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lunedì 21 luglio 2014

Il "vaffa" di Mentana ai colleghi invidiosi: "Vi dico io perché ho invitato Ferrara e Travaglio" E sulla rissa in tv...

Enrico Mentana e le critiche per la rissa tv con Ferrara e Travaglio



Dopo la bufera in studio a Bersaglio Mobile tra Enrico Mentana, Giuliano Ferrara e Marco Travaglio, il direttore di Tg La7 sbotta su facebook e respinge le critiche di qualche "collega" che non ha mandato giù la rissa in diretta. Il post di Mentana è di fuoco, ma rivendica le scelte fatte dal direttore soprattutto sugli ospiti in studio: "Come al solito sono spuntati i soloni che commentano programmi di tre ore avendo visto solo uno spezzone di due minuti. Signora mia, come si fa a invitare Ferrara! Pazzesco, fa parlare Travaglio! Si dà il caso però che si tratti di due eccellenti giornalisti, le anime dei due principali quotidiani di opinione del nostro paese, impegnati su fronti opposti proprio in tema di garanzie e giustizia". 

Post al veleno - Poi l'attacco duro ai colleghi: "Se un pubblico servizio di informazione si qualifica nello sforzo di mettere a confronto opinioni diverse, quali migliori delle loro per trattare l'assoluzione di Berlusconi? Ho in mente molti nomi di giornalisti che avrei potuto invitare per star tranquillo e passare una bella serata di ovvietà, senza rischio di asprezze e scene madri. Sono poi vedi caso gli stessi che poi hanno criticato vedendo solo la clip sui siti (si informano sempre con questa profondità di documentazione). Con loro al massimo si fa Russia-Belgio. Con i numeri uno Brasile-Germania, magari con il rischio di risse e falli da espulsione: ma vuoi mettere la differenza?". 

Salvini prepara la scalata al centrodestra "Adesso la Lega parla a tutta l'Italia" Poi la sfida: "Niente primarie con FI..."

Lega Nord, Matteo Salvini: "Il Carroccio ora parla a tutta l'Italia"



Matteo Salvini prova a prendersi il centrodestra. Il leader del Carroccio parlando al Congresso della Lega a Padova, lancia la sua sfida ai moderati: "Oggi il centrodestra non esiste quindi non potrei candidarmi per un soggetto che non esiste, noi lanceremo delle idee, dei programmi, delle proposte". Salvini ha un progetto su larga scala e non vuole una Lega con le barricate al Nord, il nuovo corso del Carroccio "parla a tutta l'Italia": "Il nostro è un messaggio rivolto al Nord e a tutta l’Italia - spiega - rimaniamo Lega Nord, ma accettiamo la scommessa di aiutare chi al centro e al sud ha voglia di liberarsi e di riprendersi energie, libertà, lavoro. Se arriveremo al 51% al Nord e a livello nazionale, vuol dire che avremo raggiunto il nostro obiettivo".

Anti-Renzi - Salvini si pone come l'anti-Renzi del centrodestra: "Oggi proponiamo un’alternativa al renzismo, che è una deriva pericolosa, statalista, che sta cercando di annullare tutto quel che rimane dell’identità, del commercio, del territorio, della democrazia - tuona Salvini - proporremo non ai partiti, ma ai padani e agli italiani una visione diversa, coraggiosa, rivoluzionaria, scommettendo sui cittadini, sugli imprenditori, su chi produce e crea ricchezza, facendo loro pagare la metà delle tasse che pagano oggi". 

Sfida al Fisco - Infine Salvini parla del primo punto della sua agenda per il Paese: la riforma del Fisco: "Proporremo un’aliquota fiscale secca al 20% uguale per tutti, dal nord al sud, per ricchi e poveri - spiega da Padova - la nostra scommessa è quella di far pagare di meno a chi oggi paga troppo e di costringere a pagare chi oggi non lo fa".

Il sondaggio: FI in ripresa, cala il Pd. C'è una sorpresa: ecco quale...

Sondaggio Swg: stabile Forza Italia, scende il Pd, boom della Lega Nord



E' ancora presto per capire quanto possa pesare sui sondaggi e sulle rilevazioni degli istituti di ricerca l'effetto-Ruby, (così lo chiamano gli esperti) sul consenso per Forza Italia e per Silvio Berlusconi. Ma una cosa è certa secondo gli ultimi sondaggi il partito del Cav tiene e da cenno ad una ripresa impensabile fino a qualche settimana fa. Forza Italia resta stabile e secondo l'ultima rilevazione di Swg per Affaritaliani gli azzurri si attestano al 17,2 per cento con una lieve flessione dello 0,1 per cento rispetto ad una settimana fa. 

