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mercoledì 24 febbraio 2016

Arriva la patrimoniale, la mazzata Un massacro: quanto e come paghi

Italia, è l'ora della patrimoniale. Il massacro: quanto paghi




A poco servono le smentite preventive del ministro dell'economia Pier Carlo Padoan sulla possibile introduzione di una imminente mazzata fiscale, i sospetti che questa stia per arrivare sono sempre più forti. Il dato certo resta l'obiettivo di disinnescare i 35 miliardi di clausole di salvaguardia su Iva e accise e l'aggiustamento, seppur temporaneo, del rapporto Deficit/Pil. Per farlo, secondo Milano finanza, il governo starebbe pensando a un incremento delle tasse con una manovra a tenaglia tra ministero dell'Economia e Agenzia delle entrate.

La tassa - Nel mirino c'è la tassa di successione, aumentata da una parte con il lavoro del governo che sta rivedendo le aliquote e le esenzioni, dall'altra l'agenzia guidata da Rossella Orlandi che sta analizzando a campione sulle polizze vita, uno dei principali strumenti per lasciare il patrimonio in eredità. Da tempo ormai l'Europa chiede al governo Renzi di calcare la mano sui contribuenti con una patrimoniale che permetta di quadrare i conti. Nei primi undici mesi del 2015, scrive il Giornale, il gettito della tassa di successione è stato di 605 milioni di euro, con un incremento del 15% rispetto all'anno precedente. La tassa pesa per il 70% sui parenti, affini ed estranei. Quelli in linea diretta godono di aliquote dal 4 al 6%, con casi di esenzione che arrivano a un milione di euro. In questo modo si riesce a trasmettere gli immobili proteggendoli dalle tasse, conservando il denaro con polizze vita che non rientrano direttamente nell'asse ereditario.

La proposta - Se il governo però svoltasse più a sinistra e seguisse la proposta di legge dei deputati di Sel, anche le polizze vita sarebbe minacciate da una tassazione più aggressiva. Da una parte infatti sarebbero aumentate le aliquote, dal 21 fino al 45%, sarebbero abbassate le franchige con massimi di 400mila euro per i figli e sarebbe esteso l'asse ereditario. Le attenzioni del Fisco infatti si sarebbero rivolte a quelle assicurazioni collegate con fondi di investimento estero.

Il bail in voluto da Berlino ci rovina Disastro: quando l'Italia fallirà

Il bail-in voluto dai tedeschi ci rovina. Il disastro: ecco quando l'Italia fallirà


di Ugo Bertone



Riusciranno le banche a sfuggire alle maldestre riforme messe a punto dall’Unione Europea? Non sarà facile perché le teste d’uovo di Bruxelles e della Bce sono riuscite a mettere a punto una serie di trappole infernali che ha assai complicato la rotta del sistema già alle prese con la crisi più grave del dopoguerra. E così le nuove regole «aumentano i rischi per l'economia e frenano la crescita», come accusa uno studio del Centro Studi Confindustria, firmato dal direttore Luca Paolazzi e da Ciro Rapacciuolo. Una diagnosi che, tra l’altro, riflette il pessimismo delle Borse di fronte a terapie che lungi dal curare il paziente minacciano di decretarne la fine per asfissia. Un allarme, ammoniscono gli autori, che non vale solo per l’Italia o per gli altri Paesi in difficoltà, ma anche per le economie che più hanno ispirato regole nocive oltre che inutili.

1. Eppure le cose minacciano di peggiorare se passasse la proposta di un limite all’acquisto da parte delle banche dei titoli di Stato domestici, come vorrebbe la Bundesbank. Non è vero, come sostengono i tedeschi, che così verrebbe spezzato il legame tra debito bancario e debito sovrano. Al contrario, verrebbe meno la domanda più robusta per i titoli dei Paesi dell’Eurozona con il debito pubblico più elevato. Il risultato? Un aumento dei rendimenti e, di riflesso, del costo del denaro dando il via ad un circolo vizioso: l’aumento degli interessi, infatti, non potrebbe che comportare un aumento del debito, ovvero l’esatto opposto dell’obiettivo di far affluire più fondi delle banche alle imprese. «Se nel 2011/12 - scrivono gli autori - gli istituti avessero dovuto limitare i loro acquisti, in Italia avremmo avuto un sistema bancario con bilanci peggiori e una stretta del credito maggiore». Finora il rischio è stato evitato.

