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domenica 11 settembre 2016

Enrico Mentana contro Di Maio: "Ma che dici? Conti meno di un..."

Mentana sotterra Di Maio: "Ma che dici? Non conti un..."



"Si è usata la questione della mail per affossare me e il Movimento 5 Stelle: ma non ci riusciranno", ha accusato il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. Secca la replica del direttore del Tg di La7. "Se un fan renziano mi scrive che faccio un tg vergognosamente filo-m5s (come capita ogni giorno da anni) sorrido; se eccede, rispondo per le rime. Se un fan dei 5 stelle mi scrive che sto attaccando ingiustamente il movimento per ordine di Renzi (come succede in questi giorni) sghignazzo; se va al di là, controbatto senza timore. Ma come nel calcio un conto sono gli ultras, un altro i giocatori. E se uno fa il vice presidente della Camera deve imparare il rispetto della verità e degli altri". Mentana prosegue su Di Maio: "Srive che i tg danno risalto ai fatti di Roma per manganellare il m5s? Io dirigo un tg: con serenità, onorevole Di Maio, questa è un'offesa che non può passare sotto silenzio. Non l'ho permesso, in diretta tv, a chi conta - per ora - più di lei. Non lo permetto a lei, dicendoglielo sullo stesso social network da dove ha postato la sua diffamazione".

"Dopo di me tutto può essere" Ratzinger, la sua mortale profezia

Ratzinger, la profezia sulla fine del papato


di Antonio Socci



Ma chi è oggi il Papa e precisamente quanti ce ne sono? La confusione regna sovrana e la nuova uscita di Benedetto XVI - il libro-intervista «Ultime conversazioni» - invece di dissolvere i dubbi li moltiplica. Parto dal dettaglio più curioso.

Domanda Peter Seewald a Benedetto XVI: «Lei conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri pontefici, prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa. Secondo tale lista il papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei fosse effettivamente l'ultimo a rappresentare la figura del papa come l' abbiamo conosciuto finora?».

La risposta di Ratzinger è sorprendente: «Tutto può essere». Poi addirittura aggiunge: «Probabilmente questa profezia è nata nei circoli intorno a Filippo Neri» (cioè la chiama «profezia» e la riconduce a un grande santo e mistico della Chiesa). Conclude con una battuta di alleggerimento, ma quella è stata la sua risposta.

Dunque Benedetto XVI ritiene di essere stato l'ultimo papa (per la fine del mondo o la fine della Chiesa)? Probabilmente no. Allora ritiene - almeno secondo la versione dell'intervistatore - di essere stato l' ultimo ad aver esercitato il papato come l'abbiamo conosciuto per duemila anni? Forse sì.

E anche questa seconda fa sobbalzare, perché è cosa nota che il papato - d'istituzione divina - per la Chiesa non può essere cambiato da una volontà umana. Del resto quale cambiamento? C'è una rottura nell'ininterrotta tradizione della Chiesa?

Un altro flash del libro porta in questa direzione. «Lei si vede come l'ultimo papa del vecchio mondo» domanda Seewald «o come il primo del nuovo?». Risposta: «Direi entrambi». Ma che intende dire? Cosa significa «vecchio» e «nuovo», soprattutto per uno come Benedetto XVI che ha sempre combattuto l'interpretazione del Concilio come «rottura» della tradizione e ha sempre affermato la necessaria continuità, senza cesure, della storia della Chiesa?

A pagina 31 Seewald afferma (e il testo è stato rivisto e vidimato da Benedetto XVI) che Ratzinger ha compiuto un «atto rivoluzionario» che «ha cambiato il papato come nessun altro pontefice dell' epoca moderna».

Questa tesi - che evidentemente allude all'istituzione del «papa emerito» - ha qualche aggancio con le cose che dice Ratzinger in questo libro?

Sì, a pagina 39. Prima di riassumere cosa dice qui papa Benedetto, però, devo ricordare che la figura del «papa emerito» non è mai esistita nella storia della Chiesa e i canonisti hanno sempre affermato che non può esistere, in quanto il «papato» non è un sacramento, come invece è l'ordinazione episcopale, infatti in duemila anni tutti coloro che hanno rinunciato al papato sono tornati allo status precedente, mentre i vescovi rimangono vescovi anche quando non hanno più la giurisdizione di una diocesi.

Ciononostante Benedetto XVI, negli ultimi giorni del suo pontificato, andando contro tutto ciò che i canonisti avevano sempre sostenuto, annunciò che lui sarebbe diventato appunto «papa emerito». Non ne spiegò il profilo teologico, però nel suo ultimo discorso affermò: «La mia decisione di rinunciare all'esercizio attivo del ministero, non revoca questo».

Benedetto accompagnava tali parole con la decisione di restare in Vaticano, di continuare a vestirsi con la tonaca e zucchetto bianchi, di conservare lo stemma papale con le chiavi di Pietro e il titolo di «Sua Santità Benedetto XVI».