Pd cala, boom Lega - Se si dovesse votare oggi, il Partito Democratico scenderebbe sotto la fatidica soglia del 40 per cento. Il Pd infatti si attesta invece al 39 per cento, a due punti da una settimana fa (41) e a 1,2 dalle europee (40,8). Il Movimento 5 Stelle invece va a quota 22 per cento, due in più rispetto a una settimana fa e lo 0,8 per cento in più rispetto alle europee. In stato comatoso l'Idv, stabile allo 0,5. Sotto la soglia psicologica del 4 per cento l'ex lista Tsipras, data dalla somma di Sel e Rifondazione Comunista. Insieme arrivano al 3,7 per cento.  Ncd cala dello 0,2 al 3,9 per cento. Balzo in avanti di oltre mezzo punto per la Lega Nord, che dal 6,9 per cento arriva al 7,5 per cento.

Ecco il piano di Berlusconi per tornare a vincere: ok alle primarie

Forza Italia, il piano di Berlusconi per tornare a vincere


di Paolo Emilio Russo 



Per un giorno ha riso, scherzato, risposto al telefono soltanto a chi voleva lui. Il day after, quello della «rinascita», Silvio Berlusconi l’ha trascorso ad Arcore insieme ai figli e a Francesca Pascale. Due le cose che ha ripetuto ai (pochi) azzurri che hanno voluto chiamarlo nonostante un gentlemen’s agreement tra parlamentari a lasciarlo riposare. «State tranquilli, ora avrò più tempo per lavorare, torneremo tutti insieme e vinceremo», è la prima. La seconda è stata tradotta in comunicati stampa e dichiarazioni tv: «Ciò che è capitato a me non deve poter succedere a nessuno. I magistrati che mi hanno assolto sono stati degli eroi, hanno seguito le loro coscienze e resistito a molte pressioni. Serve la riforma della giustizia». 

Il Cavaliere vuole restare dietro le quinte ancora per un po’ e per questa ragione ha dato pieni poteri nella gestione delle «cose quotidiane» agli uomini più fidati nella Capitale: i capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta. Il primo è chiamato a gestire le dissidenze nel partito, il secondo a fare opposizione. L’ex premier ha invece avocato a sè la pratica «ricomposizione del centrodestra». Il suo lavoro non inizia certo oggi, anche se l’assoluzione rende le cose più semplici. Soltanto negli ultimi giorni - grazie anche al lavoro “preparatorio” di Giovanni Toti - Berlusconi ha avviato un giro di consultazioni con esponenti dei partiti di centrodestra possibili alleati. Con Ignazio La Russa, per esempio, ha avuto un confronto «costruttivo». 

Ex ministro della Difesa nel suo governo, ex coordinatore Pdl, La Russa è un esponente (poco visibile, ma molto influente) di Fratelli d’Italia. Il partito guidato da Giorgia Meloni non ha mai messo troppi paletti lungo la strada di una possibile alleanza, ma chiede le primarie. Berlusconi ha già detto sì, «a patto che non si trovi prima un candidato che va bene a tutti». Sotto sotto, evidentemente, il Cavaliere è convinto di riuscire a trovarlo. In ogni caso è deciso: il centrodestra sperimenterà le primarie per le Amministrative e per le Regionali del 2015. Successivamente, «passato quel test», potrebbe organizzare quelle per il candidato premier. Un faccia a faccia che ha del clamoroso l’ex premier lo ha avuto con Mario Mauro. L’ex capogruppo all’europarlamento del Pdl lo aveva mollato nel 2012 per Mario Monti e, in quella circostanza, volarono parole pesanti. Il senatore, che è stato per otto mesi ministro della Difesa di Enrico Letta, entrato in rotta di collisione col Professore ha fondato un suo partito, Popolari per l’Italia. Si è detto pronto a «riaprire il cantiere». 

