Visualizzazioni totali

mercoledì 11 giugno 2014

Expo, la lettera di Frigerio dal carcere: "Ora vuoto il sacco". Ecco chi trema

Expo, Gianstefano Frigerio scrive la propria resa: "Vuoterò il sacco"


di Giacomo Amadori



Cinque paginette scritte a penna con caratteri quasi infantili, una grafia nettamente in contrasto con il contenuto denso di pathos. È questa la lettera che potrebbe imprimere una svolta all’inchiesta milanese sull’Expo e rinfocolare la faida tra pm della procura meneghina. Un annuncio di piena e totale collaborazione con la magistratura che potrebbe fare tremare molti personaggi eccellenti coinvolti nella nuova presunta tangentopoli lombarda.

A vergare, il 29 maggio scorso, quest’"istanza" è stato il settantaquattrenne Gianstefano Frigerio, ex politico Dc, rinchiuso dall’8 maggio nel carcere di Opera con l’accusa di aver incassato mazzette per l’Expo 2015. I suoi avvocati hanno chiesto inutilmente per due volte la sua scarcerazione, a causa della sua quasi totale cecità e in considerazione della recente circolare del procuratore Edmondo Bruti Liberati che invita i suoi pm a un ricorso parsimonioso alla custodia cautelare preventiva. Frigerio, invece, si è rivolto al presidente del Consiglio superiore della magistratura (Giorgio Napolitano), al ministro della Giustizia Andrea Orlando e «al dipartimento della procura di Milano competente per i reati contro la pubblica amministrazione», ossia all’ufficio guidato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e non alla Direzione distrettuale antimafia che si sta occupando delle indagini.

Una decisione che punta certamente a rimarcare la faida interna alla procura (oggi all’esame del Csm) e le divergenze sulle indagini: sembra, infatti, che Robledo, inizialmente tra i titolari del fascicolo, fosse contrario alle misure cautelari. Ma leggiamo il cuore della missiva dell’ex politico accusato di aver incassato tangenti dall’imprenditore Enrico Maltauro: «Che cosa conta veramente per me? L’amore della mia famiglia (…) e un brandello di vita. Ecco perché sono giunto alla conclusione di una collaborazione leale, senza sotterfugi, né ambiguità. Lo so che non potrò né ora né in futuro leggere le carte dell’indagine, ma proprio per questo mi affido al magistrato perché mi aiuti nella ricostruzione delle mie responsabilità, con la speranza di salvare dallo stress di questa situazione disperata un po’ di salute, un po’ di vita per godermi l’amore dei miei cari. Questa è l’unica dolorosa strada in alternativa ad una disperata follia».

Si tratta di una svolta clamorosa: Frigerio è pronto alla «collaborazione leale» e ad affidarsi «al magistrato». Anche se non è chiaro a quale. Ma l’indagato nella sua lettera lamenta l’impossibilità a offrire una piena collaborazione visto che un glaucoma della cornea lo costringe a vivere in un’oscurità quasi totale: «Ora non riesco più a leggere e mi devo far aiutare (…) per espletare le funzioni più minute. Quindi non ho preso visione di alcun documento della inchiesta (l’ordinanza è lunga circa 700 pagine ndr) e realisticamente non potrò farlo neppure nei prossimi mesi, perché la battaglia per la vista è persa, tragicamente persa». Per questo il suo legale, Manola Murdolo, ha chiesto, finora invano, gli audio delle intercettazioni che coinvolgono l’ex parlamentare: «Il mio assistito non può conoscere le imputazioni e le fonti di prova che lo riguardano, mentre le notifiche mi vengono anticipate a mezzo stampa o attraverso i tg, anche nei giorni festivi» protesta Murdolo.

Per questo sia il legale che Frigerio hanno deciso di chiedere aiuto al Guardasigilli nella convinzione che la guerra in corso tra il procuratore Bruti Liberati e Robledo abbia peggiorato la condizione degli indagati e il loro diritto alla difesa. Tanto che Frigerio sottolinea: «Ho la consapevolezza di essere stritolato da scontri e tensioni istituzionali del tutto estranei alla mia vicenda, alla mia persona, ai miei diritti, alla salute e alla mia vita». Una situazione che secondo il legale meriterebbe l’intervento degli ispettori ministeriali. Intanto nella sua lettera Frigerio mostra tutte le sue buone intenzioni e dichiara di voler rinunciare a difendere «la fama (parola poi cancellata ndr), il buon nome, l’onore, la vanagloria» e di voler collaborare, ma rifiuta «l’idea mitica di cupola appiccicata a due vecchietti (l’altro è il quasi coetaneo Primo Greganti ndr) malati, fuori da ogni ruolo istituzionale, disperatamente nostalgici del loro passato, di un’epoca morta e sepolta». In conclusione: colpevoli forse sì, ma non burattinai o grandi vecchi.



