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martedì 2 dicembre 2014

Napolitano adesso ci sfotte: "Non mi dimetto fino a..."

Napolitano al Colle fino al termine del semestre di presidenza 





Con i loro tempi degni della reggia di Versailles (ma là almeno le notizie giungevano non con internet, ma coi messaggeri a cavallo) al Quirinale devono aver pensato che qualcosa dovevano dire. Che di fronte a quella ridda di voci che vogliono Giorgio Napolitano presto dimissionario non si poteva restare indifferenti o, quantomeno muti. E così, dopo che per giorni sui giornali sono uscite date su date, dopo che si è persino parlato di una lettera di re Giorgio ai presidenti dei due rami del Parlamento, dopo che si sono ipotizzati i più svariati motivi compresi quelli di salute per un addio al Colle forse più precipitoso di quanto ci si attendesse, ecco che i collaboratori del capo dello Stato hanno partorito una nota ufficiale che è un vero capolavoro di diplomazia di Palazzo.

Ebbene, alla luce di quella nota, i cittadini possono stare tranquilli: il loro presidente della Repubblica, l'uomo che li rappresenta tutti indistintamente, non si dimetterà domani e nemmeno entro la fine di questa settimana. No, Napolitano, recita la nota resterà al Colle almeno "fino al termine del semestre italiano di presidenza Ue". Che poi sarebbe fine mese. "Il 22 luglio scorso - si legge nel comunicato - il Presidente Napolitano ha affermato: 'Io sono concentrato sull'oggi: e ho innanzitutto ritenuto opportuno e necessario garantire la continuità ai vertici dello Stato nella fase così impegnativa del semestre italiano di presidenza europea'. Quell'impegno non è mai stato smentito ed è dunque assolutamente gratuito ipotizzare sue dimissioni prima della conclusione del semestre italiano, al termine del quale il Presidente compirà le sue valutazioni. Si tratta di decisioni, sulle quali egli rifletterà autonomamente, che per propria natura sono e devono essere tenute completamente separate dall'attività di governo e dall'esercizio della funzione legislativa. Il Presidente della Repubblica è e continua a essere impegnato in una serie già programmata di incontri e attività istituzionali sul piano interno e internazionale".Si attendono aggiornamenti.

Il Fisco messo al tappeto dalle toghe: come vincere contro l'accertamento

Redditometro, non occorre provare l'acquisto effettivo: basta dimostrare la disponibilità finanziaria




Una sentenza che, in tema di Fisco, farà scuola. Si parla del tanto discusso (e temuto) redditometro: le toghe, in buona sostanza, hanno stabilito che in caso di rilievi da parte dell'Erario non occorre provare l'acquisto effettivo di un bene che, secondo il Fisco, potrebbe generare una situazione sospetta, ma è sufficiente dimostrare che c'erano disponibilità finanziarie compatibili con le spese. In sostanza, spiega Il Sole 24 Ore, va annullato l'accertamento da redditometro se le disponibilità finanziarie risultati dal conto corrente risultano compatibili con un determinato acquisto, e se l'amministrazione finanziaria ha attribuito per errore al contribuente beni che non sono di sua proprietà.

La vicenda - La sentenza è la 5062/39/2014, che riguarda l'acquisto di un immobile finito nel mirino del Fisco. Tutto inizia da un avviso di accertamento relativo al periodo d'imposta 2007, e notificato a un contribuente a seguito dell'applicazione del redditometro. Infatti, in base alle sue disponibilità e al possesso di determinati beni, nonché in relazione ad alcune spese sostenute, l'Ufficio aveva rideterminato il suo reddito portandolo da 15mila euro ad oltre 71mila euro. Per il Fisco, dunque, l'uomo era un evasore. La persona ha dunque presentato ricorso in primo grado, ed i giudici hanno accolto le sue ragione. Ne è seguito l'appello del Fisco, che sosteneva il difetto di motivazione della sentenza di primo grado e che insisteva sul mancato assolvimento da parte del contribuente dell'onere della prova contraria (ossia non era stato in grado di dimostrare il collegamento causale tra le spese effettuate e le disponibilità finanziarie rilevate).

