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lunedì 16 novembre 2015

ECCO IL TERRORISTA RICERCATO "È belga, ha 26 anni ed è pericoloso"

Parigi, la foto e il nome del terrorista in fuga: "Belga, 26 anni e pericoloso"




La polizia francese ha diffuso la foto d un sospetto potenziale per gli attacchi di Parigi. Lo riporta Bmftv spiegando che si tratta di, Abdeslam Salah, belga di 26 anni in fuga e "pericoloso". È il terzo dei fratelli coinvolti negli attentati, il cosiddetto "ottavo uomo". 

"Altri due kamikaze francesi" - Gli inquirenti hanno anche reso noto che tre degli attentatori suicidi coinvolti nel massacro di venerdì erano francesi: "Altri due terroristi morti la notte del 13 novembre sono stati identificati oggi dalle loro impronte digitali", afferma la Procura in un comunicato, in cui si specifica che si tratta di cittadini francesi residenti in Belgio. I due, che avevano 20 e 31 anni, sono tra i kamikaze che hanno agito allo Stade de France e in un bar dell'XI arrondissement. Si rafforza, dunque, la pista dei legami tra Parigi e Bruxelles.

L'Italia piange Valeria, morta al teatro Una vita tra università e volontariato

Valeria Solesin, la studentessa uccisa al teatro Bataclan




Non era dispersa, ma il suo corpo era all’obitorio. Tra le vittime della strage al Bataclan. Tra  quei giovani che hanno trovato l’orrore di una morte senza una ragione mentre ascoltavano un concerto. Valeria Solesin è morta. Non si spera più. La studentessa veneta aveva 28 anni e studiava Demografia all’Università Sorbona di Parigi dove viveva con il suo fidanzato. Valeria era veneziana e circa sei anni fa era volata a Paridi dove si era laureata con una tesi sulle madri lavoratrici. La ragazza stava svolgendo un dottorato. Era anche volontaria di Emergency.  

La testimonianza - Era andata al concerto insieme ad Andrea Ravagnani, la sorella di lui, Chiara, e il fidanzato dei questu’ultimo. “Non erano ancora nella sala, -  spiega un'amica veneziana della famiglia. - Ma lì si sono staccati; nella calca gli altri tre hanno perso contatto con Valeria. Nessuno l'ha più vista. Ma lì si sono staccati; nella calca gli altri tre hanno perso contatto con Valeria. Nessuno l'ha più vista. " Sui social rimbalzano i messaggi di cordoglio e le parole di dolore tra questi anche quelli di Gino Strada e sua moglie .

TRATTATIVA CHIESA-ISIS Monsignor Bagnasco choc: "Auspicabile un dialogo"

Monsignor Bagnasco: "Auspicabile un dialogo con l'Isis"




"Cercare dialogo con queste persone? Ci auspichiamo che sia possibile e su questo auspicio tutti dobbiamo continuare ad avere speranza e operare attraverso le vie che sono possibili all'intelligence e alla diplomazia". La "trattativa Chiesa-Isis (e Occidente-Isis) è possibile: parola di monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova. 

Intervistato a Stanze Vaticane su Tgcom24, il Cardinale ha poi spiegato: "Dev'esserci però un isolamento radicale di tutti i governi, dicendo basta ad ogni rapporto, alle forniture di armi e viveri, con una condanna reale, che finora è stata però solo verbale e non pratica". Mettere i terroristi jihadisti con le spalle al muro, dunque, e poi eventualmente trattare. Posizione diversa rispetto a quella di Umberto Veronesi, che invitava a dare agli uomini di Al Baghdadi quello che vogliono.

Secondo Bagnasco ci sono due strade per reagire allo Stato Islamico: "Serve intanto una parola, una voce unica, unitaria, alta e insistente di condanna di questa strage e dell'odio di questa barbarie imperante. Questa voce dovrebbe sollevarsi da tutto il mondo indistintamente. Seconda via, a me pare, dovrebbe essere quella di isolare queste centrali del terrore e del terrorismo: tutti i paesi del mondo realmente sospendano, tronchino ogni rapporto, sia di tipo politico sia commerciale, con queste centrali. La domanda chi fornisce le armi e chi compra il petrolio, ecco, questa domanda è stata ancora inevasa e rimasta senza risposta".

