Visualizzazioni totali

sabato 28 giugno 2014

Spending review Madia: "Altri 60mila statali presto assunti"

Pubblica amministrazione: ""Assumeremo altri 60mila statali"


di Antonio Castro



«I nuovi ingressi saranno 60mila nei prossimi tre anni». Miracoli dell’Italia dell’era renziana: inizialmente le nuove assunzioni per gli statali, se sfogliamo la prima bozza dei decreti e ddl di riforma della Pubblica amministrazione, erano 10mila. Poi Matteo Renzi - in diretta tv e a favore delle telecamere dei tg - annunciava 15mila assunzioni. O meglio: all’interno della riforma ci sono «norme su ricambio generazionale, che permettono di creare 15mila posti con la modifica dell’istituto del trattenimento in servizio». 

Martedì mattina il sottosegretario Angelo Rughetti (che abbiamo provato ad intervistare ma era “impantanato” in commissioni parlamentari fino a sera), ha confidato a «Repubblica» che «i nuovi ingressi saranno 60mila nei prossimi tre anni». Chissà cosa ne penserà il commissario straordinario alla spending review, Carlo Cottarelli, che proprio oggi deve intervenire in commissione Affari costituzionali della Camera (audizione prevista per le ore 14), e che giusto a marzo aveva ipotizzato 85mila esuberi tra il personale della macchina statale. Certo, i travet ministeriali (ma ci sono anche i dipendenti di enti locali, scuola e sanità), dovranno andare in pensione, e poi - vista l’età media (la metà del personale ha oltre 50 anni, dati Aran; giugno 2013) - un cambio generazionale appare necessario. Se non fosse per quegli odiosi vincoli imposti dalla riforma delle pensioni (legge Fornero), che trattiene in servizio il personale pubblico e privato, salvo scappare anticipatamente e rimetterci però fino all’8% della pensione (anticipo con penalità del 2% annuo). 

Tra ministeri, ospedali, scuole, tribunali, caserme, enti locali e enti di ricerca lo Stato italiano è il più imponente datore di lavoro d’Italia: oltre 3.238.474 dipendenti a tempo indeterminato (Conto annuale del Tesoro 2012). Poi c’è la marea multiforme dei contratti a tempo, dei contratti atipici, dei precari insomma (altri 300mila persone), che rischiano di maturare la pensione (?), saltando da un contratto all’altro in attesa della promessa stabilizzazione. Se è vero che lo Stato datore di lavoro non paga molto - in media 34mila euro lordi, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato - c’è almeno la certezza della stabilità: insomma, il famoso posto a vita che tutti gli altri lavoratori si sognano (soprattutto di questi tempi).

Guadagneranno mediamente poco, ma tirando la somme si tratta di uscite fisse per 161 miliardi (circa il 10% del Prodotto interno lordo), e solo per gli stipendi. Il problema non è tanto quanto incassano, ma il numero. Tre milioni e mezzo di dipendenti ai quali aggiungere una marea di consulenti. Alcuni sono professoroni che concedono il proprio sapere a ministri e ministeri, enti locali e Asl, ma tanti, tantissimi sono “partite Iva”, precettate direttamente dai dirigenti per affrontare un problema, stendere un rapporto o per funzioni e competenze che nel “perimetro” della pubblica amministrazione non è possibile svolgere in altro modo che cercando professionisti esterni. 

La famosa mobilità («entro i 50 chilometri»), che in teoria dovrebbe risolvere il problema dei vuoti d’organico in alcune amministrazioni travasando da quelle strapiene di personale quello eccesso/esubero, è come un’aspirina per un malato intubato. 
La storia poi delle assunzioni che lievitano a seconda di chi ne parla, sembra aver fatto infuriare pure i solitamente placidi sindacalisti della Uil che per sono quelli più rappresentativi proprio nel pubblico impiego (insieme alla Cisl). 

