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domenica 29 giugno 2014

LA RABBIA DELL'EX BADANTE ROSI "Da Bossi neanche una telefonata ma io sono pulita, gli altri..."

Rosi Mauro attacca Bossi:  "In due anni neanche una telefonata ma io..."


Sono più di due anni che tace il telefono dell'ex vicepresidente leghista del Senato Rosi Mauro. La Procura di Milano la ha assolta dopo quasi 30 mesi di indagini sul caso Belsito. La sindacalista del Sinpa, il sindacato una volta legato alla Lega, era accusata anche di aver comprato i diamanti dall'Africa con i soldi del partito, ha resistito alla vicepresidenza a palazzo Madama convinta della sua innocenza, come racconta in un'intervista a Panorama.it mentre tutto il partito, a partire dal segretario dell'epoca Roberto Maroni, le urlava di dimettersi.

Nessuna telefonata - Se ogni tanto squilla il telefono della Mauro è solo per le telefonate dei pochi veri amici e militanti leghisti che non se ne sono mai allotanati. Il cerchio magico ha esaurito il suo incantesimo, dopo che la Mauro ne è stata un pilastro indispensabile, tanto da farle guadagnare da Umberto Bossi quello che a suo modo era un complimento: "Tu per me sei un vero uomo" diceva alla sindacalista il Senatur, eclissatosi come tutti gli altri nomi noti della Lega, compreso il suo ex collega al comune di Milano e oggi segretario leghista Matteo Salvini: "Nessuno di loro mi ha chiamata - dice al sito di Panorama - né ora né in questi orribili due anni e due mesi". Che ci sia stata una regia dietro le accuse di Belsito alla "badante", dai più vista male anche per le origini salentine, lei stessa non può escluderlo: "Qualcuno dice che non è stato un complotto, io oggi continuo a dire: è stato un compltto. E questa è la cosa che mi provoca dolore".

Il cerchio - Secondo la Mauro il cerchio magico era un'invenzione giornalistica, è vero anche, le ricorda Panorama, che è riuscita a non dimettersi dalla carica in Senato fino alla fine, resistendo anche alla visione in diretta a Porta a Porta del congresso leghista con le ramazze verdi agitate da Maroni, con la presenza anche di Bossi piangente: "Mi dissi: addesso mi sveglio - continua la Mauro - perché questo è un incubo". Da vice di Renato Schifani ha concluso la legislatura, è stata espulsa all'unanimità dal partito e dopo poco il suo sindacato non solo l'ha riconfermata segretario, ma senza un voto contrario ha deciso compatto di non avere più nulla a che fare con il partito leghista: "E adesso attendo il decreto di archiviazione". Sorte diversa invece per Umberto Bossi, i figli Riccardo e Renzo e altre sei persone, per le quali è stato richiesto il rinvio a giudizio: "Ho letto le dichiarazioni in cui afferma: siamo innocenti - commenta la Mauro - Io dico: buon per loro, se hanno le prove dimostrerano la propria innocenza, come io ho dimostrato la mia".

L'ULTIMO DELIRIO GRILLINO E' SERVITO "Vietiamo le bistecche per legge"

L'ULTIMO DELIRIO GRILLINO E' SERVITO: "Vietiamo le bistecche per legge"


di Luciano Capone 


«Gli italiani hanno fame e voi gli avete tolto il pane agli italiani!», gridava con voce rotta dall’emozione Alessandro Di Battista del M5S contro Roberto Speranza del Pd in una lite recitatissima davanti alle telecamere a Montecitorio. Ora “Diba” (così lo chiamano i fan) agli italiani vuole togliere il prosciutto. Ma anche la mortadella, gli hamburger e il petto di pollo, insomma ogni tipo di carne. La crisi ha costretto le famiglie ad una drastica spending review sulla lista della spesa, ma non basta, bisogna eliminare del tutto la carne. L’obiettivo di Diba, che si definisce «dipendente del popolo italiano», non è quello di affamare i propri datori di lavoro, ma bloccare l’immigrazione. In un post su Facebook confessa la sua conversione al vegetarianesimo: «Vi scrivo dal Cairo, ho scoperto che alcuni scafisti che conducono i migranti verso le nostre coste sono ex-pescatori costretti al contrabbando di uomini dall’impoverimento del mare egizio».