Alla domanda se anche l'Italia adesso dovrà fare la sua parte per la lotta allo Stato Islamico, il cardinale ha risposto: "Nessuno può essere assente da questo fronte della giustizia e della pace che passa attraverso la via del dialogo e della condanna unitaria e dell'isolamento concreto. Anche l'Italia è presente e fa e farà la sua parte".

Pansa, la verità sulla strage a Parigi: "Loro sono feroci, noi siamo vili"

Giampaolo Pansa, dopo la strage di Parigi la loro ferocia, la nostro viltà


di Giampaolo Pansa



Confesso che la strage di Parigi non mi ha affatto sorpreso. Sono uno dei tanti che guardano con realismo al conflitto tra l' Occidente e quello che chiamiamo lo Stato islamico. Una entità statuale con molti protagonisti, a cominciare dall' Isis, il Califfato nero. Non abbiamo di fronte soltanto un terrorismo di tipo nuovo, connotato da una ferocia che in altre epoche non si è rivelata in tutta la sua geometrica potenza. Siamo alle prese con una guerra che non abbiamo mai dichiarato, ma che i combattenti abituati ad andare all' assalto urlando «Allah è grande!», stanno da tempo conducendo contro di noi.

Esiste una verità che è da suicidi fingere di non vedere. Gli islamici sono in vantaggio perché possiedono un' arma che noi non abbiamo: la ferocia, anche contro se stessi, come confermano i tanti kamikaze. Noi siamo sconfitti, almeno per ora. Poiché il nostro connotato è la viltà, con tutto quello che segue: le divisioni, le incertezze, le beghe fra stati, l' egoismo, la pavidità. L' arma numero uno del nuovo terrorismo è il fattore umano. E la sua determinazione di distruggerci, anche a prezzo di rimetterci la vita.

L' ho compreso sino in fondo leggendo sulla Stampa del 12 novembre un lungo colloquio fra un jihadista quasi professionale e un giornalista che stimo molto. È Domenico Quirico, 64 anni, astigiano, un reporter, ma forse è meglio definirlo un inviato speciale di grande coraggio e forte esperienza.

Tanti giovani colleghi forse lo riterranno un vecchio signore, senza rendersi conto che è un loro maestro. Abituato a inoltrarsi in territori che i media odierni osservano soltanto da lontano. Quirico l' ha fatto di continuo. È già stato sequestrato due volte: nel 2011 mentre tentava di arrivare a Tripoli e nel 2013 in Siria. In entrambi i casi, l' ha scampata, la seconda volta dopo una brutta detenzione durata cinque mesi.

Perché quel suo articolo mi ha colpito? Perché ci mette di fronte a un problema dal quale possono dipendere le nostre vite.
Lui scrive: «Ci sono professionisti della guerra santa che con la violenza stanno scardinando il mondo e che noi non conosciamo. Riempiono i giornali, le televisioni e la Rete, e non li conosciamo. Ci prepariamo a combatterli, forse, e non li conosciamo».

Il jihadista che Quirico ha interrogato è un tunisino quarantenne, Abu Rahman che si è arruolato con Al Quaeda, prima in Iraq e adesso in Siria. Ha famiglia, un mestiere, il commerciante, ma il suo scopo esistenziale è combattere gli infedeli: «Uccido in nome di Dio, per dovere e non per scelta.

Così aiuto i fratelli musulmani». Abu chiede a Quirico: «Vuoi sapere che cosa provo a uccidere? E se ricordo chi è il primo che ho ammazzato? È stato in Iraq, al tempo degli americani. Ho detto: grazie, Dio. Ti ringrazio perché hai guidato la mia mano».

«Dopo quattro mesi trascorsi in Siria, sono passato con Al Nusra, gli uomini di Al Quaeda. Quelli sono i veri combattenti. I loro emiri sono grandi uomini. Guerrieri puri, i migliori, i più dotti nell' islam. La Siria è piena di gruppi di banditi, gente che dice di essere musulmana, ma in realtà cerca denaro e traffici. Non ci sono pensieri impuri in quelli di Al Nusra. Hanno molta forza, altrimenti non saprebbero reggere alle difficoltà della guerra santa».

