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giovedì 17 luglio 2014

Gag in aula a Napoli. Parla Prodi e Niccolò Ghedini lo sfotte: "Stava bene al governo? Noi..."

Niccolò Ghedini sfotte Romano Prodi: "Stava bene al governo? Lo sapevamo..."



In aula, a Napoli, testimonia Romano Prodi. Nel mirino, al solito, c'è Silvio Berlusconi: in questo caso per il processo sulla presunta compravendita di Senatori che fece crollare il secondo esecutivo del Mortadella, anno di grazia 2008. Si chiede a Prodi se fosse stato a conoscenza delle manovre in corso per far liquefare il suo esecutivo. L'ex premier si mostra cauto, spiega che c'era un "chiacchiericcio continuo". Poi l'obiettivo si sposta su Sergio De Gregorio, l'ex valorista al centro dell'inchiesta. E Prodi spiega: "Se avessi saputo che il senatore De Gregorio intendeva passare al centrodestra avrei avuto più attenzione. Io al Governo ci stavo bene". Il Mortadella chiude con una battuta, alla quale risponde con tempismo Niccolò Ghedini, il legale difensore del Cavaliere, presente in aula: "Lo sappiamo che ci stava bene...". Touché.

TRAPPOLONE EUROPEO PER RENZI Pronta la vendetta dei popolari: ecco cosa chiederanno a Matteo

Ue, il Ppe: "Van Rompuy chiede a Matteo Renzi di nominare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo"



Il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy sta sondando il governo italiano per verificare la  disponibilità alla candidatura di Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo. La fonte è più che autorevole, il Partito popolare europeo, e il dubbio è lecito: davanti alla faccia tosta del premier italiano, arrivato a Strasburgo per la presentazione del semestre italiano in Europa con la convinzione di poter incassare vittorie su tutti i fronti, i popolari (quelli della Merkel, di Juncker e dello stesso Van Rompuy) hanno pensato bene di piazzargli una bella buccia di banana sotto i piedi svelti. Letta è l'uomo che Renzi ha pugnalato lo scorso febbraio pur di arrivare a Palazzo Chigi: avrà il coraggio di dire no alla "mano tesa" dal Ppe, accoltellando nuovamente l'ex premier? Più verosimilmente, Matteo dovrà far viso a cattivo gioco e accettare la candidatura di un esponente del Pd non allineato, probabilmente anti-renziano, ma molto stimato nei salotti europei che contano. Non il massimo per un politico spregiudicato che fino ad oggi ha vissuto di scelte drastiche sugli uomini (molto meno sui contenuti) e che i compromessi li ha semmai imposti e quasi mai subiti.

Van Rompuy: "Mai fatti nomi" - Da Bruxelles però non confermano quanto fatto filtrare dagli ambienti Ppe. Van Rompuy si sarebbe limitato a informare Renzi della "estrema difficoltà" di comporre un pacchetto di nomine complessivo e della possibilità di convocare un nuovo vertice più in là, entro agosto, senza fare cenno a nomi o ipotesi di nomine. Sul tavolo, infatti, nel vertice in corso mercoledì sera c'è la partita delle nomine alle varie Commissioni Ue. Il Pse, secondo quanto si apprende, avrebbe confermato la richiesta di nominare un socialista quale Alto rappresentante per la Politica estera. E qui si torna alla questione Letta.

Il nodo Mogherini - Il pressing dell'Unione europea e nello specifico di Van Rompuy è legato alla candidatura di Federica Mogherini come Alto rappresentante per gli Esteri dell'Ue. In 10-11 paesi si sono opposti al suo nome, il Ppe è contrario perché l'attuale ministro degli Esteri italiano sarebbe troppo "filo-Russia" e non basta il sostegno dei socialisti. Dalle prime indiscrezioni provenienti dal vertice, sembra che Angela Merkel abbia fatto cadere il proprio veto sulla Mogherini, ma la trattativa è ancora lunga. Qualcuno a Strasburgo e Bruxelles aveva nel frattempo avanzato proprio il nome di Letta per la poltrona finita a Juncker, dopo settimane di trattative. E proprio il "no" secco di Renzi al via libera a Letta avrebbe indisposto i popolari europei. Che però, da gran volponi (e da primo partito in Parlamento) hanno già capito come vendicarsi di Matteo lo spaccone.