La «riaggregazione» che ha in mente il fondatore di Forza Italia ricalca lo schema del 1994, quello della Casa delle libertà. Per questa ragione pedina fondamentale - oggi come allora - è la Lega Nord. In questo senso aiuta «l’ottimo rapporto» fatto soprattutto di «stima» che il Cavaliere ha con il nuovo segretario, Matteo Salvini. È capitato addirittura che l’ex premier domandasse ad alcuni esponenti del suo partito eletti nel Sud che opinione si fossero fatti su di lui, se ritenevano possibile una sua “abdicazione” in favore del giovane europarlamentare. Salvini e Berlusconi si sentono regolamente. «Divisi non andiamo da nessuna parte e oggi abbiamo un avversario forte», spiega il Cavaliere agli interlocutori. E ancora: «Scriveremo un programma comune e ci sarà spazio per le idee di tutti». Lui, in cambio della possibilità di «ricompattare il centrodestra», si dice disposto a non essere «troppo ingombrante», a dare una mano «quando serve» e nulla di più. Rimarrà in ogni caso leader di Fi. L’incognita principale resta l’atteggiamento del Ncd. L’ex premier non è riuscito a riscostruire un rapporto con l’ex «delfino» nemmeno dopo che Angelino Alfano lo ha chiamato venerdì. Questa circostanza, però, non gli ha impedito di tenere sempre aperto un filo di dialogo diretto che, da qualche giorno, passa per frequenti contatti telefonici con Nunzia De Girolamo. Un pezzo del Ncd sembra pronto a rientrare, ma il rischio è che - alla prova dei fatti - la formazione vada in frantumi. Per evitarlo il leader Fi procederà senza strappi. La road map del resto prevede tempi lunghi, quasi due anni. «Nessuno può sapere in che condizioni sarà allora Renzi: ve lo ricordate Mario Monti all’inizio?», chiede in moto retorico. 

domenica 20 luglio 2014

Dopo Ruby mezzo Pd vuole la testa di Travaglio e un altro big...

Pd, Girogio Tonini: "Sconfitto l'anti-berlusconismo. Ora stop a Travaglio e Repubblica"



"Ora bisogna dire stop a Travaglio e Repubblica". Intervistato da Alberto Maggi ad Affaritaliani.it, non usa mezzi termini Giorgio Tonini, vicecapogruppo del Pd al Senato e mette nel mirino, nel day after della sentenza su Ruby, Repubblica e il Fatto Quotidiano. Le parole del dem sembrano le stesse che possa usare un esponente azzurro, invece a quanto pare anche a sinistra si sono stufati del giustizialismo travaglino e quello di Ezio Mauro.

Liberiamoci degli antiCav - Tonini è chiaro, la rinascita del Pd passa dal superamento e dall'eliminazione dell'antiberlusconismo: "Tanti personaggi della televisione, dei giornali, dei talk show e diversi intellettuali. Addirittura criticavano i nostri leader per essere troppo poco anti-berlusconiani. La capacità di mobilitare una minoranza intensa non ti fa vincere le elezioni ma solo i congressi. E' un bene che ci siamo liberati dalla subalternità all'anti-berlusconismo. E' stata la premessa per la ripresa del Pd, portata avanti con Renzi", racconta ad Affaritaliani.it. Insomma dalle parti del Pd cominciano ad aver voglia di far pulizia. Il Pd renziano dunque vuole cambiare strada e Marco Travaglio, come lo stesso Ezio Mauro sembrano ormai essere un ostacolo al progetto delle riforme volute dal premier e dal Cav. Così nel giorno in cui eravamo abituati a vedere la sinistra gongolare sulle condanne di Silvio ecco che cambia lo scenario. E' il Pd a criticare il veleno antiCav che arriva dal Fatto e da Repubblica. 

Il nuovo corso (senza Travaglio e Mauro) - Così Tonini sottolinea: "L'aveva già detto Veltroni nel 2006 e nel 2007, quando fece una campagna elettorale senza nominare mai Berlusconi proprio perché voleva far entrare nel Centrosinistra il concetto che si vince con le proposte e non demonizzando l'avversario. E' senz'altro vero che il Centrosinistra è stato troppo sublaterno a una certa forma di anti-berlusconismo. Ma con Renzi è tutto finito. Alcune di queste realtà antiberlusconiane hanno una cultura del contro e non del proporre. Ma per fortuna con Renzi il Pd ha vinto questa battaglia e ha detto stop". Insomma Travaglio e Mauro cominciano a tremare...

