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giovedì 12 novembre 2015

Vatileaks, i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi indagati per lo scandalo: le accuse

Vatileaks, indagati i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi




I giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, autori dei libri “Avarizia” e “Via crucis”, sono indagati nell’ambito dell’inchiesta vaticana sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede. Nel libro del giornalista napoletano de L’Espresso si parla delle carte che svelano ricchezza scandali e segreti della Chiesa di Francesco. Sotto inchiesta anche Gianluigi Nuzzi per il suo nuovo libro uscito per Chiarelettere il 9 novembre, in cui racconta fatti e retroscena della drammatica guerra intrapresa da Papa Francesco per rivoluzionare la Chiesa, incontrando non pochi ostacoli nello scardinare un radicato sistema di privilegi e interessi. 

Il manifesto elettorale di Del Debbio Lui nega

Paolo del Debbio, Milano tappezzata da suoi manifesti




C’è un piccolo giallo su Paolo Del Debbio a Milano. Nonostante il giornalista abbia più volte smentito di volersi candidare, Milano sta per essere tappezzata da cartelloni che somigliano molto a quelli elettorali. La soluzione al giallo la dà Affaritaliani che fa notare come quei manifesti sponsorizzino un convegno a ci partecipano: sponsorizzano un convegno nel quale gli ospiti sono illustri: Matteo Salvini, Maurizio Lupi, Emanuele Fiano, Ignazio La Russa, Laura Ravetto, il leader di Unione Italiana Gianfranco Librandi.

Il sospetto...Il titolo del convegno è  “Ripartiamo dalle periferie”. Affaritaliani.it che ha visto il manifesto sottolinea un altro aspetto. “La cosa che più ha colpito chi ha potuto vedere il manifesto è la foto: c’è Salvini? C’è La Russa? C’è Lupi? Macché: c’è una gigantografia di Del Debbio e sullo sfondo gli inconfondibili palazzi popolari di Milano. Quasi un programma politico. Di fronte al quale non c’è smentita ch

mercoledì 11 novembre 2015

Quel (brutto) sospetto di Belpietro: perché, oggi, Mattarella è al Colle

Sergio Mattarella, un fantasma al Quirinale: c'era un accordo perché fosse l'uomo del sì?


di Maurizio Belpietro
@BelpietroTweet



Giorgio Napolitano non mi è mai piaciuto: troppo comunista e troppo impiccione per essere digeribile come capo dello Stato. Nei quasi nove anni trascorsi al Quirinale non mi ha mai dato l’impressione di essere super partes, come richiederebbe il ruolo, e soprattutto non è mai stato zitto un giorno, ficcando il naso e anche le mani in ciò che non era di sua competenza. Dunque, quando se n’è andato e il suo posto è stato preso da Sergio Mattarella, non dico che ho stappato una bottiglia di prosecco, ma per lo meno in cuor mio mi sono rallegrato del fatto che sul Colle non ci fosse più nonno Giorgio e che finalmente non avrei dovuto più ascoltare le sue prediche inutili.

Immaginavo che il nuovo presidente della Repubblica sarebbe stato sobrio, poco presenzialista, sensibile solo alle questioni costituzionali e generali, un po’ nel solco di quello che era stato nel passato, da ministro e da giudice costituzionale. Insomma, mi auguravo una svolta, cioè un capo dello Stato che facesse il capo dello Stato e dunque fosse garante della costituzione nel rispetto dei poteri che la costituzione gli attribuisce, senza scavalcamenti, ma senza neppure deroghe a chicchessia. In cambio ero pronto anche a farmi andar bene il grigiore che ha emanato fin dal primo giorno il nuovo inquilino del Colle.

Purtroppo, trascorsi ormai parecchi mesi dal suo insediamento al Quirinale, mi devo ricredere. E non perché Mattarella si sia rivelato improvvisamente un sabotatore della carta che custodisce i valori della Repubblica o perché da uomo di poche parole sia divenuto improvvisamente garrulo e da grigio e sobrio che era si sia trasformato in un gaudente presenzialista. No, semplicemente perché Mattarella non c’è, non esiste. O meglio, esiste, interviene, parla nelle occasioni ufficiali, quando lo tolgono dal frigorifero e lo scongelano, eppure non dice niente e sempre di più somiglia a un supplente, un ospite di passaggio che viene portato in visita a qualche cosa che non conosce e di cui non gli importa nulla.

