Mps tace su chi l'ha rovinata per salvargli la reputazione
di Franco Bechis
Una sola volta in tanti anni i vertici del Monte dei Paschi di Siena hanno accettato di rispondere a un azionista che chiedeva dettagli sui crediti incagliati, quei prestiti facili non restituiti secondo gli accordi, che oggi ammonterebbero a poco meno di 50 miliardi di euro lordi e sono una delle prime ragioni del dissesto dell’istituto. Quella risposta venne fornita per iscritto al socio Pietro Augusto Zappitelli che aveva inviato ai vertici della banca le sue domande il 29 aprile 2014. Il suo secondo quesito era questo: «Vorrei conoscere le esposizioni in atto con Sorgenia e la Carlo Tassara di Roman Zalesky, se trovano posto nei crediti deteriorati e se sì in quali classi sono allocate». La banca rispose sinteticamente, però fornendo i numeri: «Gruppo Sorgenia 650 di cui Sorgenia spa esposizione 277,9. Stato amministrativo: incaglio con ristrutturazione in corso per Sorgenia spa. Carlo Tassara (Zalesky): esposizione 38,3 di cui 23 con garanzia reale (pegno titoli) + 46 milioni strumenti finanziari partecipativi. Stato amministrativo: ristrutturata».
Per avere qualche altro nome della lista di creditori che hanno preso i soldi da Mps e non li hanno restitutiti, bisogna scartabellare le pagine della relazione conclusiva (quella di maggioranza, firmata Pd, e quella di minoranza firmata M5S, Lega e Sì-Toscana a sinistra) della commissione di inchiesta su Mps del consiglio regionale toscano. Si scopre che solo il 30% dei crediti in sofferenza sono inferiori a 500mila euro (concessi a famiglie, pmi e microimprese), mentre «più della metà delle sofferenze nette è relativa ad attività di oltre un milione di euro, quindi operazioni effettuate da gruppi od enti di grandi dimensioni». La relazione cita un intervento assembleare di un soci, P.F.Falaschi, che sostiene che «l’81% dei crediti inesigibili è in mano ai grandi gruppi», e dopo il caso Sorgenia ne aggiunge un altro, quello del finanziamento concesso al pastificio Amato «che a un certo punto era ormai incagliato. Allora aveva bisogno di un miliardo, e dice: come si fa a dargli un miliardo? Costituiscono una società che si chiama Nuovo Amato e che ora fra l’altro è stata dichiarata fallita, e c’è il processo di bancarotta per questo miliardo, che è sparito».
Sempre la commissione di inchiesta scrive che parte delle sofferenze della banca senese ha origine in rapporti più o meno incestuosi con la politica e le istituzioni locali. Il presidente della giunta regionale, Enrico Rossi, da tempo tuona per avere l’elenco delle prime 100 posizioni in sofferenza e più in generale di tutti quelli che hanno preso i soldi da Mps e se la sono di fatto data a gambe. Rossi dovrebbe guardarsi un po’ allo specchio e un po' negli immediati dintorni, perché a causare non piccola parte dei guai della banca c’era la Regione che lui oggi guida. La commissione di inchiesta sintetizza: «Ha potuto inoltre verificare che parte dei crediti deteriorati di Monte dei Paschi di Siena sono riferibili a partecipate della Regione Toscana come Fidi Toscana, Interporto Toscano A Vespucci spa...) o società partecipate da altri enti pubblici». La sola Fidi Toscana, in cui Mps è entrata al 27,46%, ha fatto lanciare l’allarme alla commissione di inchiesta preoccupata «nel riconoscere che abbia di fatto incrementato i suoi crediti deteriorati, con particolare riguardo alle inadempienze probabili, cresciute in dieci anni del 2.364% e soprattutto le sofferenze cresciute nel medesimo periodo del 1.073%. L’incidenza di Mps sullo stock di tali crediti deteriorati di Fidi Toscana è triplicato per le inadempienze probabili e otto volte maggiore per le sofferenze nell'ultimo decennio». Ma il caso Fidi Toscana non è l’unico, perché nella stessa situazione sono molte altre aziende pubbliche nella regione. Come l’Aamps spa del comune di Livorno, indebitata per 8 milioni e oggi in concordato preventivo.
Ad ogni assemblea i piccoli azionisti si scatenano per avere quella lista dei grandi favori alle grande imprese che hanno preso i soldi e non li hanno restituiti alla banca senese. Ma ogni volta si trovano di fronte il muto di gomma dell’amministratore delegato di turno. Ecco Fabrizio Viola il 15 settembre 2015: «Mi è chiaro il richiamo a perseguire i casi di mala gestio nell'erogazione del credito. In proposito posso assicurare che non ci sono interessi ad ostacolarla. Anzi, c'è piena determinazione. Il problema è che bisogna avere dei dati oggettivi, perché altrimenti si rischia di fare un danno, piuttosto che un benficio alla banca». Capite che se l’ad non ha dati oggettivi sulla gestione del credito, ci si può rivolgere solo allo Spirito Santo per avere qualche lume. La musica non è cambiata con il nuovo amministratore, Marco Morelli, che nell’assemblea del 24 novembre 2016 ha risposto picche alle domande su quell’elenco: «Faccio presente che ai sensi della disciplina vigente e precisamente per la legge sulla privacy, non è possibile fornire i nominativi dei soggetti cui si riferiscono i crediti in sofferenza, che riceverebbero un significativo danno reputazionale dalla diffusione di tali informazioni». Quelli fanno i danni e fregano milioni di persone, ma devono essere coperti perché ne va della loro reputazione. Morelli però in quella assemblea una piccola antica cosa rivela. Un azionista chiede se è vero che è stata finanziata la Fondazione Clinton per 250 mila euro. Lui risponde che è in parte falso: Mps ha donato alla Fondazione Clinton nel 2004 100 mila euro per combattere l'Aids in Africa. Soldi andati via, e sul perché abbiano preso quella destinazione che assai poco c’entra con Siena, nessuno spiega.
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