Imu, Tari e Tasi, Renzi toglie gli sgravi sulla casa a malati, anziani e militari

Imu, Tari e Tasi, Renzi toglie gli sgravi sulla casa a malati, anziani e militari


di Sandro Iacometti



I consulenti dei Caf hanno già indossato l’elmetto. Da qui al 16 giugno, quando ci sarà il lunedì nero del fisco con un ingorgo devastante di 8 scadenze, gli uffici saranno letteralmente presi d’assalto dai contribuenti. L’appuntamento di fuoco, inutile dirlo, è quello che riguarda le imposte sugli immobili. Per tentare di arginare la marea i Centri di avviamento fiscale hanno già predisposto sportelli dedicati esclusivamente al pagamento del trittico Imu-Tari-Tasi. Ma il numero elevatissimo delle prenotazioni e la giungla di norme diverse con cui bisognerà fare i conti lasciano prevedere che gli accorgimenti non saranno sufficienti.

Il caos, insomma, è assicurato. Anche perché l’architettura della legge (e l’inerzia del governo, che solo la scorsa settimana ha ufficializzato il rinvio della Tasi per i comuni che non hanno deliberato le aliquote) ha di fatto consentito ad ogni sindaco di piegare a proprio piacimento l’imposta. A pochi giorni dal pagamento, ad esempio, si scopre che il tributo potrebbe non essere compensabile con altri crediti fiscali. A rigore, essendo contemplato il pagamento con l’F24, il contribuente dovrebbe poter versare la Tasi anche attraverso l’annullamento di un credito con l’erario. In pratica, però, non tutti i comuni lo permettono aggrappandosi al fatto che si tratta di imposta municipale e non statale. In questo caso, l’unico scambio previsto sarebbe quello tra tasse sulla casa (Imu-Tasi-Tari) oppure, come qualche comune ha previsto, quello tra il tributo sulla casa ed eventuale eccedenze di altre imposte municpali.

Ma la vera beffa è quella che si sta per abbattere su alcune categorie che erano state tutelate con la precedente normativa: in particolare gli anziani lungodegenti e i militari domiciliati per ragioni di servizio in un comune diverso da quello di residenza. Per costoro una serie di interventi legislativi (volti principalmente a garantire l’equiparazione degli immobili di proprietà non abitati e non affittati alle prime case) avevano garantito l’esenzione dal balzello sulla casa.

Con l’introduzione della Tasi, però, non solo pagheranno, ma pagheranno paradossalmente più di chi ha una seconda casa. Il meccanismo delle aliquote incrociate Imu-Tasi, infatti, ha spinto la maggior parte dei sindaci (che già avevano alzato la tassa sulle seconde case al massimo) a caricare tutto il peso della service-tax sulle prime case, applicando l’aliquota massima del 2,5 per mille e disattenendo quasi ovunque la richiesta del governo di riproporre le detrazioni presenti con la vecchia Imu.

Il risultato è che l’equiparazione delle abitazioni sfitte alle prime case salverà dall’Imu, ma costringerà gli anziani ricoverati in case di cura e gli esponenti delle forze dell’ordine e della sicurezza che hanno residenze fuori dal proprio comune per motivi di servizio a pagare un’aliquota più che doppia rispetto a quella base dell’1 per mille (che molti sindaci hanno addirittura azzerato). Della svista si era accorto anche il Parlamento, che aveva provato ad inserire un correttivo nella legge di conversione del decreto casa. Il tentativo è però fallito.

Così come nulla è stato previsto per i militari, su cui solo ieri il governo si è svegliato, passando la patata bollente ai sindaci. Il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, ha infatti preso carta e penna e ha scritto al presidente dell’Anci, Piero Fassino, per chiedere di reintrodurre le esenzioni per gli impiegati nel comparto difesa, sicurezza e soccorso di cui nelle delibere comunali non c’è traccia. Rossi auspica un «intervento affinché vi sia l'univoca applicazione della citata previsione da parte degli enti locali interessati anche al fine di evitare inutili contenziosi». «Siamo disponibili a ragionare», si è limitato a rispondere il sindaco di Torino. Ancora peggio andrà ai genitori che danno la casa in comodato gratuito ai figli. A causa di un ingarbuglio sulle soglie di rendita per l’assimilazione alla prima casa, questi potrebbero pagare sullo stesso immobile sia una quota di Imu seconda casa sia una quota di Tasi prima casa. L’inferno fiscale è servito.