Va ad Expo l’ultimo giorno cercando di farsi notare il meno possibile per non rubare la scena a Matteo Renzi (l’inaugurazione la lasciò al presidente del Consiglio in modo che si intestasse i meriti della manifestazione). Taglia qualche nastro quando serve e se c’è da fare un discorso di buon senso non si tira indietro. Ma poi basta. Per il resto sta chiuso nel suo palazzo, al Quirinale, come se tutto quello che succede nel nostro Paese non lo riguardasse e non lo stimolasse a far sentire il suo pensiero. Non dico che si debba trasformare in un Napolitano o in uno Scalfaro, due dei peggiori capi di Stato che ci siano toccati in sorte da quando c’è la Repubblica, pronti ogni giorno a mettersi in vista e a condizionare governi legittimamente eletti. Ma neppure è accettabile che Mattarella si riduca ad essere una specie di fantasma del Colle.

A indurmi a questa riflessione è soprattutto il suo atteggiamento sul tema delle pensioni. Ma come, nella legge di stabilità si tornano a inserire norme che prevedono il blocco dell’indicizzazione sui trattamenti previdenziali oltre una certa soglia e lui che fa? Firma la legge e tace. Il governo vara un provvedimento che invece di restituire il maltolto ai pensionati aggira la sentenza della Corte costituzionale e il capo dello Stato che fino a pochi mesi prima di quella stessa corte era uno dei giudici, come si comporta? Sottoscrive lo scippo dell’esecutivo e si tappa la bocca. Ultima prova di assenza di vita sul Colle è il dibattito scatenato dal presidente dell’Inps Tito Boeri, il quale dopo aver fatto trapelare le sue idee di riforma previdenziale ha messo nero su bianco un disegno di legge che prevede di dare un reddito minimo ai cinquantenni rimasti senza lavoro, finanziando l’operazione con l’ennesima tassa sui trattamenti pensionistici oltre i 2200 euro netti al mese. Tutto ciò in barba a più sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato illegittimo il prelievo.

Come è possibile che il presidente della Repubblica, il quale è stato per anni un giudice costituzionale e dunque è uomo sensibile alla legittimità delle leggi, non si sia accorto dell’incostituzionalità delle misure che il governo vara? Come è possibile che non si opponga, rifiutando la firma a provvedimenti palesemente in contrasto con le sentenze dei suoi ex colleghi? Come si spiega che di fronte a un dibattito che per l’ennesima volta punta a toccare l’assegno previdenziale dando prova che questo è il Paese dell’incertezza del diritto, la prima carica dello Stato non senta il dover di far sentire la propria voce? Dopo essermi a lungo interrogato, ne ho concluso che ci sono soltanto due risposte. O Mattarella è lo spettro della Repubblica, ossia la rappresentazione di un potere che è solo un’illusione ottica ma ormai non esiste più, oppure il capo dello Stato ha accettato il Colle in cambio del silenzio, divenendo simulacro di un contrappeso che ormai pesa solo a favore di Matteo Renzi. Non ci sono altre spiegazioni. O il Quirinale è ormai una scenografia di facciata, un po’ come quei palazzi sui set dei film che hanno solo la parte anteriore ma dietro sono legno e cartapesta, oppure il presidente della Repubblica è frutto di un accordo iniziale che prevedeva che l’uomo del Colle non fosse più l’uomo dei no, ma solo un uomo dei sì.

Forse qualcuno riterrà il mio discorso un po’ brutale e magari anche offensivo. Ma non è questa la mia intenzione. Avendo collezionato - credo caso più unico che raro - già due indagini per vilipendio al capo dello Stato (da cui sono regolarmente uscito senza alcuna condanna) non voglio prendermi la terza. Vorrei solo una risposta.

C'È UN SECONDO SOSPETTATO L'uomo che può salvare Bossetti

Yara, nell'indagine spunta un secondo uomo




Spunta un secondo uomo nell'indagine sulla scomparsa e la morte di Yara Gambirasio. A dirlo è il settimanale Oggi in edicola, che sottolinea come la ragazzina, quella sera del 26 novembre 2010, non fu rapita né fu trascinata a forza su un automezzo. Scrive il settimanale che "oltre a quello di Massimo Bossetti, c’è un nome che è comparso marginalmente nelle indagini. A Brembate è sulla bocca di molti. E basta dare un’occhiata più attenta ai filmati delle telecamere di sicurezza distribuiti a giornali e televisioni dai carabinieri per notare che nelle stesse ore in cui hanno inquadrato il camioncino di Bossetti si scorge un furgone che incrocia quello del muratore di Mapello facendo lo stesso percorso attorno alla palestra". Gli avvocati di Bossetti starebbero lavorando anche su queste immagini, con indagini difensive per ora segretissime.

