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mercoledì 24 febbraio 2016

Altissima tensione a Porta a porta

Altissima tensione a Porta a porta. C'è la criminologa fuori controllo, Vespa va fuori di sé: "Che fai vuoi pure..."




Bruno Vespa torna a occuparsi dei grandi casi di cronaca nera con il delitto di Gloria Rosboch, la professoressa di Castellamonte, nel Torinese, ritrovata morta in una cisterna dopo essere stata strangolata. In studio a Porta a porta su Raiuno il dibattito è sempre più vivace, tra gli ospiti c'è la criminologa Roberta Bruzzone che più volte cerca di sovrapporsi agli altri ospiti, compreso Vespa che fatica a tenere tutti a bada. Il conduttore però non ci sta a farsi mettere in un angolo, così alla fine sbotta proprio contro la Bruzzone: "Vuoi condurre al posto mio?". Il rimprovero del padrone di casa sortisce subito l'effetto sperato, la Bruzzone si arrende senza condizioni: "No, no per carità".

Segnatevi questa data: dodici marzo Ci sarà un'altra tassa per chi lavora

Segnatevi questa data: dodici marzo Ci sarà un'altra tassa per chi lavora


di Attilio Barbieri



Non è mai stato così difficile e pure costoso dare le dimissioni. Alla voce «semplificazioni» il ministero del Lavoro ha compilato un decreto, uno dei tanti in attuazione del Jobs Act renziano, che introduce un meccanismo diabolico in base al quale non è più sufficiente consegnare la lettera di dimissione al proprio datore di lavoro. Il divorzio, anche se consensuale, dev' essere convalidato con una procedura telematica. Diversamente le dimissioni non sono valide. Paradossalmente non avrebbero validità neppure se venissero autenticate da un notaio che certificasse sia il contenuto sia l' autenticità della firma apposta in calce. Accertando l' identità del «licenziando».

Dal 12 marzo prossimo, in virtù di un decreto ministeriale a firma di Giuliano Poletti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l' 11 gennaio 2016 chi volesse dimettersi è obbligato a seguire una procedura diabolica. Innanzitutto deve registrarsi sul portale internet Cliclavoro.gov.it compilando un modello predisposto per le dimissioni.  Per farlo, tuttavia, dev' essere in possesso del Pin (numero di identificazione personale) che attesta la sua posizione presso l' Inps. Qualora non conosca il Pin deve registrarsi sul portale Inps.it e farne richiesta. Il codice gli verrà recapitato al domicilio di casa in busta chiusa, presumibilmente entro una settimana.

Se il plico non dovesse arrivare può sempre recarsi a uno sportello dell' Inps e richiederne l' emissione. A quel punto, col Pin in evidenza, l' aspirante dimissionario può finalmente compilare il modulo, che è suddiviso in 5 sezioni, seguendo parro per passo le indicazioni del portale. La procedura telematica si conclude con l' invio al proprio datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente del modulo compilato in ogni sua parte. La spedizione avviene attraverso un messaggio di Posta elettronica certificata (Pec in sigla) che partirà automaticamente una volta completata la procedura. La Direzione provinciale del lavoro ne riceverà notifica nel proprio «cruscotto digitale», mentre l' azienda la riceverà sulla propria casella Pec. Sempre che ce l' abbia. L' unica prova tangibile in possesso del lavoratore sull' avvenuta procedura di dimissioni telematiche è un documento in formato Smv che può salvare sul proprio computer.

Qualora il dipendente incontri difficoltà nel completare le dimissioni telematiche o addirittura non abbia accesso a internet (evenienza tuttaltro che improbabile), può sempre rivolgersi a un intermediario abilitato, nella fattispecie Caf, patronati e sindacati, mentre è escluso che si possa far aiutare dal datore di lavoro o da un commercialista. Il meccanismo diabolico, è stato concepito infatti per contrastare il fenomeno delle dimissioni «in bianco». Un foglio bianco che purtroppo alcune aziende fanno firmare ai neoassunti, riservandosi poi di compilarlo in vece loro scivendovi appunto le dimissioni. 

