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giovedì 23 luglio 2015

Strage di piazza della Loggia, è finita: ergastolo per Maggi e Tramonte

Strage di Piazza della Loggia, ergastolo per Maggi e Tramonte, 41 anni dopo




Ergastolo a Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, considerati colpevoli dell'attentato di Piazza della Loggia a Brescia che il 28 maggio 1974 provocò 8 morti e oltre un centinaio di feriti. Dopo 41 anni, dunque, si chiude il caso giudiziario di uno dei momenti cruciali dei cosiddetti Anni di Piombo. Una vicenda infinita, piena di polemiche come altre analoghe. L'Appello bis inchioda, dunque, l'ex ispettore veneto di Ordine Nuovo, l'estremista di destra Maggi, e l'ex fonte Tritone dei servizi segreti Tramonte. I loro legali avevano chiesto l'assoluzione dei due imputati per non avere commesso il fatto. 

L'attentato - Alle 10 e 2 del 28 maggio 1974 in Piazza della Loggia a Brescia esplode una bomba nascosta in un cestino dei rifiuti durante una manifestazione antifascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. Muoiono otto persone, si contano un centinaio di feriti. 

Il primo processo - Il 2 giugno 1979 i giudici della Corte d'Assise di Brescia condannano all'ergastolo Ermanno Buzzi e a dieci anni Angelino Papa, esponenti dell'estrema destra cittadina. Nel dicembre 1981 Buzzi viene ucciso nel supercarcere di Novara, strangolato coi lacci delle scarpe, da altri due detenuti vicini alla destra più agguerrita, poco prima che inizi il processo d'Appello. I due killer, Mario Tuti e Pierluigi Concutelli, motivano l'omicidio con il fatto che Buzzi fosse un "pederasta" e confidente dei
carabinieri, ma forse temevano le sue possibili dichiarazioni nel processo di secondo grado che stava per aprirsi. Il 2 marzo
1982 i giudici della Corte d'assise d'Appello di Brescia assolvono tutti gli imputati, Papa compreso, e nelle motivazioni definiscono Buzzi "un cadavere da assolvere". 

Il nuovo processo - Il 30 novembre 1984, però, la Cassazione annulla la sentenza di appello e dispone un nuovo processo per Nando Ferrari, Angelino e Raffaele Papa e Marco De Amici. Durante quello stesso anno, Michele Besson e il giudice istruttore Gian Paolo Zorzi avviano una seconda inchiesta sulla base delle rivelazioni di alcuni pentiti, tra i quali Angelo Izzo. Tra gli imputati il neofascista Cesare Ferri, accusato anche dalla testimonianza di un prete, il fotomodello Alessandro Stepanoff e il suo amico Sergio Latini che gli aveva fornito un alibi. Il 20 aprile 1985 la Corte d'Assise d'Appello di Venezia, davanti alla quale è stato celebrato il nuovo processo di secondo grado, assolve tutti gli imputati del primo processo bresciano. Il 23 maggio 1987 i giudici di Brescia assolvono per insufficienza di prove Ferri, Latini e Stepanoff. I primi due sono assolti anche dall'accusa dell'omicidio di Buzzi che, secondo i pentiti, avrebbero fatto uccidere perché non parlasse. Il 25 settembre 1987 la Cassazione conferma la sentenza di assoluzione dei giudici della Corte da appello di Venezia. Cala il sipario sulla prima inchiesta sulla strage. 

Tutti assolti - Il 10 marzo 1989 la Corte d'assise d'Appello di Brescia assolve, stavolta con formula piena, Ferri, Stepanoff e Latini. Il 13 novembre 1989 la prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale sancisce in via definitiva le assoluzioni di Ferri,Stepanoff e Latini, mentre il 23 maggio 1993 il giudice istruttore Gian Paolo Zorzi, accogliendo la richiesta del pm, proscioglie "per non aver commesso il fatto" gli ultimi imputati della inchiesta bis. Nella sentenza, Zorzi scrive che l'ordigno esploso in piazza della Loggia non fu "strumento di una strage indiscriminata, di un atto di terrorismo puro ma di un vero e proprio attacco diretto e frontale all'essenza della democrazia". A ottobre di quell'anno prende il via la terza inchiesta. 

