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martedì 30 dicembre 2014

Multe per la stessa infrazione La sentenza: "Ecco quanto si paga..."

Multe per stessa infrazione, la Cassazione: "si paga doppio"




Sarà capitato a tanti di ricevere più multe relative ad una stessa infrazione avvenuta nello stesso luogo. Nello specifico, secondo il codice della strada, se contravvenzioni identiche sono state contestate in un arco temporale molto breve, rientrano nel campo di applicabilità di una norma derivata dal codice penale che le riunisce sotto un'unica condotta errata. Pertanto deve essere pagata una multa sola. Un esempio classico: due infrazioni di un limite di velocità, rilevate a pochi chilometri l'una dall'altra.

Il caso - Attenzione però. Altro ragionamento per i comportamenti ripetuti ma riferiti a episodi diversi, come potrebbe accadere nel caso di ingresso in zone a traffico limitato ripetute a distanza di ore. Anche in questo caso c’è un precedente giudiziario: il caso specifico è stato considerato dalla VI sezione civile della Corte di Cassazione su richiesta del comune che aveva comminato le multe. In due giudizi precedenti le multe seriali erano state annullate proprio applicando il principio citato all'inizio, possibilità invece disconosciuta dalla Cassazione, che ha ribadito la presenza di più violazioni al codice della strada. Insomma, come ricorda affaitaliani.it, in questo caso si paga la doppia sanzione.  

Si paga due volte - Il caso citato, infatti, è molto specifico e difficilmente interpretabile per il cittadino soggetto a più sanzioni per la stessa infrazione. In linea di massima vale la regola della non annullabilità dei casi, come ribadito dalla Cassazione. Ma le sentenze precedenti avevano dato speranza a milioni di automobilisti sanzionati. Ma la Cassazione ha gelato le aspettative. Insomma chi sbaglia due volte dovrà aprire il portafoglio due volte, anche se l'infrazione è stata compiuta nello stesso luogo a breve distanza di tempo. 

Salvini porta la Lega in piazza a Roma: "Il 28 febbraio per cacciare Renzi"

Salvini porta la Lega in piazza: tutti a Roma il 28 febbraio




Prima grande manifestazione della Lega nella Capitale. Lo ha annunciato Matteo Salvini ai militanti delle tradizionale festa Berghem Frecc: "Sabato 28 febbraio proviamo ad andare in tantissimi a Roma per mandare a casa Renzi e per ribaltare tutto quanto. Abbiamo un impegno, non sarà un impegno della Lega: quel giorno l'Italia tutta si deve fermare, andiamo a Roma e ci riprendiamo il nostro futuro". 

Contro Silvio - Salvini spara a zero su tutti, Berlusconi, Renzi, giudici: "C’è qualcuno che dovrebbe essere all'opposizione", dice riferendosi al Cavaliere, "ma buon Dio, Silvio Berlusconi, gli voti un pezzo di legge elettorale, poi un pezzo di riforma del Senato e allora non puoi dirmi facciamo le battaglie insieme e votare ogni porcheria: o ti chiarisci le idee, o noi andiamo avanti da soli per la nostra strada". Perché, continua, "non vogliamo ripetere gli errori del passato e fare i donatori di sangue".

Contro Renzi - Questo governo "affama il Paese", prosegue Salvini, "e molti mi dicono a me il prossimo anno conviene lavorare in nero: fanno bene, è legittima difesa; contro lo Stato ladro ragioni da ladro". Il Jobs act "è il vuoto, è il teatrino Renzi-Camusso, attori della stessa tragedia: la fine dell'impero Renzi". E su Napolitano: "Noi Napolitano lo avevamo votato perché si era impegnato a fare le riforme, ma non si è visto niente". Quindi Salvini non sentirà il suo discorso di fine anno - e fine mandato - "Sarò impegnato a fare altro, risparmierò mezzora e la trascorrerò con mio figlio". In attesa del nuovo presidente della Repubblica che "vorrei non sinistro".

