Visualizzazioni totali

domenica 22 marzo 2015

Il colpo di scena di Silvio Berlusconi: quattro donne (per far fuori pure Salvini)

Forza Italia, l'idea di Silvio Berlusconi: quattro donne per sfidare Matteo Salvini

di SA.DA



Raffaele Fitto minaccia: «Se dalle liste di Forza Italia saremo esclusi, se si continua con questo gioco suicida, saremo obbligati a difenderci e a fare rapidamente le nostre valutazioni, in tutte le direzioni», valutando anche l’opportunità di candidare se stesso in Puglia. Ma da Arcore nessuno raccoglie il guanto di sfida. Anzi, l’ordine è quello di evitare nuove polemiche: «Sono certo che non ci saranno epurazioni precostituite», dice Giovanni Toti, invitando i fittiani «a non fare i martiri prima di essere perseguitati». Perché questo, assicura il consigliere politico berlusconiano intervenendo alla convention degli ex An, è il «momento dell’unità».

Perlomeno quella interna. Perché, di fronte all’impossibilità di tenere unito il centrodestra, Berlusconi è solleticato dalla tentazione di una corsa solitaria. Mettendo in campo un poker di donne: Deborah Bergamini (Toscana), la giornalista Mediaset Ilaria Cavo (Liguria), Elisabetta Gardini (Veneto), Mara Carfagna (Campania). Il fatto è che Silvio non sopporta più i ricatti di Matteo Salvini, anche se rimane in ballo l’ipotesi che i due oggi o domani possano incontrarsi. «La Lega alza troppo la posta, tra un po’ presenteranno una candidatura anche per la Casa Bianca», ironizza Maurizio Gasparri. Il vice presidente del Senato, insieme con Altero Matteoli, anima un convegno di ex An da cui parte l’invito all’unità del partito e del centrodestra. Se ci si riesce: «È vero», spiega Gasparri, «il nostro obiettivo è unire la coalizione, ma ci dobbiamo credere tutti».

Sempre a Roma si riuniscono i “ricostruttori”. «La logica di un partito», spiega Fitto, «è quella di includere, ma dal Veneto alla Puglia mi sembra che i segnali vadano nella direzione opposta». In Puglia, attacca Fitto, ci sono stati «nuovi commissariamenti» e questo è «un gioco suicida» che «non può continuare». Dal convegno della Fondazione delle Libertà e di Italia Protagonista, replica Toti: «Chi minaccia di andarsene dal partito o di candidarsi in contrasto con questo se non vengono accettate le proprie idee, assomiglia un po’ ai bimbi dell’oratorio che quando non gli viene riconosciuto il ruolo di capitano della squadra se ne vuole andare con il pallone». 

Subito una nuova "poltronissima": dove può finire Lupi dopo le dimissioni

Maria Stella Gelmini: "Maurizio Lupi candidato sindaco a Milano? Perché no"





Sono in tanti ad attendersi una "deflagrazione" del Nuovo centrodestra, dopo le dimissioni di Maurizio Lupi dal ministero dei Trasporti. Il partito è ormai suddito e succube del Pd e di Matteo Renzi, ha ridottissimi margini di manovra all'interno del governo. Ma, soprattutto, elettoralemente conta pochissimo e la vicenda Lupi non farà altro che indebolirlo. Ora, è difficile che nei prossimi mesi si registrino clamorose fughe. Ma è assai probabile che la situazione cambi quando ci si avvicinerà al voto. Non per caso, dopo il caso-Lupi si sono levate più voci a chiedere una uscita dal governo. La volontà di riposizionamento spingerà alcuni verso loa parte moderata del centrodestra, ossia verso Forza Italia. E altri verso il Pd come è stato recentemente per i senatori di Scelta civica, altro partito in disfacimento. E da Forza Italia si guarda con attenzione e interesse a queste spinte centrifughe nel fronte alfaniano. Non a caso, a poche ore dalle sue dimissioni in Parlamento, Maria Stella Gelmini ha lanciato un appello all'ex ministro Maurizio Lupi. L'ex ministro, oggi coordinatrice azzurra in Lombardia, vorrebbe Lupi come "candidato sindaco di Milano per i moderati. E' stato vittima di un linciaggio mediatico, per noi è una persona onesta e perbene. Che possa essere il candidato sindaco del centrodestra moderato è una ipotesi che c'è sempre stata e che non viene meno per queste vicende".