Il terzo processo - Il 16 novembre 2010 i giudici della Corte d'Assise di Brescia assolvono tutti i cinque imputati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti) con la formula dubitativa dell'articolo 530 comma 2, erede della vecchia insufficienza di prove. Viene revocata la misura cautelare nei confronti dell'ex ordinovista Delfo Zorzi che vive in Giappone e ha cambiato nome. Il 14 aprile 2012 la Corte d'Assise d'Appello conferma l'assoluzione di tutti gli imputati, mentre il 21 febbraio 2014 la Cassazione ha detto "no" alle assoluzioni di Maggi e Tramonte, imputati nel processo per la strage di piazza della Loggia, disponendo per i due
imputati un nuovo processo d’appello. Confermata, invece, l'assoluzione di Delfo Zorzi.

Beffa finale marò: via dall'India ecco dove li vogliono mandare

L'ultima beffa sui marò: potrebbero finire in Belgio




L'Italia continua a mobilitarsi per riportare a casa i due marò. Mentre Massimiliano Latorre sta scontando ancora il permesso accordato di 6 mesi per ristabilirsi dai problemi di salute, la situazione di Salvatore Girone rimane ancora irrisolta. L'Italia ha chiesto al Tribunale Internazionale del diritto del Mare di Amburgo di riportare in patria Girone. L'organo, che si occupa di dirimere le controversie irrisolte attraverso i mezzi diplomatici, però potrebbe bocciare la richiesta. Secondo Angela Del Vecchio, docente di diritto internazionale della Luiss di Roma, "l'esito più plausibile è quella di affidare i due fucilieri della Marina, nelle more della costituzione del tribunale arbitrale, a un terzo Stato, che non sia né l'Italia né l'India".

Entra in scena un terzo paese - Praticamente secondo la Del Vecchio: "Il tribunale potrebbe bocciare la richiesta italiana decidendo che Girone stia bene in India e debba restare lì. Oppure motivando che non si possono rimandare i marò in Italia perché adesso il piatto della bilancia è a favore dell'India, se tornassero si sposterebbe a favore del nostro paese. Dunque l'ipotesi più plausibile è che vengano affidati, come misura cautelare, ad uno Stato terzo". E qui entra in gioco l'opzione Belgio dove ha sede il quartier generale della Nato. Dalla nota della Farnesina si legge che la richiesta è dettata dalle necessità di "tutelare i diritti dei fucilieri di Marina e dell'Italia durante lo svolgimento del procedimento arbitrale avviato il 26 giugno". La richiesta italiana avrà la massima priorità perché rivolto direttamente al presidente del Tribunale, il russo Vladimir Vladimirovich Golitsyn. Il senatore del Pd Nicola Latorre, presidente della Commissione Difesa al Senato sostiene che "gli ultimi atteggiamenti assunti dalle autorità indiane ci inducono ad essere fiduciosi". Ora non resta che aspettare la decisione del Tribunale.

"Occhio, ti rubiamo simbolo e voti" L'assalto da destra alla Meloni

Torna Alleanza nazionale, Gianni Alemanno guida la sfida a Giorgia Meloni (e Salvini)




Una «mozione dei quarantenni» per trasformare la Fondazione di Alleanza nazionale «da museo in soggetto politico». Stamattina, all'hotel Plaza di Roma, sei tra consiglieri regionale e comunali vicini all' ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e attualmente sparsi in Forza Italia e Nuovo centrodestra, hanno illustrato il documento con il quale, in vista delle prossime tappe della Fondazione, daranno battaglia per «scongelare» il simbolo con la Fiamma, adesso concesso a Fratelli d'Italia. Oggi è in programma anche il consiglio nazionale della Fondazione in vista dell'assemblea, decisiva, del 3 ottobre, dove si andrà alla resa dei conti tra chi vuole il ritorno di An sulla scena politica e chi, invece, «punta a conservare la Fondazione in modalità museo».

