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sabato 9 agosto 2014

Renzi, Boldrini, Grasso & Pinotti: la banda scout all'assalto del potere

Renzi, Boldrini, Grasso & Pinotti: Il potere si trasferisce al campo scoout 

di Fausto Carioti 


A sorpresa, Matteo Renzi è arrivato a San Rossore al raduno nazionale degli scout. Accompagnato dalla moglie Angese Landini (i due si sono conosciuti proprio grazie all'esperienza dello scoutismo). Leggi l'articolo del viderirettore Fausto Carioti su come il movimento un tempo dileggiato si è preso una rivincita. 

 Oggi ci sarà la terza carica dello Stato: Laura Boldrini interverrà sui uno dei suoi cavalli di battaglia, la violenza di genere. Domattina il gran finale: alla presenza di Matteo Renzi celebrerà la messa il cardinale Angelo Bagnasco, capo dei vescovi italiani. Il presidente del Senato, Piero Grasso, avrebbe dovuto partecipare ieri, ma è stato trattenuto dalla votazione sulla riforma della Costituzione. Dovrebbe fare un salto comunque, prima che l’evento finisca, a stringere mani e salutare i ragazzi. A completare il gotha istituzionale, a questo punto, mancherebbe solo il presidente della Repubblica, ma si sa che la parrocchia di Giorgio Napolitano è un’altra. Poco male: si punta a rimediare con il candidato numero uno alla successione, il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Anche lei bloccata ieri dagli impegni romani, è attesissima. Se non altro perché - al pari della Boldrini e di Renzi - la presidentessa della Repubblica che Renzi ha già proposto a Silvio Berlusconi è una di loro. A fare da contorno di lusso il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, sottosegretari in carica come Sandro Gozi, ex ministri lettiani come Enrico Giovannini e Maria Chiara Carrozza.

Insomma, scordatevi i conclavi del gruppo Bilderberg e i breakfast dell’Aspen Institute: nell’era di Renzi l’Italia che conta e vuole contare ancora di più ha un curriculum da lupetto o coccinella. In queste ore sgomita per farsi fotografare nel parco pisano di San Rossore, al megaraduno nazionale dell’Agesci, l’associazione dei boyscout cattolici. Il Senato romano ha un piede nella fossa, il potere adesso passa da qui: trentamila ragazzi con i pantaloncini corti e lo zaino sulle spalle, arrivati su quei pulmini parcheggiati accanto alle auto blu. Obiettivo: scrivere tutti insieme la «Carta del coraggio».  Misurato col metro della politica, il meeting di Comunione e Liberazione al confronto è modernariato e la festa dell’Unità pare la Baggina. Ennesima mutazione antropologica dei compagni: la sinistra che ambisce a scalare l’Italia e a monopolizzare le cariche indossa la maschera buonista e sorridente del suo nuovo leader.

Ridicolizzati sino a qualche anno fa, inseguiti ovunque da quella citazione ritrita di George Bernard Shaw («i bambini vestiti da cretini etc etc»), i boyscout si godono adesso la più completa delle vendette: l’appartenenza al gruppo che diventa oggetto d’ostentazione. Di più: viene rivenduta in piazza come la scuola politica per eccellenza, il romanzo di formazione necessario a chiunque aspiri a migliorare l’Italia. 
Così la Pinotti, appena il suo nome ha iniziato a essere sussurrato per il Colle, si è sentita in obbligo di dirlo a tutti: «Non ho fatto scuole di partito, prima dei 29 anni non ho mai partecipato a organizzazioni politiche. La mia formazione politica è avvenuta tutta negli scout». È una scuola di leadership, ha spiegato all'Espresso «Impari come gestire un gruppo». Un modello di gender equality: «Ogni gruppo ha un responsabile maschio e una femmina. Perfetta parità, come nel governo Renzi». Una lobby (anche se ci restano male se la chiami così) che funziona: «Nelle riunioni di palazzo Chigi ci capiamo al volo».

A fiutare il vento prima degli altri, per fortuna o per abilità, è stata la Boldrini. Nel gennaio 2010, l’allora portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati fu scelta da Famiglia Cristiana come italiana dell’anno. Lì tracciò il solco per tutti quelli che sarebbero venuti dopo: «Durante l’esperienza di scout ho imparato la vita nel gruppo, l’amore per la natura, il rispetto dei più deboli, lo spirito del servizio». Le ha portato fortuna. Stessa filosofia di Renzi, sul cui sito campeggia la frase «Lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato»: è dell’inglese Robert Baden-Powell, fondatore dello scoutismo.

