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lunedì 8 settembre 2014

DIARIO SEGRETO DI PALAZZO CHIGI L'ingorgo del governo tutta colpa di una vigilessa

Dispetti, testi riscritti e bocciati: Palazzo Chigi è un bordello

di Franco Bechis 


Anche questa volta, come accade ormai da mesi, l’ultimo gioiellino raccontato da Matteo Renzi - quel decreto sblocca Italia prima annunciato, poi decalogato, slidato, e perfino approvato in Consiglio dei ministri, per i lunghi giorni successivi non ha avuto un testo. Per settimane ne ha avuti ben più di uno. Ma alla fine nessun ministro sapeva davvero cosa aveva approvato. Tanto è che il padrone unico di quel testo come di ogni cosa che esce da palazzo Chigi, l’ex vigilessa Antonella Manzione, donna di quadri del Giglio magico di Renzi (quella di cuori è naturalmente Maria Elena Boschi), in extremis ha cercato di infilarci un’ideona. L’ha partorita nella notte fra lunedì e martedì, e se ne è innamorata così tanto da tirare giù dal letto - erano le due del mattino - i più stretti collaboratori. "Ho avuto un’idea straordinaria", ha spiegato ai poveretti distrutti dal sonno, "scriviamo un articolo che dice che i comuni possono decidere di non fare pagare il tributo qualora dei gruppi di cittadini si assumano l’onere della pulizia e della valorizzazione del proprio quartiere".

Siccome la Manzione ha nel sangue la stessa birra di Renzi, detto e fatto in men che si dica. Il mattino ha scritto la norma, e subito convocato d’urgenza un pre-consiglio dei ministri, convocando a palazzo Chigi capi di gabinetto e direttori del legislativo dei ministeri coinvolti. Letto il testo della sua grande idea, la Manzione si attendeva applausi e hurrà. Invece silenzio, glaciale. L’ex vigilessa ha cercato con gli occhi la sponda del più potente dei convitati, il capo di gabinetto del ministero dell’Economia e delle Finanze, Roberto Garofoli. Niente. Nemmeno un sospiro, un "oh" di meraviglia, un occhiolino. Silenzio e occhi subito abbassati. Il mondo è pieno di gufi, è evidente. La Manzione mica si è fermata davanti a qualche menagramo. La sua bella norma è stata inserita nel decreto, e inviata al Mef insieme a tutte le altre per avere l’ok di compatibilità ai fini della relazione tecnica. Quella e tutte le altre dello sblocca-Italia divenuto ormai il "Manzione-sblocca tutto" sono state massacrate come raramente si è visto dal ministero dell’Economia. Interi capitoli cassati, cancellati. L’ideona della Manzione no, anche per non scatenare una guerra mondiale. Ma il risultato è stato pressochè identico. Al suo fianco i tecnici di Pier Carlo Padoan hanno inserito un numerino: 14. E in calce la relativa nota di una quindicina di righe, che faceva a pezzi il testo: "Scusi, a che tributo si riferisce? Quali categorie di cittadini sarebbero interessate? Come fa il Comune ad esentarli e a controllare cosa hanno fatto?...", e così via. Insomma, cassata anche quella.

La Manzione ha mandato sms a Renzi che le ha detto di tenere duro, contro quei gufi della Ragioneria. La grande idea è stata aggiunta al decreto con una formula del tutto generica che non metta in discussione le entrate (non ha relazione tecnica). Di fatto diventa uno spot, inapplicabile. I cittadini dovranno mettersi d’accordo con il proprio comune che stabilirà caso dopo caso se scontare un po’ di Tari a chi si fa le pulizie da solo. Forse in un piccolissimo comune si può, in una città metropolitana è impensabile. Resterà una slide come gran parte del programma Renzi. Che cova ancora più rabbia verso i tecnici dell’Economia. Che fanno il loro mestiere. D’altra parte chi la fa poi deve aspettarsela di ritorno. E la Manzione l’aveva appena fatta.