Contro i giudici - Infine, l'ira contro il rinvio a giudizio di 34 camicie verdi: "Una follia. Chiederemo il risarcimento danni anche al ministero della Giustizia. Per anni si sono spesi milioni di euro degli italiani per un processo senza senso; solo in Italia può succedere".

lunedì 29 dicembre 2014

Beneficiari, prestazioni, e tasse da pagare Ecco tutti i falsi miti sulle pensioni in Italia

Pensioni, i falsi miti sulla previdenza in Italia




Le pensioni da sempre sono uno dei nodi cruciali delle politiche di governo. Anche l'esecutivo guidato da Matteo Renzi non si sottrae a questa regola e infatti sia Padoan in passato che i suoi sottosegretari hanno ipotizzato un'intervento sulle pensioni. Ma una riforma del sistema per certi versi sarebbe salutare anche per le casse dello Stato. Infatti secondo quanto racconta Alberto Brambilla sul Corriere sono troppi i miti sulla previdenza che vanno sfatati e di conseguenza regolati. 

I miti da sfatare - Il primo punto riguarda i beneficiari del sistema previdenziale. Su 16 milioni di pensionati circa 8 milioni percepiscono prestazioni totalmente a carico della fiscalità generale, come del resto i 4,73 milioni di soggetti beneficiari delle integrazioni al minimo me delle maggiorazioni sociali. Altro mito da sfatare è quello delle prestazioni. Per garantire al qualità record la differenza tra contributi versati al sistema previdenziale e la spesa vera è coperta dalla fiscalità per un importo pari a 83,6 miliardi, più o meno la spesa per gli interessi sul debito, e questo di certo pesa solo su coloro che le tasse le pagano davvero. Infine la fiscalità. 51 milioni di italiani pagano una irpef in media di 923 euro a testa, poco più di un quarto di Irpef è pagata dal 3,18 per cento dei contribuenti. La domanda da porsi, come ricorda Brambilla è: chi pagherà le pensioni e la sanità? Con questo quadro è difficile ipotizzare aumenti delle pensioni a parziale o totale carico dello Stato perché diverrebbero più alte delle pensioni pagate con i contributi. Insomma il sistema va rivoluzionato a 360 gradi. 

Nuovo catasto, cambia tutto La mappa: chi guadagna e chi perde

Riforma del Catasto: salasso per sei milioni di case




La riforma del Catasto è alle porte. Occhi puntati su Messina, Napoli e Ragusa. Tra i diversi milioni di abitazioni destinate a finire nel mirino della revisione degli estimi, infatti, è proprio in quelle città che si concentra la più alta densità di case del tipo A/4 e A/5, le categorie catastali più modeste, che finiranno inevitabilmente sotto la lente d’ingrandimento dell’erario. Secondo una classifica elaborata dall’Associazione dei geometri fiscalisti (Agefis) per il Sole 24 ore, sicuramente nei capoluoghi del Sud c’è la percentuale più alta di abitazioni di categoria catastale bassa, mentre in città come Piacenza e Trento sono presenti in maniera quasi del tutto trascurabile. E’ quindi ovvio dove si tenterà di andare a colpire nella revisione dei criteri estimativi: lo scopo è proprio quello di andare a eliminare gli squilibri attualmente presenti, dove magari a fronte di quotazioni immobiliari molto diverse tra città (o quartieri) differenti i valori catastali sono rimasti identici, pagando così lo stesso conto per Imu e Tasi. Certo è che a categorie catastali non elevate non sempre si accompagna il classico furbetto: spesso si tratta solo di un padrone di casa che non ha effettuato grandi lavori di recupero, mantenendo la classe attribuita quando l’abitazione è stata accatastata per la prima volta.

Cosa cambia - Ed è proprio per analizzare meglio queste ultime situazioni che l'analisi sulle statistiche catastali si rivela più utile. In tutte le città, le case di categoria media (cioè le A/2 e le A/3) sono sempre la maggioranza, ma dove c'è una forte presenza di abitazioni in categorie povere (le A/4 e le A/5, per l'appunto), significa che un proprietario che oggi sta pagando le imposte su valori fiscali nettamente inferiori a quelli degli altri, e che potrebbe subire tra cinque anni i maggiori aumenti del valore patrimoniale. Anche se poi il conto effettivo delle imposte dipenderà dalle scelte dei sindaci e da come verrà tradotto il principio dell'invarianza di gettito. A Milano, per esempio, quasi il 20% dei proprietari oggi paga le imposte partendo da una rendita che è la metà della media cittadina. A Napoli, addirittura, più del 10% delle case ha una rendita dieci volte inferiore al livello medio. Qui si annidano i maggiori rischi di rincari, quindi. Ma anche la speranza di pagare un po' meno tasse per chi oggi possiede le case con le rendite più elevate.