mercoledì 16 luglio 2014

Abusi edilizi in Senato e lo Stato non vuole pagare

Senato, abusi edilizi a palazzo Giustiziani


di Salvatore Dama 



Oddio, mi casca il Senato in testa! No, non è uno scherzo. Magari lo fosse. E invece è un incubo per la famiglia Marchioni, proprietaria dell’immobile confinante con Palazzo Giustiziani, il fabbricato che ospita uffici e residenze dei senatori a vita e degli ex presidenti di Palazzo Madama. Qui ci sono gli studi che hanno ospitato Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Ma anche le stanze che sono state testimoni della formazione del governo tecnico di Mario Monti. Un luogo leggendario per la politica italiana. Ma il fascino dell’istituzione non fa presa sui Marchioni. Che sono in causa da più di venti anni con lo Stato. Non esattamente con il ramo parlamentare guidato da Pietro Grasso, ma con l’Agenzia del Demanio, che è proprietaria del Palazzo confinante con il loro. 

Che, poi, confinante è un parolone. Nel centro storico di Roma, e qui stiamo davanti al Pantheon, i palazzi si intersecano tra di loro che è una bellezza. Così i Marchioni si trovano a dover avere a che fare con «l’esuberanza» della Camera Alta. Non è un rapporto di vicinato, quello Marchioni-Demanio, è un tetris: sali al secondo piano del loro palazzo, adibito a hotel di lusso, e la sede istituzionale ce l’hai di fronte. Arrivi al terzo piano e il Senato ce l’hai in testa. Una «presenza» inquietante: a seguito di un ampliamento degli uffici di Palazzo Giustiniani, i Marchioni si sono trovati 27 tonnellate di ferro poggiate su un’ala della loro proprietà. Altro che spada di Damocle. Una struttura troppo pesante che le volte originarie non riescono a sorreggere. Sono state puntellate e, al momento, sono il soffitto pericolante di un ambiente dichiarato inagibile. Per questi lavori l’Agenzia del Demanio è stata condannata. E deve ancora 2 milioni di euro per rimettere le cose a posto.


«Nel '94 vennero fatti dei lavori di ristrutturazione», è Giovanni Marchioni a ricostruire i fatti, «purtroppo l’impresa, operando in termini non corretti, ha fatto sì che le volte si rompessero. Di qui l’obbligo del puntellamento del soffitto che ha reso inagibile un intero appartamento della nostra proprietà. In una battuta, Palazzo Giustiniani ci sta franando in testa». E ce n’è un’altra. Al confine tra le due proprietà è stato realizzato un ascensore che serve Palazzo Giustiziani. Sì, ma per costruirlo è stato murato un chiostro e il muro sta a 23 centimetri dalla finestra dei Marchioni.

Secondo abuso edilizio, seconda condanna. Il tribunale ha intimato al Demanio di eliminare il muro. Ma dentro fa su e giù l’ascensore che porta ai piani nobili i senatori a vita, gli ex presidenti del Senato, i funzionari di Palazzo Madama. Prendete Renato Schifani. Come ex seconda carica dello Stato gli tocca l’attico con vista sul Pantheon. È la residenza appartenuta a Cossiga. Al sesto piano. Usare le scale? Giammai. La scalinata è del Seicento, un patrimonio dell’umanità, ma l’umanità non la usa perché è scomoda. L’alternativa è un piccolo e antico ascensorino. Che comunque arriva fino al quinto piano, rimarrebbe una rampa di scale da fare, nel caso di Schifani. Nel palazzo, oltre all’ex seconda carica dello Stato, ci sono gli uffici dei senatori a vita Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia e del povero Carlo Azeglio Ciampi. Ma soprattutto si attende un nuovo e prestigiosissimo «ospite». Giorgio Napolitano è al suo secondo sopralluogo a Palazzo Giustiniani in pochi mesi. 