Quelli che un tempo erano i colonnelli di An sono su schieramenti opposti: favorevoli alla rinascita della Fiamma sarebbero, oltre ad Alemanno, Ignazio La Russa, Francesco Storace, gli ex finiani Andrea Ronchi e Roberto Menia e lo storico leader della destra siciliana Nello Musumeci. Contrari, invece, Maurizio Gasparri, Altero Matteoli (adesso in Forza Italia) e Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia. Gianfranco Fini sarebbe sullo sfondo, ma tutt'altro che disinteressato all'operazione, a favore della quale avrebbe posizionato il fedelissimo Menia, l'ultimo leader di Futuro e Libertà. Proprio Fini, del resto, dopo il riavvicinamento agli ultimi avversari in An, Storace e Alemanno, avrebbe benedetto l'iniziativa. Il ritorno di An, «con la ricostituzione di una destra forte, punta a portare benefici a tutto il centrodestra», spiega uno dei promotori dell' iniziativa.

Un tentativo per riempire in extremis lo spazio politico che attualmente è appannaggio di Matteo Salvini e della Lega. L' idea è quella di dar vita ad una destra sul modello dell'Ump francese, ridimensionando il Carroccio lepenista.

La stangata sulle strade Così ci faranno pagare anche per utilizzarle

L'Anas vuole introdurre la tariffa stradale




Introdurre un modello tariffario prendendo a riferimento i sistemi di tariffazione per altri servizi di rete  regolamentati, come energia elettrica, gas, acqua, telecomunicazioni e aeroporti. È questa una possibile soluzione per consentire all’Anas  di perseguire l’obiettivo strategico di autonomia finanziaria. A  indicarlo il presidente della società Gianni Vittorio Armani, nel  corso di un’audizione alla Camera. "Stiamo lavorando con il Governo - ha spiegato Armani parlando a  margine dell’audizione - per un piano pluriennale stabile, non legato  ad esigenze del momento, anche politiche". Per questo, serve "un piano di autofinanziamento con risorse certe, prevedendo una tariffa  stradale. Si tratta di un modello più efficiente rispetto a quello attuale che consente di far risparmiare lo Stato e non comporta oneri  aggiuntivi per il contribuente". Armani ha anche specificato che per tariffa stradale "non si intende un pedaggio".

Grazie a questo nuovo sistema di tariffazione, sarà  possibile "attingere al mercato dei capitali" e "finanziare in modo adeguato gli investimenti oggi a carico della fiscalità generale". Andranno definiti, detto Armani, i livelli di servizio a favore  dell’utenza e i corrispondenti parametri tariffari. Il modello tariffario dovrà in ogni caso garantire, insieme all’integrazione del canone di concessione e agli altri ricavi connessi alla gestione della rete, la copertura dei costi operativi, il rimborso del capitale  investito, la remunerazione del capitale investito. La durata della  concessione andrà adeguata almeno fino al 2052.

mercoledì 22 luglio 2015

Una sentenza stravolge il "pieno" L'Iva sulle accise non va pagata

Carburanti, la sentenza storica: "Illegittima l'Iva sulle accise"




"L'Iva sulle accise non va pagata": un giudice di pace ha sancito in una sentenza a dir poco storica quanto la Cna-Fita sta richiedendo dal lontano 2011, a partire dalla manifestazione del 25 luglio, ovvero l'illegittimità della doppia imposta che lo Stato fa pagare applicando l'Iva sulle accise. "Il caso è quello di un consumatore veneziano - esulta Cinzia Franchini, presidentessa della Cna-Fta Trasporto merci e persone - che ha fatto ricorso contro Enel per contestare la famigerata tassa sulla tassa, ossia la quota di Iva sulla bolletta di gas ed elettricità calcolata anche sulle accise. E ha vinto: un giudice di pace di Venezia ha stabilito, con un decreto ingiuntivo, che l'odiosa doppia imposta è illegittima e quanto versato in più va restituito". 