«La jihad è dura! Non c' era nulla da mangiare, spesso per giorni. Eravamo assediati, abbiamo mangiato l' erba come le bestie e i frutti verdi degli alberi. Uno di noi era un contadino e ha impiantato un piccolo orto. Per bere raccoglievamo l' acqua piovana. Faceva freddo su quelle montagne, le montagne dei curdi dannati, c' era un freddo da morire e noi non avevamo vesti pesanti. In tutto il villaggio esisteva un solo televisore. E quando non cadevano le bombe, noi si andava a vedere Al Jazeera». Tu mi chiedi della jihad.

Per me è un dovere. Non c' è scelta. La terra musulmana è in mano ai senza Dio, agli sciiti infami. Dobbiamo riprendercela. Per questo la guerra santa viene prima dei figli, del mangiare, della casa, del paese. Devi combattere gli sciiti con la parola, i soldi, le armi, le leggi. Morire, vivere… Parole! Ci sono mujaheddin che combattono da trent' anni e sono ancora vivi, altri che sono morti dopo un' ora. A decidere è Dio. Quello che voi occidentali non potete capire. Avete perso la voglia di combattere per la fede. La religione per voi funziona come per me il commercio».

«Voi occidentali siete più forti per il denaro, i mezzi, le armi che possedete. Ma proprio per questo avete paura di morire. E volete vivere a tutti i costi. Noi no. Vedi la saggezza di Dio? Attraverso la debolezza, lui ci rende più forti di voi».

«Sai perché sono venuto via dalla Siria e non sono rimasto lì a morire, come è successo al mio amico Adel Ben Mabrouk, una delle guardie del corpo di Bin Laden, sopravissuto a otto anni di carcere duro a Guatanamo? Perché è arrivato Isis, il Califfato nero. I loro capi non sono veri musulmani come siamo noi. Sono ex funzionari dei servizi segreti di Saddam Hussein o ex ufficiali dell' esercito iracheno. Non vogliono concorrenti. Ma se decidi di lasciarli, ti uccidono. I loro emiri non sanno nulla del Corano, sono ignoranti. Anche i combattenti dell' Isis sono giovani ignoranti, affascinati dalla loro propaganda».

«Ecco perché sono venuto via dalla Siria. Non posso stare in un posto, e morire, dove i sunniti, la gente di Dio, combattono non contro gli sciiti e gli americani, ma tra di loro.

Non so se tornerò, forse andrò da un' altra parte. Voglio combattere per far nascere un governo islamico in Siria. E dopo andremo a liberare la Palestina dai giudei. I russi ci bombardano? Che importa. Noi combattiamo per una fede, loro no. Per questo perderanno».

Così parlava a Quirico Abu Rahman, guerrigliero o terrorista islamico. E noi occidentali, noi italiani siamo disposti a batterci? E per che cosa? Se penso all' Italia del 2015 mi sento tremare. Vedo nel mio paese un governo che non sa domare neppure i califfi di casa nostra. Guidato da un ceto politico che vuole soltanto accrescere il potere del proprio cerchio magico. Vedo il dilagare del menefreghismo, della corruzione, dell' evasione fiscale, dell' assenteismo. Vedo maestroni incapaci di trasmettere ai giovani un po' di moralità, di abnegazione, di rinunce. Vedo un territorio sfasciato, scuole che vanno in pezzi, città senza acqua potabile. Vedo finti statisti e aspiranti dittatori. Vedo montagne di promesse a vuoto. Vedo molta boria, e ras arroganti che spingono sulla scena battaglioni di cortigiani.

Vedo penalizzare la competenza e mettere da parte l' esperienza onesta. Gli altri, quelli di Allah è grande, sono feroci. Hanno scatenato la guerra a Parigi. E prima o poi tenteranno di portare il terrore anche in Italia.

Del resto, il Califfato nero l' ha già annunciato. Il loro obiettivo è di arrivare a Roma. Il Vaticano è un piatto prelibato che vogliono mangiarsi. Il vicino Giubileo della misericordia è una grande torta che attirerà nugoli di uccelli feroci.

