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sabato 15 agosto 2015

Il ribaltone, piano di guerra del Cav Vuole un Vip della Tv e un "gelataio"

Silvio Berlusconi a caccia di volti nuovi per l'Altra Italia: al Comune di Torino pensa a mister Grom e a Massimo Giletti




Silvio Berlusconi vuole candidare come sindaco di Torino un famosissimo imprenditore oppure un personaggio notissimo della Rai. Il progetto L'Altra Italia è ancora vivo nella mente dell'ex premier, impegnato in pieno agosto nella selezione volto per volto dei candidati possibili alle prossime elezioni amministrative. Il Cav è a caccia di facce nuove per la politica, ma che siano ben note agli elettori, magari perché sono già personaggi della tv e dello spettacolo, oppure per la propria storia personale, come imprenditori di successo e, cosa che non guasta, anche di bella presenza.

Le scelte - Da anni Berlusconi corteggia a distanza Guido Martinetti, fondatore con l'amico Federico Grom della catena internazionale di gelaterie. I primi segnali ci sono stati già nel 2012, ricorda Repubblica, quando Martinetti "splendido quarantenne dalla faccia di un Jude Law nostrano" era stato visto da Berlusconi come candidato alle politiche. Sul personaggio che incarna il modello del "sogno italiano" era stata impegnata anche la sondaggista di fiducia del leader azzurro, ma lui aveva declinato con un garbato: "Non adesso". Nessuna chiusura quindi e quello spiraglio oggi è tornato a fare luce con l'idea berlusconiana di candidare Martinetti nel 2016 contro la sempre più probabile conferma dell'avversario, l'attuale sindaco Piero Fassino. Martinetti non ha confermato nè smentito, di fatto sembra chiedere una vera e propria proposta chiara, a quel punto potrebbe seriamente pensarci.

L'alternativa - C'è però un altro nome che frulla nella testa di Berlusconi, più volte tirato in ballo in passato. Un altro torinese molto noto e popolare è il conduttore dell'Arena, Massimo Giletti. Lui però sembra meno convinto della proposta: "Mi hanno chiamato - ha confermato il giornalista a Repubblica - ma non dirò chi". Per ora comunque ha declinato l'invito: "La politica è meglio che la facciano i politici".

venerdì 14 agosto 2015

A gennaio ci tagliano le pensioni Per quanto tempo si dovrà lavorare

Pensioni, dal 2016 saranno più basse: aumenta l'aspettativa di vita e diminuiscono le quote


di Antonio Castro



Se avete i requisiti per andare in pensione già nel 2015, ma state tentennando, forse un incoraggiamento ad andare a riposo entro il prossimo dicembre potrebbe arrivarvi dal taglio della pensione che a inizio luglio (il 6) è stato formalizzato sulla Gazzetta Ufficiale (n° 154). Un regalino per il popolo degli aspiranti pensionati (e non sono pochi, nel 2014 le pensioni attivate sono state 75mila) confezionato dal ministero delle Politiche sociali (guidato da Giuliano Poletti), nascosto a pagina 46 della Gazzetta tra un accordo con il Canada e un’intesa militare con il Kazakhstan.

In sostanza verranno rivisti i coefficienti di trasformazione del montante contributivo. Che detta così sembra una porcheria. Tradotto in italiano è il rendimento del tesoretto previdenziale (la somma dei contributi messi da parte). Ebbene il governo Renzi - ereditando una limatura rifilataci a suo tempo dal ministro del Lavoro Cesare Damiano - ha pensato bene di pubblicare il decreto che rivede, e abbassa, i coefficienti e, per effetto a cascata, anche le nostre pensioni.

