Visualizzazioni totali

domenica 20 luglio 2014

Spread, elezioni perse, Alfano Perché il processo bunga bunga ha rovinato Berlusconi e l'Italia

Ruby, Silvio Berlusconi è stato assolto ma il danno ormai è fatto


di Fausto Carioti



Esiste un genere letterario chiamato «ucronia», nel quale lo scrittore racconta cosa sarebbe successo se un evento particolare nella Storia fosse andato in modo diverso. Il confine che lo separa dalla politica spesso è davvero sottile, come conferma il fatto che uno dei testi ucronici più noti sia stato scritto da Winston Churchill (Se Lee non avesse vinto la battaglia di Gettysburg, dove il paradosso letterario e storico è doppio, visto che il generale Lee quella battaglia la perse davvero). Da ieri anche la cronaca italiana offre spunto per un racconto simile: «Se Berlusconi non fosse stato processato per il caso Ruby». Ecco, cosa sarebbe successo? Quale è stato il prezzo che hanno dovuto pagare il Cavaliere, l’intero centrodestra e il resto del Paese?

Tirare risultati è impossibile. Però si possono mettere in colonna gli addendi, i fatti certi che da quella vicenda hanno avuto origine. Iniziando da quello più ovvio e importante di tutti: per il leader Berlusconi e la sua parte politica l’impatto dell’accusa per concussione e prostituzione minorile avanzata dalla procura di Milano è stato semplicemente devastante. Non c’è stata testata internazionale, dal Wall Street Journal ad Al Jazeera all’ultimo dei blog sudamericani, che non abbia spiegato per filo e per segno in cosa avrebbe dovuto consistere il «Bunga-bunga» del Cavaliere e raccontato nel dettaglio la sua relazione con Ruby «the Heart Stealer», pescando a piene mani dalle parole dell’accusa.

«Vedrete, tutto si risolverà in una tempesta di carta», assicurava Berlusconi nel dicembre del 2010. Nessuno lo prendeva sul serio, men che meno i suoi interlocutori stranieri, che anzi da quel momento hanno usato la clava dello scandalo sessuale per delegittimarlo politicamente. Ancora a febbraio dello scorso anno Edmund Stoiber, uno dei leader della Csu bavarese, argomentava che «quello che ha combinato il premier Bunga-Bunga in Italia è una cosa incredibile» e quindi era dovere dei politici tedeschi «immischiarsi» nella campagna elettorale italiana, perché in caso di vittoria di Berlusconi il prezzo «lo pagheremmo tutti».

Fu nei confronti del Berlusconi ferito dal caso Ruby e impallinato dallo spread che nell’autunno del 2011 si tentò l’operazione raccontata nel suo libro dall’ex segretario al Tesoro americano Timothy Geithner: «Alcuni funzionari europei ci proposero un progetto per cercare di obbligare il primo ministro italiano Silvio Berlusconi alle dimissioni…».

Da qui nascono due domande senza risposta, le prime di un lungo elenco: le banche tedesche e gli altri istituti che in quei mesi lanciarono la “tempestaperfetta” sui titoli di Stato italiani, portando lo spread a quota 550 e caricando i conti pubblici di una dose extra di interessi sul debito pubblico, avrebbero fatto lo stesso se il presidente del Consiglio non fosse già stato indebolito agli occhi del mondo da quell’accusa infamante? E il governo di centrodestra sarebbe uscito comunque di scena per lasciare il posto all’esecutivo filo-tedesco e tassatore di Mario Monti?

Ora che Berlusconi è stato assolto vengono le vertigini a guardare i risultati delle elezioni del 24 febbraio 2013, con appena 125mila elettori a separare la coalizione di Pier Luigi Bersani da quella capitanata dal Cavaliere azzoppato. Un soffio, lo 0,37% dei votanti. Eppure - grazie al generosissimo e anticostituzionale premio garantito dal Porcellum - quanto basta per assegnare al centrosinistra 340 seggi della Camera, cioè la maggioranza assoluta dell’aula di Montecitorio, contro i 124 del centrodestra.

Il punto di svolta nel grafico dell’andamento delle intenzioni di voto era stato proprio il processo costruito attorno alla ragazza marocchina. «Cambia il vento dei sondaggi, in picchiata la fiducia del premier», esultava Repubblica il 27 febbraio del 2011, cioè subito dopo il rinvio a giudizio. Antonio Noto di Ipr Marketing spiegava che «il caso Ruby è costato al premier tra i 6 e gli 8 punti». Sei mesi prima, secondo lo stesso istituto, il centrodestra era avanti di 5-6 punti, ma il vantaggio si era già ridotto a 1-2 punti.

Un costo politico incalcolabile e destinato a durare nel tempo, anche perché la caduta del meteorite Ruby ha contribuito a far sparire il centrodestra così come lo conoscevamo. Certo, il Ncd di Angelino Alfano è nato per nobilissime ragioni legate alla necessità di tenere in vita il governo Letta dopo che il Cavaliere aveva richiamato i propri ministri. Ma anche perché la Cassazione aveva da poco confermato la condanna al Cavaliere per frode fiscale, e la condanna definitiva per il caso Ruby, con conseguente perdita dei benefici dell’indulto e dunque carcere o arresti domiciliari, era ritenuta (non solo dagli alfaniani) l’eventualità più probabile.

Che centrodestra avrebbe oggi l’Italia se l’incriminazione del suo leader per quella vicenda, anziché deflagrare e rivelarsi inconsistente solo ieri, quando tutti i danni ormai sono stati fatti, non fosse mai avvenuta? Quale sarebbe oggi il potenziale elettorale della coalizione? Quando si sarebbe votato? Chi avrebbe vinto quelle elezioni politiche che Berlusconi ha perso di un nulla, se su di lui non ci fosse stato quel marchio d’infamia? Che governi avremmo avuto in questi anni, chi siederebbe oggi a palazzo Chigi, quale riforma della Costituzione sarebbe in cantiere? L’unica certezza è che la storia del Paese avrebbe preso una direzione molto diversa. Altri uomini al governo, altre leggi, altra spesa pubblica e tasse diverse, altra forma dello Stato che regolerà le nostre vite nel futuro. Roba da romanzieri, appunto.

Nessun commento:

Posta un commento