Logico allora che l’istituzione non voglia privarsi dell’ascensore «parlante» (lo chiamano così perché una voce metallica avvisa i passeggeri all’arrivo al piano), per non fare mancare la comodità a cotanto lignaggio repubblicano. Ancora Giovanni Marchioni: «Nel cortile comune tra la nostra proprietà e Palazzo Giustiniani è stato costruito nel 1991 un muro che ha accorpato una parte dello spazio. All’interno di quella quota è stato montato un ascensore molto più grande del precedente. Ma il muro è stato realizzato a 23 centimetri da una finestra e a un metro da altre. A suo tempo abbiamo fatto causa ottenendo l’esecuzione per la demolizione dell’elevatore. Ma a tutt’oggi non ci siamo riusciti. L’Avvocatura dello Stato sta facendo di tutto, anche utilizzando metodi scorretti e calunniosi, per far sì che l’esecuzione non avvenga. Quell’ascensore è vitale per tutta una serie di personaggi della “casta” che, in alternativa, dovrebbero andare a piedi. Sono passati 24 anni dall’inizio di questa vicenda e i cittadini Marchioni non sono ancora riusciti a ottenere giustizia. Come si può pensare di attrarre investitori stranieri in Italia se nel nostro Paese non si riesce a far eseguire una sentenza?».

L’ultima è che la procura della Corte dei Conti del Lazio ha aperto un’indagine per determinare i danni erariali conseguenti alla mancata esecuzione delle sentenze Marchioni versus Demanio. E, tuttavia, nonostante le condanne, l’Agenzia non ci pensa proprio a smontare l’ascensore. Adesso l’Avvocatura dello Stato è passata al contrattacco. La loro tesi è che le finestre dei Marchioni, quelle a 23 centimetri dall’ascensore dei senatori, potrebbero essere abusive. E che l’eliminazione del muro creerebbe problemi di privacy ai potenti dirimpettai. Marchioni? Non c’ha visto più e ha risposto querelando gli avvocati dello Stato per diffamazione. E al momento non c’è nessuno che come lui, in Italia, desideri l’abolizione del Senato della Repubblica. Giurateci pure.

Santanchè e Ferrari vogliono "L'Unità": cosa hanno in serbo per i giornalisti

Daniela Santanchè e Paola Ferrari, cosa vogliono fare de "L'Unità"


di Andrea Morigi 



A L’Unità sarebbero pronti ad autoimmolarsi piuttosto che cadere nelle mani del nemico. Anzi, della nemica perché ad aver stretto d’assedio l’ultimo ridotto della stampa di sinistra è Daniela Santanchè.

Domenica, insieme alla giornalista e conduttrice televisiva Paola Ferrari, ha presentato un’offerta formale ai liquidatori della testata fondata da Antonio Gramsci. Da mesi, la redazione non vede un euro di stipendio e di contributi e il futuro si prospetta ancora più fosco, se non interverrà un compratore entro il 30 luglio. Finora l’unico dotato di piano industriale e solidità finanziaria, non è gradito al comitato di redazione. Bianca Di Giovanni, a nome dei colleghi, giudica «irricevibile» la proposta d’acquisto. Sono sdegnati per l’ipotesi di un passaggio «a un’esponente di Forza Italia» perché è «incompatibile con la storia del giornale stesso». Chiedono «trasparenza» e sperano che «il segretario del Pd Matteo Renzi intervenga nella vicenda». In sostanza, dopo la chiusura di Il Riformista e Liberazione, e con Europa a rischio, anche per L’Unità si prospetta la disoccupazione, cioè il ricorso al sempre più sofferente sistema previdenziale dei giornalisti.

Eppure il 40,8% degli elettori italiani che hanno votato Pd non si riconoscono certo nelle posizioni di il manifesto. Insomma, ci sarebbe una bella fetta di mercato da coprire, nonostante la crisi della carta stampata. In più la Fnsi, giovedì scorso, nell’esprimere solidarietà ai colleghi ha sottolineato che «il fermo delle pubblicazioni del giornale sarebbe un impoverimento dell’informazione e del suo pluralismo», auspicando il successo di «ogni iniziativa» di «imprenditori onesti e coerenti con la storia del giornale».