I nuovi parametri saranno applicati a tutte le pensioni che scatteranno dal 1 gennaio 2016. Quindi il lavoratore che ha già il diritto alla pensione quest’anno, ha tutta la convenienza a scappare prima. Forse un esempio pratico - come quello offerto ieri da “Il Sole 24 Ore”, ma nascosto a pagina 35 del supplemento Norme e Tributi - aiuta a capire meglio. Poniamo il caso di un lavoratore che entro il prossimo novembre compirà i previsti (dalla riforma Fornero) 67 anni. E ipotizziamo che questo signore abbia accumulato circa 200mila euro. La sua pensione sarebbe di 11.652 euro se comincerà a percepirla quest’anno. Se invece dovesse fare domanda nel 2016, e quindi continuando a versare contributi, la stessa pensione sarebbe di 11.400 euro, 252 euro in meno. Una decurtazione di circa 19 euro al mese (per tredici mensilità). Un bella fregatura per il lavoratore, un risparmio netto per gli istituti di previdenza e per lo Stato, che degli enti pubblici “ricopre” i buchi miliardari. Insomma, più lavori meno guadagnerai.

A dirla tutta i coefficienti sono rimasti gli stessi dal 1996 (riforma Dini), fino al 2009. Poi Damiano (nel secondo Governo Prodi dal maggio 2006 all’aprile 2008), ha introdotto la definizione dei coefficienti per il triennio 2010/2012. Poi si è deciso di agganciare gli incrementi alle aspettative di vita. Prima la revisione era triennale (come quello che sta per arrivare 2016/2018), ma dal 2019 gli incrementi della speranza di vita passeranno dal triennali a biennali. Dettaglio non trascurabile visto che l’agganciamento alla speranza di vita rinvia anche di anno in anno il raggiungimento della pensione ai lavoratori.

Da un lato, quindi, si riduce il rendimento del tesoretto previdenziale accumulato, dall’altro si allontana la data in cui si riuscirà ad andare in pensione. Ovviamente per lo Stato questo rinvio - e la contemporanea riduzione della rivalutazione e quindi dell’assegno - si trasformano in un risparmio netto di miliardi. Considerando che le donne vivono mediamente più degli uomini (l’aspettativa di vita fissata dall’Istat quest’anno è di 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 anni per le donne, rispettivamente superiore di 2,1 anni e 1,3 anni alla media europea), si capisce bene perché ogni governo (questo, il precedente e quello prima ancora), metta progressivamente mano alle pensioni.

È una sorta di bancomat di risparmi. Il giochino della Fornero - al netto delle 6 salvaguardie per gli esodati - porterà risparmi per 80 miliardi. Solo giocando sui rinvii dell’età pensionabile e il taglio delle prestazioni. Più si alzano i parametri di accesso, più si riduce il tempo in cui il lavoratore incasserà potenzialmente l’assegno pensionistico, più lo Stato risparmia. Riducendo l’erosione del montante personale accumulato e quindi aumentando i potenziali risparmi futuri per lo Stato. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha già annunciato che a settembre - con la presentazione della Legge di Stabilità - si aprirà la “pratica pensioni”. Il ministro del Welfare Giuliano Poletti è già al lavoro e l’Inps di Tito Boeri ha già presentato, a inizio luglio, una sorta di canovaccio di riforma.

L’idea resta quella di accordare “scivoli” a chi è in zona pensione (con un anticipo massimo di 5 anni). Ma saranno scivoli a pagamento: ovvero con l’introduzione di una penalità crescente tanto più è lontana la data del pensionamento. Si parla di un taglio dell’assegno del 2, forse 3% in meno l’anno. Che però cumulato per un quinquenni di anticipo fa la bellezza di un meno 15% di pensione.

L’altra idea è di coinvolgere imprese e lavoratori in un percorso di “maturazione dei requisiti”. In sostanza - e lo stanno già facendo alcune grandi banche per svecchiare il personale - si accorda un prestito al dipendente per riscattare periodi (come la laurea), e quindi avere entro il 2017 i contributi. In sostanza gli si consente in via sperimentale (legge di Stabilità 2015) di raggiungere i 40 anni di versamenti. Se avrà 62 di età nel dicembre 2017, potrà andare in pensione senza aspettare i 67.
Ma è un po’ come pagarsi un pezzo di pensione. O come rinunciarvi. La sostanza cambia poco.

