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giovedì 8 maggio 2014

Chi farà fuori Matteo Renzi? Ecco la lista dei 43 senatori del Pd pronti ad affossare il Governo

Roberto Calderoli: "Nel Pd in 43 pronti a tradire"


Intervista a cura di Brunella Balloli 



«Prima tanta spocchia, ma adesso hanno calato un po’ le orecchie. Anche perché è chiaro che si va verso un’altra maggioranza. Ci sono 43 senatori Pd contrari alla riforma del Senato voluta da Matteo Renzi». Sorride sornione il senatore della Lega Roberto Calderoli, l’eroe delle opposizioni che a Palazzo Madama ha fatto andare sotto il governo con un suo ordine del giorno in commissione Affari costituzionali. Da ex ministro delle Riforme padroneggia la materia, «per cui è difficile che mi freghino su quello che so», e quando presiede i lavori è sempre uno spasso, come quando ieri, senza scomporsi, ha fermato la protesta dei Cinquestelle che esibivano una maglietta con scritto Schiavi mai. «Colleghi», ha detto Calderoli, «gli spogliarelli al Senato non sono consentiti. E in presenza di certi fisici sono anche sconsigliati».

Senatore, chi ha abbassato le orecchie?

«Il governo, mi pare evidente. Spariscono i senatori eletti dal presidente della Repubblica, il Senato è un vero Senato e non un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci, resta l’autonomia delle Regioni, quindi c’è una trasformazione dello Stato in senso federale vero e non il contrario come voleva Renzi».

Ma dopo il suo odg, che richiama alla Devolution, è stato votato il testo base del governo. E Renzi ha detto che il suo vale zero.

«È il contrario: sono saltati tutti i paletti voluti da Renzi. Perché c’è l’impegno dei relatori e quindi, anche controvoglia del governo, a sostenere tutti gli emendamenti che verranno votati e che modificheranno il testo perché si realizzi il contenuto del mio ordine del giorno».

Il premier, però, ha attaccato: volevano rimanere nella palude, ma noi andiamo avanti.

«Che si esca dalla palude è vero. Ma usciamo dalla palude perché il Senato ha dimostrato di avere le idee chiare, che sono opposte di quelle del governo».

Eppure, la ministra Maria Elena Boschi è stata dura. Non la daremo vinta ai Calderoli, ha detto.

«Ecco, questo è proprio un errore strategico. Sarà l’inesperienza, l’età. Pensi che è venuta da me, davanti ai funzionari, alla sua presidente di commissione e agli altri a minacciarmi».

La Boschi l’ha minacciata?

«Mi ha detto: o è così, come diciamo noi, o si va a votare. A parte che non sta a lei dirlo, ma pensava di farmi paura? Le ho risposto: guarda cara, queste cose dille al tuo gruppo che se andiamo a votare adesso, con la tanto vituperata legge che porta il mio nome, finisce che tu e il tuo partito non eleggete tutti quei parlamentari che avete adesso. Se fanno due calcoli non gli conviene. Perché se è così, dopo il voto, devono fare gli accordi conForza Italia o con i Cinquestelle per governare. Si vede che cominciano ad avere i loro problemi». 

Numeri ballerini al Senato?

«Sono sotto gli occhi di tutti. In presenza di maggioranze variabili, com’è avvenuto in commissione, nel momento di votare gli altri emendamenti in Aula, c’è una maggioranza ma è quella che ha sostenuto il mio ordine del giorno martedì».

Però, un conto è la commissione, un altro l’Aula intera...

«Sì, ma io so che la mia maggioranza ce l’ho sul Senato».

In suo favore hanno votato Fi, M5S, Sel e Gal, più Mario Mauro e il Pd Mineo non ha votato. Però Fi ha anche detto sì al testo del governo. Dunque?

«Berlusconi ha scelto la linea della responsabilità per avere comunque un testo base da cui far partire il lavoro. Ma dopo avere votato la mia idea di riforma, votando gli emendamenti in questo senso si determinerà un’altra maggioranza, che non è più quella che sostiene l’esecutivo Renzi, ma un’altra che sostiene le mie proposte di riforma».

Cioè, oltre a Mineo ci sarebbero altri Pd pronti a dare il via libera alla proposta Calderoli?

«Sì. Intanto Mineo non ha partecipato al voto sull’odg proprio perché era fuori per rispondere al telefono a Renzi, poi non ha partecipato al voto sul testo base. Ma in Aula non c’è solo lui, ce ne sono alcune decine di Pd...».

La minoranza del ddl Chiti?

«Mi risulta che i firmatari del disegno di legge Chiti siano almeno la metà di quelli che all’interno del gruppo Pd la pensano in maniera diversa da Renzi rispetto alle riforme. Cioè, se i sostenitori del ddl Chiti sono 23, almeno 43 sono i senatori democrati dissidenti in tema di riforme».

Stiamo parlando di 43 possibili franchi tiratori su 108 senatori Pd?

«Mi risulta. E, del resto, è chiaro dal continuo ricorso alla fiducia su ogni provvedimento».

Sul decreto Lavoro, infatti, il premier l’ha annunciata.

«Certamente, altrimenti ogni volta andrebbe incontro a un bagno di sangue. Io non so come fanno. Ma se fossi nel presidente della Repubblica, e non voglio arrogarmi questo diritto, comincerei a essere un po’ preoccupato».

Perché?

