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domenica 25 gennaio 2015

Il sondaggio sul Quirinale: il Presidente che vogliono gli italiani

Colle, il sondaggio: ecco il Presidente che vogliono gli italiani





Giovedì cominceranno le votazioni per il nuovo presidente della Repubblica. Moltissimi i nomi che circolano per la successione di Napolitano: nomi diversi. Politici, costituzionalisti, tecnici. E, a sorpresa, dalle Quirinarie lanciate dal Fatto Quotidiano è spunatato anche il nome di un uomo dello spettacolo come Giancarlo Magalli. Ma gli italiani chi vorrebbero? Secondo il sondaggio di Nando Pagnoncellli realizzato per il Corriere della sera, nonostante il 40%)veda meglio un presidente che difenda la Carta, la maggioranza assoluta, il 52%, propende invece per un atteggiamento di apertura a cambiamenti anche importanti.Anche nell' elettorato pd, dove pure i rapporti si ribaltano, poco meno della metà (il 46%) si dichiara aperto a cambiamenti costituzionali. Divisi a metà gli elettori di centro, assolutamente orientati ai cambiamenti invece gli elettori di FI e dell' area di destra, mentre i pentastellati sono maggiormente schierati per la difesa della Costituzione.

Le caratteristiche - Per la maggioranza assoluta degli italiani il nuovo presidente deve venire dalla politica attiva: si sentono più tranquilli con un Presidente che conosca i meccanismi della politica.  Solo il 37% desidera un presidente privo di esperienza, proveniente dalla cosiddetta società civile. Molto convinti di un presidente «politico» gli elettori del Pd, ma anche l' elettorato centrista (65%) e di FI (55%) condivide questa opinione. Il Movimento Cinque Stelle, invece, com'era prevedibile, preferirebbe un Presidente "vergine", che non sia compromesso con i palazzi del potere. Non c'è grande interesse verso il genere del presidente:  anche se, fra la minoranza che sceglie, tende ad essere preferita una donna, in misura più netta tra le donne (38%) rispetto agli uomini (28%), a conferma della solidarietà di genere.

L'identikit - La  metà degli intervistati da Pagnoncelli sostiene che la riconoscibilità internazionale sia una caratteristica indispensabile per il nuovo presidente proprio perché si ritiene necessario consolidare l' immagine del nostro Paese nel mondo. L' altra metà lo ritiene un aspetto certo non inutile, ma non centrale: circa il 30% lo considera abbastanza utile per consolidare la nostra reputazione, poco meno del 20% infine lo giudica in tratto secondario, poiché la priorità è la buona conoscenza delle cose italiane. Se si dovesse tracciare l'identikit del presidente desiderato dagli italiani, si tratterebbe di  un politico esperto capace di governare  È un profilo prevalente, non certo unanimemente condiviso. 

Prelievo forzoso sui conti correnti L'hanno già fatto: ecco di quanto

Tasse sui conti correnti, 9 miliardi in più tra 2011 e 2014: patrimoniale mascherata sui nostri risparmi





Il prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani c'è già stato, e negli ultimi 3 anni ha tolto dalle nostre tasche qualcosa come 9 miliardi di euro. Per interdersi sulle proporzioni: quello ufficiale e dichiarato, anche se eseguito nottetempo, ad opera dell'allora premier Giuliano Amato nel luglio 1992 oggi corrisponderebbe a 3 miliardi di euro. A fare la conta sull'incredibile escalation di pressione fiscale sui 3.800 miliardi di euro di attività finanziarie detenute dalle famiglie italiane è una ricerca del centro studi ImpresaLavoro pubblicata sul settimanale Panorama. E i numeri del triennio 2011-2014, corrispondente ai governi di Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi, se messi l'uno dopo l'altro sono impressionanti. 