Intento lodevole, risultato disastroso. A parte la complessità della procedura, capace di mettere in crisi chiunque non abbia dimestichezza con la burocrazia online, il decreto ministeriale crea un mostro giuridico: per avere effetto la classica lettera di dimissione consegnata a mano al datore di lavoro dev' essere convalidata telematicamente. In caso contrario il dimissionario riusulterebbe ancora in forza all' azienda presso la quale ha prestato fino a quel momento la propria opera.

L' imprenditore che non dovesse ricevere il messaggio di Posta elettronica certificata non ha altro modo per formalizzare l' uscita del dipendente che contestargli l' assenza ingiustificata ed eventualmente avviare un licenziamento per giusta causa. In caso contrario il «presunto dimissionario» potrebbe tornare sulle proprie decisioni in qualunque momento. E trientrare in azienda chiedendo di riprendere il posto abbandonato.

Ma le sorprese amare delle dimissioni telematiche non finiscono qui. Qualora la separazione finisse male e dovesse partire il licenziamento per giusta causa il datore di lavoro sarebbe tenuto a versare il contributo Naspi che può arrivare a 1.500 euro. E il «dimissionando licenziato» avrebbe diritto a percepire a sua volta la nuova indennità di disoccupazione per 24 mesi. Soltanto in Lombardia si registrano ogni anno da 58mila a 60mila dimissioni. Se soltanto il 5% di queste si trasformasse in licenziamento, con una media di indennità Naspi di 1000 euro al mese per 24 mesi, i 3mila «dimissionandi licenziati» peserebbero sull' Inps - ripetiamo: nella sola Lombardia - per 72 milioni di euro, più i contributi figurativi.

Per contro i dipendenti che decidessero di convalidare telematicamente le dimissioni ricorrendo però a un intermediario abilitato, lo dovrebbero poi pagare. Sostenendo così una specie di tassa sulla separazione consensuale dall' azienda. Vale la pena di chiarire che né i datori di lavoro né le loro associazioni di categoria sono abilitati a svolgere la procedura online. La convalida, infatti, deve avvenire al di fuori dei consueti canali seguiti nei rapporti di lavoro. «Troviamo questa procedura assurda, dannosa e inutile», spiega a Libero Marco Accornero, segretario generale dell' Unione artigiani della provincia di Milano che per prima ha lanciato l' allarme, «poiché il fenomeno delle dimissioni in bianco è numericamente modesto e circoscritto e trovava già un efficace contrasto nelle nuove norme introdotte dalla riforma Fornero . Che prevedevano la conferma delle dimissioni. Siccome non ci risulta», conclude Accornero, «che tale procedura si sia dimostrata inadeguata a contrastare le dimissioni in bianco ne chiediamo il ripristino».  In assenza di riscontri negativi al riguardo, in effetti, diventa difficile giustificare l' enorme complicazione burocratica introdotta con la procedura telematica, le perdite di tempo che porta con sé ma, soprattutto, i costi che riesce a generare sia per le imprese sia per i dipendenti. Perché ancora una volta c' è la dimostrazione che la burocrazia è cieca. E danneggia tutti indistintamente. 

martedì 23 febbraio 2016

Napoli: Scossa di terremoto di magnitudo 2.4 alle pendici del Vesuvio

Napoli: Scossa di terremoto di 2.4 alle pendici del Vesuvio




Una scossa di terremoto è stata avvertita circa due ore fa, verso le 12.30, in Campania esattamente nell’area del Vesuvio. Terremoto confermato dai dati giunti dai sismografi dell’INGV. La scossa ha raggiunto la magnitudo 2.4 sulla scala Richter con ipocentro estremamente superficiale, localizzato a soli 130 metri di profondità. Pertanto si è trattato di un terremoto di natura vulcanica che, con questa magnitudo, non si verificava da diversi anni.

