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mercoledì 11 gennaio 2017

CHI COMANDA NEL M5S I due più potenti di Grillo: cosa sono capaci di fare

Chi comanda nel M5S. I due più potenti di Grillo: cosa sono capaci di fare



Dietro le quinte del Movimento Cinque Stelle ci sono due personaggi poco noti con un potere nelle mani enorme per il destino del partito grillino. A incidere sulle decisioni interne ai pentastellati non sono più di tanto i volti che spesso si vedono in tv, da Alessandro Di Battista a Luigi Di Maio. Nè quelli con incarichi più o meno di rilievo, come Roberto Fico che presiede la Commissione di Vigilanza Rai o il sindaco della capitale, Virginia Raggi.

Anche il ruolo svolto da Beppe Grillo ha più un valore simbolico in confronto ai due quasi sconosciuti. L'ex comico, scrive Italia Oggi, è sempre pronto a mettere la faccia quando è necessario fare ordine nelle faccende del Movimento, dal Codice etico alla proposta provocatoria del tribunale del popolo.

Sono tre in realtà gli uomini forti del M5S. Il primo naturalmente è Davide Casaleggio, che ha ereditato le chiavi del blog, ma soprattutto le redini dell'associazione Rousseau, la piattaforma web sulla quale confluiscono i contributi. Le altre due pedine cruciali però sono Massimo Bugani e David Borrelli, che insieme a Casaleggio sono a capo di Rousseau.

Bugani è il punto di riferimento grillino sulla via Emilia, dove negli ultimi anni ci sono state diverse epurazioni, non a caso. Bugani è consigliere comunale a Bologna, dove è stato candidato per due volte come sindaco. Con lui c'è Borrelli, imprenditore informatico del Trevigiano, primo consigliere comunale nel 2008 e da allora braccio destro di Casaleggio. Quest'ultimo sarebbe stato l'artefice del disastroso accordo, poi saltato, con il gruppo Alde, sul quale più di un retroscena voleva la Casaleggio Associati molto interessata per ambizioni d'affari nell'e-commerce.

Non solo Marcegaglia-De Benedetti Mps, altri nomi: chi si tiene i soldi

Mps, i grandi debitori: spuntano altri nomi


di Franco Bechis



Per ora chi dovrebbe fare luce sui crediti facili concessi da Mps non ha alcuna intenzione di svelare chi non ha restituito il dovuto all’istituto senese, e continua a difendere la privacy dei bidonisti, come ha fatto anche il nuovo amministratore delegato della banca, Marco Morelli: «Non possiamo fare quei nomi, altrimenti rovineremmo la loro reputazione». Di più: i vertici della banca hanno avvertito con una mail-circolare anche i propri dirigenti e dipendenti: se uscirà qualcuno di quei nomi, scatteranno inchieste interne e provvedimenti disciplinari. Ma il pressing mediatico e politico-istituzionale per fare pubblicare la lista di chi ha preso i soldi e non li ha restituiti è così alto e continuo che difficilmente lo scudo di Morelli potrà resistere a lungo. Anche perché se Mps si trova in queste condizioni e ancora una volta bussa alla porta dello Stato chiedendo un salvataggio pagato dai contribuenti, non poco è dovuto a quei 47 miliardi di sofferenze lorde che si sono accumulate in modo esponenziale negli ultimi anni proprio per il credito facile concesso a medie e piccole aziende.

Mentre il Monte si blinda, però qualche nome di quell’elenco Libero è in grado di farlo, grazie alla consultazione dei bilanci di alcuni clienti della banca senese e alle doverose comunicazioni alle autorità di vigilanza fatte in questi anni quando si è trattato di ristrutturare la posizione debitoria di alcuni di loro. Si tratta sempre di imprese che non hanno restituito quello che avevano ricevuto dalla banca, che in molti casi ha dovuto condonare parte del debito e concedere nuove linee di credito nella speranza di non perdere proprio tutto. In altri casi ha escusso i pegni che aveva, non rientrando quasi mai però dell’esposizione. In altri ancora Mps è stata costretta a trasformare il credito vantato in capitale azionario, concedendo poi nuova finanza a quella che era divenuta una parte correlata e partecipando alla copertura annuale delle perdite quando la situazione non si raddrizzava. Casi simili, dunque, a due di quelli già emersi in questi giorni: quello di Sorgenia, in cui Mps fu costretto ad entrare dopo avere dato senza possibilità di riaverli indietro 650 milioni di euro al gruppo che all’epoca era di Carlo De Benedetti, e quello del gruppo Marcegaglia esposto per decine di milioni di euro con la Banca agricola mantovana, controllata da Mps.