L'uomo, scrive sempre Oggi, "vivrebbe a poca distanza dalla palestra, spesso si lascerebbe andare ad apprezzamenti sconci verso le ragazze e pare si fosse invaghito di una donna molto vicina a Yara. In realtà l’uomo, sentito dagli inquirenti, ha dimostrato di avere un alibi ed è subito uscito dalle indagini. Ma il suo Dna è stato confrontato con quello emerso dai peli e capelli trovati sul corpo di Yara rimasto finora di un ignoto? È stato analizzato il furgone che guidava fra le 18.30 e le 19.35 del 26 novembre 2010, quando un testimone lo ha visto tornare a casa?".

Caivano (Na): Monopoli-Forza Italia scontro ancora aperto?

Caivano (Na): Monopoli-Forza Italia scontro ancora aperto? Intanto le opposizioni protocollano un'interrogazione consiliare


di Gaetano Daniele 



Sfida all'O.K Corral tra il neo Sindaco Simone Monopoli, ed i suoi consiglieri comunali di Forza Italia, partito politico rappresentato sempre da Simone Monopoli che succede al fratello Luca Monopoli dimessosi poche settimane fa da segretario politico, insomma, partito formato famiglia?. E come recita il detto, i fatti della pignata li conosce solo la cucchiarella. Al centro del dibattito, una lettera protocollata appunto, dai consiglieri comunali di Forza Italia, primo partito di maggioranza. Oggetto? Richiesta di controllo atti amministrativi: "I consiglieri comunali chiedono alla S.V di disporre ogni opportuna iniziativa tesa a garantire l'osservazione della normativa vigente, nonchè ogni misura volta ad assicurare l'esatta osservanza delle norme in materia nell'interesse dell'Ente Comune". In breve, i consiglieri comunali chiedono al Sindaco Monopoli di vigilare di più soprattutto alla spartizione di incarichi e prebende. Forse ai consiglieri comunali di Forza Italia non è andato proprio giù che alcuni fratelli e mariti di consiglieri e assessori abbiano ricevuto piccoli affidamenti diretti. Il dato ufficiale, incontrovertibile, è che ciò è accaduto. Non solo gli affidamenti a fratelli e a mariti della Giunta comunale, ma anche il protocollo da parte di 5 consiglieri comunali di maggioranza che chiedono più democrazia e più trasparenza nelle scelte. Evidentemente questo non accade? Non lo sappiamo, ci atteniamo alla denuncia dei consiglieri comunali di Forza Italia, che parla chiaro. 

Ma la risposta del Sindaco Monopoli non si fa attendere: "Concetti aberranti e assurdi", così parte la risposta del Sindaco Monopoli ai suoi uomini di partito, a coloro i quali gli hanno consegnato, grazie ai loro voti, lo scettro per governare il Paese. Ma non finisce qui, la nota del Sindaco Monopoli continua: "Con tutti i problemi e le emergenze che vive Caivano è inconcepibile che gli sforzi dei consiglieri siano solo orientati verso gli incarichi da affidare". Così Monopoli. Infatti, per il Sindaco Monopoli, il problema di affidare incarichi e prebende a destra e a manca non sussiste. E' un problema che non deve essere discusso da nessuno. Gli affidamenti non si toccano, quindi i consiglieri comunali di Forza Italia non devono entrare nel merito degli affidamenti diretti. Gli affidamenti diretti sono affare del Sindaco Monopoli e degli assessori, che dovrebbero essere espressione proprio dei consiglieri, e se sbagliano? la colpa in quel caso a chi va? Ma come accaduto in campagna elettorale e come succede ancora oggi tra i banchi del civico consesso, il neo Sindaco Monopoli, punta il dito contro le opposizioni: "E' tutta colpa delle opposizioni", in sintesi, i consiglieri comunali di maggioranza puntano il dito contro Monopoli, ed è colpa delle opposizioni. Monopoli crede di governare un Paese di circa 50.000 abitanti, pieno di insidie e di problemi, accusando le opposizioni, anzi, costruendosi ad arte una giustificazione ai suoi fallimenti politici al cospetto degli elettori, raccontando la solita frase fatta: "Ho ereditato un Paese in dissesto". Ma per quanto tempo ancora le inesperienze politiche del neo Sindaco Monopoli e del suo entourage possono essere giustificate dall'intero Paese? Per quanti anni ancora dobbiamo sentire quasi come un Eco che la colpa delle sue inesperienze politiche è da attribuire a chi oggi non governa? 