Non è raro, anzi succede di continuo che i sismografi posti sul Vesuvio registrino scosse di terremoto, ma quelle selezionate sono quasi sempre molto deboli con magnitudo comprese fra 0 e 1 grado della scala Richter, e molto raramente scosse di magnitudo superiore al secondo grado come in questo caso.

La scossa di terremoto in questione è stata avvertita anche dalla popolazione fra Napoli, Torre del Greco, Torre Annunziata, Ercolano, Ottaviano, Portici, Scafati, San Giuseppe Vesuviano ma si è tratta di un leggero tremolio quindi solo un po’ di paura per i più suggestionabili e nessun danno. 

Cantone: Video / Le persone oneste non fanno carriera nella Pubblica amministra...

Cantone: Le persone oneste non fanno carriera nella Pubblica Amministra... 



Raffaele Cantone
Presidente Autorità Nazionale Anticorruzione

Le persone «perbene», oneste e con senso civico non riescono a fare carriera all’interno della pubblica amministrazione. Spesso vengono emarginate proprio perchè hanno un’etica del lavoro. È l’affondo di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, dal Sermig di Torino. Soltanto con una «riscossa interna» e un recupero non imposto dall’alto di moralità e cultura dello Stato, il terzo settore e di conseguenza il nostro Paese si salveranno dalla mala gestione della cosa pubblica.


Monti senza freni a Libero: "Affondiamo Vi dico pure di chi è colpa? Ecco i nomi"

Telese intervista Monti : "Cosa penso della Merkel e di Renzi"


intervista a cura di Luca Telese



Presidente Monti, cosa sta accadendo veramente in Europa?

«Qualcosa di grave, che mi preoccupa molto come europeo e moltissimo come italiano. Vorrei che tutti i segmenti dell' opinione pubblica avessero una corretta comprensione di queste difficoltà e dei rischi che corriamo. Ecco perché ho accettato la cortese e inattesa richiesta di intervista di "Libero", pur trattandosi di un giornale che non considero rispettoso dei fatti». 

Comincia così, con questa regola di ingaggio dura, un dialogo fitto due giorni tra il senatore a vita Mario Monti e il giornale che, come dice lui scherzando ma non troppo, «mi ha attaccato più di qualsiasi altro nel mondo». È un dialogo rispettoso tra posizioni molto diverse. Che forse, anche per questo, diventa ricco di spunti.

Senatore Monti, cosa c' è di così grave nella situazione dell' Europa?

«L' Europa non riesce a gestire come dovrebbe il problema dei profughi e degli immigrati e non riesce a contribuire come potrebbe alla crescita e all' occupazione nei Paesi che ne fanno parte. Questi sono sintomi, ben visibili ai cittadini, di un' Europa che non sa affrontare problemi nuovi e che non è efficace nel risolvere problemi vecchi. In entrambi i casi, hanno ragione i capi di governo che, come Matteo Renzi, incalzano "l' Europa". Temo però che sbaglino indirizzo».

Cosa vuol dire, con questo?

«I principali responsabili della paralisi della Ue, e forse presto della sua disintegrazione, non sono - pur con tutti i loro limiti - il Parlamento europeo, la Commissione, le regole, le burocrazie, oggetto di strali quotidiani. E non lo è neppure, come si sostiene spesso, l'"assenza della politica". I maggiori responsabili sono loro, i governi nazionali e in primo luogo i capi di governo riuniti nel Consiglio europeo, l' organo che prende, o non prende, le decisioni cruciali».

E allora?

«La politica c' è, eccome, ai vertici della Ue. Ma è, sempre più, un' accozzaglia di ventotto politiche nazionali, portate a quel tavolo da ventotto persone che decidono per l' Europa avendo in mente non tanto l' interesse generale europeo - cioè l' interesse comune dei loro Paesi nel lungo termine - e spesso neppure l' interesse nazionale del Paese che rappresentano, quanto il loro interesse di partito alle prossime elezioni, anzi al prossimo sondaggio».

Parla di Renzi?

«Renzi ieri all' assemblea del Pd ha ribadito che "L' Europa ha bisogno della politica". Ha ragione. Per fortuna che c' è la politica».