Nelle stesse condizioni si trovano altri rilevanti gruppi pubblici e privati. Così in quell’elenco dei cattivi pagatori sono entrati una dopo l’altra negli anni le più importanti cooperative rosse del mondo delle costruzioni e in qualche caso anche nel settore del consumo. Siccome non riuscivano a restituire più i soldi ricevuti essendo andato in crisi il loro mercato di riferimento, sia Mps che la omonima Fondazione sono entrate nel capitale di società di quei gruppi, iniziando una disavventura che di anno in anno è diventata più drammatica. Uno dei casi più significativi è stato quello del gruppo Sansedoni Siena spa, nato all’interno di Unieco e oggi proprio per i soldi non restituiti divenuto parte correlata della banca senese. Mps ha trasformato il credito vantato (25,9 milioni) nei confronti della capogruppo nel 21,75% del capitale, e poi ha concesso altri prestiti. Anche perché la stessa cosa è accaduta con società controllate a valle: Marinella spa, che non era in grado di restituire 26,9 milioni. Stessa situazione nei confronti di altre due controllate dirette o indirette dalla Sansedoni Siena: la Sviluppo ed Interventi immobiliari spa e la Beatrice srl in liquidazione, per cui è stato congelato un debito di 48,4 milioni di euro. L’esposizione complessiva del gruppo Sansedoni Siena nei confronti di Mps ammontava a giugno 2016 a 104,7 milioni di euro. Per restare ai difficili rapporti finanziari con il cliente Unieco, un altro debito di 20 milioni è in ristrutturazione fra Mps e la società di Reggio Emilia Le Robinie spa, che all’80% è controllata dalla coop di costruzioni e dove il restante 20% è diventato di proprietà di Mps proprio per la trasformazione dei crediti in azioni.

Altri 20 milioni di euro sono finiti nel calderone delle sofferenze non più recuperabili e riguardavano una società senese, la New Colle Srl, che è stata dichiarata fallita un anno fa dopo anni di tentativi di ristrutturazione da parte del gruppo Mps, che avevano anche portato a un ingresso nel capitale di Mps Capital services spa. Cifre inferiori, pari a 11,3 milioni di euro riguardano invece il gruppo Fenice della famiglia Fusi (quella della Baldini Tognozzi Pontello- Btp) e soprattutto le relative controllate immobiliari Una spa (hotel), Euro srl, Il Forte spa. Anche in questo caso prima di cercare di ristrutturare il debito Mps ha convertito parte dei prestiti non restituiti in quote di capitale, arrivando al 20,54% della Fenice holding spa sia attraverso la banca capogruppo (4,16%) che attraverso Mps Capital services (16,38%). Altri problemi con i privati sono arrivati dall’antico rapporto con il gruppo farmaceutico Menarini, ma in questo caso si è messa di mezzo anche una indagine della magistratura con il sequestro di beni e liquidità dell’azienda.

C'è poi il settore pubblico, che è una vera idrovora per Mps. Le società regionali o le municipalizzate toscane si sono rivelate un pozzo senza fondo, continuando a pompare risorse dalla banca, poi costretta ad entrare nel loro capitale quando i soldi non venivano restituiti. Così è accaduto con Fidi Toscana spa (27,46% del capitale in mano a Mps), per cui ancora il 31 agosto scorso è stato garantito un ulteriore affidamento di 98 milioni di euro. C’è una esposizione di poco inferiore ai 10 milioni di euro, già più volte ristrutturata e allungata con la concessione di nuova finanza, con le Terme di Chianciano, e analoghi problemi ci sono stati con l’Interporto Toscano A. Vespucci spa, dove è stato convertito in azioni un credito vantato e non pagato di 4,8 milioni di euro.