Un presente a sinistra e un curriculum da scout: identikit che ne accomuna tanti, nella nuova e nella vecchia generazione di politici progressisti. Come a marcare la distanza dagli altri, i figiciotti che hanno in Massimo D’Alema il modello di punta e per i quali, ormai si sarà capito, la corsa alle poltrone che contano è game over. È stato scout Davide Serra, fondatore del fondo Algebris, il «finanziere renziano» per definizione. Idem Filippo Taddei, scelto da Renzi per fare il responsabile economico dei democratici. Fazzolettone al collo anche per gli attuali parlamentari piddini David Ermini, Federico Gelli e Roberto Cociancich (che marcia dopo marcia diventò presidente della Conferenza internazionale cattolica dello scoutismo). Tutti renziani di ferro, ça va sans dire. Assieme ad altri ex scout che renziani non sono, come Giuliano Pisapia, Giovanna Melandri, Giuseppe Fioroni.

Ci sarebbe da aggiungere all’elenco il margheritino Luigi Lusi, che trentenne fu segretario dell’Agesci e qualche anno dopo è stato condannato per essersi impossessato dei beni del suo partito. Ma oggi per gli scout è un giorno di festa e ricordarlo non sarebbe carino. Meglio concentrarsi su ciò che luccica, come propone lo slogan coniato per la “Route nazionale” (si chiama così) di San Rossore: «Noi ci siamo, insieme faremo la storia».

Berlusconi gasa gli azzurri: "Ritorno in campo"

Berlusconi: entro fine anno torno in campo




Chi l'avrebbe detto, solo poche settimane fa, che Silvio Berlusconi avrebbe potuto intitolarsi (e con ragione) il grosso del merito della riforma del Senato. E che invece Matteo Renzi, nel giorno per lui sulla carta più trionfale da quando lo scorso febbraio ha levato la sedia da sotto il sedere di Letta, sarebbe stato più preso a leccarsi le ferite per l'economia in crisi e le bastonate della Bce, che a Festeggiare.

Il Cavaliere, da quello stratega che è, raccoglie oggi i frutti di un lavoro seminato per mesi durante i quali sembrava che tutto, per lui e per Forza Italia, fosse perduto. mesi che lui stesso ha definito "tormentati" in una lettera che oggi non ha perso tempo a scrivere e inviare ai deputati e soprattutto ai senatori di Forza Italia, ringraziandoli (salvo pochissime eccezioni) per la compattezza e la fedeltà dimostrate. "Dopo mesi tormentati Forza Italia torna ad essere protagonista grazie al vostro impegno e alla vostra lealtà. Sono e sarò ancora vicino a voi per combattere e difendere la nostra libertà. Spero di poterlo fare a 360 gradi con il recupero, entro pochi mesi, della piena agibilità politica ed elettorale sottrattami con la sentenza del 1 agosto 2013“. Un’ipotesi che, secondo le indiscrezioni uscite nei giorni scorsi, potrebbe realizzarsi con un provvedimento ad hoc per neutralizzare la legge Severino. Mentre l’incadidabilità potrebbe essere aggirata dalla decisione della Corte di Strasburgo (in cui il Cavaliere crede fermamente) di accogliere il ricorso contro la sentenza Mediaset.

Un successo, quello del leader di Forza Italia, celebrato in aula dal capogruppo Paolo Romani: “Questa riforma ha la firma di Renzi e Berlusconi”. E Giovanni Toti, poco dopo, su Twitter: "Senza FI le riforme non si fanno. Renzi al Senato si ferma a 140 mentre la maggioranza è lontana”.