Intanto, le opposizioni protocollano il 5 novembre, un'interrogazione consiliare per essere delucidati su quanto dichiarato dai consiglieri di Forza Italia, sulla parola illegalità, interpretata ed attribuita inizialmente nei confronti di alcune scelte politiche adottate dal primo cittadino, forse, espressioni un po forti, poi giustamente ritrattate ed attribuite appunto, alle passate amministrazioni. Difatti, l'oggetto del protocollo è: "Quali sono le illegalità da attribuire alle passate amministrazioni, considerato che parte dell'attuale consiglio comunale di maggioranza, oggi, è formato appunto, da consiglieri comunali della Giunta Falco, e se non è stata sporta denuncia, quali sono i motivi di tale omissione ?"

Google Maps funzionerà senza Internet: Arriva la rivoluzione sul navigatore

Google Maps consultabile anche offline: l'App per Android che funzione anche senza connessione Internet




Da oggi Google Maps permetterà la navigazione passo-passo, la ricerca delle destinazioni e le informazioni utili anche offline. Lo annuncia l'azienda nel suo blog ufficiale, specificando che d'ora in avanti sarà scaricare un'area geografica sullo smartphone e, quando non ci sarà copertura internet, l'app continuerà a funzionare senza interruzioni. Al momento la novità riguarda solamente i dispositivi con sistema operativo Android ma a breve la funzionalità sbarcherà anche su iOS. Per scaricare un'area è sufficiente cercare una città, una regione o una nazione e cliccare poi su download nella relativa scheda, oppure andare su "Aree offline" nel menù di Google Maps e premere il pulsante "+". Una volta scaricata la mappa, nel momento in cui Google Maps rileverà una connettività limitata o assente, passerà automaticamente alla modalità offline, mentre tornerà a quella online quando la connessione verrà ripristinata, così da garantire l'accesso alla versione completa di Maps, che comprende il traffico in tempo reale. Per impostazione predefinita, l'applicazione scaricherà le mappe sul dispositivo solo quando ci sarà connessione a una rete Wi-Fi, in modo da evitare addebiti elevati per il consumo di dati.

"Nel 60% del mondo oggi internet non è disponibile e, anche dove è possibile accedere al web, non è detto che la copertura sia uniforme.  Per la maggior parte della popolazione - scrive la product manager Amanda Bishop - dunque non è ancora possibile, o per lo meno non è semplice, accedere alle informazioni in modo rapido e agevole. Si tratta di un problema enorme, soprattutto quando si visitano luoghi sconosciuti. In questo senso Google Maps sta facendo nuovi passi in avanti con l'obiettivo di aiutare le persone a trovare le indicazioni di cui hanno bisogno per arrivare a destinazione, anche senza connessione internet".

L'intervista scottante "Pagavo in nero i moralisti di sinistra con soldi, tartufi, cene, viaggi e sbronze"

Giuliano Soria, il papà del Premio Grinzane: "Soldi in nero, tartufi, cene , viaggi e sbronze. Così pagavo i moralisti di sinistra"


Intervista a cura di Giacomo Amadori



Giuliano Soria quando parla ama tenere le mani appoggiate dietro la testa. Quasi a stringere i ricordi. Buoni per molti, ma non per tutti. Langarolo doc, 64 anni, a marzo è stato condannato in Appello a 8 anni e tre mesi per la gestione del Premio Grinzane Cavour di cui è stato per quasi un trentennio il dominus assoluto. È accusato di aver sperperato 4 milioni di fondi pubblici. Soldi che lui sostiene di aver in gran parte utilizzato correttamente e in parte dovuto versare nella greppia che ingrassava il caravanserraglio degli habitué del castello. In particolare quella fetta di mondo progressista che camuffa l’ingordigia con pose pensose e sopraccigli corrucciati . E così il “conto” di Cavour ha rimpinzato politici, intellettuali, giornalisti, attori, per lo più girotondini del pensiero debole e della tasca robusta. Oggi Soria è ritornato in pista con mille progetti, dirigendo due collane di libri e riprendendo le sue lezioni di Letteratura spagnola all’Università di Roma Tre. Ma soprattutto ha pronti un romanzo e un pamphlet sulla sua vicenda giudiziaria che dovrebbe uscire dopo la sentenza della Cassazione. Ora con le mani a sorreggere la nuca affronta anche questa intervista.