Lei che cosa pensa, allora?

«Peccato che si tratti di una cacofonia di ventotto politiche nazionali, ciascuna dominata dalla tirannia del breve periodo e gestita da politici che si comportano sempre meno da leader, pronti a sfidare l' impopolarità, e sempre più da followers, da inseguitori del consenso».

In che senso "followers"?. Lei è molto sarcastico...

«Per molti di loro è quasi più importante imporre la propria narrativa che comprendere davvero la realtà per trasformarla. La crisi dell' Europa c' è. Ma le sue radici affondano nella crisi dei sistemi politici nazionali, che del resto sono sempre meno in grado di affrontare efficacemente i problemi e perfino di indurre i cittadini a votare».

L' ipotesi del Brexit ci dice che l' Europa è in crisi?

«Penso che alla fine la Gran Bretagna non uscirà dalla Ue e che la Grecia non uscirà dall' Eurozona. Ma anche se saranno evitati il Brexit e il Grexit, se cioè non avverrà una disintegrazione per distacco di questo o quel Paese, è alto il rischio, per certi aspetti già in essere, di una disintegrazione per implosione, nel senso di passi indietro dell' integrazione per alcuni o per tutti. Sarebbe un brutto colpo, perché per diverse politiche importanti della Ue - pensiamo all' unione economica e monetaria o alla libera circolazione delle persone - un' integrazione che rimanesse a mezz' asta sarebbe, proprio come avviene per le bandiere, un funesto auspicio».

Siamo vittime delle angherie dell' Europa del rigore? È giusto sforare alcuni vincoli di deficit per dare respiro alla nostra economia?

«Fino agli anni Novanta, cioè prima che fossero introdotti il mercato unico europeo e l' euro, l' Italia aveva ogni anno un disavanzo pubblico tra i più alti in Europa, a volte del 10% del Pil o più, che andavano a sommarsi ad un debito pubblico anch' esso tra i più elevati».

Però vivevamo meglio, non trova?

«L' opinione pubblica non se ne rendeva neppure conto. La politica diceva "sì" a tutte le richieste, otteneva il consenso degli elettori e (forse) senza piena consapevolezza appesantiva sempre più la situazione in cui sarebbero venuti a trovarsi, un giorno, gli italiani che allora non erano ancora nati».

Insisto, rispetto ad oggi sembravano anni felici!

«In gran parte, va riconosciuto, l' Italia poneva in quegli anni, quando non c' erano vincoli europei, le premesse della grave disoccupazione giovanile di oggi, che molti attribuiscono erroneamente agli attuali vincoli europei. In realtà, con il mercato unico arrivarono limiti sugli aiuti di Stato, con i quali si erano tenute in vita le imprese in perdita. Con l' euro arrivarono i "parametri di Maastricht" e il "patto di stabilità", decisi non da eurocrati grigi e sadici ma dai capi di governo».

Questo non significa che abbiano fatto bene ai cittadini.

«Questi vincoli a volte sono fastidiosi: ma vogliamo ammettere che, prima della loro introduzione, generazioni di politici italiani avevano di fatto derubato i giovani italiani di oggi, per mantenere se stessi al potere? E siamo sicuri che, se la Ue con i suoi vincoli crollasse, non vi sarebbe un lunghissimo brindisi per salutare la resurrezione della "vera" politica, senza intralci da Bruxelles ? E pazienza per i nostri figli e nipoti...».

Non le sembra che dopo sette lunghi anni di crisi la linea del rigore abbia fallito?

«Vengo considerato un fan dell'"austerità", anche se non credo di avere mai impiegato quella parola. Sarei stato ben lieto se il mio governo non fosse stato obbligato dalle circostanze ad applicare politiche molto rigorose, quelle che la sorte e gli sforzi da noi chiesti allora agli italiani hanno risparmiato ai miei successori Enrico Letta e Matteo Renzi. Ma bisogna intendersi sulle parole, per evitare dispute fumose. Poniamo che il vincolo posto dall' Europa sia: "Gli Stati membri devono avere un bilancio pubblico che in termini strutturali, cioè sull' arco del ciclo economico, presenti un pareggio o comunque un disavanzo non superiore agli investimenti pubblici (definiti in modo concordato e con verifiche fatte dalla Ue) effettuati nell' anno". Potremmo parlare di austerità imposta dall' Europa?».