NON CHIAMATE QUESTO NUMERO Truffa col cellulare: cosa si rischia

Wangiri, l'ultima truffa col cellulare




Una chiamata persa può svuotarci il credito sulla scheda del nostro cellulare. Quando ricevete una chiamta da un numero che non conoscete e vitate di richiamare perchè potrebbero scattare tariffe premium che vi costerebbero circa 1 euro e 50 centesimi al minuto. Bastano pochi minuti al telefono e la scheda si svuota. Potrebbe essere una ping call , la nuova truffa telefonica che si limita appunto a uno squillo. Basta richiamare per spendere decine di euro per pochi secondi. E l’Italia sarebbe la patria del boom di queste nuove truffe telefoniche.

La truffa - La telefonata può arrivare a qualunque ora, anche nel cuore della notte. È un numero come un altro, ma sconosciuto alla vittima. Comincia spesso con +373. Di solito dura appena un breve squillo. Se si fa in tempo a rispondere, si sente la linea cadere. Più spesso la telefonata rimane senza risposta, dentro la memoria del cellulare. Se si richiama il telefonino viene infatti “agganciato” a una tariffa ad alto costo: 1.50 euro ogni 10 secondi. L’utente è incappato in una ping call. Internet abbonda di segnalazioni al riguardo. Centinaia di forum e siti avvertono del pericolo. Su unknownphone. com, come racconta Repubblica, per esempio, si legge: "Un euro e 50 a questi maledetti per sentire un film porno in russo. Ho trovato una telefonata non risposta e ho richiamato". Le associazioni dei consumatori parlano di una “epidemia di truffe”. 

Tariffe premium - Le compagnie telefoniche le conoscono tutte per nome: "L’ultima frode è denominata Wangiri - spiegano da Vodafone -
in tal caso i truffatori utilizzano un computer in grado di contattare simultaneamente una grande quantità di numeri telefonici in modo casuale. I cellulari di coloro che ricevono questa telefonata, visualizzano sul display una “chiamata persa”. La truffa scatta quando l’utente, in buona fede, ricontatta il numero, che normalmente viene tariffato come numero premium o contiene delle pubblicità". Insomma se volete difendervi dalla truffa leggete qui i consigli da seguire per evitare di passare le feste col cellulare a secco. 

"Statali licenziabili? Deciderà l'Aula" Cosa può succedere ai dipendenti P.A

Matteo Renzi: "Jobs Act e statali, se ne occuperà il Parlamento"




Dopo l'approvazione dei decreti attuativi del Jobs Act, è sconto sulla licenziabilità dei dipendenti statali. In un'intervista a Il Giorno, il premier, Matteo Renzi, se ne lava le mani e chiarisce come verrà affrontata la vicenda: "Sarà il Parlamento a pronunciarsi su questo punto, sollevato da Ichino. Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso. Ma non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo".  E alla Cgil che è sul piede di guerra risponde così: "Ho il massimo rispetto per il sindacato, e lo dico senza polemiche né ipocrisie o ironie. Ma non sono il tipo che si lascia impressionare dalle minacce. Meno che mai della Cgil. Che ha manifestato, scioperato, e avversato in ogni modo le nostre riforme. Se ha altri modi per dire no, lo spiegherà di fronte al Paese, ci trova al solito posto, a Palazzo Chigi a provare a cambiare l’Italia". 

La corsa al Colle - Poi il premier parla della Corsa al Colle per il dopo-Re Giorgio: "Non mi presto al gioco dell’Indovina chi sul Quirinale. Dove c’è un uomo, Giorgio Napolitano, al quale tutti quanti gli italiani devono riconoscenza e rispetto per come ha interpretato in tutti questi anni la sua responsabilità alla guida dello Stato". Infine parla anche dei contatti col Cav e dell'ipotesi Prodi al Colle: "Non mi occupo dei veti di questo o quel partito. Se e quando sarà il momento saranno i Grandi elettori a verificare la capacità di trovare consenso di questo o quel nome. Gettare nomi importanti come quello di Romano Prodi nel tritacarne dei retroscena serve solo ad alimentare una chiacchiera che non accenna a diminuire nei mesi che ci attendono".