Le motivazioni - L'uomo, così, appellandosi alla Ctr della Lombardia ha ottenuto il respingimento dell'appello: è stato confermata in pieno la decisione dei giudici di primo grado. Il collegio ha osservato che le disponibilità finanziarie risultanti dal conto corrente del contribuente, infatti, sono compatibili con l'acquisto dell'immobile. Inoltre il collegamento causale tra le spese effettuate e le disponibilità finanziarie rilevate, sottolineano, è insito nella contiguità temporale dei movimenti economici, avvenuti tra ottobre e novembre del 2007. Infine il collegio ha sottolineato come il Fisco abbia erroneamente attribuito al contribuente dei beni, mobili e immobili, registrati non di sua proprietà (una casa e un'automobile risultavano di proprietà della moglie).

I precedenti - Secondo i giudici questa serie di circostanze sono idonee ad annullare la pretesa impositiva del Fisco, ossia non c'è nulla di illegale nella condotta dell'uomo. La questione, per esattezza, riguarda il vecchio redditometro, quello precedente alla versione modificata nel 2010. Recentemente, inoltre, la Corte di Cassazione ha precisato alcuni aspetti sull'onere probatorio relativo al nesso causale tra gli incrementi di proprietà e le disponibilità finanziarie: il contribuente, è stato stabilito, deve soltanto dimostrare l'esistenza di altre fonti reddituali sufficienti a giustificare gli incrementi patrimoniali. Il contribuente, in definitiva, deve provare la presenza e la disponibilità nel tempo dei redditi, ma non la specifica destinazione di questi redditi alle spese che gli vengono contestate dal Fisco tramite il redditometro.

lunedì 1 dicembre 2014

La pugnalata di Renzi a Berlusconi: "Le riforme? Coi grillini, tutta la vita"

Matteo Renzi: "Le riforme? Pronto a farle con il Movimento 5 Stelle"




"Se i Cinque Stelle sono disponibili a scrivere assieme le regole, tutta la vita". Nei giorni dell'implosione dei grillini, nei giorni in cui Silvio Berlusconi torna a sbattere i pugni sul tavolo per puntellare tempi e modi del Patto del Nazareno, il premier Matteo Renzi torna a lanciare l'amo ai grillini. Una nuova apertura arrivata in diretta tv a In mezz'ora su Rai3, il programma di Lucia Annunziata, dove non chiude alla possibilità di continuare il percorso di riforme e legge elettorale proprio con il M5s. Complici le difficoltà interne al movimento e le difficoltà nel dialogo con il Cavaliere, Renzi cerca una exit strategy, altri interlocutori insomma, quei grillini che lo hanno sempre sbertucciato, proprio come sbertucciarono il suo predecessore, Enrico Letta. Ma che ora, pena la totale evaporazione, potrebbero anche cambiare linea.

"Non dà più le carte" - Renzi, poi, spiega: "Non ho paura della Lega e di Salvini o di Beppe Grillo e del movimento 5 stelle. Grillo ha cavalcato la rabbia, poteva cambiare l’Italia, ma ha scelto di mandare i suoi in panchina", ha spiegato riferendosi al flop delle europee. Ma il tema principale dell'intervista restano le alleanze per le riforme, e il premier spiega: "Berlusconi sta al tavolo ma non dà più le carte". Insomma, la crisi del rapporto Matteo-Silvio viene certificata dalle parole del premier. E ancora, aggiunge Renzi: "Il tema della successione del Capo dello Stato non bloccherà il processo delle riforme. Mandare avanti le riforme è l'unico modo per far ripartire il Paese". Un chiaro messaggio, quello all'elezione del Capo dello Stato, ancora a Berlusconi, che sul prossimo inquilino del Colle si gioca la sua partita più importante.