"Banche e Stato Usurai", la clamorosa inchiesta: ecco tutti i big a rischio processo

Procura Trani, indagine per usura su Unicredit, Mps, Saccomanni e Bankitalia



La Procura di Trani ha chiuso una maxi indagine per usura che vede coinvolte 62 persone, tra cui dirigenti della Banca d'Italia e del ministero del Tesoro e i membri dei consigli di amministrazione di alcuni tra i principali istituti di credito italiani che potrebbero quindi essere chiamati a processo. Tra i nomi finiti sotto la lente del sostituto procuratore Michele Ruggiero figurano l'ex ministro dell'Economia del governo Letta Fabrizio Saccomanni, nella veste di direttore generale di Bankitalia, Anna Maria Tarantola, che era a capo della vigilanza di palazzo Koch, Giuseppe Maresca per il Tesoro, nonché vertici ed ex vertici di Unicredit e Banca di Roma, Bnl, Mps (inclusi Giuseppe Mussari e Antonio Vigni) e popolare di Bari. I dirigenti di Bankitalia e del Tesoro "consapevolmente e volontariamente (quanto meno con dolo individuale) - scrive il pm - concorrevano moralmente" con i vertici delle banche "nei delitti di usura dagli stessi materialmente commessi precostituendo le condizioni per consentire a quelle banche di applicare alla clientela interessi sostanzialmente usurari".

martedì 10 giugno 2014

Tempesta su Bruti Liberati, procedimento disciplinare per la gestione del caso Ruby

Tempesta su Bruti Liberati, procedimento disciplinare per la gestione del caso Ruby


di Luca Fazzo



Il Consiglio superiore della magistratura trasmette alla Cassazione gli atti a carico del procuratore capo di Milano: avrebbe tolto l'inchiesta a Robledo senza fornire spiegazioni e violando le regole


Va aldilà del previsto la pesantezza dell'intervento del Consiglio superiore della magistratura sulla Procura della Repubblica di Milano, attraversata da lacerazioni profonde venute alla luce solo due mesi fa con l'esposto del procuratore aggiunto Alfredo Robledo contro il suo capo Edmondo Bruti Liberati. Oggi trapela il testo integrale delle risoluzioni che la settima commissione del Csm, quella che si occupa del regolare funzionamento degli uffici, trasmetterà al plenum del Consiglio, dopo il lungo lavoro di indagine su quanto accade nella procura milanese. Ed è una conclusione che candida all'impeachment Bruti Liberati per la sua gestione del fascicolo Ruby, sottratto senza spiegazioni al suo destinatario naturale, cioè Alfredo Robledo. Se il plenum farà propria la decisione della commissione, per il procuratore di Milano si apre un periodo critico, che potrebbe portare addirittura alla sua rimozione dell'incarico.

Su quasi tutti gli elementi contenuti nell'esposto di Robledo, la commissione evita di prendere posizioni troppo nette, e dà atto comunque che dalle lacerazioni interne alla Procura milanese non è derivato pregiudizio alle indagini. Ma il Csm sa bene che in questione non c'è solo l'efficacia delle inchieste, ma anche la garanzia della loro imparzialità, messa in discussione - secondo l'esposto - dalla scelta di pm «affidabili» da parte di Bruti, tutti più o meno dell'aria di Magistratura democratica. E su questo il Csm dà ragione a Robledo: l'assegnazione del fascicolo a Ilda Boccassini e a Piero Forno è avvenuta da parte di Bruti prima a voce e poi con un provvedimento formale «privo di motivazione della cui opportunità (se non addirittura necessità) non può dubitarsi». D'altronde il regolamento interno della Procura «pur consentendo deroghe ai criteri di assegnazione per motivi di collegamento o connessione tra procedimento disciplina tuttavia la distribuzione degli affari all'interno di un medesimo Dipartimento e non giustifica il superamento delle competenze specialistiche».