Lei non lo crede?

«Secondo me no. Se anche una regola così definita viene considerata portatrice di austerità, vuol dire che si considera normale, non criticabile, ricorrere all' indebitamento non solo per finanziare gli investimenti, ma anche per coprire spesa corrente. Per dirla con Paolo Baffi, un non dimenticato governatore della Banca d' Italia, si considererebbe allora normale che "lo Stato tradisca l' intenzione di risparmio delle famiglie", deglutendo quel risparmio in un disavanzo corrente».

Vuol dire che secondo lei non c' è niente da rimproverare alle regole europee in materia di disavanzi?

«Una cosa da rimproverare c' è. Le regole finora non riconoscono che l' investimento pubblico (con le qualificazioni sopra indicate) è importante per la crescita sostenibile. Finanziare un investimento pubblico con l' indebitamento pubblico (e non solo con un eventuale avanzo corrente) non è una "scappatella" che Bruxelles possa consentire, in quanto peccato veniale, con una dose di flessibilità concessa al Paese. Soprattutto in epoca di tassi di interesse molto bassi, è il non effettuare quell' investimento pubblico, perché non è consentito finanziarlo in debito, che contravviene ai principi base dell' Economia sociale di mercato tanto cara ai tedeschi - e, lo confesso, a me - perché così si penalizzano le generazioni future, che il patto di stabilità intende invece tutelare».

Sembra molto affezionato a questa convinzione...

«Questa è una battaglia che conduco da molto tempo. Finora senza successo, da economista e da commissario europe; con parziale successo da presidente del Consiglio. Dopo molta nostra insistenza, la Commissione e il Consiglio accettarono nella primavera del 2013 una "clausola di flessibilità", per alcuni investimenti pubblici effettuati da Paesi non sottoposti a procedura per disavanzo eccessivo, procedura dalla quale l' Italia uscì qualche settimana dopo».

Lei vuol dire che chiedere più flessibilità è un errore.

«Spero che l' Italia, con la volontà di cambiamento del presidente Renzi e con l' autorevolezza in Europa di cui gode il ministro Padoan, voglia concentrare su questa partita degli investimenti la sua pressione, più che disperderla in una richiesta a largo spettro di "flessibilità" che rischia di proiettare un' immagine sbagliata, se vogliamo in realtà regole economicamente migliori, più che la possibilità di non rispettarle pienamente».

Renzi sta combattendo contro le pretese illegittime di un partito filotedesco? Esiste davvero in Europa un partito filotedesco ed antititaliano?

«L' Italia, in Europa e nel mondo, attira molte simpatie, non certo inferiori a quelle attirate dalla Germania. La Germania è considerata un Paese più forte, e appartiene alla natura umana essere o mostrarsi vicini al più forte».

Detto così non è una immagine virtuosa!

«La mia convinzione profonda, peraltro, è che il Paese europeo che più auspica un' Italia stabile, prospera, europea e, se posso aggiungere, seria, sia proprio la Germania. Un' Italia così viene rispettata dalla Germania, oltre che da tutti gli altri. Anche la Germania, soprattutto la Germania, ha interesse ad un' Italia di questo tipo. Un' Italia sfibrata e instabile potrebbe forse venire "colonizzata" dalla Germania, ma credo che a Berlino prevarrebbe una grande preoccupazione».

Si può abolire l' Imu? Ce lo possiamo permettere?

«So bene che è una imposta impopolare. Ma c' è in quasi tutti i paesi d' Europa. Si può provare a toglierla, è vero: ma finché non si riduce la spesa pubblica può essere pericoloso. Magari se ne toglie una parte, e poi si finisce inevitabilmente per rimetterla. Quindi prima bisogna ridurre il deficit!».