L’ultimo treno è in partenza. A bordo c’è anche la Ferrari che, oltre a presentare la Domenica Sportiva su Raiuno, è anche moglie di Marco De Benedetti. E non sarebbe prudente per lei lanciarsi in un’avventura editoriale senza tener conto dell’autorevole parere del marito. E difficilmente quest’ultimo potrebbe prescindere dall’esperienza del padre Carlo, presidente onorario del gruppo editoriale Repubblica - L’Espresso.

Da qui a parlare di sinergie, ce ne corre. Ma nulla proibisce di immaginarle. E tutto si può dire fuorché che i De Benedetti siano di destra. Semmai, potrebbero trasformare la Pitonessa in una SantanChè Guevara. La parlamentare azzurra in realtà si propone di ridar vita a un giornale di sinistra libero, come non gli ha mai consentito il gioco delle correnti interne del partito di riferimento. Portare L’Unità a destra, in fondo, si rivelerebbe un progetto suicida. Viste le prospettive, tanto vale accettare la scommessa.

I ribelli azzurri contro Berlusconi "Non ci fa parlare, ecco cosa faremo"

Forza Italia, sulle riforme scoppia la rivolta contro Berlusconi



Dopo il vertice del Cav con i parlamentari di Forza Italia tra gli azzurri scoppia la rivolta.  "Sono vent'anni che mi date la vostra fiducia, vi chiedo di darmela ancora una volta. Onoriamo il patto del Nazareno, anche se non sono le nostre riforme ideali, ma quelle possibili", ha detto ai suoi il Cav. Ma non tutti nel partito sono pronti a dargli fiducia. E così il primo a dichiarare guerra alla linea dell'ex premier è Augusto Minzolini: "Io continuo a pensare che il prossimo Senato debba essere elettivo, Berlusconi non mi ha convinto". Il pugno di ferro del Cav ha lasciato in tanti senza parole. Tra i più critici oltre Minzolini ci sono Raffaele Fitto, Renata Polverini e qualcuno che non vuole metterci la faccia. 

"Ci autoconvochiamo" - Uno dei dissidenti che restano in incognito afferma: "Berlusconi non ci consente di parlare? Noi allora ci autoconvochiamo in un’assemblea per decidere il da farsi”. In un clima teso, che cambia di minuto in minuto, resta la riunione è convocata per domani. Intanto durante ilo vertice tra i forzisti sono continuati i malumori e i borbottii in sala, minacce di autoconvocazioni per domani, persino diverbi con Berlusconi. Nel corso della riunione il senatore Vincenzo D’Anna e la senatrice fittiana Cinzia Bonfrisco hanno chiesto di poter prendere la parola ma la richiesta non è stata accolta. 

"Vai con Alfano" - Così al termine dell’incontro, D’Anna ha avvicinato Berlusconi ribadendogli le sue perplessità e affermando che sulla linea di collaborazione con Renzi, allora, aveva ragione Angelino Alfano che ci governa insieme: "Conosco le tue critiche, le leggo sui giornali tutti i giorni. Se la pensi così allora vai tu con Alfano", è stata la seccata replica di Berlusconi.  

Profezia-Ruby: "Silvio al processo..." Poi un pizzino per Renzi: "Tu sei..."

Ruby a "Diva e donna": "Berlusconi sarà condannato"



A tre giorni dal verdetto di appello sul processo Ruby, torna a parlare Karima el Mahroug: "Ho sempre creduto che la verità venisse a galla, ma visti i recenti sviluppi sinceramente ho sempre meno speranze... Una volta ho sentito dire: “Dato che non ci sono prove lo condanneranno”. Per me è vero, andrà così: il processo resta un'enorme bufala". Così la marocchina commenta il processo d'Appello in corso a Milano in cui la Procura ha chiesto la conferma della condanna per Silvio Berlusconi a 7 anni di carcere per concussione e prostituzione minorile. Ruby si confessa con un'intervista a “Diva e donna” per il quale ha posato con la figlia Sofia. 