La patrimoniale occulta di 9 miliardi - A pesare sulle tasche degli italiani sono stati tre interventi massicci, che sommati risultano una vera e propria patrimoniale mascherata. Innanzitutto, l'aumento delle aliquote sui redditi di natura finanziaria, passata dal 12,5% al 26% (eccetto i titoli di Stato), che nel 2015 porterà all'Erario 11,2 miliardi di euro rispetto ai 6,5 stimati per il 2011. Quindi l'introduzione della tassa su una parte delle transazioni finanziarie, la celebre Tobin Tax: secondo gli analisti, la tassa non ha portato nelle casse dello Stato non più di qualche centinaia di milioni di euro. Le stime parlano di 300 milioni, praticamente la stessa entità della diminuzione degli scambi sui mercati italiani, riflesso negativo della misura. Infine, l'imposta di bollo sul deposito titoli che, sottolinea Panorama, da imposta si è trasformata in vera e propria patrimoniale occulta. Dal 2012 a oggi ha già raddoppiato la sua portata e pesa per lo 0,2% su depositi bancari, fondi e alcune polizze e per 34,20 euro sui conti correnti con una giacenza media di 5.000 euro. Rispetto al 2011, nel 2015 questa misura dovrebbe portare allo Stato 4,4 miliardi, 4 in più rispetto al 2011. In tutto, dunque, le tasse sui risparmi degli italiani oggi ammontano a 15,9 miliardi, rispetto ai 6,9 del 2011. Una mazzata, in un quadro in cui a causa della crisi la ricchezza complessiva dei contribuenti si è ridotta contemporaneamente di 814 miliardi. 

L'aumento su interessi e capital gain - Basta dare un'occhiata nello specifico alla progressione dell'imposta su interessi e capital gain per comprendere la portata degli interventi fiscali degli ultimi tre governi. Soltanto sui conti correnti e depositi bancari e postali c'è stato un leggero miglioramento, passando dal 27% del 31 dicembre 2011 al 26% attuale. C'è da dire però che fine al 30 giugno 2014 l'imposta era stata abbassata al 20 per cento. Invariata l'aliquota sui titoli di stato sovranazionali e governativi (12,5%), è cresciuta in modo esponenziale quella sui titoli azionari, obbligazionari societari e bancari, dal 12,5% del 2011 al 20% del 2014 fino al 26% attuale. Aumentate anche le imposte su fondi comuni e polizze vita (dal 12,5% alla media ponderata comunque oscillante tra il 12,5 e il 20%) e sui fondi pensione e piani pensionistici individuali (dall'11% alla media tra 12,5 e 20%). Alla luce di tutto ciò, ritrovare Amato al Colle sarebbe non tanto una beffa, quanto la perfetta chiusura del cerchio.

Notte in hotel della Boldrini Ora la Camera indaga sulle spese...

La Camera indaga sulla notte in hotel della Boldrini

di Francesco Borgonovo 



Tutti eravamo Charlie Hebdo. Poi qualcuno si è accorto di essere Laura Boldrini e ha deciso che della libertà di espressione se ne poteva fregare bellamente. E infatti la presidente della Camera - bisogna chiamarla così, perché dire «la presidentessa» è offensivo, almeno secondo le nuove regole grammaticali ispirate dalla Boldrini medesima e caldeggiate dall’Ordine dei giornalisti - si è subito data da fare. Ieri il Giornale ha riportato la notizia secondo cui la presidente della Camera avrebbe querelato Le Iene, poiché un inviato della trasmissione avrebbe cercato - pensate un po’ - di farle una domanda. Le si è avvicinato a Montecitorio, ha chiesto qualcosa a madama Laura, lei non ha risposto e in men che non si dica sono intervenuti i commessi della Camera per bloccare e allontanare il disturbatore. Cioè uno che, fino a prova contraria, stava facendo il suo mestiere di giornalista. 