Secondo Di Battista, mangiando pesce impoveriamo il mare e togliamo quindi lavoro ai pescatori che sono costretti, poverini, a diventare scafisti. La tesi è affascinante e va seguita, perché c’è dell’altro: «Le monocoltivazioni di cereali rivolte agli allevamenti intensivi sono una delle cause dell’abbandono delle campagne da parte dei contadini che si riversano nelle periferie degradate delle città per poi fuggire in direzione Ue o Usa». Inoltre mangiare l’arrosto non solo crea disoccupazione, ma, sempre a causa degli allevamenti intensivi, è responsabile «dell'effetto serra e di quei cambiamenti climatici che producono siccità e desertificazione». Non finisce qui, perché costate e insaccati provocano anche povertà, miseria e guerre per controllare le risorse idriche. Insomma per la pace nel mondo bisognerebbe bandire salami e bresaole.

Di Battista è colpito dalla folgorante illuminazione sulla via del Cairo, dove è in missione con la commissione Affari Esteri per incontrare il presidente egiziano Abdelfattah Al-Sisi. Si tratta del capo del governo contro cui Diba pochi mesi fa scagliava parole di fuoco per la repressione contro i Fratelli Musulmani: «Chi ha ordinato la strage va processato da organismi internazionali come è avvenuto in Serbia – scriveva su Facebook – Il governo dei militari va disconosciuto senza alcun distinguo. Nuove elezioni vanno indette al più presto». Uno si immagina che Diba le canti in faccia allo «stragista», ma quando se lo trova davanti fa la foto ricordo con il generale.

Non ce l’ha fatta, non se l’è sentita. E così fa anche con la carne: «Non riesco ad essere vegetariano del tutto. Riesco a rinunciare alla carne per mesi ma poi, puntualmente, ci ricasco». Diba è così, se deve salire sul tetto di Montecitorio lo fa ad occhi chiusi, ma non riesce a rinunciare a una fettina di culatello. Il pasionario pentastellato non cerca scuse, sa che è difficile per tutti privarsi di una bistecca, quindi c’è bisogno di una legge: «Mangiare meno carne è una scelta politica che ognuno di noi deve fare. E per questo il legislatore deve trattare urgentemente la questione». Questa non è una scelta individuale di Diba, ma una battaglia politica dei 5 Stelle. Chi invece è favorevole alle bistecche e all’allevamento si iscriva al Movimento 5 Stalle.



PASCALE E FELTRI CON ARCIGAY Una tessera per Francesca e Vittorio "Ecco perchè ci siamo iscritti..."

Pascale e Feltri si iscrivono a Arcigay



"Francesca Pascale e Vittorio Feltri annunciano la loro iscrizione all'arcigay poiché ne condividono le battaglie in favore dell'estensione massima dei diritti civili e della libertà". E' quanto si legge in una nota della segreteria di redazione de "Il Giornale". L'editorialista e la fidanzata del Cav hanno scelto di aderire all'associazione che difende i diritti degli omosessuali per mostrare la loro vicinanza al mondo omo. Francesca Pascale già qualche giorno fa aveva rilasciato un'intervista al Corriere del mezzogiorno in cui ha lanciato un vero e proprio appello al mondo del centrodestra perchè difenda i diritti del mondo omosessuale soprattutto sul fronte delle unioni civili.

La campagna di Francesca - "Lo dico da cristiana, da cattolica, da donna che vive nella condizione di coppia di fatto: sì alle unioni civili, sì al rispetto per la libertà individuale. Cristo ha detto: ama il prossimo tuo come te stesso. Non ha insegnato a fare differenza tra gay ed etero. Ecco, mi piacerebbe se il centrodestra aprisse i suoi orizzonti e affermasse: siamo liberali fino in fondo e non soltanto quando ci interessa o quando ci fa comodo. Va bene rispettare ciò che dice la Chiesa, ma la Chiesa deve rispettare anche la libertà di uno stato laico e non confessionale, altrimenti si sconfina nella discriminazione di chi non è cattolico", aveva detto la fidanzata di Silvio Berlusconi.

La scelta di Feltri - Anche Vittorio Feltri ha detto sì all'arcigay e spiega la sua scelta così: “Noi – rileva l’editorialista del Il Giornale – siamo per la libertà, senza discriminazioni, convinti che sia necessario superare i pregiudizi che generano equivoci, banalità, insulti noiosi e stupidi. Quando si tratta di trasformare i diritti in fatti concreti si trovano tutti in difficoltà. Renzi ha fatto tanti annunci e poi è finito in un sistema istituzionale che rende difficile qualsiasi iniziativa. Ogni volta che ci ha provato Berlusconi si è trovato il mondo addosso. Finché si tratta di chiacchiere – dice – sono tutti d’accordo, quando è l’ora di trasformarle in fatti concreti si incontrano gli ostacoli”. Per Feltri non è un problema l’iscrizione a un’organizzazione da sempre schierata a sinistra: “quando si tratta di diritti civili non esistono destra o sinistra. Il nostro – conclude – è un gesto simbolico, speriamo che contribuisca ad ottenere qualche risultato”.