Soria che cosa sta succedendo nel mondo della cultura torinese? Prima hanno condannato lei e adesso indagano pure sulla conduzione del Salone del libro da parte del presidente Rolando Picchioni, accusato di peculato. 

«A Torino la pentola ha perso il coperchio. Non c’è solo il salone del libro in crisi, ma un sacco di altri enti, dal museo del cinema, alla film commission al teatro stabile. Chiuso il vivaio Fiat che aveva collocato i suoi in mille incarichi, la città è nuda in mano alla solita cricca comunista che blocca tutto, guardando al passato e non al futuro. Usa la cultura per piazzare personaggi scomodi o peggio. Per esempio Picchioni, lo hanno nominato al Salone perché in politica “rompeva”, “sapeva troppo”, “era un rompicoglioni”». 

In appello ha ottenuto un’importante riduzione della condanna che le aveva inflitto il tribunale e ora è in attesa della Cassazione. Nel frattempo sta preparando un pepatissimo pamphlet su chi si è rimpinguato grazie al premio Grinzane. 

«Sì, ma sarà anche un libro-denuncia sul linciaggio morale che ho subìto. Pensate che un giornale torinese ha dedicato una pagina intera a mia madre inventandosi che era stata in carcere. Sono stati querelati ed hanno pagato fior di quattrini! Per fortuna mia mamma non si è persa d’animo e anzi, a 90 anni suonati, ha inaugurato un blog di cucina e ha scritto il suo romanzo d’esordio, intitolato La littorina di Nosserio».  

Alcuni suoi stretti collaboratori sostengono che il suo pamphlet contenga nomi eccellenti. Dicono che varie pagine siano dedicate a importanti magistrati… 

«Dicono il vero, del resto basta andare a controllare i verbali di approvazione dei bilanci del Grinzane per trovare personaggi interessanti. Comunque su questi argomenti ho l’assoluto divieto da parte del mio difensore Luca Gastini a proferire anche una sola parola. Si aspetta un grande risultato dalla Cassazione e non vuole che qualche mia uscita possa interferire negativamente. Ma questo mi sento di dirlo comunque: pensate che avrei chiesto a un autorevolissimo magistrato torinese di far parte del consiglio del premio se avessi avuto qualcosa da nascondere nei conti? In ogni caso nel mio libro denuncia non parlerò solo di giudici».  

Non ha paura delle querele? 

«Se vuole saperlo io ho accusato decine di persone del mondo della politica e dello spettacolo, ma nessuno, dico nes-su-no, mi ha querelato. Come mai?». 

Allora passiamo al piatto forte: gli scrocconi della politica, del mondo dell’arte, del giornalismo e del cinema. Da chi cominciamo? 

«Dai giornalisti. Ho dovuto pagare in nero un’enormità di servizi direttamente a chi li realizzava. Nella vostra categoria Corrado Augias era ed è il più sfacciato di tutti. Lui lavora solo in nero. Lo sanno tutti. Fa il moralizzatore in pubblico e poi in privato è indecente. Sarà venuto 15-20 volte a presentare il premio e mi diceva se mi paghi in nero mi devi dare 5-7 mila euro, se no il doppio. Me li ha chiesti persino quando abbiamo presentato un suo libro al Grinzane Noir di Orta (Novara ndr)». 

Sono accuse gravi. Mi vuole dire che neppure Augias l’ha denunciata? 

«Assolutamente no. E su di lui non ho finito. Veniva spessissimo a Parigi a pranzo da me con la moglie e mi diceva sempre: “Bisogna che una volta ti inviti io”. Ebbene una sera lo ha fatto, nella sua casa in Montparnasse. L’appartamento era molto piccolo ed erano attesi otto invitati. Allora io gli chiesi: “Ma dove ci metti?”. Lui mi guardò e disse: “Hai ragione, allora andiamo al ristorante”. Scelse il prestigioso La Coupole, a tavola eravamo tre uomini e cinque donne. Alla fine sentenziò che il conto andava diviso tra i soli cavalieri. In pratica mi ha fatto offrire a due sue ospiti la cena che si sarebbe dovuta tenere a casa sua». 