Ancor peggio se passasse la proposta di prevedere accantonamenti a fronte dei titoli pubblici in portafoglio. La «riforma» sollecitata dai falchi tedeschi farebbe crescere la forbice tra le economie periferiche e quelle «core», con nuove tensioni nella Ue.

2. Fin qui le riforme temute ma, per fortuna, ancora nel cassetto. Purtroppo, invece, il bail in ha già provocato guasti formidabili, dal default delle banche italiane (e del Novo Banco portoghese) all’aumento del rischio che ha provocato il marcato calo dei titoli bancari in Borsa. Ma c’è di più: la riforma, nata con l’obiettivo di tutelare i bilanci pubblici contro l’onere di far fronte ai fallimenti delle banche, rischia di aumentare il prezzo dei salvataggi di quattro volte. Sempre a carico dei contribuenti. In che modo? Primo, con la perdita di valore del patrimonio dei risparmiatori, a causa del crollo delle quotazioni di Borsa e dei prezzi delle case. Secondo, con la diminuzione del reddito. Terzo, con la perdita di posti di lavoro. Quarto, con l'incremento della tassazione e/o con il taglio della spesa pubblica, necessari a coprire il deficit pubblico causato dal peggioramento dell’economia. Insomma, il bail in può funzionare se riguarda un solo istituto, da punire per errori o leggerezze. Non ha senso se la crisi è generale. In quel caso la conseguenza scontata è la recessione.

Per l’Italia, dove i bond bancari sono ampiamente diffusi tra le famiglie (187 miliardi, tre volte l’ammontare in mano al retail tedesco) il danno è ancora maggiore: il maggior rischio dei bond, chiamati a rispondere in caso di insolvenza, è destinato a pesare sui tassi. Insomma, il bail-in va sospeso non tanto per la situazione di un paese o di un altro, ma perché si sono valutati male i suoi effetti economici, che sono controproducenti.

3. Infine, il nodo delle sofferenze, salite a 143 miliardi a fine 2015 (18,3% dei prestiti alle imprese), dai 25 miliardi del 2008 (2,9%). Una crescita drammatica che non è, nella stragrande maggioranza delle situazioni, il frutto di errori o leggerezze ma l’effetto «della doppia e profonda recessione, che ha fatto cadere il Pil di oltre il 9%, la produzione industriale del 25%, l’attività nelle costruzioni di quasi il 50%».

Le nuove regole europee, si sa, non consentono più gli interventi che hanno permesso il salvataggio delle banche tedesche (ma anche inglesi, francesi, belghe e così via). Di qui un intervento limitato, basato su una garanzia che avrà un costo crescente nel tempo. È comunque un passo in avanti, ammette lo studio, «ma le garanzie non sembrano in grado di incidere rapidamente sullo smaltimento dei crediti deteriorati presenti nei bilanci delle banche. Per ridurre a livelli fisiologici lo stock attuale di crediti deteriorati occorreranno diversi anni». Tanto, troppo tempo per un sistema che richiede una risposta tempestiva, mica i tempi biblici e le bizzarrie dell’Europa delle tante burocrazie che invocano nuovi vincoli di bilancio, senza distinguere tra il rischio (assai limitato) di un Btp dai derivati (spesso tossici) che abbondano nei magazzini di Deutsche Bank.

Ritirati dalla vendita milioni di Mars Allarme: che cosa ci trovi dentro

Plastica dentro una barretta: ritirati dalla vendita milioni di barrette Mars




La multinazionale alimentare Mars ha ordinato un maxi-ritiro di prodotti in Germania, Olanda e altri 55 Paesi nel mondo tra i quali l'Italia, dopo che un consumatore ha trovato un pezzetto di plastica in una confezione. I dolciumi ritirati dalla vendita sono quelli con i marchi Mars, Snickers, Milky Way Mini e Miniatures, nonchè le confezioni miste «Celebrations» con data di scadenza compresa tra il 19 giugno 2016 e l’8 gennaio 2017.

La decisione clamorosa della Barilla che fa impazzire i suoi dipendenti

La decisione della società Barilla che fa impazzire i dipendenti




 La Barilla lascia tutti i dipendenti a casa. Detta così sembra una pessima notizia, in realtà si tratta del progetto "smart working" della società che, introdotto nel 2013 ha già coinvolto 1200 dipendenti.  In pratica i dipendenti lavorerebbero da casa. "Smart working significa tre cose - spiega Alessandra Stasi, responsabile Organization & People Development della Barilla - lavorare in qualunque luogo, sfruttare gli spazi in modo nuovo e utilizzare le tecnologie digitali". Il contratto prevede che i lavoratori, d'accordo con il capo, possono lavorare in sedi diverse dall'ufficio per quattro giorni al mese. In questo modo i dipendenti riuscirebbero a conciliare meglio la vita professionale con quella privata. "Abbiamo ottenuto - prosegue Alessandra Stasi - un migliore bilanciamento delle sfere privata, sociale e professionale delle persone. Con questo progetto abbiamo aumentato la produttività dell'azienda perché le persone sono più concentrate e responsabili".

