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lunedì 9 gennaio 2017

Il genio Stephen Hawking compie 75 anni Il commovente messaggio: "L'universo..."

L'astrofisico Stephen Hawking compie 75 anni. Il commovente messaggio



È stato straordinario essere ancora vivo e aver potuto lavorare al campo della cosmologia. Sono felice se sono stato in grado di dare un contributo alla comprensione dei buchi neri e dell'origine dell'universo". Inizia così il messaggio con cui l'astrofisico Stephen Hawking, su Facebook, ha festeggiato pubblicamente il suo 75esimo compleanno. Paralizzato da anni e in grado di comunicare con gli altri solo attraverso una macchina, Hawking è stato negli ultimi 50 il più famoso astrofisico del pianeta. Ciononostante, ha riservato alla sua famiglia e ai suoi amici il suo ringraziamento più grande: "universo vuoto, tuttavia, se non fosse per la mia famiglia e i miei amici. Quindi oggi che raggiungo il mio 75esimo compleanno, è il momento per me di dire grazie a tutti coloro che hanno contribuito e mi hanno sostenuto lungo la strada e hanno reso il mio universo così pieno di vita, amore e energia"

Occhio: Gentiloni demolisce la Boschi Che cosa le ha fatto: è guerra aperta

Gentiloni, le nomine e i "no" a Boschi: così vuole arginare il suo potere



Paolo Gentiloni, nel suo governo, si è ritrovato Maria Elena Boschi e non lo ha mai gradito. Non lo ha mai detto, ovviamente, ma le cronache e le ricostruzioni di stampa hanno dato conto in tutte le salse del disappunto del premier. E infatti, Gentiloni, nell'ombra sta manovrando da tempo per arginare i poteri della Boschi, e dunque per arginare in un qualche modo l'influenza di Matteo Renzi. Obiettivo, scongiurare il voto anticipato ad ogni costo, tanto che in molti danno per certo che il premier arriverà allo scontro con il segretario Pd proprio sulla data delle elezioni. Ma tant'è, per ora i fari sono puntati sulla Boschi, "promossa" a sottosegretario dopo quel ko al referendum che, si ipotizzava, la avrebbe allontanata dalla politica quantomeno fino al ritorno alle urne.

E su come Gentiloni stia lavorando per arginare la Boschi dà utili coordinate Il Fatto Quotidiano, sul quale si legge che per sottrarre parte del potere all'ex ministro delle Riforme, il premier ha respinto un paio di nomine boschiane. Dunque, i nomi. Si parla di Cristiano Ceresani, che non è stato nominato a responsabile del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (dove resiste Antonella Manzione, comunque in procinto di andare al Consiglio di Stato). Dunque la seconda non-nomina, quella di Roberto Cerreto a vicesegretario generale: Gentiloni ha detto "no" perché la Boschi può già contare su Paolo Aquilanti, segretario generale.

Ma non è tutto. L'assedio di Gentiloni a Maria Elena continua. Infatti senza interpellarla il premier ha confermato i vicesegretari Luigi Fiorentino e Salvo Nastasi, e nelle prossime settimane indicherà un terzo vicesegretario a lui vicino per riempire lo spazio lasciato da Raffaele Tiscar. E ancora, secondo Il Fatto, Gentiloni avrebbe costruito una sorta di struttura parallela, un gabinetto all'americana da riempire con consulenti strategici, e che fa capo ad Antonio Funcinello, ex collaboratore di Luca Lotti ma anche ex portavoce di Gentiloni al tempo in cui si candidò a sindaco di Roma, perdendo (e di brutto) le primarie.

Queste le mosse del presente. Ma ci sono anche altri progetti che riguardano l'imminente futuro, il secondo mese di governo. Gentiloni infatti sta pianificando il suo primo tour per le capitali europee, interviste in tv e ai giornali. E non solo, stringe i contatti con il Vaticano attraverso il cardinale Pietro Parolin, e lo fa senza coinvolgere la Boschi. Gentiloni, insomma, in silenzio plasma il suo governo e cerca di ottenere le condizioni necessarie affinché il suo stesso governo possa resistere.