Ora il pensiero di Berlusconi è già a settembre e alle prossime mosse. “Il nostro movimento”, scrive nella lettera, “è diventato l’unica opposizione credibile a un governo che si è dimostrato fino qui incapace di tagliare le spese, di ridurre le tasse , di realizzare vere riforme strutturali in ambito economico. Gli ultimi del Pil sono i peggiori da 14 anni e confermano la grave recessione. Mi dedicherò anche alla rifondazione e al radicamento di FI, che deve tornare ad essere la bandiera di tutte le italiane e di tutti gli italiani che amano la libertà e vogliono restare liberi. Dopo la pausa estiva, dovremmo impegnarci a rendere gli italiani consapevoli della nostra azione di oppositori responsabili, disposti a lavorare con la maggioranza sulle riforme istituzionali solo se d’accordo sui singoli contenuti, ma determinati a batterci su una politica economica e fiscale alternativa a quella della sinistra”.

La versione di Denis: "Matteo e Silvio? Chi va con lo zoppo impara a zoppicare, hanno parlato di..."

Verdini: "Berlusconi e Renzi? Hanno parlato di donne"




"Avete parlato di economia?". Denis Verdini, la "mente" sul fronte berlusconiano dei faccia a faccia tra il Cavaliere e il premier Matteo Renzi, stoppa subito la fregola del giornalista di Repubblica che lo intervista (telefonicamente) all'indomani del Nazareno-tris. "Guardi, no, di economia non abbiamo parlato". S'è detto di tutto sull'incontro, su quel che è stato detto e non detto, su quello che si dirà e non si dirà al quarto faccia a faccia e via cantando. Ma Verdini ha una "perla" da offrire a chi ancora lo intervista sul tema: "Abbiamo parlato di donne". E di fronte allo stupore dell'interlocutore: "Capirà... con Berlusconi che vuole: chi sta con lo zoppo impara a zoppicare". Resta il giallo di quale o di quali donne avranno parlato Silvio e Matteo?

Euro-incubo: cosa cambia per l'Italia se saremo commissariati

Bce, cosa vuol dire farsi commissariare da Mario Draghi: le conseguenze per l'Italia 

di Claudio Antonelli 




Giù la spesa o via le detrazioni. Altre alternative non ce ne sono. «La revisione della spesa deve essere efficiente anche perché viceversa si andrebbe alla revisione delle agevolazioni e delle detrazioni fiscali per garantire un miglioramento dei conti pubblici di 3 miliardi nel 2015, 7 nel 2016 e 10 nel 2017». Parole di Pier Carlo Padoan, minsitro dell’Economia, ed omissioni del governo. Perchè il 2014 sta finendo e la spending review non porterà più di 1,5 miliardi sui sette previsti. Senza contare che una buona fetta dei tagli del 2015 si sarebbero già dovuti mettere in cantiere. I dati negativi sul Pil finiranno col deprimere le stime sul deficit e soprattutto creeranno nuove tensioni e speculazioni sul nostro debito pubblico. ieri Draghi ha assicurato che i tassi di cambio in Europa resteranno a lungo vicini allo zero, ma le mosse della Federal Reserve spingeranno l’inflazione globale e per noi sarà più difficile mantenere un export più competitivo. Con tali nubi all’orizzonte che cosa dobbiamo aspettarci? Chi metterà le mani nei portafogli degli italiani? E quando?

La Cgia di Mestre ha calcolato ieri che scattando le clausole di salvaguardia previste dal governo Letta partiranno in automatico 30 miliardi di imposte aggiuntive. Di cui verosimilmente 20 andranno sotto la voce di tagli alle detrazioni e l’altra decina di nuove imposte. «In altre parole, a fronte del mancato taglio della spesa, i contribuenti saranno chiamati a sopportare un aggravio fiscale di 3 miliardi di euro già il prossimo anno, a seguito - sostiene la Cgia - della riduzione delle agevolazioni/detrazioni fiscali e all'aumento delle aliquote, mentre i ministeri dovranno razionalizzare la spesa per un importo di 1,44 miliardi di euro». Nel 2016 l’impegno sarà ancora più importante. E nel 2017 e 2018, calcola ancora la Cgia, le risorse già impegnate dal taglio della spesa pubblica ammontano rispettivamente a 11,9 e 11,3 miliardi di euro. In caso contrario l’aumento della tassazione per i cittadini sarà di 10 miliardi di euro nel 2017 e di altri 10 nel 2018. Una buona parte di queste nuove tasse nel progetto del governo assumeranno un aspetto completamente diverso. Il taglio delle detrazioni così come immaginato dal Tesoro conterrà una serie di rimodulazioni «popular». Saranno infatti eliminate sui redditi più alti e nel possibile alzate sulle fasce più basse. In modo da creare un effetto di marketing politico stile bonus 80 euro. che però non avrà effetti concreti. E soprattutto non andrà a impattare su contesti e scenari europeo e globale. 