Altissima tensione a Porta a porta

Altissima tensione a Porta a porta. C'è la criminologa fuori controllo, Vespa va fuori di sé: "Che fai vuoi pure..."




Bruno Vespa torna a occuparsi dei grandi casi di cronaca nera con il delitto di Gloria Rosboch, la professoressa di Castellamonte, nel Torinese, ritrovata morta in una cisterna dopo essere stata strangolata. In studio a Porta a porta su Raiuno il dibattito è sempre più vivace, tra gli ospiti c'è la criminologa Roberta Bruzzone che più volte cerca di sovrapporsi agli altri ospiti, compreso Vespa che fatica a tenere tutti a bada. Il conduttore però non ci sta a farsi mettere in un angolo, così alla fine sbotta proprio contro la Bruzzone: "Vuoi condurre al posto mio?". Il rimprovero del padrone di casa sortisce subito l'effetto sperato, la Bruzzone si arrende senza condizioni: "No, no per carità".

Segnatevi questa data: dodici marzo Ci sarà un'altra tassa per chi lavora

Segnatevi questa data: dodici marzo Ci sarà un'altra tassa per chi lavora


di Attilio Barbieri



Non è mai stato così difficile e pure costoso dare le dimissioni. Alla voce «semplificazioni» il ministero del Lavoro ha compilato un decreto, uno dei tanti in attuazione del Jobs Act renziano, che introduce un meccanismo diabolico in base al quale non è più sufficiente consegnare la lettera di dimissione al proprio datore di lavoro. Il divorzio, anche se consensuale, dev' essere convalidato con una procedura telematica. Diversamente le dimissioni non sono valide. Paradossalmente non avrebbero validità neppure se venissero autenticate da un notaio che certificasse sia il contenuto sia l' autenticità della firma apposta in calce. Accertando l' identità del «licenziando».

Dal 12 marzo prossimo, in virtù di un decreto ministeriale a firma di Giuliano Poletti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l' 11 gennaio 2016 chi volesse dimettersi è obbligato a seguire una procedura diabolica. Innanzitutto deve registrarsi sul portale internet Cliclavoro.gov.it compilando un modello predisposto per le dimissioni.  Per farlo, tuttavia, dev' essere in possesso del Pin (numero di identificazione personale) che attesta la sua posizione presso l' Inps. Qualora non conosca il Pin deve registrarsi sul portale Inps.it e farne richiesta. Il codice gli verrà recapitato al domicilio di casa in busta chiusa, presumibilmente entro una settimana.

Se il plico non dovesse arrivare può sempre recarsi a uno sportello dell' Inps e richiederne l' emissione. A quel punto, col Pin in evidenza, l' aspirante dimissionario può finalmente compilare il modulo, che è suddiviso in 5 sezioni, seguendo parro per passo le indicazioni del portale. La procedura telematica si conclude con l' invio al proprio datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente del modulo compilato in ogni sua parte. La spedizione avviene attraverso un messaggio di Posta elettronica certificata (Pec in sigla) che partirà automaticamente una volta completata la procedura. La Direzione provinciale del lavoro ne riceverà notifica nel proprio «cruscotto digitale», mentre l' azienda la riceverà sulla propria casella Pec. Sempre che ce l' abbia. L' unica prova tangibile in possesso del lavoratore sull' avvenuta procedura di dimissioni telematiche è un documento in formato Smv che può salvare sul proprio computer.

Qualora il dipendente incontri difficoltà nel completare le dimissioni telematiche o addirittura non abbia accesso a internet (evenienza tuttaltro che improbabile), può sempre rivolgersi a un intermediario abilitato, nella fattispecie Caf, patronati e sindacati, mentre è escluso che si possa far aiutare dal datore di lavoro o da un commercialista. Il meccanismo diabolico, è stato concepito infatti per contrastare il fenomeno delle dimissioni «in bianco». Un foglio bianco che purtroppo alcune aziende fanno firmare ai neoassunti, riservandosi poi di compilarlo in vece loro scivendovi appunto le dimissioni. 