A quasi due settimane dalla presentazione delle norme un po’ vaghe e confuse, tanto da aver fatto arricciare più di qualche naso anche al Quirinale, i sindacalisti (poco coinvolti nella riscrittura), ora cominciano ad averne abbastanza: «Le illusioni continuano», attacca a muso duro il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo, «infatti, il sottosegretario alla funzione pubblica sostiene, che ci saranno nuove assunzioni per 60.000 giovani in tre anni. Ogni giorno che passa si aumenta il numero: da 10.000 nel testo iniziale a 15.000 nella conferenza stampa, ai 60.000 di Rughetti». Foccillo, una vita passata nel mondo sindacale, non ne può veramente più: «Ma veramente qualcuno può immaginare che qualche anziano che va via o che l’esonero non concesso, o la mobilità possano cambiare la macchina amministrativa e favorire l’occupazione? Certamente è la fiera dei sogni. Hanno il coraggio di chiamarla riforma della Pa», ironizza il dirigente dell Uil: «Ma riforma di cosa? Se sono vere le anticipazioni dei mass media è un semplice affastellamento di norme inconciliabili fra di loro e di nessuna organicità». Certo i sindacati sono infuriati per non essere stati coinvolti, però ora a 2 settimane dall’annuncio televisivo servirebbe almeno un testo “vero” sul quale discutere, litigare, magari scannarsi. E invece no. «Qualcuno, ancora», prosegue Foccilo, «dovrebbe spiegare qual è il carattere d’urgenza di questo provvedimento». Che teme un voto di fiducia per far passare una riforma “affastellata”. «Magari», ipotizza malizioso il sindacalista, «forse per limitare ancora di più, anche in Parlamento, la discussione, si approverà il decreto con un voto di fiducia». E un sospetto, che le lungaggini nel partorire un testo pubblico siano dovute alle resistenze (e all’attività di riscrittura) per far contenti i papaveri ministeriali. Ma Renzi non doveva fare fuori i potenti mandarini padroni della macchina pubblica?

TIRA ARIA DI RIMPASTO Alfano agli Esteri: leggi tutti i nomi

Via la Mogherini parte il rimpasto: al posto di Lupi...



Il premier vuole i due fedelissimi Lotti e Reggi nella compagine governativa


Matteo Renzi sta fortemente sponsorizzando la nomina di Federica Mogherini a responsabile della politica estera dell'Unione europea. Una mossa che frenerebbe le chance di Enrico Letta a presidente del Consiglio europeo. E che per il premier produrrebbe una ltro vantaggio: poter avviare con meno clamore un ricambio della compagine governativa che avrebbe il suo culmine il prossimo autunno. "Rimpasto", si chiama, anche se Renzi si rifiuterà in ogni caso di usare quel trmine importato tale e quale dalla Prima Repubblica.

Il primo obiettivo del capo del governo sarà quello di ricalibrare il peso delle varie forze politiche a Palazzo Chigi tenendo conto del loro valore espresso con le ultime elezioni europee. Nel mirino c'è innanzitutto il Nuovo centrodestra e il suo leader Angelino Alfano. Che, secondo quanto riporta oggi il quotidiano "La Repubblica" dovrebbe lasciare il Viminale. Luogo nel quale ha dovuto guadare più di una tempesta, uscendone con una immagine certo un po' sfuocata. Ma al suo principale alleato di governo, Renzi riserverebbe comunque un trattamento di favore, facendolo approdare alla Farnesina appena liberata dalla Mogherini. Un ministero altrettanto importante ma politicamente meno esposto, considerato anche l’iper-attivismo di Renzi in politica estera. Al posto lasciato libero di Alfano andrebbe Marco Minniti, attuale sottosegretario con delega ai Servizi e consolidata esperienza nel mondo della sicurezza.