Strano silenzio su De Benedetti & C. La vergogna dietro il crac di Mps

Mps tace su chi l'ha rovinata per salvargli la reputazione


di Franco Bechis



Una sola volta in tanti anni i vertici del Monte dei Paschi di Siena hanno accettato di rispondere a un azionista che chiedeva dettagli sui crediti incagliati, quei prestiti facili non restituiti secondo gli accordi, che oggi ammonterebbero a poco meno di 50 miliardi di euro lordi e sono una delle prime ragioni del dissesto dell’istituto. Quella risposta venne fornita per iscritto al socio Pietro Augusto Zappitelli che aveva inviato ai vertici della banca le sue domande il 29 aprile 2014. Il suo secondo quesito era questo: «Vorrei conoscere le esposizioni in atto con Sorgenia e la Carlo Tassara di Roman Zalesky, se trovano posto nei crediti deteriorati e se sì in quali classi sono allocate». La banca rispose sinteticamente, però fornendo i numeri: «Gruppo Sorgenia 650 di cui Sorgenia spa esposizione 277,9. Stato amministrativo: incaglio con ristrutturazione in corso per Sorgenia spa. Carlo Tassara (Zalesky): esposizione 38,3 di cui 23 con garanzia reale (pegno titoli) + 46 milioni strumenti finanziari partecipativi. Stato amministrativo: ristrutturata».

Per avere qualche altro nome della lista di creditori che hanno preso i soldi da Mps e non li hanno restitutiti, bisogna scartabellare le pagine della relazione conclusiva (quella di maggioranza, firmata Pd, e quella di minoranza firmata M5S, Lega e Sì-Toscana a sinistra) della commissione di inchiesta su Mps del consiglio regionale toscano. Si scopre che solo il 30% dei crediti in sofferenza sono inferiori a 500mila euro (concessi a famiglie, pmi e microimprese), mentre «più della metà delle sofferenze nette è relativa ad attività di oltre un milione di euro, quindi operazioni effettuate da gruppi od enti di grandi dimensioni». La relazione cita un intervento assembleare di un soci, P.F.Falaschi, che sostiene che «l’81% dei crediti inesigibili è in mano ai grandi gruppi», e dopo il caso Sorgenia ne aggiunge un altro, quello del finanziamento concesso al pastificio Amato «che a un certo punto era ormai incagliato. Allora aveva bisogno di un miliardo, e dice: come si fa a dargli un miliardo? Costituiscono una società che si chiama Nuovo Amato e che ora fra l’altro è stata dichiarata fallita, e c’è il processo di bancarotta per questo miliardo, che è sparito».

Sempre la commissione di inchiesta scrive che parte delle sofferenze della banca senese ha origine in rapporti più o meno incestuosi con la politica e le istituzioni locali. Il presidente della giunta regionale, Enrico Rossi, da tempo tuona per avere l’elenco delle prime 100 posizioni in sofferenza e più in generale di tutti quelli che hanno preso i soldi da Mps e se la sono di fatto data a gambe. Rossi dovrebbe guardarsi un po’ allo specchio e un po' negli immediati dintorni, perché a causare non piccola parte dei guai della banca c’era la Regione che lui oggi guida. La commissione di inchiesta sintetizza: «Ha potuto inoltre verificare che parte dei crediti deteriorati di Monte dei Paschi di Siena sono riferibili a partecipate della Regione Toscana come Fidi Toscana, Interporto Toscano A Vespucci spa...) o società partecipate da altri enti pubblici». La sola Fidi Toscana, in cui Mps è entrata al 27,46%, ha fatto lanciare l’allarme alla commissione di inchiesta preoccupata «nel riconoscere che abbia di fatto incrementato i suoi crediti deteriorati, con particolare riguardo alle inadempienze probabili, cresciute in dieci anni del 2.364% e soprattutto le sofferenze cresciute nel medesimo periodo del 1.073%. L’incidenza di Mps sullo stock di tali crediti deteriorati di Fidi Toscana è triplicato per le inadempienze probabili e otto volte maggiore per le sofferenze nell'ultimo decennio». Ma il caso Fidi Toscana non è l’unico, perché nella stessa situazione sono molte altre aziende pubbliche nella regione. Come l’Aamps spa del comune di Livorno, indebitata per 8 milioni e oggi in concordato preventivo.