"Principio assurdo" - Per l'associazione di rappresentanza delle imprese di trasporto merci e persone in conto terzi, che raggruppa più di 26mila imprese con oltre 100mila addetti, l'effetto della sentenza potrebbe essere quello di un terremoto: "Mutatis mutandis sui carburanti in generale e sul gasolio in particolare, per quello che interessa gli autotrasportatori, l'illegittimità della tassa sulle tassa potrebbe essere la medesima - commenta la Franchini -. Al giudice di pace che ha emesso questa sentenza va tutta la mia stima e apprezzamento per il coraggio di condannare una palese ingiustizia che da anni colpisce la mia categoria quanto l'intera cittadinanza italiana che, ogni giorno, alla pompa di benzina o in bolletta, hanno pagato l'assurdo principio per cui uno Stato con la più alta tassazioni indiretta in Europa ci mette sopra il resto".

I giudici restano incollati alla poltrona La farsa sulle pensioni: non se ne vanno

Magistratura, seconda proroga per l'età pensionabile dei giudici: quei rinvii per non andare mai via




C'è chi in pensione non vede l'ora di andarci, e chi invece non ne vuole proprio sapere. Oggi 21 luglio la Camera vota il decreto che rimanda di un altro anno il pensionamento dei magistrati ordinari che non hanno ancora compiuto 72 anni. Questa proroga si è resa necessaria perché il Consiglio Superiore della Magistratura ha iniziato solo lo scorso primo luglio le nomine alla Cassazione per coloro che andranno a sostituire i magistrati in pensione, nonostante avesse avuto ben un anno di tempo per poterlo fare. Dunque si è ancora senza giudici.

L'evoluzione - La situazione viene descritta da Sergio Rizzo sul Corriere della sera di oggi, 21 luglio. La vicenda comincia lo scorso anno, quando il governo Renzi decide di anticipare il pensionamento dei giudici dai 75 anni di età ai 70. Già allora c'erano state vive proteste dei magistrati, che denunciavano la carenza materiale di tempo per procedere alle sostituzioni: per fare un concorso, dicevano, ci vogliono almeno quattro anni. Vennero ascoltati solo in parte. Dal governo venne concessa una proroga di un anno, mandando in pensione i giudici a 71 anni e non a 70. Ma il Csm, pur avendo avuto a disposizione un anno intero per far fronte al possibile deserto delle aule giudiziarie per l'incapacità di rimpiazzare i pensionati, pare essersene ricordato solamente lo scorso primo luglio. Necessaria quindi un'ulteriore proroga, e il pensionamento slitta da 71 a 72 anni per i magistrati ordinari. I giudici contabili e amministrativi si sono sentiti esclusi, quindi in commissione è stato approvato un emendamento che proroga di sei mesi anche il trattenimento in servizio dei magistrati della Corte dei conti. Si avvertono pressioni per estendere il provvedimento anche ai magistrati del Tar e del Consiglio di Stato. Proroghe su proroghe, la pensione si allontana.

Gli '"11" di Verdini in campo con Renzi: chi c'è nel nuovo partito anti-Cav

Partito di Verdini: i dieci nomi che vanno con Denis




Per essere uno sgarro a Berlusconi, peggio non poteva essere. Perchè il gruppo che probabilmente domani ufficializzerà il suo distacco dall'opposizione per andare a sostenere Matteo Renzi e il suo governo è un "undici". E tutti sanno quanto il Cav sia appassionato di calcio. Ma c'è da giurare che questo "undici" non lo appassionerà per niente. E' quello che, dopo settimane di trattative più o meno riservate e tira e molla è riuscito a mettere insieme Denis Verdini. L'ex braccio destro del leader di Forza Italia ed ex artefice del Patto del Nazareno può contare con certezza sul sostegno di due forzisti (Riccardo Mazzoni e Domenico Auricchio), due fittiani (Ciro Falanga e Eva Longo, unica donna), uno del gruppo misto - ex Pdl (Riccardo Conti), e cinque esponenti di Grandi autonomie e libertà (Lucio Barani, Domenico Compagnone, Antonio Scavone, Giuseppe Ruvolo e Vincenzo D'Anna). Tutti sono stati eletti nel 2013 nelle file del Popolo delle Libertà. Ci sono poi gli indecisi, tra i quali figurano Giovanni Mauro, l'ex leghista Michelino Davico e il forzista Riccardo Villari, ex presidente della Vigilanza Rai. Quest'ultimo, come scrive il Corriere della Sera, qualora decidesse di aderire potrebbe essere designato come capogruppo.