Ma le novità per Ncd non finirebbero qui. Perché da tempo Renzi ha messo gli occhi sul ministero delle Infrastrutture, una casella che considera essenziale, insieme a quella dell’Istruzione, per la seconda fase del suo governo. Maurizio Lupi, titolare di quella delega, ha a disposizione fino al 30 giugno per decidere se restare a Roma oppure optare per Bruxelles. Dall’Ncd raccontano che preferirebbe restare al ministero di Porta Pia e che della scelta tra Roma e Bruxelles avrebbe discusso a lungo con Angelino Alfano in una riunione ristretta al Viminale mercoledì scorso. Il gossip Pd indica nel sottosegretario Luca Lotti, fidato braccio destro del premier, il successore di Lupi. Ma lo stesso Lotti potrebbe restare al suo posto a palazzo Chigi assommando tra le sue deleghe anche quella ai Servizi ora di Minniti.

Altra poltrona notoriamente tremolante è quella su cui è seduta al Miur Stefania Giannini, reduce dalla liquefazione di Scelta Civica. L'idea di renzi sarebbe quella di "spacchettare" il mega-ministero per farne due: quello dell’Università, che resterebbe in capo alla Giannini, e quello dell’Istruzione, che verrebbe affidato alle cure del democratico Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza e coordinatore della campagna per le primarie di Renzi. Un fedelissimo dunque, come Lotti.

L’ultima pedina che potrebbe saltare, scrive sempre "La Repubblica", è quella del ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, che ha in mano la partita strategica dell’Expo. Il suo difetto sarebbe quello di essere ancora troppo bersaniano, non allineato al nuovo corso del Nazareno.


RENZI FIRMA IL PATTO COL DIAVOLO Ecco come la Merkel ha fregato Matteo

Ue, Matteo Renzi e il patto con la Merkel: "Flessibilità in cambio di riforme"



Matteo Renzi ha firmato un patto col diavolo. Dopo il vertice Ue e il faccia a faccia con Angela Merkel, il premier italiano porta a casa sostanzialmente un impegno da parte dell'Europa sulla flessibilità dei vincoli di Bruxelles a patto che il governo italiano realizzi le riforme. Di fatto la Merkel ha consegnato Renzi nelle mani della minoranza Pd. Renzi torna a casa dal Consiglio Europeo senza aver ottenuto riferimenti espliciti alla possibilità di escludere dal patto di stabilità due questioni cruciali: il cofinanziamento nazionale dei fondi Ue e il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione. Sono due voci di spesa che pesano moltissimo sul bilancio pubblico. Per l'Italia dunque quello siglato da Renzi è un patto a metà, e comunque modesto rispetto alle attese. 

La fronda - Di certo la fronda del Pd farà di tutto per affossare le riforme. E così di conseguenza cadrebbero anche i "nuovi accordi" con la Merkel che tornerebbe alla carica sulla linea del rigore segnando la fine di Renzi e della sua esperienza a palazzo Chigi. Il Pd, ovvero quella parte che non ha mai digerito il premier, raduna le truppe e prova a mandare messaggi di guerra a Renzi. Il primo è stato Pier Luigi Bersani che ha proposto ancora il nome di Enrico Letta per la presidenza del Consiglio Ue, guadagnandosi subito dai suoi l'etichetta di "Chiti" dal nome del senatore che sta cercando in tutti i modi di affondare la riforma del Senato voluta da Renzi.

L'ultimatum - Così premier da Bruxelles risponde alla fronda con un ultimatum, alla minoranza interna. Sebbene sia convinto che alla fine i dissensi rientreranno. “E’ sorprendente che tutte le volte che c’è da fare battaglia in Europa, c’è una parte del partito, ancorché minoritaria, che apre discussioni che sembravano chiuse: mi riferisco alle riforme costituzionali…”. Insomma al Nazareno tira aria di bufera. Renzi al ritorno non potrà godersi il sole di Roma...