«La Presidente della Camera non ha querelato nessuno e, come ben sanno i giornalisti che quotidianamente si rivolgono a lei, è sempre disponibile a rispondere alle domande», si è affrettato a smentire l’ufficio stampa di Madama Laura. Se non ha sporto querela, non possiamo che essere contenti. Ma la verità è che per la Boldrini sfuggire alle domande dei cronisti è una specie di hobby: se Triton respingesse gli immigrati come lei respinge gli inviati, non avremmo alcun problema. Se le domande sono poste al limite della piaggeria e riguardano temi come i diritti delle donne, è possibile che la nostra si degni di replicare. Ma altrimenti scordatevi la disponibilità: chiedere a qualche giornalista televisivo per avere conferma. Però almeno una volta Laura Boldrini dovrà rispondere: precisamente il 26 febbraio alle ore 15. 

E non dovrà farlo a un signore con un microfono in mano, ma al Consiglio di Giurisdizione della Camera dei deputati. Quest’organo ha accolto un ricorso presentato dal Codacons, riguardante una vicenda che ha dell’incredibile. Il 7 dicembre 2013 la Boldrini avrebbe fatto prenotare dall’Ufficio del cerimoniale della presidenza della Camera una stanza nell’albergo Casa Pazzi di Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno. Si tratta di una dimora storica molto elegante. «Casa Pazzi, incastonata nelle mura difensive di Grottammare alta, uno dei Borghi più belli d’Italia, è un Palazzo Storico del XVIII secolo trasformato dall’interior designer Roberto Pazzi in una dimora per vacanze di charme», spiega il sito della struttura.

La Boldrini si sarebbe recata lì «insieme al compagno e un’altra coppia di amici, per assistere alla presentazione della mostra pittorica Coordinate Celesti del fratello Andrea Boldrini». Alla fine della visita, «di natura chiaramente privata, il presidente della Camera avrebbe invitato i gestori del lussuoso albergo ad inviare la fattura per il pernottamento direttamente all’Ufficio del cerimoniale della Camera dei deputati, come di fatto sarebbe avvenuto. In seguito, la somma utilizzata sarebbe stata rimborsata in contanti dal presidente della Camera, in data 16 dicembre 2013». 

Insomma, la Boldrini si sarebbe presa un giorno di vacanza per vedere la mostra di suo fratello, facendosi anticipare i soldi dalla Camera - per la precisione 150 euro - che avrebbe poi reso in contanti (niente male, in un Paese in cui molti vorrebbero abolirli) qualche tempo dopo. «La stessa avvocatura della Camera», dice a Libero l’avvocato Carlo Rienzi del Codacons, «ha sostenuto che una cosa del genere non si può fare, non ha detto però che la presidente non l’ha fatta». A intervenire per smentire è stato ancora il portavoce della Boldrini: «Non vi è stato alcun utilizzo di soldi pubblici, neanche in forma di anticipo», ha detto. 

Bene, ma allora, come fa giustamente notare il Codacons, non è chiaro il motivo per cui «sia stato eretto un muro contro la legittima richiesta dei cittadini di visionare la relativa documentazione. Basterebbe che il presidente della Camera o il direttore dell’hotel esibissero la fattura di quel pernottamento per essere tutti sereni e tranquilli». Già: se davvero non si è fatta anticipare i soldi della gita, perché la Boldrini non ha voluto finora esibire le ricevute e ha dovuto aspettare l’intervento del Consiglio di giurisdizione della Camera? Forse in virtù della sua nota disponibilità?

Eppure, a quanto ci risulta, la presidente ha sempre difeso con decisione il diritto della popolazione a essere informata. Pensate che, subito dopo la strage a Charlie Hebdo ha dichiarato con grande commozione: «È indispensabile che tutti gli Stati europei sappiano far sentire la fermezza con cui difenderanno le libertà fondamentali delle nostre società, in primo luogo quella di informare e di esprimersi». Visto come si comporta quando tocca a lei dare informazioni, tra le grandi conquiste dell’Occidente avrebbe potuto includere il «diritto di rimanere in silenzio», come nei polizieschi americani. 