L’Italia non galleggia in una bolla, bensì sarà sempre più legata - come ha detto chiaro e tondo ieri Mario Draghi - alla politica europea. Da un lato i mercati e i fondi hedge torneranno a scommettere allo scoperto sui titoli di Stato italiani con la speranza che la nostra economia peggiori e le loro plusvalenze aumentino. Con l’effetto non trascurabile di uno spread sul bund sempre più sfavorevole. Dall'altra parte proprio perché nessuno teme il fallimento dell’Italia, ma ne prevede il lento declino, i partner europei, per salvaguardare le loro economie dal calo dei consumi italiani, inizieranno il pressing per le riforme. 

Anche questo è stato detto chiaramente ieri da Draghi. Per evitare che nuove tasse ammazzino le nostre aziende e gli stipendi dei lavoratori, gli stessi partner Ue - Germania in testa - offriranno tramite il Fmi monetario e oltre istituzioni internazionali un assegno contenente un pacchetto di aiuti. La cifra dei 30 miliardi potrebbe essere verosimile. L’importo eviterebbe nuove tasse e autorizzerebbe i creditori a sedersi al tavolo delle riforme. A quel punto non sarebbe più possibile approcciare le istituzioni estere come dei commissari alla spending review qualunque. A quel punto si aprirà uno scenario simile alla Spagna o alla Grecia. La prima ha accettato di seguire il diktat Ue sulle riforme. La seconda non è stata in grado di getsirlo e ha ceduto in toto la propria sovranità.

Riforme, Troika, voto: tutti gli scenari per Renzi

Matteo Renzi, lo scenario dopo settembre: manovra, trattativa con la Troika e voto anticipato

di Claudio Brigliadori 




Vivere di tasse o morire di Troika? Il dubbio non è tanto degli italiani, che dovranno subire più o meno supinamente, ma di Matteo Renzi. L'allarme lanciato da Mario Draghi giovedì è da spia rossa fissa e non lascia margini di manovra al premier. Le strade da imboccare sono due: o maxi-manovra correttiva, condita da tagli anche lineari alla spesa pubblica, oppure avviare un negoziato Ue per allargare le maglie del rigore. La frenata del Pil e la recessione potrebbero consentire all'Italia, per esempio, di dilazionare al 2016 l'obbligo di pareggio strutturale di bilancio ma è ipotesi complicatissima, ad oggi poco credibile perché sempre meno credibile è il governo Renzi. Troppe promesse e pochi fatti hanno reso, come dire, piuttosto suscettibile l'asse Unione Europea-Eurotower. Ecco perché, dopo l'estate, può succedere di tutto. 

Riforme blindate, Re Giorgio saluta e... - Il paradosso di Renzi è che la mazzata economica sancita da Istat e Bce cade nel periodo politicamente migliore delle ultime settimane. In Parlamento, infatti, non potrebbe andare meglio per il governo: al Senato la riforma passerà entro l'8 agosto, secondo i piani, con il via libera definitivo alla Camera atteso per metà novembre, giusto il tempo di far passare il ddl Boschi prima in in commissione Affari Costituzionali quindi a Montecitorio. Contemporaneamente, la riforma delle legge elettorale uscita dalla Camera passerà a Palazzo Madama per l'approvazione. Per il nuovo Senato, dopo le eventuali quattro letture, ci sarà il referendum confermativo che nei conti di Renzi si dovrebbe celebrare contestualmente alla tornata delle Regionali, probabilmente entro aprile. A quel punto, con le riforme istituzionale e la legge elettorale blindate, tutto sarà pronto per tornare al voto, quello politico, entro giugno 2015. Anche perché contemporaneamente Giorgio Napolitano potrebbe dimettersi: come promesso, al compimento dei 90 anni, il capo dello Stato lascerà al suo erede, che verrebbe scelto da questo Parlamento. Il nuovo presidente, di fatto, dovrà riconsegnare le chiavi del governo a Renzi per gli ultimi mesi prima delle elezioni.