Renzi ha attaccato anche lei all' assemblea del Pd: i tecnici che hanno creato i problemi - dagli esodati al fiscal-compact, alle tasse sulla casa, al bail in - adesso pretendono di dettarci le soluzioni. Le hanno fischiato le orecchie?

«Ho ascoltato l' intervento di Renzi con molto interesse. Non riprendo alcuni tratti che potrebbero sembrare uno scaricabarile, esercizio che non credo sia nelle intenzioni del presidente Renzi, in quanto non degno di due persone che sono state richieste, o hanno chiesto, di guidare un governo. Una sola osservazione su un tema generale e più importante. Fatico a capire la perdurante contrapposizione tra politici e tecnici. Per parte mia, sono sempre stato convinto che il potere di decisione debba essere esercitato dai politici. Sarei preoccupato se il politico abdicasse alla sua responsabilità di decidere. Sarei altrettanto preoccupato se, nel preparare le sue decisioni, il politico ritenesse che la competenza e l' esperienza, proprie o apportate da chi politico non sia, siano superflue o addirittura nocive».

La (nefasta) profezia di Briatore: "Occhio, 4 mesi e crolla l'Europa

La (nefasta) profezia di Briatore: "Occhio, 4 mesi e crolla l'Europa..."




Mezza vita spesa a Londra e dintorni: chi, in Italia, conosce gli inglesi meglio di Flavio Briatore? E così, mister Billionarie, spiega il suo punto di vista su Brexit e dintorni in un'intervista a Il Corriere della Sera. "Londra ha una dimensione internazionale ma non europea - premette -. I londinesi non vivono l'Europa, né a livello finanziario, né a livello culturale. E la politica di Cameron lo dimostra". Dunque, l'amara profezia: "Hanno trovato un accordo, ma al referendum gli inglesi voteranno no all'Ue. Non tanto i londinesi, la City, ma in giro per l'Inghilterra il sentimento antieuropeo è diffuso". Secondo Briatore, dunque, il Regno Unito è destinato ad affrancarsi da Bruxelles: alla consultazione del prossimo giugno, tra 4 mesi, si sancirà lo strappo (che potrebbe essere metaforicamente dolorosissimo per la zona-euro).

E Briatore, in un certo senso, sembra condividere le posizioni radicali dell'isola. Infatti spiega che con i suoi affari, a Londra, si trova "benissimo. Una burocrazia, molto più snella, esiste, ma conosci subito i tempi di un affare, quando si avvia e quando finirà l'operazione. Un po' diverso dall'Italia, dove si fanno e si creano opinioni. A Londra - sottolinea - si va avanti con i fatti". Sulla percezione del fenomeno dei migranti, spiega: "A Londra non esiste, non te ne accorgi nemmeno. Gli inglesi sono professionali, ben organizzati. Quelli che arrivano in Inghilterra, e sono una minoranza risp
etto al resto dell'Europa, vengono accolti e smistati".

Un Luttwak che non perdona Frase da brividi su Boschi e Madia

Un Luttwak da pazzi. Quella sua frase da brividi (sulla Boschi e sulla Madia)



Nella recente intervista concessa a Il Giorno, il politologo Edward Luttwak ha letteralmente massacrato Matteo Renzi. Secondo Luttwak "ha fallito perché doveva fare riforme importanti e non le ha fatte. Non ha fatto la spending review e non ha messo mano alla burocrazia della pubblica amministrazione". E ancora, quanto al possibile complotto Ue contro Renzi, secondo il politologo "non esiste, c'è stato sicuramente per Berlusconi, ma non nei confronti di Renzi". Ma è un'altra la frase che ha fatto più discutere. Luttwak, infatti, consiglia a Renzi di andare avanti, ma "innanzitutto lasciando a casa le ragazzine e i dilettanti e circondandosi di personaggi qualificati". Un riferimeento neppur troppo velato alla sua coppia di giovani ministre, Maria Elena Boschi e Marianna Madia.