Ma, di nuovo, non c’è da stupirsi. La Boldrini è solita esibirsi in proclami altisonanti come questo del 3 maggio: «Considero la libertà di espressione un valore assoluto». Già. Infatti tempo fa se l’è presa con l’imitazione che Virginia Raffaele fece di Maria Elena Boschi a Ballarò, poiché la considerava «sessista». È così attenta alla libertà d’espressione, la Boldrini, che le piacerebbe cancellare tutte le pubblicità che mostrano donne intente a occuparsi della propria famiglia: «Non può essere concepito normale uno spot in cui i bambini e il papà sono seduti e la mamma serve a tavola», ha tuonato in più occasioni. 

Per non parlare delle limitazioni che le sarebbe piaciuto mettere al web per arginare gli insulti. Un’idea condivisibile, poiché la libertà d’offesa è un po’ diversa dalla libertà d’espressione. Peccato che la presidente se ne sia accorta solo quando gli insulti sono toccati a lei, non prima. La storia delle vacanze è solo l’ultimo episodio. Se non ha fatto niente di male, le basterebbe mostrare scontrini e fatture di Casa Pazzi, e rispondere educatamente alle domande. Dopo tutto, libertà e informazione mica sono brutte parole. Sono pure femminili, meglio di così…

Arriva la rivoluzione sulla casa: come acquistarla senza il mutuo

Rent to buy: si può acquistare una casa senza mutuo, basta pagare l'affitto





Pagare l'affitto e contemporaneamente comprare casa. In inglese si chiama "rent to buy" ed è la formula con cui è possibile acquistare un immobile senza ricorrere a mutui ai quali non sempre è possibile accedere, abitarlo subito e pagare un tanto al mese come se fosse un canone di locazione. A riaccendere l'attenzione su questo tipo di contratto, introdotto in Italia con una legge alcuni mesi fa, è il Consiglio nazionale del Notariato che ha presentato uno schema per agevolarne operativamente l’applicazione e soprattutto per incoraggiare le contrattazioni immobiliari e la ripresa del mercato. A febbraio saranno sciolti i dubbi in materia fiscale del contratto, ma nel frattempo il Notariato ha diffuso un decalogo informativo per i cittadini per orientarli e informarli su questa modalità di acquisto.

Compra vendita agevolata - Si tratta, spiega l'organo centrale dell’ordine dei notai, di un’operazione unitaria attraverso la quale viene assicurato a chi ha intenzione di acquistare un immobile, la possibilità di conseguire da subito il godimento dell’immobile individuato, con pagamento di un canone periodico e di rinviare a un momento successivo l’acquisto vero e proprio dell’immobile e il pagamento del relativo prezzo, dal quale vengono scomputati, in tutto o in parte, i canoni pagati in precedenza. "La trascrizione", spiega Notariato, "vale come una vera e propria prenotazione dell’acquisto dell’immobile. Di conseguenza, non potrà vendere l’immobile a qualcun altro, né concedere un’ipoteca sull’immobile, né costituire una servitù passiva o qualsiasi altro diritto pregiudizievole". "Gli eventuali creditori del venditore", continua il Notariato, non potranno iscrivere un’ipoteca sull’immobile promesso in vendita, né pignorarlo. Dal momento della trascrizione del rent to buy, l’immobile è ’riservato' al futuro acquirente, e qualsiasi trascrizione o iscrizione non avrebbe effetto nei suoi confronti".

L'assicurazione obbligatoria - Lo schema di contratto prevede fin dall'inizio del rapporto contrattuale all'inquilino il rischio di distruzione dell' immobile. Si prevede quindi l'obbligo di assicurare la casa contro incendi e altre calamità, con vincolo a favore del proprietario - concedente. La manutenzione ordinaria è posta a carico dell' inquilino; la manutenzione straordinaria è a carico del proprietario, ma se questo non se ne cura, l' inquilino può farla a sue spese con diritto al rimborso. Se l' inquilino apporta miglioramenti ha diritto a un' indennità, ma la incasserà solo se non eserciterà il diritto all' acquisto. L' indennità sarà pari alla cifra minore tra l' importo della spese sostenuta e l' incremento del valore venale.