Il ritratto di Giorgia Iafrate, il poliziotto donna che ha messo ko Ilda

Il ritratto di Giorgia Iafrate, il poliziotto donna che ha messo ko Ilda


di Chiara Pellegrini 



Giorgia Iafrate 
«Ti sei rovinato la vita per colpa delle donne», gli hanno continuato a dire gli amici in questi anni. Ed invece è stata proprio una donna la chiave di volta del processo Ruby, che ieri si è risolto con l’assoluzione in appello di Silvio Berlusconi da tutte le accuse. Giorgia Iafrate, classe 1980, di Frosinone, laureata in giurisprudenza e un master in scienze forensi, è lei che, con la sua testimonianza, ha incrinato il castello di carte del procuratore aggiunto Ilda Boccassini. «Inesperta sì, ma sprovveduta no!», tuonò la Iafrate, interrogata come teste. Era il 20 aprile del 2012 e Ilda “la rossa” voleva sapere tutto sulla quella ormai arcinota notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, quando Karima El Mahroug, cittadina egiziana, in arte “Ruby rubacuori”, accusata di furto venne trattenuta dalla questura di Milano. Il commissario Iafrate raccontando i fatti, abbatte il teorema della Boccassini. «Ho agito nell’interesse della minore», disse giustificando l’affido di Ruby alla consigliera regionale Nicole Minetti. «Perché non ha eseguito gli ordini del pm minorile Annamaria Fiorillo», chiese la Boccassini domandandole perché non avesse trattenuto Ruby. «Non ho disatteso gli ordini del pm perché erano cambiati». Fino ad affermare che forse è proprio Fiorillo che «ricorda male. Io invece ricordo benissimo e non cambio una virgola di quanto ho già detto» e che gli accertamenti erano stati «fin troppo scrupolosi». Quanto alla storia delle parentele con Mubarak raccontò: «Mi disse che tavolta si spacciava come nipote ma in realtà non lo era».

Quando lo tsunami Ruby piomba sulla Iafrate, è un dirigente supervisore da pochi giorni a Milano alla direzione volanti. Passano venti giorni dall’incarico e Iafrate si trova ad dover affrontare il più grande caos della sua carriera, probabilmente. Una notte in cui deve rispondere alle continue telefonate del capo di gabinetto Piero Ostuni, che aveva ricevuto la chiamata del premier, con cui si segnalava che era stata portata in questura una ragazza egiziana e che era stata indicata come la nipote di Mubarak: «Ostuni mi disse di accellerare le procedure, ma sempre nel rispetto della prassi». Seguita dall’avvocato Luca Gentilini il commissario Iafrate non si è mai costituita parte civile.

Spread, elezioni perse, Alfano Perché il processo bunga bunga ha rovinato Berlusconi e l'Italia

Ruby, Silvio Berlusconi è stato assolto ma il danno ormai è fatto


di Fausto Carioti



Esiste un genere letterario chiamato «ucronia», nel quale lo scrittore racconta cosa sarebbe successo se un evento particolare nella Storia fosse andato in modo diverso. Il confine che lo separa dalla politica spesso è davvero sottile, come conferma il fatto che uno dei testi ucronici più noti sia stato scritto da Winston Churchill (Se Lee non avesse vinto la battaglia di Gettysburg, dove il paradosso letterario e storico è doppio, visto che il generale Lee quella battaglia la perse davvero). Da ieri anche la cronaca italiana offre spunto per un racconto simile: «Se Berlusconi non fosse stato processato per il caso Ruby». Ecco, cosa sarebbe successo? Quale è stato il prezzo che hanno dovuto pagare il Cavaliere, l’intero centrodestra e il resto del Paese?

Tirare risultati è impossibile. Però si possono mettere in colonna gli addendi, i fatti certi che da quella vicenda hanno avuto origine. Iniziando da quello più ovvio e importante di tutti: per il leader Berlusconi e la sua parte politica l’impatto dell’accusa per concussione e prostituzione minorile avanzata dalla procura di Milano è stato semplicemente devastante. Non c’è stata testata internazionale, dal Wall Street Journal ad Al Jazeera all’ultimo dei blog sudamericani, che non abbia spiegato per filo e per segno in cosa avrebbe dovuto consistere il «Bunga-bunga» del Cavaliere e raccontato nel dettaglio la sua relazione con Ruby «the Heart Stealer», pescando a piene mani dalle parole dell’accusa.