Fondi pensione, Tfr, Irap e Tasi Ecco cosa cambia nella Finanziaria

Legge di stabilità: così cambiano tfr e fondi pensione





Alla Camera siamo agli sgoccioli, con la Legge di Stabilità che dopo lo scontato sì passerà nei prossimi giorni all'esame del Senato, dove si prepara ad altre modifiche che ne renderanno necessario un ulteriore passaggio a Montecitorio prima di fine anno. Due le novità sui fondi pensione: verrebbe cancellato il previsto aumento dal 20 al 26% sui rendimenti degli investimenti fatti dalle Casse di previdenza dei professionisti. La secconda riguarda il prelievo sui rendimenti dei fondi pensione e sulla rivalutazione del Tfr, che secondo la manovra dovrebbe salire in entrambi i casi al 20%. Un emendamento limiterebbe il prelievo al 14% nel primo caso e al 17% nel secondo.

Quanto alle local tax, il progetto resta sempre quello di mattere insieme Tasi e Imu, mentre l'ipotesi del canone Rai in bolletta elettrica ddovrebbe essere definitivamente tramontata.

Sulle pensioni, viene introdotto un tetto su quelle più alte che verranno pagate a partire dal prossimo gennaio: non potranno superare i livelli previsti prima della riforma Fornero, anche per chi ha superato i vecchi limiti contributivi. cancellate le penalizzazioni sull'assegno previdenziale per chi anticipa il pensionamento anche se non ha 62 anni, ma a patto che abbia 42 anni di contributi. Regola, questa, che sarà valida a partire dal 2017.

Per le imprese, il governo si è impegnato a modifiche delle franchige sull'Irap, l'imposta sulle attivitàproduttive, per dare una mano alle piccole e medie imprese. Dovrebbe essere cancellata la cosiddetta patrimonialee sui macchinari.

La maxi-tangente del Pd si "allarga": altri guai, spunta l'abuso d'ufficio

Pd, maxi-tangente: il partito sempre più nei guai

di Giacomo Amadori 



I guai per il Pd nell'inchiesta per la presunta tangente milionaria al deputato renziano Marco Di Stefano sembrano non finire mai. Infatti tra i nuovi indagati dell'inchiesta (vedere box), c'è anche Tonino D'Annibale, direttore dell’Amministrazione di Lazio service ed ex consigliere del Pd in Regione dal 2010 al 2013. Non basta. A peggiorare il panorama ci sono le nuove accuse mosse contro Di Stefano. Come è noto, quando era assessore regionale al Patrimonio e al Demanio, avrebbe percepito una tangente da 1,8 milioni di euro dal gruppo imprenditoriale Pulcini per facilitare un lucroso affare. Ma nel capo d'imputazione si apprende anche che avrebbe soggiornato nell’esclusivo resort di Poltu Quatu in Sardegna (di proprietà dei Pulcini) a prezzi di favore e avrebbe usufruito, dopo la separazione dalla moglie, di un appartamento di lusso ricavato in uno storico palazzo cinquecentesco nel cuore di Trastevere. Il contratto annuale era intestato all'amico Nazzareno Neri e i due, per un periodo, vi avrebbero risieduto insieme.

Una contestazione che ricorda quella già mossa contro altri due ex coinquilini eccellenti come l'ex ministro Giulio Tremonti e il suo collaboratore Marco Milanese. Neri, cinquantanovenne romano, è un personaggio chiave in questa vicenda. Di mestiere fa il commercialista a Roma Nord e in passato è stato il sindaco supplente della Lazio service spa, la società di proprietà regionale che ha affittato per 50,5 milioni di euro due palazzi del gruppo Pulcini, consentendo, secondo l'accusa, a Di Stefano di incassare la mazzetta milionaria. Neri è stato anche il tesoriere (mandatario) di Di Stefano per la campagna elettorale del 2013. Inoltre il professionista ha fatto parte del consiglio d'amministrazione della C.c.s., Cooperativa costruzioni socialli, cessata nel 2012. La sede è allo stesso indirizzo dello studio Neri e del cda faceva parte anche Maurizio De Venuti, cognato di Di Stefano.