La grana economica - Tutto questo nello scenario ideale sognato fino a qualche giorno fa dal premier. Ma dopo il discorso di Draghi cambia tutto. Perché diventerà ancora più centrale il tema delle riforme economiche: tagli alla spesa pubblica, pacchetto lavoro, calo delle tasse per agganciare la ripresa e far ripartire la produzione industriale e i consumi, visto che gli 80 euro si stanno rivelando utili solo a prendere voti alle Europee. Punti dimenticati negli ultimi due mesi, non a caso. Silvio Berlusconi, che ha confermato il proprio appoggio al governo in ogni caso (suggerendo anche l'ingresso di Forza Italia nella squadra), è sicuro: senza gli azzurri, quelle leve economiche Renzi non riuscirà mai a muoverle. Matteo non vuole Silvio nel governo, ma rischia grosso: se fallisce la trattativa con l'Ue, sarà manovra correttiva aperta ai franchi tiratori già visti all'opera in Senato, che potrebbero fare lo sgambetto fatale al premier anche semplicemente continuando con l'ostruzionismo. Perché Ue, Bce e Fmi hanno fretta, così come Napolitano. E se Re Giorgio, spazientito, decidesse di mollare premier e poltrona in un colpo, in anticipo sui tempi, Renzi potrebbe dire considerare finita la sua avventura a Palazzo Chigi. 

Cala la fiducia nel governo. Sondaggio sui leader dei partiti

Sondaggio Ixé per Agorà: gli ultimi dati



Una mazzata dopo l'altra. Dopo i dati dell'Istat sul Pil, numeri che hanno confermato che il nostro Paese è in recessione, per Matteo Renzi arriva un altro segnale poco incoraggiante. Secondo un sondaggio Ixé per Agorà Estate (su un campione di mille maggiorenni), la fiducia degli italiani nel premier e nel suo governo ha smesso di crescere negli ultimi sette giorni passando dal 51% al 49% e,  per la prima volta da giugno, è scesa sotto il 50%. Due punti in meno anche per il governo di Renzi che passa dal 50% della scorsa settimana al 48%.

Tutti giù tranne
...In realtà a guardare i dati sulla fiducia che gli italiani accordano agli altri leader politici, la situazione non migliora neanche per i "competitor" di Renzi. Beppe Grillo, passando dal 20 al 19%, perde un punto; resta fermo Matteo Salvini (al 18%), Berlusconi è stabile al 17%, solo Alfano guadagna un punto passando dal 13 al 14%.  Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, resta inchiodato al 37%. Per quanto riguarda la riforma del Senato, contrario  invece il 25%. Molto scettici gli italiani sul bonus di 80 euro in busta paga: il 74% dei cittadini intervistati da Ixé ha detto che non ha inciso sulla capacità di spesa della loro famiglia. 

venerdì 8 agosto 2014

Volontarie italiane rapite in Siria, Selvaggia ha trovato i colpevoli: "Ecco dove dovete cercarli"

Selvaggia Lucarelli: chi ha sulla coscienza la vita delle italiane rapite


di Selvaggia Lucarelli 




D’accordo. Ha ragione Severgnini. Greta e Vanessa sono figlie dell’Italia buona. Di quell’Italia meno raccontata e più silenziosa, popolata da anime buone e ragazze di vent’anni che anziché trascorrere le vacanze a Mykonos e riempire la loro bacheca facebook di selfie in bikini, decidono di partire per l’Africa. L’India. La Palestina. O la Siria. E per aiutare chi soffre per la guerra o per la povertà, mica chi ha bevuto due bicchieri di troppo fuori da una discoteca di Ibiza. Ha ragione Severgnini quando dice che chi sui social liquida il rapimento delle due ragazze con argomenti da bar («Se la sono cercata!», «A Cesenatico non le rapivano!») è figlio dell’Italia crudele e pavida. Greta e Vanessa non erano in Siria per stupire gli amici con il loro viaggio non convenzionale. I cretini sono altri. Sono quelli che vanno in Yemen e per portare a casa il ritratto con la grande moschea sullo sfondo o per giocare a fare gli impavidi de noantri, si fanno rapire e costringono il governo a trattare con bande di malavitosi. Sono quelli che sì, in Egitto c’è la guerra civile, ma anche l’offerta volo più hotel cinque stelle più pensione completa più gioco aperitivo a 900 euro, pazienza se poi ci deve venire a riprendere l’esercito. Sono quelli che prenotano una settimana in Ucraina, poi finiscono sotto le bombe, devono tornare a casa e reclamano il rimborso perché la Farnesina aveva sconsigliato di andare in Ucraina, sì, ma non è che avesse messo uno con la scimitarra al check in per Kiev.