«Vedrete, tutto si risolverà in una tempesta di carta», assicurava Berlusconi nel dicembre del 2010. Nessuno lo prendeva sul serio, men che meno i suoi interlocutori stranieri, che anzi da quel momento hanno usato la clava dello scandalo sessuale per delegittimarlo politicamente. Ancora a febbraio dello scorso anno Edmund Stoiber, uno dei leader della Csu bavarese, argomentava che «quello che ha combinato il premier Bunga-Bunga in Italia è una cosa incredibile» e quindi era dovere dei politici tedeschi «immischiarsi» nella campagna elettorale italiana, perché in caso di vittoria di Berlusconi il prezzo «lo pagheremmo tutti».

Fu nei confronti del Berlusconi ferito dal caso Ruby e impallinato dallo spread che nell’autunno del 2011 si tentò l’operazione raccontata nel suo libro dall’ex segretario al Tesoro americano Timothy Geithner: «Alcuni funzionari europei ci proposero un progetto per cercare di obbligare il primo ministro italiano Silvio Berlusconi alle dimissioni…».

Da qui nascono due domande senza risposta, le prime di un lungo elenco: le banche tedesche e gli altri istituti che in quei mesi lanciarono la “tempestaperfetta” sui titoli di Stato italiani, portando lo spread a quota 550 e caricando i conti pubblici di una dose extra di interessi sul debito pubblico, avrebbero fatto lo stesso se il presidente del Consiglio non fosse già stato indebolito agli occhi del mondo da quell’accusa infamante? E il governo di centrodestra sarebbe uscito comunque di scena per lasciare il posto all’esecutivo filo-tedesco e tassatore di Mario Monti?

Ora che Berlusconi è stato assolto vengono le vertigini a guardare i risultati delle elezioni del 24 febbraio 2013, con appena 125mila elettori a separare la coalizione di Pier Luigi Bersani da quella capitanata dal Cavaliere azzoppato. Un soffio, lo 0,37% dei votanti. Eppure - grazie al generosissimo e anticostituzionale premio garantito dal Porcellum - quanto basta per assegnare al centrosinistra 340 seggi della Camera, cioè la maggioranza assoluta dell’aula di Montecitorio, contro i 124 del centrodestra.

Il punto di svolta nel grafico dell’andamento delle intenzioni di voto era stato proprio il processo costruito attorno alla ragazza marocchina. «Cambia il vento dei sondaggi, in picchiata la fiducia del premier», esultava Repubblica il 27 febbraio del 2011, cioè subito dopo il rinvio a giudizio. Antonio Noto di Ipr Marketing spiegava che «il caso Ruby è costato al premier tra i 6 e gli 8 punti». Sei mesi prima, secondo lo stesso istituto, il centrodestra era avanti di 5-6 punti, ma il vantaggio si era già ridotto a 1-2 punti.

Un costo politico incalcolabile e destinato a durare nel tempo, anche perché la caduta del meteorite Ruby ha contribuito a far sparire il centrodestra così come lo conoscevamo. Certo, il Ncd di Angelino Alfano è nato per nobilissime ragioni legate alla necessità di tenere in vita il governo Letta dopo che il Cavaliere aveva richiamato i propri ministri. Ma anche perché la Cassazione aveva da poco confermato la condanna al Cavaliere per frode fiscale, e la condanna definitiva per il caso Ruby, con conseguente perdita dei benefici dell’indulto e dunque carcere o arresti domiciliari, era ritenuta (non solo dagli alfaniani) l’eventualità più probabile.

Che centrodestra avrebbe oggi l’Italia se l’incriminazione del suo leader per quella vicenda, anziché deflagrare e rivelarsi inconsistente solo ieri, quando tutti i danni ormai sono stati fatti, non fosse mai avvenuta? Quale sarebbe oggi il potenziale elettorale della coalizione? Quando si sarebbe votato? Chi avrebbe vinto quelle elezioni politiche che Berlusconi ha perso di un nulla, se su di lui non ci fosse stato quel marchio d’infamia? Che governi avremmo avuto in questi anni, chi siederebbe oggi a palazzo Chigi, quale riforma della Costituzione sarebbe in cantiere? L’unica certezza è che la storia del Paese avrebbe preso una direzione molto diversa. Altri uomini al governo, altre leggi, altra spesa pubblica e tasse diverse, altra forma dello Stato che regolerà le nostre vite nel futuro. Roba da romanzieri, appunto.