ALTA TENSIONE FINI-BOLDRINI "Sei solo una meschina". E lei... Ecco perchè è scoppiata la lite

Almirante, Fini attacca la Boldrini: "Una meschina a non partecipare..." E lei va dai partigiani




"Una meschina". Gianfranco Fini non l'ha presa bene. Dopo essere stato silurato da donna Assunta Almirante dalle celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Giorgio Almirante , ora Fini attacca Laura Boldrini. L'ex leader futurista non ha mandato giù l'assenza della presidente della Camera alla commemorazione dello storico padre della destra italiana. Così su facebook spara: "Nonostante Giorgio Almirante avesse nostalgia per il futuro, il meschino comportamento della Presidente Boldrini autorizza la nostalgia per il passato. Un passato in cui la Camera era presieduta da una donna come Nilde Iotti, anche lei di sinistra, ma di ben altro spessore umano oltre che politico". 

Rabbia Gianfry - Un attacco in piena regola. Forse dettato anche dalla rabbia per non essere stato invitato a quella cerimonia a cui tanto teneva. Per Fini la moglie di Almirante non ha certo speso parole tenere. Quando ha saputo dei dubbi di Gianfry che attendeva l'invito per la commemorazione, ha fulminato l'ex leader di An così:"Te credo che nun l'hai ricevuto. Non te l'ho proprio mandato, ormai non fai più parte della nostra storia". Insomma a Gianfry non resta che sfogarsi con la Boldrini. Che comunque va detto, con la famiglia Almirante e con un pezzo di storia del nostro Paese non ha certo fatto una bella figura... Intanto dopo aver snobbato la cerimonia di Almirante, la Boldrini partecipa alle reunion partigiane. La presidente è andata ad Ascoli alla cerimonia per l'intitolazione di una targa alle donne partigiane. Per lei esiste una sola memoria: rossa...

venerdì 27 giugno 2014

VENDETTA DEL GIUDICE ESPOSITO Ecco cosa ha fatto contro il giornalista che lo intervistò sulla sentenza Mediaset

Il giudice Esposito contro il premio Ischia ad Antonio Manzo, che lo intervistò sulla sentenza Mediaset




Il giudice Antonio Esposito ha emesso una sentenza mai richiesta sull'assegnazione del premio Ischia al giornalista del Mattino Antonio Manzo: quel premio "non s'ha da dare". Come riporta Marco Lillo sul Fatto Quotidiano, il magistrato ha ancora il dente avvelenato per l'intervista rilasciata al quotidiano campano e raccolta dallo stesso Manzo nell'agosto 2013, quando commentava la sentenza di condanna in via definitiva a Silvio Berlusconi per frode fiscale a 4 anni dicendo sostanzialmente che l'ex premier "non poteva non sapere" quel che accadeva nelle sue aziende.

Fermate quel premio - Esposito (non si capisce assolutamente a quale titolo) ha preso carta e penna per scrivere al presidente della giuria del premio di giornalismo Giulio Anselmi, già direttore di Espresso, Stampa, Ansa, oltre che ad altri giurati (tra i nomi che compongono la giuria ci sono i direttori del Mattino, Alessandro Barbano, dell'Ansa Luigi Contu, del Messaggero Virman Cusenza, e di SkyTg24 Sarah Varetto).

La missiva, riporta il Fatto per voce dell'avvocato di Esposito, chiede che il riconoscimento speciale a Manzo sia sospeso o revocato "a fronte di un'azione risarcitoria" avanzata da Esposito contro Manzo, il direttore del Mattino e l'editore Caltagirone che potrebbero rimetterci 2 milioni di euro per un'intervista, continua il legale "così gravemente manipolata". L'avvocato non esclude che Esposito possa rivalersi a questo punto anche contro la fondazione Valentino, che organizza il premio sotto l'altro patronato di del Presidente della Repubblica e il patrocinio della Presidenza del Consiglio. Anche se da Ischia fanno sapere che il premio per Manzo è dovuto alle interviste meritevoli fatte nel 2014 e non l'anno prima.