E non è tutto: la commissione chiede che vengano trasmessi gli atti ai titolari dell'azione disciplinare anche per i casi Sea ed Expo. Nel primo caso nel mirino c'è ancora Bruti, che ha ammesso di avere dimenticato il fascicolo di inchiesta per due mesi nella propria cassaforte. Per l'affare Expo, invece, a rischiare l'azione disciplinare potrebbe essere Robledo, il procuratore aggiunto che ha dato il via con il suo esposto a questo caso, e che potrebbe pagare con una sanzione avere rivelato (secondo Bruti) l'esistenza di una inchiesta e di richieste di arresti ancora segreti. Alla fine, insomma, entrambi i contendenti potrebbero venire travolti.

Stato maggiore del Fatto fa festa al circolo. Con Veltroni

Lo stato maggiore del Fatto fa festa al circolo. Con Veltroni



La strana cena a Reggio Emilia: ci sono il direttore Padellaro, il vice Travaglio, il giornalista di punta Scanzi, la deputata M5S Giulia Sarti. Veltroni che c'azzecca?


Una bella tavolata. Francesco Aliberti, titolare della Aliberti Editore, nonché editore di riferimento del Fatto quotidiano, ha organizzato una bella cenetta (nella foto) per gli amici del Fatto al circolo Arci Fuori Orario, di Taneto di Gattatico (Reggio Emilia) dove ha invitato il direttore Antonio Padellaro, il vice Marco Travaglio, il giornalista di punta Andrea Scanzi, la deputata M5S Giulia Sarti e ancora, non si sa bene a che titolo, Walter Veltroni. Tutti insieme a magiare appassionatamente. Un locale che già nel 2010 aveva ospitato la festa del Fatto. Amici di Wingsbert House, come la chiama lo stesso Francesco Aliberti, traduzione letterale in inglese della sua casa editrice. Il motivo di questa cena non è ancora chiaro, ma una domanda se la pongono tutti: Veltroni che c'azzecca?

Giampaolo Pansa: dopo l'Expo, il Mose. A mali estremi... legalizzare le mazzette

Giampaolo Pansa: dopo l'Expo, il Mose. A mali estremi... legalizzare le mazzette

di Giampaolo Pansa


Un vecchio adagio inglese ci regala un buon frammento di schiettezza. Chiede di immaginare una stanza nella quale sta appeso un cartello che dice: «Vietato fumare». Se sotto quel cartello due signori si accendono la sigaretta, vengono subito multati. Ma se a fumare sono in venti, è il cartello che deve essere tolto. Forse in Italia dovremmo fare la stessa scelta per le leggi contro la corruzione. Potevano servire quando le persone beccate a intascare o dare tangenti erano poche. Ma oggi a che cosa servono quelle norme? A niente, come ci spiegano la grande abbuffata attorno al Mose di Venezia e, pochi giorni prima, quella dell’Expo 2015 a Milano. In tutte le democrazie un minimo di corruzione è accettabile e quasi fatale. Se a comandare sono i partiti politici e non un dittatore, nero o rosso che sia. Del resto come potrebbero mantenere le loro strutture, diventate anno dopo anno sempre più gigantesche e voraci? Nella prima Tangentopoli, iniziata nel febbraio 1992 con l’arresto del socialista Mario Chiesa, un altro socialista, il leader del Psi, Bettino Craxi, il 3 luglio di quell’anno pronunciò alla Camera dei deputati un discorso di grande franchezza. Disse: «Tutti i partiti ricorrono a un finanziamento irregolare o illegale. Chi lo nega è uno spergiuro».

Gli altri politici lo negarono. I più ferrei nel respingere la verità persino banale esposta da Craxi furono gli eredi del Pci. Le Botteghe oscure si erano sempre mantenute a forza di tangenti vecchie e nuove. In un Bestiario di questo maggio ho ricordato la mazzetta colossale, oltre dodici milioni di dollari, versata dall’Eni al Partitone rosso per favorire la fornitura di gas metano dall’Unione sovietica. Come persona, Enrico Berlinguer aveva di certo le mani pulite, ma la sua parrocchia no. Mi illudo che nel 2014 nessun figlioccio del Pci osi negarlo.