Ce n'era abbastanza per chiedersi cosa stava accadendo e se si era veramente dimesso dal papato. Cosa che io feci su queste colonne, anche perché nel frattempo il canonista Stefano Violi aveva studiato la «declaratio» di rinuncia ed era arrivato a queste conclusioni: «(Benedetto XVI) dichiara di rinunciare al ministerium. Non al Papato, secondo il dettato della norma di Bonifacio VIII; non al munus secondo il dettato del can. 332 § 2, ma al ministerium, o, come specificherà nella sua ultima udienza, all'"esercizio attivo del ministero"».

In seguito ai miei articoli, il vaticanista Andrea Tornielli, molto vicino a papa Francesco, nel febbraio 2014, andò a domandare a Benedetto XVI perché era rimasto papa emerito e la sollecitata risposta fu questa: «Il mantenimento dell' abito bianco e del nome Benedetto è una cosa semplicemente pratica. Nel momento della rinuncia non c' erano a disposizione altri vestiti».

Il vaticanista in questione sbandierò ai quattro venti lo scoop che, però, a una seria osservazione, si rivelava un'elegante battuta umoristica (in Vaticano non c' erano tonache nere?) per eludere una questione di cui Benedetto XVI, evidentemente, a quel tempo non poteva parlare. E infatti ne parla oggi, dopo tre anni, spiegando le ragioni di quella scelta che ovviamente non c' entrano nulla con questioni sartoriali.

Dunque nel libro appena uscito papa Ratzinger parte dalla riflessione sui vescovi. Quando si trattò di decidere le loro dimissioni a 75 anni si istituì il «vescovo emerito» perché - dicevano - «io sono "padre" e tale resto per sempre».

Benedetto XVI osserva che anche quando «un padre smette di fare il padre», perché i figli sono grandi, «non cessa di esserlo, ma lascia le responsabilità concrete. Continua a essere padre in un senso più profondo, più intimo».

Per analogia papa Ratzinger fa lo stesso ragionamento sul papa: «se si dimette mantiene la responsabilità che ha assunto in un senso interiore, ma non nella funzione». Questo ragionamento poetico però è esplosivo sul piano teologico perché significa che lui è Papa.

Per capire il quadro teologico che sta dietro la rivoluzionaria pagina di Ratzinger bisogna rileggere il clamoroso testo della conferenza che il suo segretario, mons. Georg Gaenswein, ha tenuto il 21 maggio scorso alla Pontificia università Gregoriana.

In quel discorso - «censurato» dai media, ma che in Curia è stato una bomba atomica - don Georg disse che «dall' 11 febbraio 2013 il ministero papale non è più quello di prima. È e rimane il fondamento della Chiesa cattolica; e tuttavia è un fondamento che Benedetto XVI ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d' eccezione».

Il suo è stato un «ben ponderato passo di millenaria portata storica», un «passo che fino ad oggi non c' era mai stato». Perché Benedetto XVI «non ha abbandonato l' ufficio di Pietro», ma «l' ha invece rinnovato».

Infatti «egli ha integrato l'ufficio personale con una dimensione collegiale e sinodale, quasi un ministero in commune» e «intende il suo compito come partecipazione a un tale "ministero petrino"… non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato - con un membro attivo e un membro contemplativo».

Fino a quel discorso del 21 maggio, Bergoglio - che deve aver ascoltato queste cose da Benedetto XVI (ma senza capirle bene) - spiegava il papato emerito sulla stessa linea: diceva che quello di Benedetto era stato un «atto di governo», che egli aveva rinunciato solo all' esercizio attivo e faceva l' analogia con i vescovi emeriti. Però dopo il discorso di Gaenswein di maggio, alla corte bergogliana si è capito la portata del problema ed è scattato l' allarme. Così a giugno, di ritorno dall' Armenia, Bergoglio ha bocciato la tesi di un ministero papale «condiviso».

Poi, in pieno agosto, su «Vatican Insider» (termometro della Curia) è uscita un' intervista di Tornielli a un importante canonista ed ecclesiastico di Curia, dove si delegittima in toto la figura del «papa emerito» perché «l' unicità della successione petrina non ammette al suo interno alcuna ulteriore distinzione o duplicazione di uffici o una denominazione di natura meramente "onorifica" o "nominalistica"». Inoltre «non si dà alcuna sottodistinzione tra il munus e il suo esercizio».

Però Benedetto XVI, nella pienezza dei suoi poteri, decise proprio di restare papa e rinunciare al solo esercizio attivo del ministero. Se quella sua decisione è inammissibile e nulla significa che è nulla anche la sua rinuncia?

Festival di Venezia, il solito vizietto: il Leone d'oro finisce nel terzo mondo

Festival di Venezia, come sempre vince il Terzo Mondo



Il copione si ripete. Se non è un film cinese, coreano o taiwanese, a Venezia non vince. Sono stati appena consegnati i premi della mostra del cinema e quello più importante, il Leone d'oro, è andato a The woman who left, il film filippino del regista Lav Diaz.