Veniamo alla politica. Lei ha raccontato di aver elargito all’attuale governatore del Piemonte Sergio Chiamparino un sostanzioso finanziamento in nero.  

«Confermo di avergli consegnato un bel gruzzolo in contanti: 20.000 euro glieli ho dati in un bar in piazza Vittorio a Torino e ho i testimoni. Glieli ho messi in una busta nascosta dentro a un giornale. Lui era imbarazzato dalla presenza della scorta, ma ha preso la busta. Eccome se l’ha presa! Altri 5.000 glieli ho portati in casa dell’ex assessore alla Cultura Fiorenzo Alfieri, uno che mi scroccava spesso casa a Parigi e che faceva il ”raccoglitore” dei fondi pro Chiamparino». 

Si prende la responsabilità di quel che dice? 

«Certo che sì». 

Una delle ospiti più assidue della sua corte è stata Mercedes Bresso, l’ex governatrice del Piemonte. Lei nella sua memoria difensiva ha scritto che aveva imposto il marito Claude Raffestin in tutti i viaggi e persino dentro a una giuria. Ha pure detto che «Bresso esigeva che si invitassero i suoi amici a spese nostre».  

«La Bresso ha avuto molto dal Grinzane, soprattutto in termini d’immagine. Poi sul piano personale anche una grandiosa festa per il suo compleanno nel teatro d’opera dell’ex ambasciata prussiana a San Pietroburgo, dove mi aveva chiesto di organizzare un’edizione del premio. Fu un ricevimento per duecento ospiti, da vera zarina! Anche il marito ci deve molto. In alcune occasioni hanno utilizzato gli eventi del Grinzane per ritagliarsi i loro personali vantaggi».  

Lei asserisce di essere intervenuto per far pubblicare il noir della Bresso Il profilo del tartufo? 

«Certo. Era una cosa che non stava in piedi da sola. Io me ne occupai pagando di tasca mia anche un pesante lavoro di editing. Quando uscì, la signora nelle prime pagine si sperticava in lodi nei miei confronti. Poi, dopo che mi indagarono, fece fare in fretta e furia una nuova edizione. È tutta da ridere!». 

A proposito di tartufi, è vero che gli scrocconi del suo seguito ne andavano matti? 

«Il più ghiotto era il “compagno” Gianni Oliva, ex assessore regionale del Pd, un gran mangiatore di trifola. Dovevo rifornirlo spesso, ovviamente gratis: pare che il tartufo sia un afrodisiaco e, parola di Oliva, con lui sortiva quell’effetto». 

Nel suo libro nero ci sono altri politici? 

«Sì, per esempio c’è un onorevole romano: era insistente ed insaziabile, in particolare ai tempi in cui era sottosegretario. Lui veniva a prendere i soldi qui nel mio ufficio torinese al primo piano e mi chiedeva di chiudere le tende perché non ci vedessero dal palazzo di fronte. Avrà ritirato 30-40 mila euro e gli amici della sua corrente, che conosco personalmente, sospettavano che non li avesse portati al partito, ma se li fosse tenuti per sé». 

Non ha elargito solo buste, ma anche lussuosi soggiorni. Ci indichi qualche bon vivant a spese dei contribuenti… 

«A parte i nomi che ho già fatto e che sono quindi noti c’è un famoso storico dell’arte, Salvatore Settis». 

Settis? Ma è appena stato adottato dal blog del Movimento5stelle. Sarà un brutto colpo per gli attivisti… 

«Su Settis posso dire che ha fatto modificare lo Statuto della Scuola Normale di Pisa pur di essere rieletto la terza volta direttore. Giudicate voi!».  
Ha detto di aver ricompensato in nero star come Stefania Sandrelli, Isabella Ferrari, Charlotte 

Rampling, Michele Placido, Giancarlo Giannini, Franco Nero, Vincenzo Cerami. Chi era il più avido?  

«Il più ingordo era Giannini. Finita la cerimonia voleva essere pagato subito, ovviamente cash. Mi ricordo che una volta mi chiese insistentemente i soldi in un corridoio, altrimenti non sarebbe entrato nella sala dove si teneva la cena di gala. L’ho dovuto saldare sull’unghia, credo nell’anticamera di un bagno. Cose da matti. In realtà pochi attori italiani e stranieri sono immuni dal sistema del nero. Pensi che ho dovuto retribuire in contanti Eleonora Giorgi persino per farla venire alla festa della Vendemmia nell’ottobre del 2008…». 