Il decreto attuativo - Per quanto riguarda il decreto ’Sblocca Italia' che lo ha reso legge, il Notariato puntualizza: "Ha risolto alcune criticità che derivavano dalla mancanza di una specifica normativa in materia: in particolare, ha previsto la possibilità di trascrivere il contratto nei Registri immobiliari per il periodo di durata del rent to buy, ma comunque non superiore a 10 anni". Da parte sua L'Agenzia delle Entrte ha confermato che nel mese di febbraio sarà ufficializzato il provvedimento attuativo con il quale dovranno essere sciolti i dubbi in materia fiscale che finora hanno contribuito a bloccare questo tipo di contratto.

Immigrati padroni in casa nostra Ai clandestini ora paghiamo Sky

Padroni in casa nostra: agli immigrati paghiamo Sky

di Alessandro Gonzato 



Ora mettiamo a disposizione dei profughi anche la pay tv per vedere la Coppa d’Africa: se Sky (più probabile) o Mediaset Premium, la scelta spetta a loro. Nel frattempo al centro Ceis di Vittorio Veneto, nel Trevigiano, gli antennisti sono al lavoro per far arrivare il segnale. Hanno già installato la parabola, ma la copertura è scarsa. La struttura si trova a Serravalle, in una zona d’ombra. E la tv continua a non funzionare. I tecnici, però, non disperano. Prima o poi, ne sono certi, gli immigrati - un centinaio, molti giovanissimi - potranno ammirare le gesta di Gervinho e compagni. In che modo, dicevamo - la rassegna viene trasmessa da Eurosport, canale visibile esclusivamente con un abbonamento alla pay tv - è una decisione degli ospiti. «Devono discuterne tra loro» dice a Libero don Gigetto De Bortoli, responsabile della struttura. «È in atto una contrattazione. Solo così potranno crescere. Le dico» prosegue «che comunque l’abbonamento lo pagheranno di tasca propria. Questa è la mia posizione educativa». Don Gigetto specifica pure come gli immigrati riusciranno, secondo lui, a far fronte alle spese: «Non soltanto coi 2 euro e 50 che hanno a disposizione ogni giorno. Alcuni hanno dei soldi propri messi da parte». Anche se è difficile pensare che questi risparmi esistano davvero o siano comunque sufficienti a far fronte alla spesa. Per non dire, poi, che quei 2 euro e 50, sono comunque soldi passati agli immigrati dallo Stato italiano. Ma torniamo indietro di qualche giorno.

Nella struttura di Serravalle, sabato scorso, era successo il finimondo. Non erano bastate le proteste delle settimane precedenti per la scarsa varietà del cibo e la richiesta di piatti tipici del continente nero. Gli ospiti del centro trevigiano, una volta capito che non avrebbero potuto seguire la giornata inaugurale della manifestazione, avevano dato in escandescenze. Non volevano perdere nemmeno un minuto delle sfide tra Guinea Equatoriale e Congo (terminata 1 a 1) e tra Gabon e Burkina Faso (2-0). Ma non c’era niente da fare: il televisore non prendeva. Allora erano partite imprecazioni e si erano levati cori di dissenso. Gli immigrati avevano fatto talmente tanto casino che per riportare la calma era stato necessario l’intervento dei carabinieri. Ai profughi, una volta ritrovata un po’ di tranquillità, non era rimasto che andare a dormire col dubbio di come fossero andate le due partite. L’indomani il segretario generale del sindacato di polizia Coisp, Franco Maccari, oltre a esprimere tutta la propria indignazione per l’impiego di forze dell'ordine in una simile circostanza, era stato profetico: «Adesso chi di dovere si attiverà per dotare le strutture di abbonamenti alle tivù a pagamento». Il leader leghista, Matteo Salvini, si era invece sfogato su Facebook. Dove un utente, apprezzato da molti, aveva invitato la Boldrini ad accogliere a casa propria questi rifugiati: «Gli faccia vedere la partita e gli dia pizza, birra, pop corn e li lasci ruttare liberamente». In stile Fantozzi, insomma. 