Per restare al settore pubblico una delle maggiori spine di Mps viene dalla capitale: le municipalizzate del comune di Roma oggi guidato da Virginia Raggi (che c’entra poco però con quei debiti). Ci sono state rimodulazioni del debito con Acea e Metro C, ma i veri problemi vengono dall’Atac, la società di trasporto locale della capitale. Mps aveva partecipato con altre 3 banche a un finanziamento in pool nel 2013 per più di 200 milioni di euro, che è poi è stato rischedulato a 163 milioni di euro nell’autunno scorso, davanti alla evidente impossibilità di Atac di ripagare il dovuto. Il rischio per la banca senese in questo caso è intorno ai 30 milioni di euro. Ma i casi qui citati sono solo una piccola punta di quell’iceberg che sta per venire fuori.

martedì 10 gennaio 2017

Commercialisti, Napoli ha votato per Massimo Miani alla presidenza nazionale

Commercialisti, Napoli ha votato per Massimo Miani alla presidenza nazionale


Massimo Miani

NAPOLI - Il Consiglio dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Napoli, presieduto da Vincenzo Moretta, si è riunito per l’elezione del Consiglio Nazionale ed ha espresso il proprio voto a favore della lista “La professione verso il futuro - Qualità e partecipazione” del candidato presidente Massimo Miani, che conta tra i suoi candidati anche il segretario nazionale uscente Achille Coppola.

"L'Ordine di Napoli è stato il primo a sollecitare la nascita di un percorso in grado di proiettare la professione verso il futuro con una autorevolezza sempre maggiore - ha sottolineato Moretta - L'obiettivo è quello di puntare su due capisaldi, professionalità e trasparenza".

Lapo, a 15 giorni dal processo un'altra disgrazia: quella scoperta sul suo passaporto

Lapo, la rinuncia al passaporto americano che può pesare nel processo



Il 25 gennaio inizierà a New York il processo a Lapo Elkann per il finto sequestro, la torbida vicenda di trans e droga che lo ha travolto nella Grande Mela. Guai in vista, insomma. E questa non è una novità. Semmai, come nota Dagospia, questi guai potrebbero essere peggiori del previsto. Già perché Lapo tempo fa ha rinunciato formalmente alla cittadinanza e al passaporto americano, e ha ammesso di averlo fatto per motivi fiscali (il fisco a stelle e strisce, è cosa nota, non è di "manica larga" come quello tricolore). Un "dettaglio", quello della rinuncia al passaporto Usa, che potrebbe influire negativamente sulla giuria americana, tanto che "pare che dall'entourage di Lapo non vogliano che questo emerga pubblicamente quando ci sarà il dibattimento".

Nola I malati come animali: li curano così Le foto-scandalo dell'ospedale italiano

All'ospedale i malati li curano sdraiati a terra: la foto-scandalo che indigna l'Italia



L'immagine, sconcertante, arriva direttamente dall'ospedale Santa Maria della Pietà di Nola, nel napoletano. Lo scatto è stato postato su Facebook e in pochissimo tempo ha fatto il giro di tutto il Paese: "Ecco come vengono curati e dove mettono i pazienti all'ospedale di Nola", recita la didascalia.

Con la foto sono arrivate anche altre testimonianze di chi ha vissuto sulla propria pelle quanto immortalato nella foto: "Sono stata sette giorni su dieci su una barella e un medico mi disse Signora pregate", racconta una donna. Il deputato Paolo Russo di Forza Italia annuncia un'interrogazione parlamentare nei confronti del governatore della regione Campania: "Altro che De Luca commissario alla Sanità, mi interessa che prima di ogni manfrina politica si restituisca dignità ai miei concittadini. Se il Santa Maria della Pietà deve funzionare in questo modo è meglio chiuderlo perché di ospedali così si muore". Accuse pesanti, e sulla stessa linea continua Gioacchino Alfano, sottosegretario alla Difesa e coordinatore regionale dell'Ncd in Campania: "Chiedo di prendere provvedimenti seri, ho sentito il ministro Lorenzin e mi ha assicurato che manderà gli ispettori".

Dopo le polemiche è arrivata anche la risposta di Vincenzo De Luca, che ha annunciato l'apertura di un'indagine interna per accertare la veridicità dei fatti e riconoscere tutte le responsabilità.