Per lunghe settimane infatti il decreto sblocca Italia era girato di ministero in ministero, arricchendosi di norme e di relazioni di accompagnamento. Quello che è arrivato in mano al Giglio magico (unico esterno ammesso, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio) la sera del mercoledì che precedeva il Consiglio dei ministri era ormai di quasi 300 pagine. L’hanno discusso, esaminato, emendato con alcune osservazioni della Boschi, la sola del gruppo che può dettare legge a Renzi, e poi sospeso. Perchè alle 23 il premier febbricitante non ce la faceva più: bandiera bianca, a letto con una buona dose di tachipirina. Il mattino dopo quel testo un po’ emendato, un po’ sospeso, è apparso sul tavolo di una riunione interministeriale con Padoan, Maurizio Lupi e i rispettivi staff. Qualche limatura, qualche aggiunta, e il più era fatto. Almeno pensavano loro. Perchè invece nel pomeriggio (a meno di 24 ore dal Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto approvarlo), il testo dello sblocca Italia è approdato, quel pomeriggio di giovedì, a un pre-consiglio dei ministri convocato e presieduto dalla Manzione. Lei ha guardato in faccia i colleghi degli altri ministeri e sventrato il testo iniziale, bollandolo come un lavoro malfatto. Chissà dopo il massacro cosa è davvero approdato poi il giorno dopo a palazzo Chigi. Ma è destino dello sblocca-Italia che anche dopo l’approvazione ufficiale nei giorni successivi ha perso per strada parecchi capitoli, anche norme chiave espressamente annunciate alla vigilia (come quelle sulla banda larga improvvisamente fattesi strettissime).

Regna il caos a palazzo Chigi, e in quel caos c’è molto della spiegazione della nebulosa in cui è ripiombata l’Italia, nonostante le ben diverse premesse dell’avvento del giovane Renzi a Palazzo. Il premier che fa tutto lui e tutto in fretta si è ben presto consegnato in mano alla burocrazia contrapponendole al massimo qualche fragile petalo del Giglio magico e la volenterosa vigilessa, con il risultato di aggiungere caos a caos. Deciso ad andare in fretta e a non contornarsi di veri collaboratori, Renzi per le prime settimane a palazzo Chigi ha pensato davvero di potercela fare da solo. Scriveva lui i testi, e prescindeva dal ministero dell’Economia grazie al librone che si era fatto preparare: una riclassificazione del bilancio di previsione 2014 dello Stato italiano secondo i criteri dei bilanci comunali che lui conosceva meglio. Bell’idea non fosse che conciato così il bilancio dello Stato non significa un fico secco: lo leggi per competenza con cifre del tutto illusorie (sono quelle sperate, non quelle reali), e non hai alcuna indicazione di cosa davvero c’è in cassa. La nasata è dietro l’angolo. E difatti il povero Matteo è andato avanti di nasata in nasata.

La prima gliela ha fatta sbattere il ferreo Giorgio Napolitano. Al Quirinale avevano saputo per vie informali che Renzi non faceva mai i pre-consigli dei ministri con i vari capi dei ministeri coinvolti. Li teneva all’oscuro e li faceva trovare davanti al fatto compiuto in Consiglio dei ministri. Napolitano ha raccolto i malumori (perfino il decreto sugli 80 euro era stato approvato così) e inviato una letteraccia di richiamo al povero sottosegretario Delrio, che quei pre-consigli avrebbe dovuto presiedere. Così facevano prima di lui i vari Filippo Patroni Griffi, Gianni Letta, Enrico Letta, Enrico Micheli e Marco Minniti.