Greta e Vanessa non erano turiste sceme. Erano in Siria per aiutare le vittime di un conflitto. Per portare cibo e medicine, per insegnare le tecniche di pronto soccorso. Sono figlie dell’Italia buona, certo. Ma anche dell’Italia approssimativa e superficiale. Il volontariato è cosa nobile. E lo è anche e soprattutto quando riguarda associazioni minori, lontane da riflettori, testimonial patinati e lanci di uffici stampa. Oltre ad essere cosa nobile però, il volontariato è spesso cosa rischiosa e se il volontariato fai da te va bene per certe zone del mondo, per altre, come la Siria, diventa una roulette russa che non serve a nessuno. Due ragazze di vent’anni che entrano in una zona di guerra preda di disordini e violenze e in mano a jihadisti con numerosi precedenti di rapimenti di occidentali, passando il confine dalla Turchia attraverso i campi profughi, non sono più volontariato. Non sono coraggio. Sono follia. Un’associazione nata da poco tempo con progetti umanitari indipendenti e i cui fondatori sono due ragazze di vent’anni, non ha mezzi, strumenti, supporto ed esperienza per assumersi un rischio del genere. Rischiano anche i volontari supportati da associazioni umanitarie ben strutturate, che operano in condizioni di sicurezza massima, passando attraverso i confini siriani con un regolare visto, figuriamoci due ragazze giovanissime supportate, probabilmente, solo dallo slancio dei vent’anni e dall’amore per il prossimo, che a quell’età non conosce ancora prudenza e disincanto. E allora, se a vent’anni, come dice Severgnini il limite tra l’incoscienza e il coraggio è labile, mi chiedo se il terzo socio fondatore di Horryaty, Roberto Andervill che di anni ne ha parecchi di più, non dovesse, a quelle ragazze, un po’ di quella prudenza che l’età dovrebbe regalare. Leggo le sue dichiarazioni e rimango perplessa. «Non saranno rilasciate dichiarazioni. Tutte le informazioni sul progetto potete leggerle sulla pagina facebook. Il progetto Horryaty proseguirà non appena le ragazze torneranno». Come se Greta e Vanessa fossero cadute dagli sci e si trattasse solo di far guarire un ginocchio per rimettercele sopra. Come se non fosse lecito fare delle domande e voler sapere qualcosa di più, visto che un Paese si è mobilitato per riportarle a casa. Poi c’è Silvia Moroni, il presidente della onlus «Rose di Damasco» che sostiene il progetto e sentiva spesso le ragazze via skype. Dice che le ragazze volevano prolungare la loro missione. Mi domando se dopo il rapimento di Quirico e di altri occidentali in quelle zone non abbia pensato di esporre quelle ragazze a un rischio troppo grosso per la loro età, per la loro esperienza e per quel luogo. Ci sono altre regioni del mondo in cui lo slancio e la generosità dei vent’anni può essere utile, senza che quei vent’anni corrano rischi troppo grossi e troppo annunciati.

E allora mi spiace dire qualcosa di scomodo, ma non posso farne a meno. C’è, talvolta, una punta di esaltazione anche in chi fa del bene. C’è, talvolta, nei figli dell’Italia buona, quel fanatismo dal sapore vagamente boldriniano che fa dire «basta con gli alberghi a cinque stelle finchè ci saranno i migranti» o «vado in Siria passando per la Turchia là dove le bande armate fanno quel che vogliono di locali e occidentali». C’è un confine, è vero, tra il coraggio e l’incoscienza, come dice Severgnini. Ma c’è un confine anche tra il coraggio e il senso di onnipotenza. Ed è quello che spesso si oltrepassa quando si è troppo giovani o troppo candidamente idealisti per conoscere i propri limiti, figuriamoci quelli del mondo. Figuriamoci quelli di un Paese nel caos, come la Siria, in cui in molti hanno dimenticato anche l’altro confine, quello che la guerra, qualsiasi guerra, calpesta e cancella: il confine tra il bene e il male.