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mercoledì 16 dicembre 2015

STRAPAGATI DA BANCA ETRURIA Smascherati i giornalisti: i nomi

Banca Etruria spennava i risparmiatori e strapagava le grandi firme: tutti i giornalisti a libro paga per il giornale dell'istituto


di Franco Bechis

Aldo Cazzullo e Aldo Grasso

C’era chi, come il socio Attilio Brilli, si complimentava perfino in assemblea per un’attività meno conosciuta di Banca Etruria: quella editoriale. Applausi per «la pubblicazione da oltre 25 anni della collana di libri dedicata alle singole sedi dell’Istituto». E soprattutto per «la qualità della rivista Etruria Oggi, impreziosita da prestigiose firme a livello nazionale ed internazionale». Era il 4 maggio 2014, l’ultima assemblea dell’Etruria di cui esista il verbale stenografico. Fu quel giorno che i soci impalmarono Lorenzo Rosi alla presidenza e Pier Luigi Boschi alla vicepresidenza, per il vertice che avrebbe terminato assai velocemente l’avventura finendo nelle maglie del commissariamento. Certo, con tutto l’arrosto a tema quel drammatico giorno in cui l’assemblea della banca aretina doveva prendere atto dei pesanti rilievi della Banca d’Italia, di una perdita di 81,2 milioni di euro, della necessità di spendere nuovi soldi in consulenze per cercare di fare sposare l’istituto di credito con qualcuno più forte in grado di assorbirlo, quel riferimento alla rivista aziendale è sembrato curioso fumo. Eppure non fu l’unico intervento, altri soci misero nel mirino quella rivista, chiedendo ragione di spese inappropriate in un momento così grave. Vibrante l’intervento di Piero Lega, socio che si presentò proveniente «dalla lontana parrocchia di Anghiari». E altri ancora.

Fino a quel giorno sembrava che nessuno si fosse occupato della rivista, che pure esisteva da 32 anni. Difficile oggi capirne il motivo: la rivista è ufficialmente sparita anche dal sito internet dell’Etruria. Tutti i numeri in pdf che erano stati caricati sopra sono stati tolti. Un solo numero è ancora rintracciabile e sfogliabile solo on line attraverso la macchina del tempo di internet: quello del dicembre 2014, numero 90. La fotografia di molte copertine dal 2008 in poi è ancora rintracciabile sull’account Pinterest della Banca, che deve essere sfuggito ai censori. Siccome sulla prima pagina della rivista (che era accompagnata da un inserto a parte, Etruria Oggi Informa) di carta patinata si esponevano in calce con orgoglio i collaboratori del numero, è facile scoprire come dovesse esserci la fila di molte firme di punta del giornalismo italiano per apparire lì. Chissà se per la generosa tiratura della rivista (non meno di 20 mila copie a numero, e una mailing selezionata a cui inviarla, che comprendeva la classe dirigente politico-economica italiana) o se per i generosi borderò che preoccupavano i piccoli soci della banca.

Fatto sta che su Etruria Oggi collaboravano penne di primissimo piano, con una certa predilezione per la squadra del Corriere della Sera con sui sembrava quasi esserci una intesa editoriale. Si possono trovare profondi articoli di Aldo Cazzullo, lo specialista in grandi interviste nel quotidiano rizzoliano. Ma anche copertine firmate dal vaticanista Luigi Accattoli, profonde riflessioni sulla comunicazione del critico tv del Corriere, Aldo Grasso. Interventi planetari del principale commentatore di politica estera, Franco Venturini. Articoli sul costume e la psiche della firma specializzata di Corriere e Io Donna, Silvia Vegetti Finzi. E ancora, Salvatore Bragantini, ex commissario Consob ed editorialista del Corriere della Sera. Ha attraversato tre giornali collaborando a Etruria Oggi anche Stefano Folli, all’inizio Corriere della Sera, poi Sole 24 Ore e infine Repubblica. Da quest’ultimo giornale proviene Andrea Tarquini (corrispondente di Repubblica per la Germania), che firma la cover del numero 90 della rivista nel dicembre 2014 raccontando la storia della Lego. Sullo stesso numero, con bel richiamo in copertina Leonardo Maisano, corrispondente da Londra del Sole 24 Ore racconta la voglia di secessione scozzese. Andrea Gennai del Sole 24 Ore, autore anche del fortunato blog Meteo Borsa, si esibisce invece in due pagine su «Un distretto d’oro», raccontando ovviamente la storia degli orafi aretini che hanno saputo difendersi dalla crisi puntando sul made in Italy. Processo - scriveva Gennai - «che ha interessato anche la banca di riferimento del territorio, Banca Etruria (…)», istituto «che ha dovuto ripensarsi a fronte di un mercato che stava mutando velocemente e in presenza di volumi che di anno in anno scendevano». In altri numeri della rivista si sono espressi firme de La Stampa come Aldo Rizzo, della Rai, o economisti di punta come Giacomo Vaciago (anche lui editorialista del Sole 24 Ore) e Loretta Napoleoni (videoblogger per il Fatto Quotidiano, ex collaboratrice de l’Unità e rubrichista del Venerdì di Repubblica). C’era la fila di grandi firme dunque a Banca Etruria.