sabato 28 giugno 2014

L'ITALIA CHE NON TI ASPETTI Il Sud più ricco del Nord: leggi perché

Stipendi, al Sud sono più alti



E’ un’Italia assolutamente diversa da quella solita: infatti è un Paese alla rovescia quello che viene fuori da una ricerca degli economisti Tito Boeri della Bocconi, Andrea Ichino dell’Istituto universitario europeo ed Enrico Moretti dell’Università californiana di Berkeley di cui dà conto il Corriere della Sera che sarà presentata domani 27 giugno a Roma dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti.

Dalla ricerca emerge che le province più ricche sono quelle del Sud: al primo posto Caltanissetta, poi Crotone, Enna, Siracusa, e solo al sesto posto appare una del Nord come Pordenone. Le più povere sono tutte al Settentrione e al Centro: Savona, Roma, Imperia, Rimini, Genova. La domanda è : come mai? Il punto è che anche se il reddito disponibile delle famiglie è circa la metà di Milano e la disoccupazione è tre volte più alta, il costo della vita in Sicilia è di gran lunga più basso. Un esempio: un cassiere di banca ragusano con cinque anni di anzianità ha uno stipendio del 7,5% inferiore al suo collega milanese.

Ma se si tiene conto del differente costo della vita, allora si scopre che la sua busta paga è più alta del 27,3%. Non solo: per avere lo stesso potere d’acquisto del cassiere di Ragusa, il bancario di Milano dovrebbe guadagnare addirittura il 70% in più. Nel settore pubblico le differenze a favore dei dipendenti meridionali sono ancora più evidenti. Il salario di un insegnante di scuola elementare con cinque anni di anzianità è uguale in tutte le Regioni italiane: 1305 euro al mese.

Un retribuzione che però in base al diverso prezzo di indice al consumo vale 1051 euro reali a Milano e 1549 a Ragusa. Con un vantaggio del 47% a favore della città siciliana. Su banco degli imputati della ricerca salgono “l’apparente equità della contrattazione nazionale” che determina “distorsioni, inequità ed inefficienze”. Secondo gli autori bisognerebbe legare in modo più stretto le retribuzioni alla produttività con gli accordi locali che dovrebbero prevalere su quelli nazionali.

Spending review Madia: "Altri 60mila statali presto assunti"

Pubblica amministrazione: ""Assumeremo altri 60mila statali"


di Antonio Castro



«I nuovi ingressi saranno 60mila nei prossimi tre anni». Miracoli dell’Italia dell’era renziana: inizialmente le nuove assunzioni per gli statali, se sfogliamo la prima bozza dei decreti e ddl di riforma della Pubblica amministrazione, erano 10mila. Poi Matteo Renzi - in diretta tv e a favore delle telecamere dei tg - annunciava 15mila assunzioni. O meglio: all’interno della riforma ci sono «norme su ricambio generazionale, che permettono di creare 15mila posti con la modifica dell’istituto del trattenimento in servizio». 

Martedì mattina il sottosegretario Angelo Rughetti (che abbiamo provato ad intervistare ma era “impantanato” in commissioni parlamentari fino a sera), ha confidato a «Repubblica» che «i nuovi ingressi saranno 60mila nei prossimi tre anni». Chissà cosa ne penserà il commissario straordinario alla spending review, Carlo Cottarelli, che proprio oggi deve intervenire in commissione Affari costituzionali della Camera (audizione prevista per le ore 14), e che giusto a marzo aveva ipotizzato 85mila esuberi tra il personale della macchina statale. Certo, i travet ministeriali (ma ci sono anche i dipendenti di enti locali, scuola e sanità), dovranno andare in pensione, e poi - vista l’età media (la metà del personale ha oltre 50 anni, dati Aran; giugno 2013) - un cambio generazionale appare necessario. Se non fosse per quegli odiosi vincoli imposti dalla riforma delle pensioni (legge Fornero), che trattiene in servizio il personale pubblico e privato, salvo scappare anticipatamente e rimetterci però fino all’8% della pensione (anticipo con penalità del 2% annuo). 

Tra ministeri, ospedali, scuole, tribunali, caserme, enti locali e enti di ricerca lo Stato italiano è il più imponente datore di lavoro d’Italia: oltre 3.238.474 dipendenti a tempo indeterminato (Conto annuale del Tesoro 2012). Poi c’è la marea multiforme dei contratti a tempo, dei contratti atipici, dei precari insomma (altri 300mila persone), che rischiano di maturare la pensione (?), saltando da un contratto all’altro in attesa della promessa stabilizzazione. Se è vero che lo Stato datore di lavoro non paga molto - in media 34mila euro lordi, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato - c’è almeno la certezza della stabilità: insomma, il famoso posto a vita che tutti gli altri lavoratori si sognano (soprattutto di questi tempi).