«Gli spalanchiamo le porte» tuona oggi il presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro (Lega) «e poi li ritroviamo in giro con le scarpe firmate e il cellulare. Adesso vogliono pure la pay tv. È una presa in giro senza fine. Evidentemente, per qualcuno, sono questi i veri problemi dell'Italia». Di fronte al centro d’accoglienza gli attivisti di Casapound hanno affisso uno striscione: «A loro vitto, alloggio e Sky e ai disoccupati chi ci pensa mai?». Durissimo l’ex sindaco di Vittorio Veneto, Gianantonio Da Re: «Il primo cittadino, renziano convinto, non dice nulla. Ma a che punto siamo arrivati? Pagheranno i profughi, dicono dalla struttura? Ma mi facciano il piacere! I profughi non pagheranno un c… . Pagheremo noi, come per ogni cosa».

Quirinale, il "vaffa" dei grillini a Renzi "Fuori i nomi, non veniamo al Nazareno"

Quirinale, M5s: "Non andremo alle consultazioni di Renzi"





"Che cosa e' il Nazareno? Perche' io non so cosa sia il Nazareno...". Beppe Grillo, ieri, durante una breve apparizione in piazza del Popolo a Roma, dove si è svolta la 'Notte dell'onesta'', risponde cosi' ai cronisti e sembra quindi chiudere alla possibilita' di accettare l'invito di Renzi alle consultazioni con le altre forze politiche, martedi', in vista dell'elezione del prossimo Capo dello Stato. "Ci inventiamo delle parole... Non ci fidiamo piu' di nessuno...", dice ancora il leader M5s.

La risposta di Di Battista - E da piazza del Popolo arrivano anche le parole di Alessandro Di Battista che condivide la posizione di Beppe e sottolinea: "Il Movimento cinque stelle non parteciperà alle consultazioni del Pd. Non andremo al Nazareno. Aspettiamo i nomi da parte di Renzi per sottoporli al giudizio della Rete. Non possiamo accettare che un presidente venga eletto al 4 scrutinio, quando basterà la maggioranza più uno dei voti. Il presidente deve essere eletto nei primi tre scrutini con una scelta condivisa da tutti". 

sabato 24 gennaio 2015

"Restare nel Pd? Sarebbe da deficienti" D'Alema e i suoi sfidano i renziani

D'Alema, i fedelissimi pronti a mollare il Pd: "Restare nel partito sarebbe da deficienti"






I fedelissimi di Massimo D'Alema aspettano solo il segnale di Baffino: dopodiché del Pd che conosciamo ora non resterà traccia. La scissione è dietro l'angolo, ma l'ex presidente del Consiglio aspetta l'elezione del Presidente della Repubblica prima di muoversi e nel frattempo ovviamente tace. Ma parlano i suoi, anche se nascosti dall'anonimato. "Se davvero si arrivasse a un capo dello Stato frutto di un accordo tra Renzi e Berlusconi con l'esclusione della minoranza Pd sarebbe davvero la fine di tutto", dice un ex ministro a Francesco Ghidetti del Giorno. "Come potrebbe mai tollerare una cosa del genere?". "Stiamo pensando a qualcosa che guardi al futuro", ammette uno del suo entourage. "Magari potremmo fondare il Pci", ironizza. Ma neanche tanto alla luce delle lodi che pubblicamente ha tessuto per Alexis Tsipras e alla sua lista che ai tempi delle Europee definiva "sfasciacarrozze".

Rottura evidente - Con sé D'Alema porterebbe via dal Pd parecchi sostenitori, dentro e fuori il Palazzo. "Se si muove lui li muoviamo tutti", puntualizza un fedelissimo che fa notare come Baffino, al di là delle apparenze, la sua leadership gode ancora di buona stampa tra militanti e simpatizzanti. Certo, Matteo Renzi, non sembra far nulla per recuperare consensi tra i dissidenti. "Quanto ci ha detto 'fate un po' come vi pare' a proposito del Quirinale", si lamenta un antirenziano, "ha davvero raggiunto il limite". "E poi, diciamo la verità", gli fa eco un altro ribelle, "restare in un partito dove già contiamo poco sarebbe da deficienti".