Cesare Prandelli, le dimissioni per l'attacco dei "senatori" azzurri

Cesare Prandelli, le dimissioni per l'attacco dei "senatori" azzurri



Nessun esercizio retorico, nessun retroscena, nessuna analisi potrà cambiare lo scenario: giusto o sbagliato che sia, per l'eliminazione dai Mondiali brasiliani i principali imputati sono due, Cesare Prandelli e Mario Balotelli. I motivi sono ormai arcinoti: le scelte del primo, le bizze del secondo. Però al quadro complessivo va aggiunto qualche elemento. Si ritorna ancora all'intervallo di quella maledetta partita tra Italia e Uruguay, all'intervallo che è stata la prima parte della resa dei conti. Si ritorna ai mugugni di Balotelli e ai rimbrotti di Prandelli all'attaccante-Godot. Le cronache hanno rivelato dell'alzata di scudi dei senatori, degli juventini e di Gigi Buffon su tutti, entrati metaforicamente a gamba tesa su Mario. Un dubbio: era il caso di farlo? Non avrebbe dovuto pensarci solo e soltanto Prandelli? Con la loro "mozione di sfiducia", i senatori non hanno finito per rendere irrespirabile un'atmosfera già tesa? Forse avrebbero potuto farlo a fine partita, a Mondiali finiti. Forse non lì, in quello spogliatoio, in quel modo che - si dice - ha turbato profondamente la squadra. Questo - sia chiaro - senza nulla togliere ai demeriti di Balotelli. E di Prandelli, che avrebbe potuto, e dovuto, gestire meglio la situazione.

Le cose cambiano - Ma non ci sono soltanto i dubbi sull'opportunità dell'offensiva di quelli che la semplificazione giornalistica chiama "senatori". Ci sono anche i fatti, rivelati dalla Gazzetta dello Sport, le tappe, le parole e le critiche che hanno portato alla sostanziale sfiducia di Cesare Prandelli. Secondo la rosea, di fatto, il Ct non si è dimesso per il risultato disastroso, per le polemiche sui soldi o per chi gli remava contro in Federazione: semplicemente, Prandelli è stato "dimissionato" proprio dai senatori. Il percorso è lungo, inizia quattro anni fa, quando l'ex mister della Fiorentina propone il suo nuovo progetto basato su due principi cardine: tenere palla per attaccare sempre e comunque e il codice etico. Due punti accolti con entusiasmo anche dalla vecchia guardia azzurra. E così via, per un Europeo e una Confederations Cup che cementano il gruppo. I problemi, però, iniziano una volta raggiunta la qualificazione ai Mondiali. Spunta il secondo imputato, Mario Balotelli: torna in azzurro. Decide Prandelli, è il capo, lo deve fare. Eppure Mario, complice il suo passato di poco impegno e molte polemiche in nazionale, non è accettato di buon grado da chi invece per la maglia azzurra ha sempre dato tutto, cuore, muscoli e polmoni, senza pretendere né una copertina né una pacca sulla spalla.

La rottura - Il secondo fattore destabilizzante è Antonio Cassano, che destabilizzante lo è per natura. Prandelli decide di portarlo in Brasile: lui sarà il jolly, lui il numero 10 che, all'occorrenza, dovrà trovare la giocata di classe. Fantantonio viene arruolato nonostante le riserve dei senatori juventini, memori dell'Europeo 2012, l'Europeo delle cassanate. Balotelli e Cassano dentro (più Insigne, scelta particolare), fuori Pepito Rossi, Gilardino, Destro, Toni. Non è tanto una questione di valori tecnici, ma di indole, di spirito: vengono tagliati fuori dal mondiale quei giocatori che per comportamento, abnegazione e dedizione alla causa sono ammirati da tutti, e sono ammirati soprattutto da quei giocatori che costituiscono la spina dorsale dell'Italia. Qualche malumore, in tempi più recenti, sorge per la scelta del resort di Mangaratiba: troppo poco entusiasmo, troppe mogli e parenti. Quindi la sorpresa all'esordio con l'Inghilterra: in campo, al fianco di Andrea Pirlo, c'è Marco Verratti. Eppure Pirlo, da anni, era abituato ad avere in mano lui e soltanto lui le chiavi del centrocampo azzurro. In parallelo gli allenamenti: Cassano, Balotelli e Insigne trotterellano, i senatori si incazzano. Loro, che anche in allenamento sputano il sangue, vogliono che tutti sputino quel sangue, soprattutto se c'è in ballo un Mondiale.