Nell'inchiesta spunta l'amico di D'Alema: la "spintarella" del compagno di regate

Inchiesta Grandi Opere, spunta anche il compagno di regate di Massimo D'Alema






Tra le carte dell'inchiesta Grandi Opere spunta anche l'amico di Massimo D'Alema. Si parla di Roberto De Santis, l'imprenditore salentino da sempre vicino al democratico, il cui nome - non indagato - era comparso nell'indagine barese sulle escort che gravita attorno a Giampi Tarantini. Ma ora i fari sono puntati sull'inchiesta di Firenze. De Santis compare in scena a ottobre 2013, quando presenta all'imprenditore Franco Cavallo mister Luigi Fiorilli (lui indagato), amministratore delle Ferrovie del Sud Est. La ragione, secondo il Ros, sarebbe l'assunzione del nipote di Monsignor Gioia: "De Santis e Franco Cavallo si sono poi effettivamente incontrati due giorni dopo (giovedì 17 ottobre); questo incontro è finalizzato a far assumere un nipote di mons. Gioia, tramite Fiorillo", spiega sempre il Ros. E così, pochi giorni dopo, Cavallo pare volersi sdebitare con De Santis, proponendo di presentargli il sottosegretario Stefano Salvi, indagato.

Il misterioso "quello" - Quindi si passa al 19 marzo 2014, quando come sottolinea Il Giornale Cavallo chiede a De Santis "di fare in modo che all'incontro con il ministro Lupi previsto per la sera partecipi quello di cui hanno parlato in mattinata". E secondo gli inquirenti "quello" sarebbe un tal Nino, che ha un telefono intestato alla società Traforo del Frejus: i due fissano un pranzo per il 25 marzo. Ad aprile è Rocco Girlanda che chiede a Cavallo il nome "dell'amico di Umberto", che sarebbe il sottosegretario Del Basso De Caro, e Cavallo risponde: "Roberto De Santis". E ancora, l'"uomo di Lupi" parla proprio del "compagno di regate" di D'Alema con Perotti, ad aprile 2014, accennando alla costituzione "di un consorzio con tale Vito, cui è interessato anche De Santis". Per ultimo, a settembre scorso, De Santis invita Cavallo a un pranzo a tre con Fiorillo per "focalizzare una cosa che questa estate, diciamo, stando in compagnia (...) ho pensato alcune cose che poi del tutto casualmente anche Luigi ha iniziato a ragionare su questa cosa". De Santis, il compagno di regate di D'Alema, non è indagato, ma la procura fiorentina lo ha fatto perquisire proprio per il legame con Cavallo, tanto che anche i contenuti del suo smartphone e iPad sono stati copiati.

D'Alema spara su Renzi: "Un arrogante" La replica: "Sono toni da rissa da bar"

Pd, Massimo D'Alema contro Matteo Renzi: "Partito gestito con arroganza". E Matteo Orfini: "Toni da rissa da bar"






La minoranza Pd, capeggiata da Massimo D'Alema, spara contro Matteo Renzi. "Io penso che dobbiamo trovare un nuovo modello organizzativo anche per quello che riguarda i tesseramenti. Non tessere degli iscritti alle correnti del Pd. Per favore, no. Ma creare una vasta associazione di rinascita della sinistra che non sia un nuovo partito politico, ma uno spazio di partecipazione per tante persone", ha spiegato Baffino, lanciando dunque una vasta associazione di "rinascita della sinistra". D'Alema poi continua: "Se stiamo al numero degli iscritti al Pd non è un grande partito, i Ds avevano 600mila iscritti. Stiamo assistendo ad un processo di riduzione della partecipazione politica che non solo non è contrastato ma è perseguito". Per il presidente di Italiani europei "tra i tantissimi che se se ne vanno e quelli che vengono da fuori è un saldo che difficilmente può essere considerato su quantità e qualità positivo".