Il Vaticano di papa Bergoglio si affanna a inseguire chi ha ispirato due libri che ritiene degni di essere messi all' indice. Ma ben altro è il pericolo che minaccia San Pietro. Il vero rischio è di cadere nell' orrore scatenato a Parigi la sera di un tranquillo venerdì di novembre.

giovedì 12 novembre 2015

Vatileaks, i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi indagati per lo scandalo: le accuse

Vatileaks, indagati i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi




I giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, autori dei libri “Avarizia” e “Via crucis”, sono indagati nell’ambito dell’inchiesta vaticana sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede. Nel libro del giornalista napoletano de L’Espresso si parla delle carte che svelano ricchezza scandali e segreti della Chiesa di Francesco. Sotto inchiesta anche Gianluigi Nuzzi per il suo nuovo libro uscito per Chiarelettere il 9 novembre, in cui racconta fatti e retroscena della drammatica guerra intrapresa da Papa Francesco per rivoluzionare la Chiesa, incontrando non pochi ostacoli nello scardinare un radicato sistema di privilegi e interessi. 

Il manifesto elettorale di Del Debbio Lui nega

Paolo del Debbio, Milano tappezzata da suoi manifesti




C’è un piccolo giallo su Paolo Del Debbio a Milano. Nonostante il giornalista abbia più volte smentito di volersi candidare, Milano sta per essere tappezzata da cartelloni che somigliano molto a quelli elettorali. La soluzione al giallo la dà Affaritaliani che fa notare come quei manifesti sponsorizzino un convegno a ci partecipano: sponsorizzano un convegno nel quale gli ospiti sono illustri: Matteo Salvini, Maurizio Lupi, Emanuele Fiano, Ignazio La Russa, Laura Ravetto, il leader di Unione Italiana Gianfranco Librandi.

Il sospetto...Il titolo del convegno è  “Ripartiamo dalle periferie”. Affaritaliani.it che ha visto il manifesto sottolinea un altro aspetto. “La cosa che più ha colpito chi ha potuto vedere il manifesto è la foto: c’è Salvini? C’è La Russa? C’è Lupi? Macché: c’è una gigantografia di Del Debbio e sullo sfondo gli inconfondibili palazzi popolari di Milano. Quasi un programma politico. Di fronte al quale non c’è smentita ch

mercoledì 11 novembre 2015

Quel (brutto) sospetto di Belpietro: perché, oggi, Mattarella è al Colle

Sergio Mattarella, un fantasma al Quirinale: c'era un accordo perché fosse l'uomo del sì?


di Maurizio Belpietro
@BelpietroTweet



Giorgio Napolitano non mi è mai piaciuto: troppo comunista e troppo impiccione per essere digeribile come capo dello Stato. Nei quasi nove anni trascorsi al Quirinale non mi ha mai dato l’impressione di essere super partes, come richiederebbe il ruolo, e soprattutto non è mai stato zitto un giorno, ficcando il naso e anche le mani in ciò che non era di sua competenza. Dunque, quando se n’è andato e il suo posto è stato preso da Sergio Mattarella, non dico che ho stappato una bottiglia di prosecco, ma per lo meno in cuor mio mi sono rallegrato del fatto che sul Colle non ci fosse più nonno Giorgio e che finalmente non avrei dovuto più ascoltare le sue prediche inutili.

Immaginavo che il nuovo presidente della Repubblica sarebbe stato sobrio, poco presenzialista, sensibile solo alle questioni costituzionali e generali, un po’ nel solco di quello che era stato nel passato, da ministro e da giudice costituzionale. Insomma, mi auguravo una svolta, cioè un capo dello Stato che facesse il capo dello Stato e dunque fosse garante della costituzione nel rispetto dei poteri che la costituzione gli attribuisce, senza scavalcamenti, ma senza neppure deroghe a chicchessia. In cambio ero pronto anche a farmi andar bene il grigiore che ha emanato fin dal primo giorno il nuovo inquilino del Colle.