Sonia Bergamasco, attrice, madrina della rassegna, ha lasciato lo spazio ai premi. Il Gran Premio della Giuria è andato a Tom Ford, stilista e regista. Il suo Nocturnal Animals, con  Amy Adams e Jake Gyllenhaal, ha conquistato consensi. Il Premio speciale della giuria va a The Bad Batch di Ana Lily Amirpour mentre quello per la migliore sceneggiatura va a Noah Oppenheim per il film Jackie di Pablo Larraín. 

La Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile va a Oscar Martínez per il film El ciudadano ilustre di Mariano Cohn e Gastón Duprat mentre la migliore attrice è Emma stone per La la land. Delusa Nathalie Portman, che ha dato il volto a Jackie Kennedy.

Il Leone d'argento per la migliore regia va ex aequo a Andrei Konchalovsky per il film Paradise e a Amat Escalante per The untamed. 

Regeni, confessione degli egiziani: cos'hanno fatto con lui per giorni

I magistrati: Regeni sotto indagine della polizia per tre giorni




Alla fine è arrivata l'ammissione. Giulio Regeni, come si direbbe da noi in linguaggio poliziesco, era "attenzionato". I magistrati del Cairo giunti a Roma per riferire sulla morte del ricercatore italiano, hanno ammesso che il giovane era stato fatto oggetto di indagini e pedinamenti della polizia dopo che il 7 gennaio scorso il leader del sindacato degli ambulanti lo aveva denunciato alle autorità egiziane per "domande insistenti" che Regeni faceva ad alcuni sindacalisti. Quelle indagini, secondo i magistrati egiziani, sarebbero durate tre giorni, al termine dei quali, però, nessun elemento d'interesse per la sicurezza nazionale sarebbe emerso a carico di Regeni.

Tasse, una aliquota fissa al 24% Ma non per tutti: che categoria gode

Tasse Matteo Renzi pensa a una flat tax al 24% per imprese artigiane e commercianti



E' diventata una specie di leggenda. Qualcosa di mitico, della quale ogni governo (o quasi) s'è riempito la bocca per poi non riuscire a fare nulla. Le due paroline magiche in inglese sono "flat" (cioè "piatta") e "tax" (traduzione non necessaria. Tassa piatta, cioè con una sola aliquota uguale per tutti. Il primo a parlarne era stato nel 1994 Silvio Berlusconi, che l'aveva prevista per tutti al 33% con una no tax area per i redditi più bassi. Ora, come scrive il quotidiano economico Italia Oggi, Renzi sarebbe seriamente intenzionato a introdurla a vantaggio di mezzo milione di imprese artigiane e commerciali individuali, che sarebbero, nelle intenzioni del premier, sottoposte a una aliquota "piatta" del 24%. Vedremo se la leggenda diverrà realtà o restera tale anche questa volta

Il Napoli si consola con Hamsik: doppietta e Palermo steso La Classifica

Il Napoli si consola con Hamsik: doppietta e Palermo steso



Il Napoli supera 3-0 in trasferta il Palermo nell’anticipo della terza giornata del campionato di Serie A. Succede tutto nella ripresa. Hamsik sblocca il risultato al 2’, Callejon con una doppietta al 6’ e al 20’ mette in cassaforte i tre punti. 

La classifica del campionato di Serie A dopo gli anticipi della terza giornata. Juventus 9 punti; Napoli 7; Genoa e Sampdoria 6; Roma e Pescara 4; Torino, Chievo, Lazio, Fiorentina, Milan, Udinese, Bologna e Sassuolo 3; Cagliari, Inter e Palermo 1; Atalanta, Crotone e Empoli 0.  Juventus, Napoli, Palermo e Sassuolo co
n una partita in più.

Motogp, a Misano la pole è di Lorenzo. Rossi marca stretto: parte secondo

Motogp, a Misano la pole è di Jorge Lorenzo. Rossi marca stretto: parte secondo



Jorge Lorenzo si assicura la prima casella sulla griglia di partenza del Gran Premio di San Marino, 13esima prova stagionale del Mondiale di MotoGp che si disputerà domani sul circuito di Misano Adriatico. Il maiorchino della Yamaha centra la 64esima pole position della carriera, la terza di questa stagione dopo Losail e Le Mans, fermando il cronometro a 1’31«868 e infliggendo quasi tre decimi e mezzo a Valentino Rossi, secondo con l’altra Yamaha. A completare la prima fila Maverick Vinales su Suzuki, a 513 millesimi da Lorenzo. Solo quarto Marc Marquez, staccato di 0»575 e domani in seconda fila assieme alle due Ducati di Michele Pirro (che prende il posto di Andrea Iannone) e Andrea Dovizioso. A seguire Cal Crutchlow, Dani Pedrosa e Aleix Espargarò