2015, il funesto oroscopo economico Perché l'Italia rischia la bancarotta

Economia, l'oroscopo del 2015: perché l'Italia rischia la bancarotta

di Carlo Pelanda 


In base alle previsioni correnti, nel 2015 l’economia italiana uscirà dalla recessione, a partire dal secondo trimestre, con una minima ripresa della crescita del Pil tra lo 0,3% e lo 0,7% trainata prevalentemente da fattori esterni. Contenti? Meglio essere attenti: il 2015 sarà un anno supercritico perché il sistema economico è vicino ai limiti di tenuta: migliaia di piccole aziende industriali, commerciali ed artigiane, nonché di professionisti, che finora hanno resistito a tre anni di crisi pesante del mercato interno hanno i bilanci destabilizzati e, senza novità positive, non potranno continuare l’attività. D’altra parte, il sistema è ancora sufficientemente vitale per sopravvivere, riprendendosi, se avrà un minimo di ossigeno. In tal senso vedo l’economia italiana, nel 2015, in bilico tra crollo finale e ripresa. Quali condizioni favorirebbero l’esito migliore?

L’Italia ha perso la sovranità economica e monetaria perché la ha conferita ad un agente europeo che non è disegnato per tornargliene una parte nei momenti di bisogno. Infatti la politica italiana non può stimolare l’economia in crisi con spesa in megadeficit, non può battere moneta né può svalutarla. In tale gabbia ha la sola facoltà sovrana di modificare la politica fiscale. Ma se abbassa le tasse deve anche tagliare la spesa per mantenere l’equilibrio di bilancio imposto dai trattati europei siglati irriflessivamente dai nostri governi precedenti, si espone al rischio, oltre che di dissensi destabilizzanti, di un impatto deflazionistico aggravante nel breve termine. Tale impatto sarebbe, in teoria, bilanciabile da un forte impulso alla fiducia con la conseguenza di portare i risparmi dalla cassetta ai consumi. Ma non è pensabile che un’azione così destatalizzante e forte sia fattibile da una maggioranza di sinistra. In sintesi, l’Italia non ha e la sua politica attuale non vuole usare quei mezzi sovrani di stimolazione economica che hanno portato rapidamente, per esempio, America e Regno Unito fuori dalla crisi, ora ambedue in boom. Per tale motivo la minima ripresa italiana del 2015 sarà trainata solo dall’esterno: euro basso che facilita export e importazione di turismo e costi energetici in riduzione. Ma nel saldo statistico che proietta una minima ripresa nel 2015, tali condizioni esterne daranno un segno più al Pil aggregato mentre continuerà la recessione del mercato interno perché non stimolato. E molti soggetti economici affonderanno pur nello scenario di ripresa. Questo il punto non ancora detto nelle cronache. Per tenerli a galla ci vorrà un minimo ritorno della fiducia che aumenti almeno il fenomeno della "ripresa passiva" che è iniziato nel 2014.

Per ottenerlo, il governo dovrebbe fare due azioni d’emergenza che potrebbe attuare pur nei limiti tecnici e politici detti sopra: (a) fondo di ripatrimonializzazione delle imprese con bilanci destabilizzati in forma di prestito con ritorno in 15-20 anni; (b) estensione del Fondo statale di garanzia (non di spesa) per il credito alle aziende in modo da coprire almeno il 70% di un prestito bancario. Potrebbe bastare per confermare un rimbalzo attorno allo 1% del Pil nel 2015, metà per fattori esterni e metà per tenuta del mercato interno, pur in costanza di una pressione fiscale abnorme e di regole lavorative che non incentivano le assunzioni. In sostanza, basterebbe sostenere l’accesso al credito per aiutare la tenuta degli attori economici in difficoltà.

Enfatizzo questo punto perché non credo che il governo di sinistra possa e voglia fare altro di stimolativo. E perché osservo che la liquidità resa disponibile dalla Bce per imprese e famiglie non sta arrivando a loro per problemi di merito di credito. Quindi un sostegno statale d’emergenza, fatto più di garanzie che di spesa, per sostenere tale merito mi sembra la cosa più razionale da raccomandare ad un governo sinistroverso per l’interesse di tutti. Ovviamente la (mini)ripresa italiana senza vera stimolazione interna dipende tutta da condizioni favorevoli esterne. Al momento gli analisti assumono che: 1) la Bce, superando le paturnie tedesche, trovi un modo per comprare eurodebiti e in tal modo sia svalutare l’euro sia garantire di fatto il debito italiano che senza tale sostegno verrebbe classificato come destinato all’insolvenza cosa che farebbe saltare il sistema bancario italiano e renderebbe inutile il suggerimento qui enfatizzato; 2) l’aumento della liquidità in euro bilanci la riduzione di quella in dollari in modo da mantenere la pressione sulla pompa di capitale che tiene artificialmente alte le Borse globali nonostante una crescita mediocre della domanda globale (3,1%). Speriamo, auguri.