Purtroppo, trascorsi ormai parecchi mesi dal suo insediamento al Quirinale, mi devo ricredere. E non perché Mattarella si sia rivelato improvvisamente un sabotatore della carta che custodisce i valori della Repubblica o perché da uomo di poche parole sia divenuto improvvisamente garrulo e da grigio e sobrio che era si sia trasformato in un gaudente presenzialista. No, semplicemente perché Mattarella non c’è, non esiste. O meglio, esiste, interviene, parla nelle occasioni ufficiali, quando lo tolgono dal frigorifero e lo scongelano, eppure non dice niente e sempre di più somiglia a un supplente, un ospite di passaggio che viene portato in visita a qualche cosa che non conosce e di cui non gli importa nulla.

Va ad Expo l’ultimo giorno cercando di farsi notare il meno possibile per non rubare la scena a Matteo Renzi (l’inaugurazione la lasciò al presidente del Consiglio in modo che si intestasse i meriti della manifestazione). Taglia qualche nastro quando serve e se c’è da fare un discorso di buon senso non si tira indietro. Ma poi basta. Per il resto sta chiuso nel suo palazzo, al Quirinale, come se tutto quello che succede nel nostro Paese non lo riguardasse e non lo stimolasse a far sentire il suo pensiero. Non dico che si debba trasformare in un Napolitano o in uno Scalfaro, due dei peggiori capi di Stato che ci siano toccati in sorte da quando c’è la Repubblica, pronti ogni giorno a mettersi in vista e a condizionare governi legittimamente eletti. Ma neppure è accettabile che Mattarella si riduca ad essere una specie di fantasma del Colle.

A indurmi a questa riflessione è soprattutto il suo atteggiamento sul tema delle pensioni. Ma come, nella legge di stabilità si tornano a inserire norme che prevedono il blocco dell’indicizzazione sui trattamenti previdenziali oltre una certa soglia e lui che fa? Firma la legge e tace. Il governo vara un provvedimento che invece di restituire il maltolto ai pensionati aggira la sentenza della Corte costituzionale e il capo dello Stato che fino a pochi mesi prima di quella stessa corte era uno dei giudici, come si comporta? Sottoscrive lo scippo dell’esecutivo e si tappa la bocca. Ultima prova di assenza di vita sul Colle è il dibattito scatenato dal presidente dell’Inps Tito Boeri, il quale dopo aver fatto trapelare le sue idee di riforma previdenziale ha messo nero su bianco un disegno di legge che prevede di dare un reddito minimo ai cinquantenni rimasti senza lavoro, finanziando l’operazione con l’ennesima tassa sui trattamenti pensionistici oltre i 2200 euro netti al mese. Tutto ciò in barba a più sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato illegittimo il prelievo.

Come è possibile che il presidente della Repubblica, il quale è stato per anni un giudice costituzionale e dunque è uomo sensibile alla legittimità delle leggi, non si sia accorto dell’incostituzionalità delle misure che il governo vara? Come è possibile che non si opponga, rifiutando la firma a provvedimenti palesemente in contrasto con le sentenze dei suoi ex colleghi? Come si spiega che di fronte a un dibattito che per l’ennesima volta punta a toccare l’assegno previdenziale dando prova che questo è il Paese dell’incertezza del diritto, la prima carica dello Stato non senta il dover di far sentire la propria voce? Dopo essermi a lungo interrogato, ne ho concluso che ci sono soltanto due risposte. O Mattarella è lo spettro della Repubblica, ossia la rappresentazione di un potere che è solo un’illusione ottica ma ormai non esiste più, oppure il capo dello Stato ha accettato il Colle in cambio del silenzio, divenendo simulacro di un contrappeso che ormai pesa solo a favore di Matteo Renzi. Non ci sono altre spiegazioni. O il Quirinale è ormai una scenografia di facciata, un po’ come quei palazzi sui set dei film che hanno solo la parte anteriore ma dietro sono legno e cartapesta, oppure il presidente della Repubblica è frutto di un accordo iniziale che prevedeva che l’uomo del Colle non fosse più l’uomo dei no, ma solo un uomo dei sì.

Forse qualcuno riterrà il mio discorso un po’ brutale e magari anche offensivo. Ma non è questa la mia intenzione. Avendo collezionato - credo caso più unico che raro - già due indagini per vilipendio al capo dello Stato (da cui sono regolarmente uscito senza alcuna condanna) non voglio prendermi la terza. Vorrei solo una risposta.