Ad ogni assemblea i piccoli azionisti si scatenano per avere quella lista dei grandi favori alle grande imprese che hanno preso i soldi e non li hanno restituiti alla banca senese. Ma ogni volta si trovano di fronte il muto di gomma dell’amministratore delegato di turno. Ecco Fabrizio Viola il 15 settembre 2015: «Mi è chiaro il richiamo a perseguire i casi di mala gestio nell'erogazione del credito. In proposito posso assicurare che non ci sono interessi ad ostacolarla. Anzi, c'è piena determinazione. Il problema è che bisogna avere dei dati oggettivi, perché altrimenti si rischia di fare un danno, piuttosto che un benficio alla banca». Capite che se l’ad non ha dati oggettivi sulla gestione del credito, ci si può rivolgere solo allo Spirito Santo per avere qualche lume. La musica non è cambiata con il nuovo amministratore, Marco Morelli, che nell’assemblea del 24 novembre 2016 ha risposto picche alle domande su quell’elenco: «Faccio presente che ai sensi della disciplina vigente e precisamente per la legge sulla privacy, non è possibile fornire i nominativi dei soggetti cui si riferiscono i crediti in sofferenza, che riceverebbero un significativo danno reputazionale dalla diffusione di tali informazioni». Quelli fanno i danni e fregano milioni di persone, ma devono essere coperti perché ne va della loro reputazione. Morelli però in quella assemblea una piccola antica cosa rivela. Un azionista chiede se è vero che è stata finanziata la Fondazione Clinton per 250 mila euro. Lui risponde che è in parte falso: Mps ha donato alla Fondazione Clinton nel 2004 100 mila euro per combattere l'Aids in Africa. Soldi andati via, e sul perché abbiano preso quella destinazione che assai poco c’entra con Siena, nessuno spiega.

domenica 8 gennaio 2017

Napolitano al Colle, un disastro Ecco i numeri che lo inchiodano

Napolitano al Qurinale: crollata del 22% fiducia degli italiani nel Colle



Un disastro. Una autentica debacle. Di più, un danno inestimabile al Paese. E' quello che Giorgio Napolitano ha procurato alla massima istituzione politica del nostro Paese: la presidenza della Repubblica. A dirlo non è un Matteo Salvini o qualche altro storico oppositore di Re Giorgio, ma un sondaggio effettuato da Demos e illustrato da un quotidiano come "La Repubblica". Spiega, quella indagine, quale sia il livello di fiducia degli italiani nelle istituzioni del Paese.

E il dato relativo alla Presidenza della Repubblica è imbarazzante. Certo, il Capo dello Stato è ancora al quarto posto tra le realtà in cui gli italiani credono di più, dietro al Papa, alle forze dell'ordine e alla scuola. Ma l'indagine Demos rivela come tra il 2010 e il 2016 gli italiani che hanno fiducia nel Colle sono crollati del 22%, dal 71 al 49%. Colpa forse dell'ultimo arrivato al quirinale, il grigio e noioso Sergio Mattarella, salito al Colle poco più di un anno fa? No, perchè Demos mostra come tra 2015 e 2016 l'indice di gradimento del Presidente sia rimasto fisso al 49%.

Il che significa che lo sfascio della credibilità del Quirinale, sceso sotto la soglia del 50%, è tutto attribuibile a Napolitano e alla sua interminabile permanenza in carica e alle sue scelte come quelle, solo per fare due esempi, che hanno portato al potere di Monti prima (2011) e Renzi poi (2013). Gli italiani, interrogati, non gliele hanno perdonate.