Ma più che quelle collaborazioni, nell’ultimo anno prima del crac, a Banca Etruria avevano pesato ben altre consulenze. Lo si capisce dall’unico rapporto lasciato in eredità dalla gestione commissariale che riassume la situazione finanziaria al 31 dicembre 2014 (un disastro con una perdita di 526 milioni di euro) e gli avvenimenti successivi del 2015. Fra i tanti costi amministrativi che salgono decisamente con la gestione dell’ultimo presidente, Rosi, e di papà Boschi, si spiegano i 9,5 milioni del capitolo sulle consulenze «legate alle varie fasi della tentata operazione di aggregazione, nella quale la banca è stata impegnata nel corso di esercizio». Costi che debbono essere divisi fra quelli per gli advisor veri e propri cui era stato dato mandato per trovare una banca con cui sposarsi (Rotschild, Lazard e Kpmg advisory) e gli advisor legali che dovevano valutare il contratto matrimoniale, con in testa lo studio di Franzo Grande Stevens, il legale di fiducia del gruppo Fiat per decenni. Consulenze peraltro inutili, perché la sposa fu pure trovata: la Banca Popolare di Vicenza, che offrì un euro per azione come dote (più del doppio del valore delle azioni Etruria in quel momento), ma fu respinta con perdite da Rosi e Boschi.

Alfa torna in Formula 1? Forse Che cosa c'è dietro l'annuncio...

Alfa Romeo torna in Formula 1? Forse. Cosa c'è dietro l'annuncio di Marchionne


di Nino Sunseri



Certo l’emozione è forte: rivedere il Biscione dell’Alfa Romeo che corre sui circuiti della Formula 1. Rivivere la leggenda: nel 1936 la piccola P3 guidata da Nuvolari che al Nurburgring si mette dietro le Mercedes che avevano 130 cavalli di più. Perché allora poteva accadere anche questo: altro che la turbina dell’ibrido. Rumorosi cavalli da mettere a terra e una piccola macchina italiana che teneva a bada lo squadrone di Germania guidato da Alfred Neubauer. Non sappiamo se Toto Wolff l’abbia mai conosciuto. Comunque andiamoci piano con i sogni anche se ieri Sergio Marchionne ha dato al mondo dello sport italiano a quattro ruote una scarica di adrenalina da infarto. «Stiamo pensando ad un suo ritorno in Formula 1 come nostro competitore». L’occasione sono gli auguri di Natale ai giornalisti cui sta illustrando lo sbarco della Rossa a Piazza Affari dopo l’esordio a Wall Street.

Per l’evento, il super-manager ha messo da parte il cappello di amministratore delegato di Fca per tenersi solo quello di Presidente della Ferrari. D’altronde parla a Maranello. Vuol sgomberare il campo dalla più immediata delle sensazioni: che il Biscione possa diventare il team satellite del Cavallino Rampante. Per questo basta la Haas. L’Alfa, avrà l’obbligo di vincere. Anche a costo di diventare un competitore della Ferrari, come ci tiene a precisare Marchionne: «È incredibile come il marchio Alfa Romeo resti nel cuore della gente». Comunque l’operazione, se mai dovesse avvenire, non sarà immediata. Forse fra un paio d’anni durante i quali, con un altro colpo di teatro, Marchionne lascia intendere che potrebbe essere la Ferrari a lasciare le competizioni. Per il momento, però, niente allarmismi: «Che la Ferrari lasci la Formula 1 è un’ipotesi possibile, ma molto improbabile. Se non ci vogliono noi ce ne andiamo», ha sentenziato. E senza mezze misure il capo del gruppo ha continuato la provocazione parlando anche delle nuove regole e della questione relativa alla fornitura di motori ai piccoli team. «Se vogliono trasformare la F1 in Nascar possono fare a meno di noi». Il riferimento è al campionato americano dove le auto sono tutte eguali.