Sono affermazioni gravi... 

«Me ne assumo la responsabilità». 

Ha scritto che il grande romanziere statunitense Philippe Roth è costato 30.000 euro in forma non ufficiale. Ci spieghi meglio. 

«Quando premiavamo uno scrittore all’estero, lo facevamo cash e senza fattura. L’ho rimunerato personalmente all’Italian Academy della Columbia university. Ricordo che era irritato perché i giornalisti italiani non parlavano in inglese e nemmeno il direttore editoriale dell’Einaudi».  

Chi altro è stato pagato sottobanco? 

«Quasi tutti. Da José Saramago a Osvaldo Soriano, da Paulo Coelho, ad Adolfo Bioy Casares a Sepulveda. Non è andata diversamente con i cubani. Pensi che Tahar Ben Jelloun, da presidente della giuria, mi disse che non voleva la ricevuta, ma essere liquidato in contanti. Una cosa impossibile per i giurati, che venivano ricompensati in modo ufficiale. Ben Jelloun ha un rapporto particolare con il denaro. Ricordo che voleva divorziare dalla moglie e quando scoprì quanto gli sarebbe costato iniziò a sussurarle “j’e t’aime”. L’ho pure dovuto salvare da una grana giudiziaria, visto che per cupidigia aveva venduto i diritti di un suo libro a due diversi editori». 

Col Grinzane lei ha anticipato diversi premi Nobel, come quello al nigeriano Wole Soyinka.  

«Uno snob. Mi scrisse che non trovava giusto che dei ragazzi di liceo giudicassero uno scrittore del suo livello, visto che era un principe dell’antico popolo Yoruba. C’è da dire che dopo che lo abbiamo premiato alcuni protestarono facendoci notare che l’opera con cui aveva vinto era un rimaneggiamento di quella del leggendario Amos Tutuola, un nomade che trasmette i suoi racconti per via orale». 

Tutuola chi? 

«Amos Tutuola. Si presentò a un appuntamento con me in Africa con la sua tribù e i suoi cammelli, annunciato da una nuvola di polvere. Quando lo invitammo in Italia, si fermava per strada ad abbracciare i copertoni delle ruote».  

Come sono questi premi Nobel visti da vicino? 

«Umanissimi. Mi ricordo che il polacco Czeslaw Milosz, ormai ottantenne, venne al premio e si ubriacò di Barolo. Gli chiedemmo perché a fine serata si stesse scolando tutto il vino che era rimasto sulla tavola e lui ci spiegò che quello era l’unico modo “to fuck” la giovane e splendida moglie che lo attendeva in stanza. A| contrario, Soynka non aveva certo bisogno dell’alcol per soddisfare le donne, quel monumentale africano era un grande amatore. Almeno così mi assicurò una mia collaboratrice. Con Sepulveda, invece, ricordo tremende ciucche di grappa».  

Ha conosciuto anche il grande Jorge Luis Borges. 

«Parlavamo di tutto e sul conflitto delle Falkland mi regalò un aforisma fulminante: la definì la guerra tra due calvi per un pettine. Quando gli domandai quale fosse il più grande errore della sua vita mi mise una mano sulla spalla, quasi accarezzandomi, e disse: “Caro Soria, mi sono dimenticato di essere felice”».  

Torniamo al suo j’accuse. Lei sembra particolarmente divertito dalla voracità di Alain Elkann, padre di John, il presidente della Fiat Chrysler Automobiles… 

«È un flagello per le lettere italiane: vacuo e spendaccione con i soldi degli altri. Al grande evento del Grinzane a New York superò sé stesso: pretese la first class per sé e la moglie, allora era Rosi Greco, e l’alloggio all’Hotel Carslyle, un 5 stelle lusso. Mi ricordo quanto mi disse l’avvocato Gianni Agnelli di lui: “Possibile che mia figlia Margherita tra tutti gli ebrei geniali abbia finito per sposare l’unico c…”».  

In questi mesi qualcuno l’ha chiamata per chiederle di essere cancellato dal suo mémoire? 

«Moltissimi mi hanno contattato per essere risparmiati. Esponenti della politica e della Rai. Ma qui non vale il noto proverbio africano: “Dove c’è un desiderio si trova sempre un cammino”. Qui non ci sarà cammino».