Bordate di Baffino - L'intemerata anti-Renzi di D'Alema prosegue, e il dissidente si chiede "quale sia il destino di un partito senza popolo ma anche il destino di un popolo senza partito". E ancora: "Condivido l’idea di dare battaglia in questo partito ma in questo partito si vince giocando all’interno e all’esterno, Renzi è sostenuto anche da forze che non sono iscritte al Pd, il sistema delle Leopolde si va diffondendo in tutto il paese". Dunque D'Alema propone un'associazione della minoranza del Pd, premettendo che "non approvo il fatto che ci sia più di una minoranza. Questa parte del Pd - continua - può avere peso se raggiunge un certo grande di unità nell’azione altrimenti non avrà alcun peso. Bisogna darsi degli strumenti in cui ci si riunisce si cerca punto di mediazione e si definisce una posizione comune".

Le reazioni - Subito dopo le parole di D'Alema, arrivano quelle di Pier Luigi Bersani, che sposa le posizioni di Baffino: "D'Alema ha detto una cosa sacrosanta. Nel Pd c'è molta gente in sofferenza e disagio. Dobbiamo trovare il sistema, anche dal punto di vista organizzativo, per dialogare con questa gente". Ai cronisti che gli chiedevano se l'intervento di D'Alema fosse da considerare come una mano tesa a Maurizio Landini, risponde: "Conoscendolo, non credo proprio". La risposta dei renziani arriva poi da Matteo Orfini, che boccia la linea dei dalemiani: "Dispiace che dirigenti importanti per la storia della sinistra usino toni degni di una rissa da bar. Così si offende la nostra comunità". Per ultima la bordata del vicesegretario Lorenzo Guerini: "Renzi ha stravinto il congresso e portato il Pd al 41% per cambiare l’Italia dove altri non sono riusciti, qualcuno se ne faccia una ragione".

L'azionista del "Fatto" sbaglia mail ...e demolisce il direttore Travaglio

Fatto quotidiano, l'azionista magistrato Bruno Tinti scrive per email: "Quel giornale è una lettura insopportabile"





Basta un attimo di distrazione e una rubrica indirizzi un po' incasinata perché un'email vada a finire alle persone sbagliate, o almeno indesiderate, così da far emergere verità inconfessabili. La svista clamorosa è successa all'ex magistrato Bruno Tinti, collaboratore del Fatto quotidiano, di cui è stato fondatore e azionista con l'8% di quote in tasca. Un'email privata di Tinti diretta a un amico è diventata pubblica a sua insaputa, avendola ricevuta qualche migliaio di magistrati.

La gaffe - Tinti scrive rivolgendosi all'ex collega Felice Lima, riporta Dagospia, e gli comunica di averlo inserito in una ristretta cerchia di destinatari dei suoi articoli in anteprima: "Se ti va - scrive Tinti - li puoi leggere senza comprarti il Fatto che, almeno per me, è diventato una lettura insopportabile". Peccato però che l'email non sia arrivata soltanto a Lima, ma a tutti gli iscritti alla mailing list dell'Associazione nazionale magistrati. E neanche a dirlo, quando una cosa del genere finisce nelle mani delle toghe, difficile che al Fatto non lo vengano a sapere. Una bella botta di imbarazzo per il giornale diretto da Marco Travaglio, già in fibrillazione per la prossima quotazione in Borsa. Se al Fatto cercavano un testimonial per la pubblicizzare lo sbarco a piazza Affari, forse è il caso di estendere la ricerca fuori dalla cerchia degli ingrati azionisti alla Tinti.

La tua casa in cambio di un vitalizio: così il mattone diventa un bancomat

Finanziamenti, via libera al prestito vitalizio: la casa diventa un Bancomat

di Francesco De Dominicis 



Gli ultrasessantenti da ieri hanno un’opportunità in più per mettersi in tasca un po’ di quattrini (ma non a costo zero). Soldi da spendere, in modo da affrontare con maggiore serenità economica la vecchiaia. Una sorta di pensione integrativa che potrà essere ottenuta ipotecando una fetta della casa di proprietà. Attenzione: non si tratta di un regalo. Si chiama prestito ipotecario vitalizio ed è uno strumento introdotto con una norma approvata definitivamente ieri dal Senato che consente, in buona sostanza, di convertire parte del valore di un immobile in liquidità per far fronte a esigenze di consumo.