L'esplosione - Dopo l'Inghilterra, la Costa Rica e l'ovvio carico di dubbi e malumori che la squadra si è portato via da quella partita. Poi l'Uruguay, l'Italia spuntata, con Balotelli indisponente e impalpabile. Si arriva alla resa dei conti. Si arriva all'intervallo di quella maledetta partita con l'Uruguay. La tensione esplode. Forse con 45 minuti di anticipo, ma esplode. Mario risponde a Prandelli, la vecchia guardia si fa sentire: grida Buffon, grida De Rossi, gridano gli altri "vecchi". Poi il secondo round, davanti alle telecamere, mentre Balotelli pensa soltanto ad andarsene da solo sul pullman, sempre più lontano da quella squadra: le accuse, sempre di Buffon e di De Rossi, a "chi in campo non c'è" e alle "figurine". A Balotelli e a Cassano. Ma l'attacco non era soltanto a Mario e ad Antonio. L'attacco era rivolto anche a Prandelli, alle sue scelte, al progetto cambiato in corsa. E quell'offensiva scatenata negli spogliatoi ancor prima che finisse la partita ha segnato il destino del Ct: il "patto" siglato quattro anni prima era rotto, i senatori della squadra - colpendo altri per colpire anche lui - lo avevano sfiduciato. Prandelli sapeva che avrebbe potuto finire così. E aveva già pensato alla sua successiva e immediata mossa: le dimissioni, dopo essere stato "dimissionato".

SCAZZOTTATA A CINQUE STELLE "Vattene, sei fuori dal Movimento" La riunione grillina finisce male: è rissa

M5s, Firenze, si vota l’espulsione e scoppia la rissa tra grillini 



Rissa a Cinque Stelle. Il meetup di Firenze finisce male: arriva la polizia. L’assemblea di mercoledì sera degli attivisti del Movimento 5 Stelle, al circolo fiorentino Andrea del Sarto, avrebbe dovuto sancire l’espulsione di un gruppo di militanti colpevoli di aver "giocato sporco" e contro il Movimento durante le ultime elezioni amministrative per il Comune di Firenze. Una vicenda finita anche sul tavolo del parlamentare capogruppo alla Camera Luigi di Maio che a sua volta aveva allertato il deputato fiorentino Alfonso Bonafede nella vicenda.

La scazzottata - I malumori interni sarebbero nati dopo il flop uscito dalle urne il 25 maggio scorso, quando il M5S si era fermato al 9%. Ieri sera la resa dei conti: all’assemblea arriva un elenco di attivisti da cacciare. Si aprono le votazioni ma alcuni, non avvisati preventivamente di questa scelta, rimangono sbigottiti. Ne nasce una discussione accesissima, raccontano alcuni dei presenti, che arriva a sfiorare lo scontro fisico. A questo punto parte la chiamata al 113: una volante si precipita in via Manara dove da sempre il movimento tiene le proprie assemblee più numerose. All’arrivo degli agenti il clima si era fortunatamente già raffreddato ma la rissa era già avvenuta. Intanto nel mezzo della bagarre alcuni attivisti sarebbero stati espulsi dal meetup.