Per la Procura di Milano è un reato pubblicare notizie
di Maurizio Belpietro
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Per la Procura di Milano pubblicare una notizia è un reato. Anzi di più: se si racconta un illecito, verificando che qualcuno ha commesso un reato, si è colpevoli di ricettazione, violazione che il codice penale punisce con una pena da due a otto anni. È la prova che fare il giornalista è più pericoloso che fare il ladro. A rubare infatti si rischiano solo fra i sei mesi e i tre anni di carcere. Ecco forse perché i furti aumentano e le notizie sui casi scottanti diminuiscono.
Vi chiedete di che cosa io stia parlando? Lo spiego subito. Anni fa, quando dirigevo il settimanale Panorama, un tizio mi inviò una mail, scrivendo di essere a conoscenza di una serie di illegalità commesse da un importante gruppo imprenditoriale. Capita spesso che nelle redazioni arrivino segnalazioni. A volte si tratta dell’archivio segreto dello Ior (una soffiata che consentì a Gianluigi Nuzzi di scrivere «Vaticano Spa»), a volte di qualcosa che riguarda strani misteri.
Come in altri casi, diedi la mail a uno dei migliori cronisti di Panorama, per l’appunto Gianluigi Nuzzi. Il quale, dopo alcuni giorni, tornò da me dicendo che il materiale segnalato era interessante. Il collega, per convincermi che non si trattava di invenzioni, volle farmi conoscere i due signori con cui era entrato in contatto. Si trattava di addetti alla sorveglianza, di una società che aveva lavorato per i magazzini della Coop Lombardia. In breve, i due raccontarono di essere stati indotti a eseguire intercettazioni illegali all’insaputa dei dipendenti. Un’accusa grave, che però i vigilantes sostenevano con video e registrazioni.
I due erano disponibili a raccontare tutto e anche ad autodenunciarsi, perché sapevano che senza una denuncia all’autorità giudiziaria sarebbe stato difficile accertare i fatti, ma chiedevano a Panorama una tutela legale. «La Coop cercherà di distruggerci: dateci almeno un avvocato». Richieste del genere, anche economiche, le ho sentite spesso da parte di chi intende vuotare il sacco ma ha paura di ritorsioni. Tuttavia le ho sempre respinte, perché le redazioni non sono un bancomat. I due temevano anche di perdere il lavoro e per questo mi venne l’idea di presentarli a Bernardo Caprotti, il patron di Esselunga, che conoscevo. Lo chiamai e lo incontrai. Gli spiegai soltanto che ero entrato in contatto con due tizi che facevano i vigilantes dei supermercati, chiedendogli di dar loro una mano perché erano una fonte di Panorama. Lasciai nomi e numeri di telefono, senza sapere se Caprotti avrebbe esaudito o meno la mia richiesta.
Devo confessare che della faccenda in seguito non mi occupai perché di lì a pochi giorni lasciai Panorama, assumendo la direzione di Libero. Anche Nuzzi trascurò la questione, perché impegnato a presentare «Vaticano Spa», il libro nato da una segnalazione che, come per la Coop, mi era giunta da uno sconosciuto. E così passarono i mesi, fino a quando Nuzzi, che mi aveva seguito a Libero, tornò a parlarmi della storia delle intercettazioni abusive nei supermercati. Aveva fatto accertamenti e interviste, verificando i fatti. Risultato, decidemmo di pubblicare tutto, raccontando in più puntate ciò di cui eravamo venuti a conoscenza. Nuzzi fece anche altro: consegnò agli inquirenti il materiale raccolto.
Le indagini accertarono che le intercettazioni e le riprese televisive abusive esistevano, che qualcuno le aveva eseguite, dunque che erano stati commessi dei reati a danno dei lavoratori della Coop. Insomma, Nuzzi ed io avevamo raccontato una storia vera e fatto il nostro mestiere di giornalisti, verificando le notizie e segnalandole all’autorità giudiziaria. Non dico che ci aspettassimo un premio (quello si dà solo a giornalisti rigorosamente di sinistra, mica a gentaglia che lavora per quotidiani liberali, anzi liberi), ma certo non credevamo neppure di finire indagati con l’accusa di ricettazione e calunnia, autori secondo la tesi della Procura di una specie di complotto ordito da Caprotti ai danni della Coop. E invece è quel che è successo.
Ribadisco. Le intercettazioni c’erano. I vigilantes lavoravano per la Coop e controllavano i dipendenti della Coop su indicazioni di un dirigente dell’azienda. Tanto è vero che la persona poi fu allontanata. Ma la colpa è nostra: dovevamo tacere di fronte a un reato e far finta di niente. È la giustizia, bellezza. Se in un’azienda succede un incidente la colpa è del legale rappresentante. Se in un supermercato spiano i dipendenti, la colpa è di chi racconta i fatti, il quale, se per disgrazia ha guardato o ascoltato video e intercettazioni al fine di essere certo di ciò che scrive, è pure colpevole di ricettazione. Forse io e Nuzzi avremmo dovuto rubare qualche cosa: avremmo rischiato di meno.