Il nome di Neri ricorre anche in una nuova contestazione rivolta a Di Stefano, questa volta per abuso d'ufficio, una vicenda che Libero è in grado di ricostruire nei dettagli. Secondo i magistrati, Di Stefano, nel 2008, avrebbe procurato al suo uomo di fiducia «un ingiusto vantaggio patrimoniale». Stiamo parlando di un avveniristico progetto per un centro sportivo sulle rive del Tevere, a due passi dagli studi televisivi Rai di Saxa Rubra. Un piano portato avanti da Alfredo Guagnelli, l'amico di Di Stefano, misteriosamente scomparso nel 2009 e indagato per corruzione insieme con il politico. «Mi ricordo di quell’idea. Alfredo mi parlava dei vip che avrebbero frequentato il suo circolo» ricorda Enrico Marcolini, ex prestanome di Guagnelli. L'opera avrebbe dovuto sorgere in un’area golenale larga 11 ettari sulla riva destra del Tevere, per la quale era necessaria una concessione regionale.

La storia del centro sportivo nasce, probabilmente, in modo incidentale. Infatti nel maggio del 2003 a chiedere il permesso alla Regione sono due architetti romani, Maria Teresa Caputo, classe 1966, e il marito cinquantenne Francesco Bellardi. Caputo ci racconta di aver cercato inutilmente per diversi anni di ottenere l'autorizzazione per quell'area demaniale, sino alla svolta. La donna non spiega quale sia stato il segreto per sbloccare l'impasse, ma ammette di aver cercato un santo in paradiso: «Mio marito per realizzare la nostra idea ha bussato a tantissime porte e certamente ha incontrato anche l'assessore al Demanio, Di Stefano». Nell'aprile del 2008, i due architetti costituiscono la «Saxasport, società dilettantistica a responsabilità limitata». il 29 settembre il direttore del dipartimento Territorio Raniero De Filippis (succesivamente arrestato nell’inchiesta sulla discarica di Malagrotta) firma una determinazione per il rilascio della concessione a condizioni particolarmente favorevoli. Accorda l'uso degli 11 ettari di terreno demaniale e di un laghetto di 3 mila metri quadri per 19 anni a partire dal primo novembre del 2008, sino al 2027. Il canone per i primi tre anni è quasi simbolico (meno di 1.100 euro al mese), in previsione degli onerosi lavori per realizzare gli impianti sportivi.

Eppure, dopo tanto affannarsi e aver raggiunto l'agognato obiettivo, i due architetti hanno un repentino ripensamento: «Abbiamo capito che preferivamo continuare a fare la nostra professione e non gli imprenditori. Per questo abbiamo ceduto la società a un gruppo di persone» spiega Caputo. E così il 19 novembre cedono la società con in pancia la concessione appena ottenuta. E chi sono gli acquirenti? Nazzareno Neri, Bruno Guagnelli, il fratello dello scomparso Alfredo, e altri tre soci: 28 per cento di quote al professionista, 18 a testa per tutti gli altri. «Abbiamo avuto rapporti direttamente con Neri» ricorda Caputo. Ma non vi sembrava sospetto che l'assessore sbloccasse la concessione e ad acquistare fosse il suo commercialista? «Neri si è presentato con un amico, un certo Mauro, che si occupa di sport. Ma se lei vuole pensare male…». Tra il 2008 e il 2009 Alfredo Guagnelli è lanciato nel mondo dello sport che considera un grande volano per gli affari.

Ai Mondiali di nuoto piazza le hostess della sua agenzia di modelle. Nel novembre del 2008 chiede al fratello Bruno di entrare in società con Neri: «Io ho capito subito che di mezzo c'era Di Stefano, visto che Nazzareno era il suo commercialista. Ma mio fratello mi assicurò che l'affare era pulito. Però quando l'ho raccontato alla Polizia mi hanno detto che sicuramente dietro c'era qualcosa di losco e che per questo avrei rischiato pure io un avviso di garanzia». Guagnelli sostiene che quelle quote costarono più di 100 mila euro e che per la sua parte aspettò l'arrivo del fratello con il soldi davanti al notaio: «Li trovava sempre all'ultimo». Su Internet si trova ancora il magnifico progetto di centro sportivo dei due architetti. Che avrebbero dovuto realizzare i nuovi soci. Purtroppo per tutti nel febbraio del 2009 Di Stefano perde la poltrona di assessore e gli uffici regionali bloccano l'edificazione degli impianti. Ad ottobre scompare Alfredo Guagnelli. Nel 2010 il fratello Bruno lascia l'Italia e si trasferisce in Brasile e nel 2013 il cda «delibera di escludere dalla società» lui e un altro socio. Nel 2013 Neri, da presidente di Saxasport, si candida alla giunta del Coni, ma ottiene un unico voto. Il sogno di un nuovo circolo sportivo a cinque stelle, per ora, resta arenato a un'accusa di abuso d'ufficio.