Guadagneranno mediamente poco, ma tirando la somme si tratta di uscite fisse per 161 miliardi (circa il 10% del Prodotto interno lordo), e solo per gli stipendi. Il problema non è tanto quanto incassano, ma il numero. Tre milioni e mezzo di dipendenti ai quali aggiungere una marea di consulenti. Alcuni sono professoroni che concedono il proprio sapere a ministri e ministeri, enti locali e Asl, ma tanti, tantissimi sono “partite Iva”, precettate direttamente dai dirigenti per affrontare un problema, stendere un rapporto o per funzioni e competenze che nel “perimetro” della pubblica amministrazione non è possibile svolgere in altro modo che cercando professionisti esterni. 

La famosa mobilità («entro i 50 chilometri»), che in teoria dovrebbe risolvere il problema dei vuoti d’organico in alcune amministrazioni travasando da quelle strapiene di personale quello eccesso/esubero, è come un’aspirina per un malato intubato. 
La storia poi delle assunzioni che lievitano a seconda di chi ne parla, sembra aver fatto infuriare pure i solitamente placidi sindacalisti della Uil che per sono quelli più rappresentativi proprio nel pubblico impiego (insieme alla Cisl). 

A quasi due settimane dalla presentazione delle norme un po’ vaghe e confuse, tanto da aver fatto arricciare più di qualche naso anche al Quirinale, i sindacalisti (poco coinvolti nella riscrittura), ora cominciano ad averne abbastanza: «Le illusioni continuano», attacca a muso duro il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo, «infatti, il sottosegretario alla funzione pubblica sostiene, che ci saranno nuove assunzioni per 60.000 giovani in tre anni. Ogni giorno che passa si aumenta il numero: da 10.000 nel testo iniziale a 15.000 nella conferenza stampa, ai 60.000 di Rughetti». Foccillo, una vita passata nel mondo sindacale, non ne può veramente più: «Ma veramente qualcuno può immaginare che qualche anziano che va via o che l’esonero non concesso, o la mobilità possano cambiare la macchina amministrativa e favorire l’occupazione? Certamente è la fiera dei sogni. Hanno il coraggio di chiamarla riforma della Pa», ironizza il dirigente dell Uil: «Ma riforma di cosa? Se sono vere le anticipazioni dei mass media è un semplice affastellamento di norme inconciliabili fra di loro e di nessuna organicità». Certo i sindacati sono infuriati per non essere stati coinvolti, però ora a 2 settimane dall’annuncio televisivo servirebbe almeno un testo “vero” sul quale discutere, litigare, magari scannarsi. E invece no. «Qualcuno, ancora», prosegue Foccilo, «dovrebbe spiegare qual è il carattere d’urgenza di questo provvedimento». Che teme un voto di fiducia per far passare una riforma “affastellata”. «Magari», ipotizza malizioso il sindacalista, «forse per limitare ancora di più, anche in Parlamento, la discussione, si approverà il decreto con un voto di fiducia». E un sospetto, che le lungaggini nel partorire un testo pubblico siano dovute alle resistenze (e all’attività di riscrittura) per far contenti i papaveri ministeriali. Ma Renzi non doveva fare fuori i potenti mandarini padroni della macchina pubblica?

TIRA ARIA DI RIMPASTO Alfano agli Esteri: leggi tutti i nomi

Via la Mogherini parte il rimpasto: al posto di Lupi...



Il premier vuole i due fedelissimi Lotti e Reggi nella compagine governativa


Matteo Renzi sta fortemente sponsorizzando la nomina di Federica Mogherini a responsabile della politica estera dell'Unione europea. Una mossa che frenerebbe le chance di Enrico Letta a presidente del Consiglio europeo. E che per il premier produrrebbe una ltro vantaggio: poter avviare con meno clamore un ricambio della compagine governativa che avrebbe il suo culmine il prossimo autunno. "Rimpasto", si chiama, anche se Renzi si rifiuterà in ogni caso di usare quel trmine importato tale e quale dalla Prima Repubblica.