Incassato il colpo, Renzi ha dovuto chinare il capo e riprendere la vecchia tradizione dei pre-consigli per mettere a punto con gli altri le norme legislative. Ma per rispondere da par suo, a presiedere i pre-consigli non ha mandato Delrio, come sarebbe stato prassi, ma la sua fedelissima ex vigilessa. In quella sede si affrontano temi tecnici, e non era certo pane della Manzione (pesciolino in mare infestato da pescecani, e quello con i denti più aguzzi è il Garofoli dell’Economia, vicinissimo a Massimo D’Alema). Ma si devono anche dare direttive politiche, e ancora più strana per questo è sembrata la scelta della Manzione. Renzi però aveva il suo uovo di Colombo: quando la vigilessa presiede il pre-consiglio dei ministri, lo fa sempre in diretta sms con il premier. Guarda il telefonino e poi taglia corto con i convenuti: «Il presidente ha deciso così...». D’altra parte Renzi di lei si fida, e di pochi altri.

domenica 7 settembre 2014

Gaetano Daniele: Ecco chi ha ucciso Davide Bifolco, il 17enne di Napoli

Gaetano Daniele: Ecco chi ha ucciso Davide Bifolco, il 17enne di Napoli 

di Gaetano Daniele 

Gaetano Daniele
Amministratore il Notiziario 

Ormai è chiaro, la morte prematura del giovane Davide Bifolco ha smosso sia il mondo intellettuale che non. Ci sono due scuole di pensiero che circolano in questi giorni sui Social Network e sui giornali nazionali, a mio avviso propagandistiche. Il primo pensiero, quello istituzionale, il solito ritornello stonato: "non si gira alle 03.00 di notte in tre su uno scooter, soprattutto in compagnia di un latitante". Specialmente non si forza un posto di blocco. (Giustissimo). Ma nel momento in cui, le stesse istituzioni devono assumersi le loro responsabilità, nel rilanciare crescita sociale e culturale di tali ambienti, vengono meno, uso una provocazione: quasi come se gli convenisse.

La Politica propagandistica - La Politica propagandistica, sfrutta direttamente ed indirettamente la buona fede e l'ignoranza di quella gente. Come riabilitare un delinquente? Sbatterlo in galera!. Come riabilitare un errore di gioventù? Toglierci i diritti civili, mica reintegrarlo nel tessuto sociale e lavorativo, No?!. Per l'amor di Dio, figuriamoci, non c'è lavoro per i laureati, si immagini per i poveri disgraziati, che a volte poveri non sono, anzi tutt'altro. sia chiaro!. Poi, per detta di qualche professorino, li premiamo pure? No, lasciamoli pure alla mercè dell'antistato,.. Conviene di più, altrimenti le cronache e l'informazione spazzatura vanno in cassa integrazione. 

L'altra scuola di pensiero - Ma c'è l'altra scuola di pensiero, quella che viene dalla strada. Quella scuola senza principio se non fatta di regole personali. Lì, tutto è consentito, appunto girare alle 03.00 di notte in tre su di uno scooter, senza casco e forzare, perchè no, anche un posto di blocco. L'arte dell'arrangiarsi. Sopravvivere alla giornata. Cercare di farsi strada controcorrente. Lo Stato è assente? Ci pensa l'antistato. Loro ci considerano di più, almeno per detta di quei pochi ignoranti che credono ancora a determinate metodologie preistoriche, peccato che il loro spirito di protagonismo li spinge oltre, innanzitutto a non leggere le percentuali dei tanti morti ammazzati, e del sovraffollamento delle carceri, dati che fanno rabbrividire la pelle. 

Chi vince? A vincere è lo Stato e l'antistato. A perdere sono ragazzini come Davide Bifolco, vittime di un sistema sbagliato ma che conviene. Ma a perdere non è solo Davide Bifolco, a perdere è anche l'appuntato dei Carabinieri che, pur facendo dignitosamente il proprio dovere, in un contesto sociale particolare, nella speranza di ritornare a fine servizio a casa sano e salvo, è caduto, disgraziatamente nella trappola dell'antistato.