Garlasco, c'è qualcosa che non torna: Sempio e Stasi, "dettaglio" inspiegabile

Su Stasi e Sempio stessi indizi: perché uno è in cella e l'altro no?


di Cristiana Lodi



Domanda lecita: per quale motivo Alberto Stasi, il 12 dicembre 2015, viene condannato dalla Cassazione che conferma la pena a 16 anni, inflitta nell' Appello bis un anno prima? Basta leggere le motivazioni depositate dalla stessa corte di Cassazione (il 21 giugno 2016) per rendersi conto che la risposta alla suddetta domanda, di fatto, sfugge. Perché manca la prova regina; nonostante il biondino di Garlasco sia stato dichiarato colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Colpevole, si legge, senza che abbia però voluto infliggere alla fidanzata sofferenze aggiuntive oltre a quei 17 colpi che le hanno massacrato il cranio. E sferrati in un raptus, senza alcuna programmazione preventiva sempre per usare le parole della Corte. Uno scenario che spiegherebbe l' assenza di crudeltà da parte di Alberto, giustificando così la condanna a 16 anni invece che all' ergastolo (seppur con la riduzione derivante dal rito abbreviato).

Ma "sfumature" procedurali a parte, è curioso constatare come le motivazioni della condanna di Stasi, di fatto, descrivano uno scenario del tutto indiziario, privo della cosiddetta prova regina.

Alberto infatti, secondo gli ermellini è l' assassino perché, testuale: Ciascun indizio risulta integrarsi con gli altri come in un mosaico, fino a creare un quadro d' insieme convergente verso la colpevolezza. Alberto, per i giudici supremi è l' assassino perché, testuale: Le modalità emergenti dalla scena del crimine si presentano tali da rivelare l' esistenza di un "pregresso" tra vittima e aggressore tale da scatenare il raptus omicida. Alberto, stando alle toghe di piazza Cavour è l' assassino perché, testuale: Quando trova il corpo senza vita, sostenendo di avere attraversato i locali della villetta dell' omicidio, al suo passaggio non modifica le macchie di sangue sul pavimento e sulle sue suole non resta traccia di residuo ematico. Inoltre lui descrive la vittima, al momento del suddetto ritrovamento, bianca in volto invece che ricoperta di sangue. Alberto, secondo il collegio giudicante è l' assassino perché, testuale: La superficialità e gli errori compiuti durante le indagini hanno fatto sì che non venisse sequestrata nell' immediatezza la bicicletta nera da donna di famiglia. Un anello mancante, come il movente, di cui la corte d' Appello che ha condannato, si è fatta carico.

A leggere questi motivi, forse si comprendono le ragioni per le quali, il procuratore generale (l' accusa) prima del verdetto tombale, avesse chiesto di annullare la condanna. E probabilmente non è un caso che Stasi sia stato (oltre che subito scarcerato dal gip per mancanza dei gravi indizi) assolto in primo e secondo grado; prima che la Cassazione annullasse e rinviasse a un secondo appello. Poi chiuso con la condanna definitva.

A distanza di un anno da quel verdetto, il consulente della difesa: Pasquale Linarello, rilegge il Dna trovato sotto le unghie di Chiara e lo attribuisce invece che a Stasi ad Andrea Sempio. Che viene indagato dalla procura di Pavia. Mentre alla corte d' Appello di Brescia viene chiesto di riaprire il processo, alla luce di quella nuova prova. Ossia il Dna. E qui si apre il bivio. Dice il perito Francesco De Stefano che, in sede di processo bis, esaminò quella traccia: Si sa che è di un maschio ma non si può dire a chi appartenga; anzi non si può nemmeno escludere che sulle unghie della vittima ci siano tracce di Stasi. Ancora: quel Dna è così poco e degradato da non poter essere comparato con nessuno. Né ora, né mai. Chiuse così il genetista De Stefano. Un ostacolo non irrilevante, perché le conclusioni (contrarie) del collega Linarello, forse non potranno essere confermate. Ma neanche smentite. Dunque? Il dubbio resta.