Pil su dello 0,2%, la ripresa non c'è Tutti contro Padoan, Renzi e il governo

Istat, mazzata su Renzi: crescita dello 0,2% nel secondo trimestre 2015




Dura chiamarla ripresa: il Pil italiano è cresciuto dello 0,2% nel secondo trimestre rispetto a quello precedente e dello 0,5% nel confronto con il periodo aprile-giugno del 2014. La fotografia dello stato di avanzamento della crescita in Italia arriva dall'Istat che nelle sue stime preliminari sul prodotto interno lordo rende noto che il dato è la sintesi di una diminuzione del "valore aggiunto" nel settore dell'agricoltura, di un aumento nei servizi, e di una variazione nulla nell'insieme dell'industria. Anche per questo il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è critico: "Non c'è ripartenza vera". E se qualcuno nel governo e nel Pd esulta (il vicesegretario Lorenzo Guerini su Twitter: "Avanti con le riforme per rilanciare competitività nostro Paese"), il clima generale nella maggioranza e nelle opposizioni, da sinistra a destra, è di delusione fortissima e di attacco frontale all'ottimismo immotivato del premier Matteo Renzi.

Padoan: Si può fare di più - Il ministero del Tesoro sottolinea l'inversione di tendenza registrata dall'inizio del 2015 e di un risultato "in linea con le attese": "Grazie alle riforme strutturali e alla politica economica del Governo ci aspettiamo un'accelerazione", spiega il ministro Pier Carlo Padoan, secondo cui l'obiettivo è di raggiungere una crescita nel 2015 pari a +0,7 per cento. Maurizio Sacconi (Ncd) gli fa eco: "La crescita della ricchezza certificata dall'Istat è in linea con le previsioni ma al di sotto delle possibilità della nazione. Si può fare di più attraverso la prossima legge di stabilità, le riforme dello Stato e i comportamenti di governo". 

Polli e aglietto - "Al Mef si consolano con l'aglietto: siamo ultimi in Eurozona. Non c'è da stare allegri. Basta propaganda!", si scatena il presidente dei deputati di Forza Italia Renato Brunetta. La collega Daniela Santanchè parla di una "flessione positiva da far ridere i polli" mentre Giorgia Meloni (Fratelli d'Italia) è amara: "La Grecia ad un passo dal default cresce dello 0,8%, la Spagna dell'1%, la Germania dello 0,4%. Renzi fatti una domanda e datti una risposta". 

Fassina: "Peggiori d'Europa" - Malumori anche a sinistra. L'ormai ex Pd Stefano Fassina definisce la "cosiddetta ripresa anemica, risultato inevitabile dell'insostenibile mercantilismo liberista imposto dalla Germania". "Nello spento quadro della moneta unica - prosegue il parlamentare anti-renziano - l'Italia continua a far peggio della media: dal secondo trimestre 2014 al secondo trimestre di quest'anno, noi cresciamo dello 0,5%, mentre l'Eurozona arriva all'1,2%, nonostante la nostra maggiore caduta avrebbe dovuto portare per noi a un rimbalzo più alto". Per Arturo Scotto (Sel) c'è "un disastro sul piano economico e sociale, il segno che le ricette adottate da Renzi sono buone per la propaganda quotidiana ma non intaccano l'economia reale".

giovedì 13 agosto 2015

Caivano (Na): Immondizia Come mai non si risolve il problema?

Caivano (Na): Immondizia Come mai non si risolve il problema?




Una vergognosa vicenda quella che ha colpito Caivano e i caivanesi in questi ultimi due mesi sotto il profilo di tutela ambientale. Una vergognosa vicenda che dimostra la qualità dell'attività amministrativa svolta appunto, in questi ultimi due mesi da esponenti politici che, se avessero un minimo di decenza, rassegnerebbero già da subito le dimissioni. Nessuno dei politici locali ha deciso di interrompere le attività amministrative, questo si, è vero, ma non per garantire come promesso dall'attuale sindaco Monopoli, la salvaguardia ambientale e la salute dei cittadini, ma per garantire un posto come capo di Staff, all'amico di merenda del Sindaco, Giovanni De Cicco, ovviamente tutto regolare.