Se tutto l’arco costituzionale, ossia l’intero schieramento politico con l’unica eccezione del Movimento sociale, si fosse trovato d’accordo con la sacrosanta denuncia di Craxi, forse qualcosa sarebbe cambiata nel rapporto sempre più malato tra i partiti e la corruzione. In realtà, accadde tutto il contrario. Il leader socialista venne bollato come l’unico tangentaro della politica italiana. Dopo il luglio 1992, ebbe inizio una caccia all’uomo che non gli risparmiò nulla. A cominciare dalla tempesta di monetine che una sera lo accolse mentre usciva dall’Hotel Raphael. Una scena ripugnante, da repubblica sudamericana, che i giornalisti italiani, compreso me, accettarono come un evento normale.

a quel giorno sono trascorsi ventidue anni, ma in Italia la corruzione politica non si è attenuata, anzi è diventata un mostro che nessuno riesce a contenere e meno che mai a sconfiggere. Di conseguenza, anche la reazione dell’italiano senza potere si sta rivelando sempre più rabbiosa. Il nostro è un paese in crisi profonda, manca il lavoro e per molti diminuiscono le risorse per campare in modo decente. L’ira senza prospettive è un pericolo che può sfociare in esiti drammatici. E anche in questo caso ci soccorre il confronto con il 1992-1993.

Le urne hanno spaccato il Pd: "Abbiamo perso per colpa dei vecchi" Riparte la caccia agli anti-renziani

Ballottaggi, le sconfitte pesanti del Pd: Renzi alla resa dei conti con Bersani e la vecchia guardia


Uno choc. O meglio, un risveglio traumatico dopo una notte di bagordi. Matteo Renzi e il "suo" Pd hanno accolto con stupore e rabbia i risultati dei ballottaggi. Se è vero che il risultato complessivo è buono, con 19 Comuni vinti (8 al centrodestra, uno al Movimento 5 Stelle), è vero anche che il premier puntava come suo solito al record tondo di 20 successi. E soprattutto quell'unica vittoria grillina, a Livorno, con Marco Ruggeri battuto dall'ingegnere aerospaziale Filippo Nogarin, pesa come un macigno. Nella città toscana dove è nato il Partito comunista, e dove da 68 anni governava senza soluzione di continuità la sinistra, è finito l'effetto Europee, che pure il 25 maggio aveva lasciato il segno: quando si è votato per Strasburgo, il Pd trainato da Renzi aveva preso il 53%, quando si è votato per il sindaco i dem si sono fermati al 46%. Qualcosa vorrà pur dire. E pesa la sconfitta di Padova, dove il centrodestra di nuovo unito con il leghista Bitonci ha superato Ivo Rossi. Stesso discorso a Perugia, altra roccaforte rossa espugnata da Forza Italia e i suoi alleati. 

I bersaniani sconfitti - Tre ko che il Pd renziano scarica sulle spalle dell'apparato, dei rottamati, dei vecchi dirigenti insomma. "Perdiamo dove siamo chiusi, dove ha prevalso la logica del vecchio. Vinciamo dove ci siamo presentati con nuovi volti e nuovi programmi", è la linea dei fedelissimi del premier. Il riferimento è un po' a Livorno (più o meno, sono le stesse parole usate dal grillino Nogarin per spiegare il clima che si respirava in città) ma soprattutto a Padova, dove Ivo Rossi era il candidato "naturale" di un bersaniano Doc come Flavio Zanonato. Non è un caso che a tirare la volata al delfino dell'ex ministro nel governo Letta sia stato Pierluigi Bersani, con tanto di video-spot "Vota Rossi" girato direttamente a cena in casa di Zanonato e postato su Twitter. Renzi, invece, è rimasto alla larga, non si è fatto mai vedere dalle parti del Brenta. Tanto che Rossi, uomo della continuità in una città che dal 1993 ha vissuto all'ombra del centrosinistra, ha dovuto ammettere sconsolato: "Si perde da soli...". E pure Perugia, feudo rosso da decenni, è sfuggita e il dito dei renziani è puntato contro il candidato Wladimiro Boccali, cuperliano e sindaco uscente  

Verso il repulisti - Alla fine hanno pesato i dissidi interni, le faide tra correnti, la logica del "noi contro voi" dove "noi" sono i renziani e "voi" i bersaniani, dalemiani e compagnia rottamanda. E ora si apre la contesa anche a livello nazionale, una resa dei conti al veleno anche se è Renzi stesso a frenare: non si può rischiare di spaccare il Pd proprio ora che stanno per arrivare riforme pesanti come quelle della Pubblica amministrazione e il decreto anti-corruzione. A meno che proprio l'emergenza Expo e Mose non porga al premier l'occasione di un repulisti.