Il meccanismo lo ha illustrato Mauro Maria Marino, presidente della commissione Finanze del Senato. Viene di fatto trasformato «il prestito vitalizio ipotecario in una forma di finanziamento alternativa, a cui possono accedere tutti i cittadini di età superiore ai 60 anni e in possesso di un immobile». Questo credito speciale verrà erogato dalle banche come percentuale del valore dell’immobile ipotecato. L’ipoteca è una garanzia che non cancella il diritto di proprietà.

Il sistema è piuttosto semplice. Tuttavia bisogna valutare a fondo tutte le implicazioni e i rischi. La nuova legge consente alle parti (banca e cliente) di concordare le modalità di rimborso graduale di interessi e spese, senza che sia applicata la capitalizzazione annuale degli interessi. In questo caso, il soggetto finanziatore può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento - cioè quello avvenuto tra il 30 e il 180 giorno dalla scadenza della rata - se verificatosi almeno sette volte, anche non consecutivamente. Qualora il soggetto non concordi le modalità di rimborso graduale, la legge prevede tre casi per il rimborso integrale, cioè in un’unica soluzione: in caso di decesso del cittadino che ha ricevuto il finanziamento; se la proprietà o altri diritti reali o di godimento sull’immobile vengono trasferiti anche solamente in parte; se si compiono atti tali da ridurre significativamente il valore dell’immobile, inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia in favore di terzi capaci di gravare sullo stesso. Qualora, a distanza di 12 mesi dal verificarsi di una di queste condizioni, il finanziamento non venisse rimborsato, il finanziatore vende l’immobile al valore di mercato, valore che si decurta del 15% per ogni dodici mesi, sino al momento della vendita.

Le nuove regole sono state accolte positivamente dall’industria bancaria del Paese. L’Abi valuta «molta positivamente» l’ok di palazzo Madama e ha fatto sapere che il testo è, di fatto, il frutto di un’intesa con una decina di associazioni di consumatori. Secondo la Confindustria del credito il pacchetto «rappresenta un giusto equilibrio tra le esigenze di trasparenza, consapevolezza e di tutela dei consumatori e la necessità di creare un prodotto che sia economicamente e finanziariamente sostenibile dal mondo bancario».

Non c’è dubbio che il prestito con casa ipotecata sia una nuova opportunità. Resta qualche dubbio. A cominciare dagli effetti prodotti sul mercato immobiliare dove, gioco forza, confluirà una quota più o meno rilevante delle case date in garanzia. Aumenterà l’offerta di mattone in un periodo non particolarmente favorevole e qualche ripercussione negativa potrebbe esserci pure per le nuove costruzioni.

sabato 21 marzo 2015

Il miracolo del sangue che si scioglie Dopo un secolo, ci è riuscito Francesco

Papa Francesco va a Napoli e San Gennaro fa il miracolo: sangue sciolto a metà
(Non accadeva dal 1848)





San Gennaro ha fatto il miracolo. E' bastato che Papa Francesco prendesse in mano la teca con la reliquia del santo protettore di Napoli, la baciasse, e il sangue di San Gennaro ha iniziato a sciogliersi. "Segno che San Gennaro vuol bene al Papa", ha commentato il cardinale Sepe dopo aver dato l'annuncio ai tanti fedeli che hanno partecipato in Duomo alla Venerazione della Reliquie. "Il vescovo ha detto che il sangue si è sciolto a metà, vuol dire che ci vuole bene a metà e dobbiamo essere più buoni, convertirci ancora", ha risposto Bergoglio. In realtà il fatto che il sangue apparisse in quel momento "sciolto a metà" non significa che quello di oggi sia un miracolo a metà, in quanto è l’inizio del processo che impiega normalmente alcuni minuti a sciogliersi. Nelle precedenti visite dei Papi a Napoli, il fenomeno dello scioglimento del sangue si era verificato solo con Pio IX nel lontano 1848. Non era successo con Giovanni Paolo II, nè con Benedetto XVI.