In Italia ci sono mezzo milione di posti i consigli di Ichino per trovare lavoro / L'intervista

Ichino: "C'è mezzo milione di posti che non sappiamo occupare"

di Tobia De Stefano 


Professor Ichino, dalle slides della sua conferenza dei giorni scorsi, on line sul suo sito, emerge un dato di fondo: il problema principale oggi in Italia è la mancanza di lavoro eppure ci sono molti posti disponibili che restano inoccupati. Ci spiega perché?

«Perché il nostro mercato del lavoro non è innervato dai servizi indispensabili in un tessuto produttivo moderno».

Quali servizi?

"Innanzitutto quello di orientamento scolastico e professionale, che nei Paesi del centro e nord-Europa raggiunge capillarmente ogni adolescente all’uscita da un ciclo scolastico, fa il bilancio delle sue attitudini e aspirazioni, e soprattutto lo informa in modo dettagliato su tutte le opportunità che il mercato gli offre, in relazione a quelle attitudini e aspirazioni, e sugli strumenti di formazione specifica necessari per accedervi".

Ma disoccupati non sono solo i giovani...

"Certo che no. Ma anche gli adulti che cercano una nuova occupazione hanno bisogno di informazioni qualificate sulle opportunità offerte dal mercato del lavoro, a cominciare dai posti che restano scoperti a lungo per mancanza di manodopera che abbia le competenze necessarie, e sulle iniziative di formazione mirata a risolvere questo scompenso, lo skill shortage. In Italia manca sia l’informazione, sia la formazione mirata, cioè quella strutturata proprio in funzione dello sbocco occupazionale specificamente individuato".

Quanti sono oggi gli skill shortages (personale qualificato che si vorrebbe assumere ma che non si trova) in Italia?

"Il censimento Unioncamere Excelsior ne censisce uno per uno, attraverso gli annunci e i dati forniti dalle agenzie di ricerca e selezione di personale, più di centomila; ma gli esperti ci avvertono che per ognuno di questi casi di impresa che spende tempo e soldi per cercare personale difficile da trovare, ce ne sono altre quattro o cinque “scoraggiate”, che avrebbero bisogno ma rinunciano a cercare".

Un fenomeno che viaggia in modo simmetrico con quello dei “disoccupati scoraggiati”, che smettono di cercare lavoro per la difficoltà di trovarlo?

"Proprio così. Poi ci sono i dati relativi a singole regioni, forniti da censimenti di osservatori del mercato del lavoro molto qualificati come quello della Cgia di Mestre, che ne individua 45.000 nel solo Veneto. Se rapportiamo questo dato all’intero territorio nazionale, si arriva a più a un mezzo milione. E questo dato è confermato, sia pure in modo un po’ grossolano, per un’altra strada".

Quale? 

"Se partiamo dal dato delle ricerche di personale in corso in un giorno qualsiasi in Italia, che si contano in più di 1,3 milioni, e sottraiamo i circa 800mila contratti di lavoro censiti ogni mese dal sistema delle comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro, ne risulta un mezzo milione di ricerche di personale che restano insoddisfatte per periodi rilevanti".

Lei parla di 800mila assunzioni al mese?

"Sì. Nell’ultimo anno di cui abbiamo il dato complessivo, cioè il 2013, sono state 9,6 milioni. Per due terzi sono contratti di breve o brevissima durata, che magari si ripetono per decine di volte tra la stessa impresa e la stessa persona. Ma un terzo di queste assunzioni durano almeno sei mesi; e un sesto, 1,6 milioni, sono a tempo indeterminato. È un flusso enorme che si verifica nonostante la congiuntura economica pessima. Ma questo flusso è totalmente ignorato dai Centri per l’Impiego. E a questo flusso accedono soltanto coloro che dispongono delle reti amicali, parentali o professionali indispensabili. Gli altri ne restano esclusi, proprio per la carenza dei servizi di cui dicevo prima".