Ma sul futuro dell’Alfa si scatena la fantasia. Un’operazione che avrebbe un costo di almeno cento milioni, secondo i conti fatti in tasca alla Haas. I motori, con tutta probabilità, sarebbero quelli realizzati a Maranello. Si tratterebbe di vedere se con le specifiche dell’anno in corso o con quelli della stagione precedente come convenuto con gli altri clienti. Ma Ferrari potrebbe considerare l’Alfa un cliente come un altro? Difficile. E non c’entra solo il fatto che appartengono allo stesso gruppo industriale. Tanto più che il legame fra le due aziende, dopo la quotazione in Borsa della Rossa diventerà più debole. Conta molto di più la storia. Il fatto che Enzo Ferrari avesse cominciato con le Alfa, che il Cavallino Rampante, prima di comparire a Maranello, troneggiava sui cofani delle auto da corsa fabbricate al Portello, che all’inizio della sua storia di costruttore di automobili al Drake non era possibile usare il nome e il simbolo perché, con il suo bel carattere, aveva litigato con i capi dell’azienda milanese.

La memoria corre agli albori del Campionato di Formula 1. Ai titoli vinti da Nino Farina e da Manuel Fangio. Una leggenda che ha resistito ai decenni di astinenza di risultati. Un buio rischiarato solo dalle vittorie mondiali nella categoria sport-prototipo a metà degli anni ’70. Il ritorno in Formula 1 negli anni ’80 è stato terribile. Troppo pesanti i motori, troppo assetati di benzina. Troppo pochi i soldi per l’azienda ancora in mano all’Iri. Il ritiro definitivo dopo che nel 1986 la proprietà era diventata Fiat.

Adesso l’annuncio del ritorno in Formula 1. Un tentativo da parte di Marchionne di lucidare il marchio. Annunciando, però, che l’operazione avrà tempi lunghi. La Renault, per tornare in gara ha acquistato la Lotus e sarà in gara già la prossima stagione. A Marchionne invece piace molto avere programmi a lungo termine per l’Alfa. Ha impiegato circa dieci anni per tornare negli Usa e alla fine ha scelto una vettura di super-nicchia come la 4C. Lo stesso per la Giulia: presentata a giugno entrerà in produzione solo all’inizio dell’estate. I clienti la vedranno forse in autunno. Non vorremmo che l’annuncio della Formula 1 fosse un bel lancio pubblicitario. L’auto, invece, resta destinata ai box.

Clamorosa evasione dal carcere di Stasi La "prodezza": come è riuscito a fuggire

La clamorosa evasione dal carcere di Stasi. La "prodezza": come è riuscito a fuggire




Alle 13, ora della conta, ci si accorge che nel "carcere modello" di Bollate, quello che ha appena accolto Alberto Stasi, c'è qualcosa che non torna. Nel dettaglio, non tornano i numeri: un detenuto è scomparso. Si tratta di Predan Zonic, 52 anni, origini serbe, evaso lunedì dal suo reparto, il numero 7. L'uomo avrebbe imboccato il lungo corridoio che separa le celle dagli spazi destinati dalle attività e, come racconta Il Giorno, avrebbe raggiunto il muro di cinta. Poi, il mistero. Insomma, Zonic, senza minacciare nessuno avrebbe eluso la sorveglianza interna per poi superare un cortiletto di passaggio, quindi si sarebbe infilato in un cantiere interno al penitenziario. L'ipotesi è che si sia accodato a un camion dello smaltimento dei rifiuti in uscita, il veicolo che gli ha permesso la fuga. Dunque, l'evasore si è dato alla macchia. Il serbo era a Bollate dallo scorso settembre (fu trasferito da Vigevano) per una violenza sessuale. Incredibile il fatto che abbia scelto di evadere a soli quattro mesi dal termine della pena: ad aprile, infatti, sarebbe stato un uomo libero. "Non si tratta della fuga organizzata di un criminale pericoloso, ma del colpo di testa di un detenuto a fine pena - spiega Massimo Parisi, direttore del carcere di Bollate -. Un'evasione assurda, un gesto anche per noi inspiegabile. Stiamo cercando di capire ogni aspetto di questa vicenda, probabilmente - ha concluso - ci sono motivi familiari dietro la fuga".

L'ex vescovo e i soldi dell'otto per mille: "Cosa ha fatto con due milioni di euro"

L'ex vescovo e i soldi dell'8 per mille: "cosa ha fatto con due milioni di euro" 




Due milioni di euro in tre anni. Soldi che provenivano dall'otto per mille destinato dal  Vaticano alla diocesi siciliana. La Procura, scrive Repubblica, sta per chiudere l'indagine. Francesco Micciché, questo il nome del prelato, è accusato di di appropriazione indebita, malversazione, diffamazione e calunnia nei confronti del suo ex economo, don Antonino Treppiedi, verso il quale aveva cercato di stornare i sospetti per un misterioso ammanco nelle casse della Curia. I pm coordinati dal procuratore Marcello Viola, seguendo il fiume di denaro uscito dai conti ufficiali dell'otto per mille della Curia trapanese, ha ricostuito un groviglio di bonifici, giroconti e false fatture che avrebbero consentito all’alto prelato di impossessarsi di grosse somme che avrebbe investito nell’acquisto di appartamenti e ville, a cominciare da quella mastodontica ( in parte adibita a bed and breakfast) di Monreale nella quale è andato a vivere insieme alla sorella e al cognato dopo la sua rimozione dall’incarico decisa da papa Francesco in seguito all’apertura dell’indagine nei suoi confronti.