Migliaia di soldati ai confini della Russia: Europa, scattata l'"operazione suicidio"

Nato, al via l'operazione Atlantic Resolve: 7.000 soldati ai confini della Russia




L'ultimo regalo di Barack Obama all'Europa e al mondo è una mossa che aumenta, se possibile, la tensione con la Russia. È iniziata l'operazione Nato Atlantic Resolve, il più grande dispiegamento di forze militari americane dai tempi della Guerra Fredda. Quattromila soldati schierati nei Paesi baltici, Polonia, Romania, praticamente sui confini russi. Tank pesanti Abrams, specifica Repubblica, cui si aggiungono altri tremila soldati d'élite britannici, canadesi, tedeschi, mille per ciascun paese. Un contingente che ha un obiettivo immediato: raffreddare le mire di Mosca sui Paesi confinanti e mandare un segnale pesante dopo l'aggressiva politica estera di Vladimir Putin in Crimea e Ucraina orientale. A richiedere con forza il presidio Nato sono stati soprattutto i tre Stati baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, preoccupati per l'influenza e la destabilizzazione che il Cremlino potrebbe mettere in atto attraverso le importanti minoranze russe presenti nei propri territori. E se gli Stati baltici sono fondamentalmente privi di un esercito in grado di reggere l'urto di una pressione russa, non è da sottovalutare come anche uno Stato militarmente forte come la Polonia accolga a braccia aperte l'arrivo dei soldati Nato, segno che sul confine orientale d'Europa si vive ormai da mesi in un clima di inquietante allerta, quasi una attesa del peggio. "Parallelamente al riarmo atomico mondiale", conclude Repubblica, non si prospetta un 2017 di dialogo e pace. E sarà Donald Trump, tra pochi giorni presidente degli Stati Uniti a tutti gli effetti, a dover sminare il campo su cui si muovo Unione europea e Putin. Ne sarà capace? O meglio: ne avrà intenzione?

Lo "sputazzo" della Boldrini a Renzi: prima gli dà del fallito, poi si candida

Laura Boldrini contro l'ex Premier Matteo Renzi: "I bonus non bastano, la politica cambi. Se scendo in campo? Non smentisco"




C'è chi sostiene che, un giorno, possa candidarsi a premier (voci che, come leggerete tra qualche riga, in un qualche modo conferma lei stessa). Altre voci ben più insistenti affermano che Laura Boldrini, al termine di questa legislatura, non abbia intenzione, affatto, di lasciare il palcoscenico politico. E un'intervista concessa a Repubblica sembra confermare il lotto di queste ipotesi. Già, perché la presidenta parla da candidata. E - sorpresa - si toglie la soddisfazione di bastonare l'ex premier, Matteo Renzi.

"Non abbiamo ancora cambiato passo - premette -, non c'è stata una analisi adeguata della vittoria del No al referendum costituzionale di un mese fa. È stata archiviata un po' troppo velocemente questa pratica. I cittadini italiani hanno chiesto nuove politiche su quello che gli sta più a cuore: lavoro, welfare, meno burocrazia, più servizi, certezza dei diritti". E ancora: "Non bastano bonus temporanei. I dati del voto dei giovani e del Sud lo dicono chiaramente". Ovvio il riferimento agli 80 euro e alle altre - vere o presunte che siano - manche elettorali concesse da Renzi.

Parole nette contro l'ex premier, insomma. Poi anche bozze del suo programma: "Ci vuole un reddito di dignità - afferma lady Boldrinova -, che dovrebbe essere europeo, mirato alle categorie più bisognose. Sarebbe uno strumento di cittadinanza europea, cambierebbe la percezione dell'Unione: l'Europa continente dei diritti che non lascia nessuno indietro". Ma è quando le viene chiesto in modo diretto se sarà lei la candidata di Pisapia alle primarie del centrosinistra che, leggendo la risposta, viene un brivido: "Non mi sento di fare previsioni, per me quello che conta è ragionare sui programmi e sulle priorità". Insomma, non smentisce. Ovvero, di fatto, conferma: si farà chiamare la "premiera?".