Come colmare questo gap?

"Occorre incominciare col responsabilizzare i dirigenti dei servizi di collocamento e di formazione professionale su obiettivi precisi di efficienza ed efficacia. Per esempio: numeri di persone collocate, tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi. Poi, il dirigente che non raggiunge gli obiettivi perde il posto, viene sostituito. Per questo, naturalmente, occorre anche che i dirigenti statali e regionali si riapproprino delle proprie prerogative manageriali, a cui fin qui hanno comodamente rinunciato".

Ma nessuno sembra avere intenzione di farlo...

"Beh, il Jobs Act prevede proprio questo: l’agenzia nazionale dovrà stabilire gli obiettivi di efficienza ed efficacia dei servizi per l’impiego e controllare che ciascuna Regione li rispetti. E prevede che l’agenzia stessa si surroghi a quelle che non li rispettano. Il problema, però, non è tanto la norma, quanto la volontà e la capacità di attuarla".

Chi ha le maggiori responsabilità di tutto questo?

"Le ripartirei in parti uguali; una parte sul movimento sindacale, che si è sempre occupato sostanzialmente soltanto delle politiche passive del lavoro, cioè del sostegno del reddito ai senza lavoro, ma non delle politiche attive, cioè delle misure per l’inserimento e reinserimento nel tessuto produttivo; l’altra parte sul ministero e gli assessorati regionali del Lavoro, dove nessun dirigente risponde del conseguimento di obiettivi precisi e misurabili. Col risultato che l’efficienza dei servizi è a un livello assolutamente inaccettabile. Come dimostrano i risultati assolutamente deficitari dei primi sei mesi del programma Garanzia Giovani".

Giordano contro Papa Francesco: "Vi racconto la sua resa ad Allah"

Mario Giordano: il Papa che prega Allah mi sembra una resa, non un dialogo

di Mario Giordano 


Sarà pur stata un’“adorazione silenziosa”, e non una vera e propria preghiera. Sarà pur stato un gesto simile a quello compiuto da Benedetto XVI nel 2006, come s’affanna a precisare il preoccupato portavoce della Santa Sede. Sarà tutto quel che si vuole, ma fa un certo effetto vedere il Papa che si mette a mani giunte verso la Mecca nella Moschea Blu di Istanbul, mentre l’imam recita i versetti del Corano. E fa ancor più effetto pensare che quel Corano è lo stesso che, poco distante da lì, gli islamici usano per eccitare le folle a squartare i cristiani, a impalarli e crocefiggerli. A spazzarli via. C’è un contrasto troppo forte fra il Papa che rispetta fino all’ultimo tutti i riti dell’Islam, si toglie le scarpe e s’inchina al "mihrab", e gli islamici che a pochi chilometri dalla Moschea Blu non rispettano nulla dei cristiani. Non le loro chiese, non le tradizioni, non i riti. E nemmeno la loro vita.

Papa Francesco vuole dialogare con l’Islam, si capisce. Ma come si fa a dialogare con chi non vuole farlo? Come si fa dialogare con chi vuole solo abbatterti? Come si fa a dialogare con chi vuole piantare la bandiera del Califfato in piazza San Pietro? Il dialogo è una parola bellissima, che permette discorsi straordinari, preghiere comuni, gesti esemplari. Ci si toglie le scarpe insieme. Ci si inchina alla Mecca. Ci si trova d’accordo con l’imam e il gran muftì. Ma poi, in realtà, gli islamici non vogliono dialogare. L’hanno dichiarato apertamente: vogliono conquistarci. E distruggerci.