Intento lodevole, risultato disastroso. A parte la complessità della procedura, capace di mettere in crisi chiunque non abbia dimestichezza con la burocrazia online, il decreto ministeriale crea un mostro giuridico: per avere effetto la classica lettera di dimissione consegnata a mano al datore di lavoro dev' essere convalidata telematicamente. In caso contrario il dimissionario riusulterebbe ancora in forza all' azienda presso la quale ha prestato fino a quel momento la propria opera.

L' imprenditore che non dovesse ricevere il messaggio di Posta elettronica certificata non ha altro modo per formalizzare l' uscita del dipendente che contestargli l' assenza ingiustificata ed eventualmente avviare un licenziamento per giusta causa. In caso contrario il «presunto dimissionario» potrebbe tornare sulle proprie decisioni in qualunque momento. E trientrare in azienda chiedendo di riprendere il posto abbandonato.

Ma le sorprese amare delle dimissioni telematiche non finiscono qui. Qualora la separazione finisse male e dovesse partire il licenziamento per giusta causa il datore di lavoro sarebbe tenuto a versare il contributo Naspi che può arrivare a 1.500 euro. E il «dimissionando licenziato» avrebbe diritto a percepire a sua volta la nuova indennità di disoccupazione per 24 mesi. Soltanto in Lombardia si registrano ogni anno da 58mila a 60mila dimissioni. Se soltanto il 5% di queste si trasformasse in licenziamento, con una media di indennità Naspi di 1000 euro al mese per 24 mesi, i 3mila «dimissionandi licenziati» peserebbero sull' Inps - ripetiamo: nella sola Lombardia - per 72 milioni di euro, più i contributi figurativi.

Per contro i dipendenti che decidessero di convalidare telematicamente le dimissioni ricorrendo però a un intermediario abilitato, lo dovrebbero poi pagare. Sostenendo così una specie di tassa sulla separazione consensuale dall' azienda. Vale la pena di chiarire che né i datori di lavoro né le loro associazioni di categoria sono abilitati a svolgere la procedura online. La convalida, infatti, deve avvenire al di fuori dei consueti canali seguiti nei rapporti di lavoro. «Troviamo questa procedura assurda, dannosa e inutile», spiega a Libero Marco Accornero, segretario generale dell' Unione artigiani della provincia di Milano che per prima ha lanciato l' allarme, «poiché il fenomeno delle dimissioni in bianco è numericamente modesto e circoscritto e trovava già un efficace contrasto nelle nuove norme introdotte dalla riforma Fornero . Che prevedevano la conferma delle dimissioni. Siccome non ci risulta», conclude Accornero, «che tale procedura si sia dimostrata inadeguata a contrastare le dimissioni in bianco ne chiediamo il ripristino».  In assenza di riscontri negativi al riguardo, in effetti, diventa difficile giustificare l' enorme complicazione burocratica introdotta con la procedura telematica, le perdite di tempo che porta con sé ma, soprattutto, i costi che riesce a generare sia per le imprese sia per i dipendenti. Perché ancora una volta c' è la dimostrazione che la burocrazia è cieca. E danneggia tutti indistintamente. 

martedì 23 febbraio 2016

Napoli: Scossa di terremoto di magnitudo 2.4 alle pendici del Vesuvio

Napoli: Scossa di terremoto di 2.4 alle pendici del Vesuvio




Una scossa di terremoto è stata avvertita circa due ore fa, verso le 12.30, in Campania esattamente nell’area del Vesuvio. Terremoto confermato dai dati giunti dai sismografi dell’INGV. La scossa ha raggiunto la magnitudo 2.4 sulla scala Richter con ipocentro estremamente superficiale, localizzato a soli 130 metri di profondità. Pertanto si è trattato di un terremoto di natura vulcanica che, con questa magnitudo, non si verificava da diversi anni.

Non è raro, anzi succede di continuo che i sismografi posti sul Vesuvio registrino scosse di terremoto, ma quelle selezionate sono quasi sempre molto deboli con magnitudo comprese fra 0 e 1 grado della scala Richter, e molto raramente scosse di magnitudo superiore al secondo grado come in questo caso.

La scossa di terremoto in questione è stata avvertita anche dalla popolazione fra Napoli, Torre del Greco, Torre Annunziata, Ercolano, Ottaviano, Portici, Scafati, San Giuseppe Vesuviano ma si è tratta di un leggero tremolio quindi solo un po’ di paura per i più suggestionabili e nessun danno.