondo i nostri dati presentati in commissione, è composto da italiani. La polemica nei nostri confronti è quindi ridicola. Su INPS è ovvio che le politiche sulle famiglie numerose oggi premiano le famiglie straniere. Questo è un fatto che non riguarda il Comune, ma è inevitabile se ci si ancora al numero dei figli». 

Il piano "diabolico" di Gentiloni Renzi è finito: come lo farà fuori

Renzi, il retroscena: ora dubita anche di Gentiloni



Paolo Gentiloni è tornato al lavoro dopo l'intervento al cuore più tonico che mai. È talmente in forma che ha persino detto che "bisogna rafforzare la squadra di governo, nominando dei nuovi viceministri". Come dire, io da qui non schiodo e l'esecutivo lo porto fino alla fine della legislatura... "Ma vuole governare fino al 2018?", si chiede infatti un renziano parlando al Giorno. Ed è proprio quello che si sta chiedendo Matteo Renzi.  

L'ex presidente del Consiglio ha paura anche per un'altra ragione. A ottobre ci sarà la "manovrona, (Legge di Stabilità) e sarà di 20 miliardi o scattano le clausole di salvaguardia", Iva e accise. Insomma, un diluvio di tasse. "Se andiamo al voto in autunno, o a scadenza naturale della legislatura (febbraio 2018, ndr), siamo fritti, ci massacrano", avvertono i suoi. Infine, c'è la questione del congresso del Pd che vedrà schierati contro Renzi sia la minoranza dem con i governatori Rossi ed Emiliano in prima linea sia i nuovi oppositori Franceschini e Orlando.

Renzi ha bisogno di andare al voto, "al più presto, il prima possibile". A costo di passare anche da un accordo con Forza Italia. Certo, bisognerà attendere la sentenza della Consulta. Ma sul piatto c'è anche la sentenza di Strasburgo: se il Cav tornasse candidabile dovrà passare per il voto del Parlamento, ergo ci vorranno i voti del Pd. 

martedì 17 gennaio 2017

De Luca massacra Renzi, le frasi bomba del governatore. E si fa il suo partito

Vincenzo De Luca lancia Campania Libera: verso l'addio al Pd di Matteo Renzi?



"Ad Afragola con Campania Libera insieme a liberi volontari della politica, non quella politicante ma quella della concretezza e della libertà". Poche parole, pronunciate da Vincenzo De Luca, per scaricare (o quasi) il Pd di Matteo Renzi e lanciare il suo movimento politico. Lo "strappo" del governatore della Campania si è consumato al Teatro Gelsomino di Afragola, in provincia di Napoli. E ancora, De Luca ha insistito su Facebook sulla necessità di "aprirsi ad altre forze, parlando ai giovani, ai professionisti e al tessuto produttivo, con un movimento di volontariato politico e civile visto che ci sono migliaia di persone che non si riconoscono nei partiti tradizionali". Il presidente della Campania, dunque, apre il fuoco contro il Pd e lancia la sua ultima personalissima sfida.

Il pm: "Stefano Cucchi fu assassinato" Un nuovo processo contro 3 carabinieri

Cucchi, inchiesta bis: "Fu assassinato". Nuovo processo contro tre carabinieri



Arriva, a otto anni dall'omicidio, l'ultima accusa contro i carabinieri che avrebbero ucciso Stefano Cucchi. È stata chiusa l'indagine bis sul caso: gli agenti Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco verranno processati per omicidio preterintenzionale. Insieme a loro, anche il maresciallo Roberto Mandolini, il comandante della stazione dei carabinieri Appia responsabile di falso verbale di arresto.

I tre sono stati indagati fin'ora per lesioni personali aggravate e hanno sempre ottenuto, sia in primo grado che in appello, solo assoluzioni. Il cambio d'imputazione mescola le carte in gioco: infatti con l'accusa di omicidio si apre un nuovo processo e soprattutto si evita la possibile prescrizione. Accogliendo questa nuova inchiesta il Tribunale di Roma avrà ora la possibilità di riscrivere la storia infinita di Stefano Cucchi.

Ad avvalorare la nuova ipotesi è stata la contraddittoria perizia del direttore dell'Istituto di Medicina legale di Bari, Francesco Introna, che aveva riconosciuto - in un testo molto contestato - che "le fratture traumatiche delle vertebre (di Stefano) ben possono aver determinato una condizione di vescica neurologica al punto che la stimolazione del nervo vagale ad esso connessa può aver accentuato la bradicardia di Cucchi fino all'esito finale".