La sua vita dopo il processo - "Non ho mai pensato di scappare in Messico, rimarrò qui finché non ci concluderà il procedimento. Voglio metterci la faccia e continuare la mia vita: Silvio mi ha fatto solo del bene". Sull'arringa del sostituto procuratore generale Piero De Petris dice: "Un'altra persona intelligentissima che si è persa dietro una vicenda folle". Ruby rivela di aver tentato il suicido: "Non l'ho mai raccontato ma una volta, prima di rimanere incinta, ho avuto un crollo. Mi sono sentita sola, abbandonata a me stessa e ho pensato di farla finita. Anzi, ci ho anche provato. Sono finita all'ospedale. Sentivo il mondo contro di me. Contro Ruby, il mostro. Poi è nata Sofia: la mia bambina mi ha dato la forza di andare avanti". 

"Mi piacciono Renzi e Pascale" - Poi Ruby parla anche di Francesca Pascale e afferma: "Non l'ho conosciuta, ma sono felice che il presidente abbia di nuovo una compagna. Mi sembra una donna forte ed è proprio quello di cui lui ha bisogno in questo momento". Infine la marocchina mette nel mirino Matteo Renzi del quale "subisce il fascino": "Mi piace, non mi sono mai interessata di politica, ma credo che sia l'unico che possa sostituire Berlusconi. Per la prima volta un grande comunicatore come lui. E un uomo concreto". Più bello Silvio o Matteo? "È oggettivo: Matteo perché è più giovane...".

Renzi minaccia i parlamentari Pd: "Si fa come dico io, altrimenti..." Ma la fronda prepara l'imboscata

Pd, Renzi ai parlamentari dem: "Fate poche ferie, dobbiamo fare le riforme"



Matteo Renzi incontra i parlamentari del Pd e prova a convincere i dissidenti dem a votare il testo sulle riforme. L'aria è tesa. Renzi chiama a raccolta tutto il gruppo parlamentare del Pd, convoca una riunione rigorosamente in streaming e la allarga al “programma dei mille giorni”, quello che partirà a settembre e che, nelle intenzioni del premier, accompagnerà l’Italia nel percorso del “necessario cambiamento”. Insomma, non solo riforme costituzionali. La sfida ai dissidenti è totale, anche se loro insistono e presentano oltre 50 emendamenti al testo del governo. Sembra una resa dei conti finale.

Minacce - Con il premier che tenta di guardare oltre, uscire dall’angolo del dibattito del Senato, dove considera acquisito il sì dell’aula al suo progetto di riforma costituzionale, ma sa che sui tempi la riforma continua a sfuggirgli di mano. Così ammonisce i dissidenti: "Vi chiedo di fare poche ferie perché abbiamo un sacco di lavoro parlamentare da fare". Parole accolte da un brusio in sala, un vociare che spinge Renzi a dire: "Non facciamo bella figura se reagite soltanto se parlo di ferie, siamo in streaming". Insomma è chiaro che in tanti dentro il Pd sono pronti a fare uno sgambetto alle riforme di Renzi magari alleandosi con i dissidenti di Forza Italia. Ma il premier prova a dettare ancora la linea e i tempi del partito e del governo: "Il prossimo congresso del Pd sarà nel 2017, prima delle elezioni, che si terranno nel 2018". Insomma un avvertimento chiaro: per i prossimi due anni i dem dovranno lavorare sotto gli ordini di Matteo e c'è poco spazio per chi non la pensa come lui.

"Non c'è la crescita" - Infine il premier riconosce gli scarsi risultati raggiunti dal governo soprattutto sul piano della crescita: "Non pensavo prima di diventare premier che indici economici fossero così numerosi, tre al giorno, son peggio dei sondaggi, ognuno li tira come vuole. Quello che dicono è che Nnn piove più ma il sole non è arrivato, c'è foschia. Ma ci sono elementi di speranza, cresce numero occupati in numero assoluto, altri ti fanno capire che la situazione è difficile, il 40,8% ci inchioda alla responsabilità e non ci dà tempo per esultare"