 Ecco chi, secondo me ha ucciso Davide Bifolco, lo Stato assente e l'antistato che, quotidianamente si nasconde dietro ragazzini come Davide Bifolco. 

M5s, Alessandro Di Battista: dopo le sparate sull'Isis, il silenzio

BOCCA CUCITA Alessandro  Di Battista, dopo la "chiamata" in Iraq, il silenzio: dove è finito il grillino?







Prima aveva scritto un post chilometrico sul blog di Grillo, dove spiegava che con i terroristi dell’Isis bisognava dialogare. Poi, dopo la barbara uccisione del reporter americano Foley, aveva spiegato che la violenza del tagliagole islamico era «in parte figlia» della violenza americana. Ma da un po’ di tempo, il grillino Di Battista non parla più. Per la precisione, da quando l’ambasciatore iracheno a Roma gli aveva detto che, se voleva dialogare con l’Isis, il visto per l’Iraq era pronto. Non era evidentemente preparato al fatto che qualcuno lo prendesse sul serio.

Nel Pd monta la rabbia: il vice di Renzi ormai lo fa Denis Verdini

La rabbia del Pd: il vice di Renzi è Verdini




C'è D'Alema che dice che "il governo ha fin qui ottenuto risultati insoddisfacenti". La Bindi che attacca le ministre di Renzi, "scelte anche perchè belle". E Bersani, per il quale il premier dovrebbe mollare al più presto la carica di segretario del Pd". Sparate fatte utilizzando come palcoscenico la Festa de L'Unità, che testimoniano il senso di marginalità che affligge buona parte del Partito democratico nella determinazione della strategia politica piddina. A fronte del ruolo da protagonista che in questi mesi Renzi ha ritagliato per alcuni esponenti di Forza Italia, che in teoria starebbe all'opposizione, e a Denis Verdini in particolare. Un rapporto, quello tra i due toscani, che come scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera, fa pensare a un neo-consociativismo il cui perno è proprio lo storico consigliere di Silvio Berlusconi, perfettamente calato nel ruolo che un tempo fu di Gianni Letta. "Entrare nel governo non esiste" ha spiegato recentemente Verdini a una riunione di Forza Italia, "perchè non è utile a Renzi". Nemmeno Letta ha mai giocato così apertamente su due fronti, da una parte consigliando il leader di Forza Italia e dall'altro inondando di sms il cellulare di Renzi. Da cui il soprannome di "tessera numero due" del Pd che se irrita una parte degli azzurri fa letteralmente infuriare la vecchia guardia del Pd. Che oltre a vedersi "rottamata" dai renziani si vede pure scavalcata nei favori del premier da quello che dovrebbe essere "il nemico". 

In Nazionale scoppia una grana per Conte. Lotito è dappertutto e gli azzurri si ribellano: "Ora basta"

Bari, Claudio Lotito "l'onnipresente": gli Azzurri irritati dalla sua presenza




Scoppia una grana - Lotito in casa Conte: il consigliere federale Claudio Lotito secondo gli azzurri sarebbe troppo invadente. La costante presenza del numero uno della Lazio, nonché gran mediatore nella nomina del presidente Figc Carlo Tavecchio, nella "due giorni" di Bari ha irritato non poco i giocatori della Nazionale, con commenti piuttosto velenosi: "Ce lo ritroviamo dappertutto". Ma il consigliere difende la sua carica e ha replicato: "Ho il pieno diritto di stare al seguito del gruppo. E poi, non ho mai invaso gli ambienti che non mi competono".