Il primo obiettivo del capo del governo sarà quello di ricalibrare il peso delle varie forze politiche a Palazzo Chigi tenendo conto del loro valore espresso con le ultime elezioni europee. Nel mirino c'è innanzitutto il Nuovo centrodestra e il suo leader Angelino Alfano. Che, secondo quanto riporta oggi il quotidiano "La Repubblica" dovrebbe lasciare il Viminale. Luogo nel quale ha dovuto guadare più di una tempesta, uscendone con una immagine certo un po' sfuocata. Ma al suo principale alleato di governo, Renzi riserverebbe comunque un trattamento di favore, facendolo approdare alla Farnesina appena liberata dalla Mogherini. Un ministero altrettanto importante ma politicamente meno esposto, considerato anche l’iper-attivismo di Renzi in politica estera. Al posto lasciato libero di Alfano andrebbe Marco Minniti, attuale sottosegretario con delega ai Servizi e consolidata esperienza nel mondo della sicurezza.

Ma le novità per Ncd non finirebbero qui. Perché da tempo Renzi ha messo gli occhi sul ministero delle Infrastrutture, una casella che considera essenziale, insieme a quella dell’Istruzione, per la seconda fase del suo governo. Maurizio Lupi, titolare di quella delega, ha a disposizione fino al 30 giugno per decidere se restare a Roma oppure optare per Bruxelles. Dall’Ncd raccontano che preferirebbe restare al ministero di Porta Pia e che della scelta tra Roma e Bruxelles avrebbe discusso a lungo con Angelino Alfano in una riunione ristretta al Viminale mercoledì scorso. Il gossip Pd indica nel sottosegretario Luca Lotti, fidato braccio destro del premier, il successore di Lupi. Ma lo stesso Lotti potrebbe restare al suo posto a palazzo Chigi assommando tra le sue deleghe anche quella ai Servizi ora di Minniti.

Altra poltrona notoriamente tremolante è quella su cui è seduta al Miur Stefania Giannini, reduce dalla liquefazione di Scelta Civica. L'idea di renzi sarebbe quella di "spacchettare" il mega-ministero per farne due: quello dell’Università, che resterebbe in capo alla Giannini, e quello dell’Istruzione, che verrebbe affidato alle cure del democratico Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza e coordinatore della campagna per le primarie di Renzi. Un fedelissimo dunque, come Lotti.

L’ultima pedina che potrebbe saltare, scrive sempre "La Repubblica", è quella del ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, che ha in mano la partita strategica dell’Expo. Il suo difetto sarebbe quello di essere ancora troppo bersaniano, non allineato al nuovo corso del Nazareno.


RENZI FIRMA IL PATTO COL DIAVOLO Ecco come la Merkel ha fregato Matteo

Ue, Matteo Renzi e il patto con la Merkel: "Flessibilità in cambio di riforme"



Matteo Renzi ha firmato un patto col diavolo. Dopo il vertice Ue e il faccia a faccia con Angela Merkel, il premier italiano porta a casa sostanzialmente un impegno da parte dell'Europa sulla flessibilità dei vincoli di Bruxelles a patto che il governo italiano realizzi le riforme. Di fatto la Merkel ha consegnato Renzi nelle mani della minoranza Pd. Renzi torna a casa dal Consiglio Europeo senza aver ottenuto riferimenti espliciti alla possibilità di escludere dal patto di stabilità due questioni cruciali: il cofinanziamento nazionale dei fondi Ue e il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione. Sono due voci di spesa che pesano moltissimo sul bilancio pubblico. Per l'Italia dunque quello siglato da Renzi è un patto a metà, e comunque modesto rispetto alle attese. 

La fronda - Di certo la fronda del Pd farà di tutto per affossare le riforme. E così di conseguenza cadrebbero anche i "nuovi accordi" con la Merkel che tornerebbe alla carica sulla linea del rigore segnando la fine di Renzi e della sua esperienza a palazzo Chigi. Il Pd, ovvero quella parte che non ha mai digerito il premier, raduna le truppe e prova a mandare messaggi di guerra a Renzi. Il primo è stato Pier Luigi Bersani che ha proposto ancora il nome di Enrico Letta per la presidenza del Consiglio Ue, guadagnandosi subito dai suoi l'etichetta di "Chiti" dal nome del senatore che sta cercando in tutti i modi di affondare la riforma del Senato voluta da Renzi.

L'ultimatum - Così premier da Bruxelles risponde alla fronda con un ultimatum, alla minoranza interna. Sebbene sia convinto che alla fine i dissensi rientreranno. “E’ sorprendente che tutte le volte che c’è da fare battaglia in Europa, c’è una parte del partito, ancorché minoritaria, che apre discussioni che sembravano chiuse: mi riferisco alle riforme costituzionali…”. Insomma al Nazareno tira aria di bufera. Renzi al ritorno non potrà godersi il sole di Roma...