E non è l' unico. Anzi, a ben guardare, quanto finora emerso dall' indagine appena cominciata nei confronti del nuovo indagato, sembra indebolire l' impianto indiziario che ha portato alla condanna di Stasi. Rendendo più pungente la presunta nuova prova del Dna, su cui si fonderà la risposta della corte d' Appellodi Brescia chiamata a decidere se riaprire il processo. Dalle carte consegnate al pm che indaga su Andrea Sempio, salta fuori che questi il giorno del delitto era a Garlasco. A dispetto del tagliando di un parcheggio di Vigevano da egli stesso consegnato a scopo preventivo ai carabinieri a oltre un anno dall' omicidio. Emerge poi che Sempio aveva cercato Chiara nei giorni del delitto, sapendo che era a casa da sola. Risulta anche che lui all' epoca aveva i capelli lunghi e castani, come quelli di Chiara.

Capelli uguali a quei 7 privi di bulbo e rimasti senza nome, trovati accanto al corpo. Si chiederà di sequestrare la bici dell' indagato? Quella stessa che, come dichiara la mamma di Chiara, Sempio usava per andare a casa loro? Si sentiranno i due testimoni che, all' epoca misero a verbale (uno di questi ritrattò per ragioni mai chiarite) che davanti alla casa dei Poggi, all' ora del delitto c' era una persona con i capelli lunghi a caschetto che sembrava una donna? Sempio, come conferma il fratello di Chiara, frequentava casa Poggi e la camera di lei, usando anche il suo pc. Il computer compare sempre sulla scena del crimine. È successo anche con Stasi. Nel suo caso, il pc, gli aveva offerto un alibi non considerato tale dalla Cassazione. Chiara muore fra le 9 e12 e le 9 e 35.

Alberto alle 9 e 35 accende il pc di casa. Poteva, in 23 minuti, andare (con una bici mai identificata) a casa della fidanzata distante due chilometri, litigare, scatenare il raptus omicida, sferrarle 17 colpi, gettarla in fondo a una scala, pulirsi e tornare a casa per accendere il computer e guardare un film porno? Lui ha lasciato zero tracce sulla scena del crimine. Dove però c' è l' orma di una scarpa numero 42. Lo stesso che calzerebbe Andrea Sempio.

Italia, dove sventolano bandiere Isis L'orrore a pochi km dalla tua casa

Albania, sventolano le bandiere dell'Isis a 100 km dalle nostre coste


di Gianluca Veneziani



E adesso chiamatela Albanislam. O, ancor peggio, Albanisis. Non è più solo la Bosnia l’estrema frontiera occidentale dello Stato Islamico o la sua sua roccaforte europea, ma lo sta diventando l’Albania. La terra da cui, oltre 25 anni fa, migliaia di albanesi si imbarcarono per fuggire la miseria dopo la fine del regime comunista e trovarono accoglienza in Puglia. E nella quale oggi un altro regime, altrettanto spietato, sta attecchendo, di matrice non più ideologico-politica, ma religiosa. Parliamo dell’islam radicale che, in quell’enclave musulmana nel cuore dei Balcani, ottiene sempre più proseliti, giungendo a minacciare l’Italia sua dirimpettaia, e rischia di diventare una polveriera per la Puglia. Che da quella dista un braccio di mare, gli 85 chilometri del Canale di Otranto, città dove nel 1480 si consumò una delle stragi più tremende compiute dall’islam, l’uccisione da parte degli ottomani di 800 persone, «colpevoli» solo di essere cristiane...

Il nastro si riavvolge e la storia si ripete, con tutti i suoi profili più inquietanti. Oggi il Sud-est dell’Albania è terra di nessuno, dove spadroneggiano il Califfo e la sua predicazione più violenta. In diversi villaggi, come Leshnica, Rremeni e Zagorcan, già sventola la bandiera dell’Isis. Proprio a Leshnica operava Almir Daci, uno degli imam albanesi più pericolosi, che ha reclutato centinaia di musulmani e poi è partito come combattente per la Siria, dove sarebbe morto lo scorso aprile. Ma, oltre a lui, altri dieci imam vengono da tempo «attenzionati» dai servizi albanesi come «fortemente pericolosi». Ci sono poi almeno mille foreign fighters di etnia albanese, il numero più alto d’Europa, di cui 900 proverrebbero dal Kossovo, 150 dall’Albania e una cinquantina dalla minoranza albanese di Macedonia. Oggi, dopo i contraccolpi militari subiti dall’Isis, molti di essi restano in patria a radicalizzarsi. E ciò rappresenta una minaccia ulteriore per il nostro Paese.