Brusii di lamentele - L'astro nascente Lotito sembra non godere di buona luce agli occhi degli azzurri. Lui, che è stato il primo a puntare su Tavecchio come presidente della Figc e il più deciso nel prendere le sue difese dopo la battutaccia dei "mangiabanane". Lui, che si è dedicato con così tanta caparbietà nel definire tutti i dettagli del contratto di Antonio Conte e con le stessa tenacia sta lavorando ora sul progetto di sfoltire il numero di squadre di seria A, B e pure i 60 club della nuova Lega Pro. Insomma, un prezzemolino. E vederlo girovagare col k-way dell'Italia per il campo, ritrovarlo in panchina a parlare in privato con Tavecchio e a un ristorante di Bari sempre con il presidente, ha generato un generale presentimento comune: Lotito sta forzando l'interpretazione del ruolo di consigliere. Ma potrebbe non essere così, dato che lo stesso Tavecchio gli ha concesso l'ufficio in via Allegri (prima occupata da Albertini) con la delega a lavorare sulle riforme, quella sui campionati.

Drammatico tweet di Fabrizio Bracconeri, mito della tv: "Sono perseguitato dalla depressione"

Il dramma di Fabrizio Bracconeri: "Da 13 anni soffro di depressione, ma non mollo"




Da ragazzino era il volto buffo e paffuto di Bruno Sacchi nella serie tv cult I ragazzi della III C. Cresciuto, e dimagrito, è stato l'usciere di un altro mito del piccolo schermo come Forum. Da sempre molto amato dai telespettatori, per Fabrizio Bracconeri oggi sono tempi difficilissimi ed è lui stesso ad ammetterlo con un drammatico tweet.

Un problema lungo 13 anni - Naturalmente non sono mancati i messaggi di conforto e sostegno, piovuti a decine sul wall dell'attore romano. Il problema della depressione, rivela lo stesso Bracconeri, va avanti da 13 anni: "Ero in un buon periodo ma da 2 giorni e tornata". Come ben sa chi deve fare i conti con questa malattia, occorre combattere giorno dopo giorno e le medicine spesso non bastano: "Il medico me l'ha diagnosticata - ha proseguito Bracconeri -, ho preso il Prozac per tre anni".



Il Tweet 

Fabrizio Bracconeri @FabriBracco64
Due giorni che mi perseguita questa brutta depressione ma non vincerà la maledetta non mollo
23:35 - 3 Set 2014

A Venezia vince il Piccione di Andersson Coppa Volpi alla nostra Alba Rohrwacher

Venezia: Leone d'Oro al "Piccione" di Roy Andersson, Coppa Volpi ad Alba Rohrwacher




Il Leone d'Oro della 71ma Mostra del Cinema di Venezia va al "Piccione" del regista svedese Roy Andersson (A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence). La Giuria del concorso principale del Lido, Venezia 71, presieduta da Alexandre Desplat e composta da Joan Chen, Philip Groening, Jessica Hausner, Jhumpa Lahiri, Sandy Powell, Tim Roth, Elia Suleiman e Carlo Verdone, dopo aver visionato tutti i 20 film in concorso, ha premiato il film di Andersson che racconta il viaggio, in un non precisato paesaggio occidentale, di un venditore e un ritardato mentale. Un percorso fatto di incontri e situazioni inaspettate, che diventano strumento per offrire un punto di vista originale sulla società attuale, caratterizzata dalla supremazia della vanità. 

Il trionfo italiano - Il Leone d’Argento per la Migliore Regia è andato al russo Andrei Konchalovsky per The Postman’s White Nights. Il Gran Premio della Giuria è stato assegnato a The look of silence del regista statunitense Joshua Oppenheimer. Grande bottino per il film Hungry Hearts dell’italiano Saverio Costanzo che porta a casa con i due protagonisti della pellicola entrambe le Coppe Volpi per le migliori interpretazioni: quella femminile con Alba Rohrwacher e quella maschile con Adam Driver. Il Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente è andato a Romain Paul per la sua interpretazione nel film Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte. Il Premio per la Migliore Sceneggiatura è stato assegnato a Rakhshan Banietemad e Farid Mostafavi per il film Ghesseha diretto dallo stesso Banietemad. Un Premio Speciale della Giuria è andato infine a Sivas di Kaan Müjdeci.