Isis, 450 soldati italiani alla diga di Mosul Il terrore: una disastrosa bomba d'acqua

Isis, 450 soldati italiani alla diga di Mosul. Il terrore: una disastrosa bomba d'acqua


Isis, 450 soldati italiani alla diga di Mosul. Il terrore: una disastrosa bomba d'acqua

"Siamo in Iraq per l'addestramento ma anche con un'operazione importante per la diga di Mosul". Così il premier Matteo Renzi, spiegando che l'Italia invierà "450 uomini insieme agli americani" per la difesa dell'opera, che sarà costruita da un'azienda italiana. La diga, infatti, si trova "in un'area molto pericolosa al confine con lo stato islamico, è seriamente danneggiata e se crollasse Baghdad sarebbe distrutta", ha aggiunto. L'Italia, dunque, sarebbe sul punto di schierare forze di terra contro l'Isis: obiettivo, evitare che la diga possa entrare nel mirino dei terroristi. La paura, infatti, è che in caso di nuovo attacco l'opera possa generare una bomba d'acqua: la diga, spigano fonti curde, è già danneggiata; se crollasse potrebbe portare alla distruzione delle province Ninive, Kirkuk e Salahuddin, causando probabilmente danni fino a Baghdad, che si trova 350 chilometri a Sud.

Parcheggio nei box e liti tra condomini: occhio, una sentenza cambia tutto...

Parcheggio nei box e liti tra condomini: occhio, una sentenza cambia tutto...




Chi vive in un condomino sa quali nefaste conseguenze possa provocare un parcheggio sbagliato nei box. Magari anche soltanto parcheggiare la propria macchina fuori dal proprio box, lì davanti, anche se non è d'intralcio per nessuno: fioccano proteste, perché "lì non sta bene" e "deve starci dentro, al box". Ma oggi cambia tutto. Già, perché una sentenza stabilisce che l'assemblea condominiale può prevedere, con decisione deliberata a maggioranza, la facoltà per tutti gli inquilini di parcheggiare la seconda autovettura davanti o in prossimità del proprio garage, all'interno di un'area comune, purché lo spazio disponibile per il transito rimanga sufficiente e senza che questo comporti un mutamento della destinazione del bene comune. Così il Tribunale di Vicenza con la sentenza 984/2015 ripresa da Il Sole 24 Ore, sentenza che ha rigettato la domanda proposta da un condomino che si erea scagliato contro la possibilità prevista dall'assemblea condominiale. 

Caso Cucchi, un nuovo processo per i medici Confermata l'assoluzione degli agenti

Cucchi, un nuovo processo per i medici. Confermata l'assoluzione degli agenti




Per la morte di Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre 2009 e deceduto dopo una settimana all'ospedale Pertini di Roma, la Cassazione ha annullato l'assoluzione di 5 medici, stabilendo dunque per loro un appello-bis in cui dovranno difendersi dall'accusa di omicidio colposo. Definitivamente assolti invece tre agenti della polizia penitenziaria, tre infermieri del "Pertini" e un sesto medico. I giudici del Palazzaccio hanno accolto la richiesta del procuratore generale Nello Rossi.

La Corte d'assise d'appello di Roma dovrà riesaminare, solo per l'accusa di omicidio colposo, la responsabilità del primario del reparto protetto del "Pertini" Aldo Fierro e quella dei medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo.

E' definitiva, invece, l'assoluzione della dottoressa Rosita Caponetti. La Suprema corte inoltre ha confermato le assoluzioni di 3 infermieri e di 3 agenti della penitenziaria e preso atto del ritiro di un ricorso della parte civile. In parallelo procede l'inchiesta bis della Procura di Roma, che ha iscritto nel registro degli indagati 5 carabinieri.

"I medici sono responsabili della morte di mio fratello, se lo avessero curato non ci sarebbe alcun motivo di parlare di lui", ha commentato Ilaria Cucchi, che poi ai microfoni di TgCom24 ha definito il verdetto della Cassazione "un nuovo importante inizio". E ancora, ha aggiunto: "Mi auguro che adesso gli agenti della polizia penitenziaria parlino di quello che è avvenuto e dicano tutto quello che sanno. Si respira un'aria completamente diversa rispetto a quando sei anni fa mi mandarono il certificato dell'autopsia di mio fratello: adesso vedo che la Procura ha voglia di fare chiarezza e mi sento finalmente in sintonia con i magistrati", ha sottolienato.