Il neo-estremismo jihadista albanese, infatti, rischia di diventare merce di esportazione, anziché per il Medioriente, proprio per la Puglia, che accoglie già una folta comunità albanese, distribuita nel barese ma anche in alcuni paesi del Salento. Era proprio dell’Albania Ervis Alinj, giunto in Puglia piccolissimo e poi tornato in patria dove ha deciso di andare a combattere e morire un paio di anni fa in Siria. E sono albanesi esponenti della malavita barese, molto attivi nel traffico di armi e stupefacenti. Il rischio, secondo gli inquirenti, è che si crei un incrocio tra criminalità organizzata e terrorismo islamico, tra «mafie» locali e jihadismo.

Il problema, infatti, è la maggiore facilità di accesso nel nostro continente grazie ai porti, dove i controlli continuano a essere meno rigidi rispetto agli aeroporti. Non è un caso che proprio dal porto di Bari era transitato Salah Abdeslam, uno degli autori della strage di Parigi. E sempre da Bari era passato nel 2009 Raphael Gendron, ingegnere belga, considerato vicino alle cellule jihadiste, fermato, processato e poi assolto, e infine morto in Siria da miliziano nel 2013. Andando a ritroso nella storia, Bari è stato anche il porto dal quale sarebbero transitati i militanti dell’Uck che, durante la guerra in Kosovo nel 1999, portavano armi per sostenere l’indipendenza kossovaro-musulmana.

Ecco perché è aumentata la sorveglianza in Puglia: oggi il porto di Bari, considerato possibile scalo per i combattenti in Medioriente o approdo per i foreign fighters di ritorno, ha un sistema all’avanguardia di registrazione dei passeggeri che consente di verificare alle forze dell’ordine, in tempo reale, l’identità di chi viaggia e le tappe dei suoi spostamenti. Naturalmente non basta, perché uno zoccolo duro di potenziali radicalisti si è già insediato nella comunità locale. Si pensi al tunisino Choukri Chafroud, complice dello stragista di Nizza Mohamed Bouhlel e per anni vissuto a Gravina di Puglia; o all’iracheno Muhamad Majid, arrestato a Bari nel 2015 in quanto presunto componente della cellula di Ansar al Islam.

A questo scenario ora si aggiungerebbe il nuovo radicalismo di origine albanese. Per rispondere alla minaccia, ci vorrebbe la determinazione di un Giorgio Castriota Scanderbeg, tuttora considerato eroe nazionale in Albania, il quale - alla metà del ’400 - riuscì, in nome della cristianità, a bloccare l’avanzata dei turchi verso l'Europa. Ora come allora infatti, in Albania, Tira’na brutta aria...

La passione nazista del capo dei vigili Il disastro: ecco come si mostra / Foto

Piacentini, il capo dei vigili su Facebook con la divisa della SS: un terremoto



Su Facebook con la divisa nazista delle «SS». Protagonista dello scatto Giorgio Piacentini, 55 anni, nonché capo dei vigili urbani di Biassono, comune della provincia Monza-Brianza. «Se ripristinassimo le Ss, risolveremmo tanti problemi», risponde a chi ha espresso dubbi sull’iniziativa. L’immagine da «SS» è stata postata venerdì sera. Poi, dopo 24 ore e le proteste, è stata rimossa. Ma non le polemiche. L’Anpi Brianza ha inviato un esposto al prefetto di Monza, il sindaco del piccolo comune, il leghista Luciano Casiraghi, si è detto indignato. «È inammissibile che un ufficiale pubblico della Repubblica italiana vesta abiti nazisti. Sono esterrefatto e sto valutando con la giunta se è il caso di rimuovere il comandante dall’incarico». Mentre lui, in diretto interessato, chiosa: «Non ho nessuna simpatia con il nazismo. Sono appassionato di storia e sono socio dei “The Green Liners”, l’associazione che rievoca soldati in divisa».