Monopoli, è davvero il peggior Sindaco, nonostante il suo brevissimo mandato, degli ultimi 30 anni. Decantano il WiiFi, portato avanti dalla passata amministrazione Falco. Decantano l'affidamento di spazi verdi, anche questo portato avanti dall'ex amministrazione Falco, ma non riescono a decantare la risoluzione del problema rifiuti nonostante il supporto di un dirigente che porta il nome di Vito Coppola.  

Si è pagato una ditta, la Buttol, regolarmente, applicando una penale di soli 2.400 euro, su 391 mila euro. Monopoli, all'epoca dei fatti, due settimane fa, uscì con un manifesto dove appunto, decantava di averci messo la faccia, per cosa? Decantava di affidare i lavori, anche se per un solo giorno, ad altra ditta, ma la spazzatura è ancora per le strade. La puzza è aumentata. Il rischio epidemia è dietro l'angolo, e cosa si fa? si parla di Roma e del problema nazionale. Si parla di altro. Si vuole distogliere in tutti i modi il problema come se la munnezza per le strade profumasse e non puzzasse maledettamente. 

Questa amministrazione non va. Monopoli non riesce nemmeno ad ingranare la prima marcia, quella a favore dei cittadini, viceversa, ingrana bene la retromarcia, quella marcia che vede favorire amici, come appunto, Giovanni De Cicco, e dirigenti comunali di cui lo stesso sindaco si affida (Caso Vito Coppola). 

Si pagano manifesti 70/100 al prezzo di 150 euro iva esclusa, quando secondo una nostra recente ricerca, 100 manifesti 70/100 su 10 tipografie contattate, 8 li offrono, quindi li garantiscono a 90 euro iva esclusa. Se il piccolo è discutibile, figuriamoci il grosso. Manovre che non ci convincono, come le ultime assunzioni della Buttol, ditta appunto, che, mentre non riesce a garantire un regolare servizio al Paese, da indiscrezioni, assume 11 persone di Caivano  a contratto determinato. 

Insomma, quali grandi manovre politiche ha messo in campo il tanto e decantato atteso sindaco della discontinuità, Monopoli, se non quella della stampa a sua favore, ovviamente tutta straniera? Purtroppo il problema ambientale come altri problemi non si risolve riempendo pagine di giornali (PRO-MONOPOLI), la gente è stufissima, la puzza c'è e si sente, e come ricordavamo poc'anzi, il rischio epidemia è dietro l'angolo. 

L'intervista / La proposta del re delle discoteche: "Contro la droga servono due cose "

Claudio Coccoluto: "Bisogna tesserare chi va in discoteca"


Intervista a cura di Edoardo Cavadini 



Claudio Coccoluto è un king della consolle. Dj da trent'anni, legame affettivo particolare con il vinile nell'epoca di Spotify e del download disperato, uno dei pochi italiani entrati nel firmamento dei dancefloor internazionali.

Lo disturbiamo mentre ricarica le pile nella sua Cassino, a poche ora dalla partenza per le prossime tappe della maratona estiva nei top club in Sardegna, Ibiza, Formentera. «Questo Pedica è stato contagiato dalla sindrome dell'annunciate. Se la sua soluzione alla droga nei locali è la chiusura permanente, temo non sappia proprio di cosa parla». Il riferimento è all'uscita di Stefano Pedica, ex senatore Idv travasato nel Pd, che dopo l'escalation di morti di giovanissimi, collegate più o meno direttamente allo sballo (i casi del Cocoricò di Riccione e del Guendalina in Salento, ndr), ha proposto la serrata per un anno intero di tutte le discoteche. «Sembra Tsipras che in Grecia voleva chiudere gli stadi per i fenomeni di violenza. Da un politico mi aspetterei maggior oculatezza nelle esternazioni e soprattutto informazione: dove pensa che andrebbero gli italiani? Volerebbero, low cost, a ingrassare i portafogli degli spagnoli o dei greci ovviamente: a Ibiza e Mikonos non aspettano altro per fare ancora più soldi. Senza contare i danni economici».

