Expo, Gianstefano Frigerio scrive la propria resa: "Vuoterò il sacco"
di Giacomo Amadori
Cinque paginette scritte a penna con caratteri quasi infantili, una grafia nettamente in contrasto con il contenuto denso di pathos. È questa la lettera che potrebbe imprimere una svolta all’inchiesta milanese sull’Expo e rinfocolare la faida tra pm della procura meneghina. Un annuncio di piena e totale collaborazione con la magistratura che potrebbe fare tremare molti personaggi eccellenti coinvolti nella nuova presunta tangentopoli lombarda.
A vergare, il 29 maggio scorso, quest’"istanza" è stato il settantaquattrenne Gianstefano Frigerio, ex politico Dc, rinchiuso dall’8 maggio nel carcere di Opera con l’accusa di aver incassato mazzette per l’Expo 2015. I suoi avvocati hanno chiesto inutilmente per due volte la sua scarcerazione, a causa della sua quasi totale cecità e in considerazione della recente circolare del procuratore Edmondo Bruti Liberati che invita i suoi pm a un ricorso parsimonioso alla custodia cautelare preventiva. Frigerio, invece, si è rivolto al presidente del Consiglio superiore della magistratura (Giorgio Napolitano), al ministro della Giustizia Andrea Orlando e «al dipartimento della procura di Milano competente per i reati contro la pubblica amministrazione», ossia all’ufficio guidato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e non alla Direzione distrettuale antimafia che si sta occupando delle indagini.
Una decisione che punta certamente a rimarcare la faida interna alla procura (oggi all’esame del Csm) e le divergenze sulle indagini: sembra, infatti, che Robledo, inizialmente tra i titolari del fascicolo, fosse contrario alle misure cautelari. Ma leggiamo il cuore della missiva dell’ex politico accusato di aver incassato tangenti dall’imprenditore Enrico Maltauro: «Che cosa conta veramente per me? L’amore della mia famiglia (…) e un brandello di vita. Ecco perché sono giunto alla conclusione di una collaborazione leale, senza sotterfugi, né ambiguità. Lo so che non potrò né ora né in futuro leggere le carte dell’indagine, ma proprio per questo mi affido al magistrato perché mi aiuti nella ricostruzione delle mie responsabilità, con la speranza di salvare dallo stress di questa situazione disperata un po’ di salute, un po’ di vita per godermi l’amore dei miei cari. Questa è l’unica dolorosa strada in alternativa ad una disperata follia».
Si tratta di una svolta clamorosa: Frigerio è pronto alla «collaborazione leale» e ad affidarsi «al magistrato». Anche se non è chiaro a quale. Ma l’indagato nella sua lettera lamenta l’impossibilità a offrire una piena collaborazione visto che un glaucoma della cornea lo costringe a vivere in un’oscurità quasi totale: «Ora non riesco più a leggere e mi devo far aiutare (…) per espletare le funzioni più minute. Quindi non ho preso visione di alcun documento della inchiesta (l’ordinanza è lunga circa 700 pagine ndr) e realisticamente non potrò farlo neppure nei prossimi mesi, perché la battaglia per la vista è persa, tragicamente persa». Per questo il suo legale, Manola Murdolo, ha chiesto, finora invano, gli audio delle intercettazioni che coinvolgono l’ex parlamentare: «Il mio assistito non può conoscere le imputazioni e le fonti di prova che lo riguardano, mentre le notifiche mi vengono anticipate a mezzo stampa o attraverso i tg, anche nei giorni festivi» protesta Murdolo.
Per questo sia il legale che Frigerio hanno deciso di chiedere aiuto al Guardasigilli nella convinzione che la guerra in corso tra il procuratore Bruti Liberati e Robledo abbia peggiorato la condizione degli indagati e il loro diritto alla difesa. Tanto che Frigerio sottolinea: «Ho la consapevolezza di essere stritolato da scontri e tensioni istituzionali del tutto estranei alla mia vicenda, alla mia persona, ai miei diritti, alla salute e alla mia vita». Una situazione che secondo il legale meriterebbe l’intervento degli ispettori ministeriali. Intanto nella sua lettera Frigerio mostra tutte le sue buone intenzioni e dichiara di voler rinunciare a difendere «la fama (parola poi cancellata ndr), il buon nome, l’onore, la vanagloria» e di voler collaborare, ma rifiuta «l’idea mitica di cupola appiccicata a due vecchietti (l’altro è il quasi coetaneo Primo Greganti ndr) malati, fuori da ogni ruolo istituzionale, disperatamente nostalgici del loro passato, di un’epoca morta e sepolta». In conclusione: colpevoli forse sì, ma non burattinai o grandi vecchi.