L’Islam buono e l’Islam cattivo? Una favola. Se fosse vero che i terroristi sono pochi fanatici marginali, non li avrebbero forse già messi a tacere? Non li avrebbero combattuti? Non li avrebbero almeno condannati con durezza? Invece no. Non sento dure condanne unite del mondo islamico contro gli orrori dei tagliagole. Non vedo mobilitazioni dei pellegrini della Mecca per fermare le mani dei loro confratelli. Non vedo fremiti di sdegno contro i massacri che vengono perpetrati contro i cristiani. Anzi: vedo silenzio. Quasi compiacimento. E, anzi, vedo fremiti di anti-cristianità che scuotono tutto il mondo arabo e arrivano perfino in Paesi che fino a ieri laici e nostri amici. A cominciare proprio dalla Turchia che sta scivolando sempre di più nell’Islam radicale, che non a caso sostiene sottobanco le milizie dell’Isis. E il cui presidente Erdogan ha appena riunito i 57 Paesi islamici per incitarli alla rivolta contro di noi: «L’Occidente ci sfrutta, vuole le nostre ricchezze - ha detto -. Fino a quando sopporteremo?».

Qualcuno ha cercato di spiegarmi che c’è pure una differenza tra il gesto di Benedetto XVI (che in moschea si fermò in raccoglimento ma non giunse le mani in preghiera) e quello di Francesco (che invece le ha unite, proprio come se stesse pregando). Se fosse vero, sarebbe un motivo in più per rimanere un po’ perplessi. Ma per rimanere perplesso a me basta, per la verità, vedere un Papa che si rivolge alla Mecca insieme con gli islamici proprio mentre molti islamici che si stanno rivolgendo alla Mecca hanno le mani sporche del sangue dei cristiani.

Mi pare che, dopo il famoso discorso Ratzinger a Ratisbona e la furiosa reazione che ne seguì da parte dei musulmani, i cattolici siano stati costretti a piegarsi. Noi facciamo gesti distensivi e loro moltiplicano i massacri. Noi costruiamo per loro moschee e loro distruggono le nostre chiese. Noi ci inchiniamo ai loro simboli nei nostri Paesi e loro non ci permettono di mostrare i nostri nei loro Paesi. Noi ascoltiamo i versetti del Corano con ammirazione e loro minacciano di declamarli dal Cupolone di San Pietro. Che vogliono trasformare all’incirca in un parcheggio dei loro cammelli.

Capisco l’ansia di Papa Francesco, che è un grande comunicatore, di costruire ponti con tutti: con gli islamici e con i non credenti (Eugenio Scalfari). Ma per costruire i ponti ci vogliono due cose. Primo: bisogna che dall’altra parte non ci sia chi ti vuol sgozzare o annientare, altrimenti è un autogol. Secondo: bisogna che i pilastri siano saldi, tutti e due. E il dubbio è proprio questo: il pilastro dell’Islam è saldo, quello dei non credenti pure. Ma il pilastro cattolico? È incerto. Barcollante. Sradicato. In effetti: non abbiamo radici. Le stiamo perdendo. L’Europa non ce le riconosce. Le chiese si svuotano. I preti invecchiano. I ragazzi non vanno più a catechismo. Dopo la cresima c’è la fuga. I valori del matrimonio e della vita sono messi costantemente in discussione. La famiglia tradizionale è massacrata. Come si può dialogare se non si hanno più valori da rappresentare? Come si possono aprire le porte agli altri, se non si è fortemente saldi dei propri principi? Se i propri valori sono stati attaccati, messi in vendita e liquidati?

In queste condizioni il ponte rischia di crollare. Non per il gesto del Papa, non per una preghiera rivolta alla Mecca, non per la Moschea Blu circondata da Paesi rosso sangue. Il ponte rischia di crollare perché lanciamo gittate in avanti senza assicurarci della nostra tenuta. Non perché loro sono violenti, ma perché noi siamo deboli. E perché anziché rafforzare la nostra debolezza, ci esponiamo alla loro forza. Al loro fanatismo. Alla loro violenza. Fino al giorno in cui sarà troppo tardi.

E ci accorgeremo che quello che ci ostiniamo a chiamare dialogo, in realtà è un loro monologo. O, peggio, una loro invasione. La conquista definitiva. E allora addio cattolici: rivolgersi alla Mecca non sarà più un gesto distensivo. Ma un comando del padrone islamico.