Dietro le luci strobo ci sono Pil e posti di lavoro.

«Certo. Quello della notte è un pezzo fondamentale dell' industria e del turismo italiano, con migliaia di assunti e centinaia di milioni di euro di giro d' affari».

La morte dei ragazzi però pesa come un macigno.

«Sono tragedie enormi, ma non si affronta il problema della droga e dello spaccio colpendo l' ultimo anello della catena. Perché questo sono le discoteche».

In disco di droga ne circola parecchia, questo è innegabile.

«Vero, come però è troppo poca l' azione di repressione e controllo delle forze dell' ordine. Serve un giro di vite da parte del ministro dell' Interno Alfano, chiudere i locali è perfettamente inutile: la droga si trova ovunque a qualunque ora. Pure in Parlamento temo».

Nei Paesi anglosassoni i «club» sono veramente tali. Si entra iscrivendosi, attraverso la carta di identità, così che le autorità sanno chi frequenta questo o quel locale. In Italia questo è impossibile?

«Tutt' altro, io lo propongo da tempo. Siamo pieni di circoli Arci, trasferire il modello alle discoteche servirebbe a fidelizzare la clientela e aumenterebbe la sicurezza».

Una sorta di tessera del discotecaro, sul modello di quella del tifoso?

«Perché no. In questo modo il proprietario avrebbe gli strumenti per allontanare gli indesiderati, oggi non è così: la presunta selezione è irregolare, se io voglio entrare non puoi tenermi fuori, è un locale pubblico».

Cosa altro si può fare?

«Io ho due figli (uno fa il dj, ndr), li ho educati al clubbing fin da piccoli portandoli con me nelle serate e insegnando loro cosa, e chi, evitare sempre. Però dico: in discoteca solo dai 18 anni in su. A 16 sei troppo esposto, non è un posto per ragazzini».

Marò, spuntano delle lettere segrete In che modo c'entra Napolitano

Marò, l'arbitrato internazionale poteva essere intrapreso nel 2013




Era il 15 febbraio 2012, quando Salvatore Girone e Massimiliano Latorre spararono a due pescatori indiani, scambiati per pirati, uccidendoli. È al 2012 che si trascina la vicenda dei due fucilieri italiani, un tira e molla lungo più di tre anni fra Italia e India. Ma ci sono troppi punti oscuri, troppe omissioni che spingono questa faccenda al limite della comprensibilità. Saltano fuori alcune mail dei vertici politici e diplomatici italiani risalenti al 2013, quando ai due marò venne concesso di tornare in Italia per poter votare alle elezioni politiche. Un rientro della durata di quattro settimane, che la classe dirigente cercò di sfruttare per trovare il giusto appiglio per poterli trattenere in Italia, evitando loro il ritorno a Nuova Delhi. L'allora ministro della giustizia Paola Severino scriveva che ce lo imponeva la Costituzione di tenerci i fucilieri, di non rispedirli in pasto alla fantozziana giustizia indiana, aggiungendo poi che l'azione di bloccare nel paese l'ambasciatore italiano era priva di un qualsiasi supporto giuridico. Fu un braccio di ferro: voi non ci rimandate i fucilieri? Noi ci teniamo il diplomatico in ostaggio; questa la tattica messa in campo dall'India.

Occasione persa - L'Italia aveva la possibilità di far valere le sue ragioni, trattenendo Massimiliano e Salvatore in territorio nazionale e gestendo le redini del gioco. Pare che la strategia avesse inizialmente l'avallo dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Tanto che in una mail inviata il 13 marzo 2013 a Palazzo Chigi e ai ministeri coinvolti da Stefano Stefanini, consigliere diplomatico del presidente, si legge: "Questa, posso garantire, è anche l'opinione del presidente Napolitano". Giulio Terzi, ministro degli affari esteri del governo Monti, credeva davvero in questa tattica, capitanando l'intera compagine ostruzionista nei confronti del ritorno dei marò in India. Tanto che l'11 marzo del 2013 il ministro degli esteri dichiarò pubblicamente che i due fucilieri non avrebbero fatto ritorno a Nuova Delhi alla scadenza del permesso accordato loro dalla corte indiana. Il suo obiettivo era di attivare un arbitrato internazionale sfruttando il trattato Onu sulla navigazione (Unclos). Ma le cose chissà come cambiarono a quel punto, e come lui stesso dichiarò in diverse interviste, la sua visione dei fatti si rivelò distante da quella del presidente Monti, ed evidentemente del presidente Napolitano, che tutto vedeva e tutto scrutava. Così Latorre e Girone, visto che la tensione fra India e Italia era diventata densa e incandescente, tornarono a Nuova Delhi per una decisione del governo. Tutti cambiarono bandiera, l'unico a rimanere convinto che mandare via i marò fosse una decisione insulsa fu proprio Terzi, che qualche giorno dopo la partenza dei fucilieri si dimise dalla sua carica di ministro, dichiarando apertamente il proprio dissenso nei confronti della strategia adottata dal governo.

Con due anni di ritardo - La beffa è che ora, e per ora si intende il luglio del 2015, è stato intrapreso il percorso inizialmente tracciato da Giulio Terzi, ovvero quello dell'arbitrato internazionale; solo il mese scorso l'India ha accettato il procedimento. Due anni sprecati, due anni buttati al vento. Due anni che sono costati a Latorre un'ischemia e a Girone una detenzione da ostaggio nello stato indiano, nel quale non sono ancora stati espressi formalmente i capi d'accusa. Quali interessi c'erano dietro la rinuncia a tenere in Italia i due fucilieri già nel 2013? Per quale motivo il presidente Napolitano e il governo decisero di sventolare bandiera bianca al braccio di ferro con l'India? E per quale motivo l'Italia inizia a far sentire solo adesso la sua voce, rimettendo a una corte internazionale il caso di due suoi soldati? Le responsabilità non si contano più. Ma la gravità delle scelte della classe politica pesano su due italiani, traditi dalla stessa patria che hanno scelto di servire.

Nascondeva nel caveau 1,5 mln di euro Per il Fisco era nullatenente: chi è

Monza, beccato evasore dalla Guardia di finanza: nascondeva quasi un milione e mezzo in contanti




Nascondeva un vero e proprio tesoro in un caveau ricavato dietro il vano di un ascensore. La Guardia di finanza di Monza hanno scoperto un malloppo di quasi un milione e mezzo di euro, appartenente a un uomo che risultava nullatenente agli occhi del Fisco. Adesso l'uomo è indagato dalle procure di Monza e Milano.

Il fatto - L'uomo è un imprenditore brianzolo di Mezzago in provincia di Monza, che in passato era già stato condannato per bancarotta fraudolenta e reati fiscali. L'indagine dei finanzieri è partita da una segnalazione di una banca su strani movimenti di denaro contante. Così si è analizzata una ditta di Mezzago, e il risultato è stato aver scoperto che la tal ditta non aveva mai presentato una dichiarazione al fisco, e ammontavano a un milione di euro le imposte mai pagate. La ditta era ufficialmente intestata alla madre di 68 anni dell'uomo. Approfondendo le indagini i finanzieri hanno scoperto il tesoro di quasi un milione e mezzo in un nascondiglio ricavato dietro il vano di un ascensore di un ristorante. È stata decisa una misura di prevenzione patrimoniale nei confronti del soggetto, in quanto recidivo e fiscalmente pericoloso.