«Ma come perché. Dieci giorni fa hanno chiesto la fiducia sul decreto Lavoro alla Camera e ieri ne annunciano un’altra su un testo tutto modificato. Oltre ad essere un segno di debolezza, io una chiamata al Colle per farmi spiegare cosa sta succedendo la farei. Si chiede la fiducia su due cose che sono completamente diverse. Se fossi in Napolitano direi: “Matteo, da che parte stai?».

Torniamo agli equilibri a Palazzo Madama. A favore del suo ordine del giorno ha votato anche il M5S. Stupito?

«Sono all’opposizione come la Lega. E sul voto di protesta è facile trovare dei punti di convergenza, anche se loro a volte esagerano con le manette, le grida. Oggi (ieri, ndr) erano tutti ammanettati e ho scherzato: chiamo il fabbro?. Però, noi,come gli altri all’opposizione facciamo il nostro lavoro per cui Renzi smentisca la frase sull’accozzaglia perché siamo persone elette dal popolo».





"Il Bene è curare l'anima per salvare idee e valori"

"Il Bene è curare l'anima per salvare idee e valori"


di Luigi Mascheroni 



Marcello Veneziani presenta il suo nuovo saggio al Salone del libro: "In politica c'è sempre meno da dire. Meglio tornare ai “fondamentali” del pensiero"


Il problema è che abbiamo perso il senso della realtà. È qui che nasce il disagio del nostro tempo, è qui l'origine della crisi economica, politica, civile e culturale che investe la contemporaneità: non vediamo la realtà delle cose. L'alta finanza non vede le esigenze del lavoro e non conosce il valore dei beni tangibili. I politici non vedono come vivono veramente le persone che governano. Il feticismo hi-tech ha creato un diaframma tra noi e la realtà... Ecco. Per ritrovare le realtà delle cose, e provare a trovare le soluzioni ai problemi che investono economia, politica e società, Marcello Veneziani propone di ritrovare lo stretto rapporto tra Anima e corpo, come si intitola il nuovo libro Mondadori che presenterà venerdì al Salone di Torino. Sottotitolo: Viaggio nel cuore della vita.

«Infatti -ci dice- è una riflessione sull'anima nel tempo in cui l'anima sembra sparita o serve giusto nelle pseudo religioni fatte dai guru: è possibile - mi chiedo - ripensare a un incontro tra anima e corpo? È da lì che si deve ripartire, per affrontare tutto il resto»

Da un po' di tempo ti occupi meno di temi storico-politici e più di quelli esistenziali

«Sì preferisco interrogarmi su quanto sia importante il senso religioso, della patria, della famiglia, e ora dell'anima, proseguendo questo filone polemicamente antipolitico. Perché? Perché in politica c'è sempre meno da dire». Ma c'è molto da fare. Al Salone il tema centrale quest'anno è il Bene. In una tua personale agenda morale e culturale, quali sono le cose più urgenti da fare bene, oggi? «Innanzitutto liberarsi dalla gabbia dell'egoismo, dell'Io, liberarsi dall'idea che tutto debba passare dai nostri interessi e tornaconti personali, per ripartire da qualcosa che prescinda dalla condizione di scontro fra egoismi uno contro l'altro armati, da cui può derivare solo odio sociale. Bisogna vincere questo nuovo ateismo del “Dio-Io” e spingersi oltre, per ricostruire nuove forme di legami comunitari: sia recuperando ciò che oggi resta della famiglia sia, in forma più estesa, l'idea di una comunità nazionale».

Si parla tanto di crisi economica e dei valori. Oggi si legge tutto all'insegna della negatività, del catastrofismo, della rabbia. Ma c'è anche del Bene, attorno a noi. Tu, dove lo vedi?

«In ogni tentativo di far nascere le cose, di costruire, di progettare, di creare legami e unioni... Il bene è il contrario di ciò che fa deperire, che separa, che divide, che fa morire le idee, i rapporti, la società, l'ambiente... Purtroppo però, più che la forza di costruire, sia nella politica sia nella vita di tutti i giorni, vedo prevalere rabbia e distruzione».

Tutto colpa della crisi economica che impoverisce i corpi e le anime, rendendoli più aggressivi e aridi?
«No, tutta colpa della convinzione che ci si possa risollevare soltanto riuscendo a risolvere il problema economico. Invece o riusciamo a confrontarci con qualcosa che è superiore all'economia, oppure non ci risolleveremo noi, né si risolleverà l'economia».

Il Bene applicato a una parola chiave: democrazia. Cosa fa bene alla democrazia?

«La partecipazione e la decisione. Io non credo a un popolo davvero sovrano. Credo a un governo nell'interesse del popolo. Non credo alle forme di democrazia diretta, ma a un bene comune rispetto agli interessi particolari, di partito... La vera democrazia è collegare la partecipazione all'idea di bene comune, con la responsabilità di chi prende le decisioni - chi ci governa - di rispondere di tutte le scelte del comando».

E l'Europa: è un bene o un male?

«In via di principio è un bene, ma nella realtà... L'Europa dovrebbe essere una coalizione sinfonica di diversità che si mettono insieme su principi, radici e interessi comuni, per affrontare insieme i grandi problemi come l'immigrazione, l'assalto dei mercati dell'Est, i progetti comunitari... Se fa questo, l'Europa è un bene. Se invece l'Europa resta un'astrazione tecnico-contabile che ci dice cosa dobbiamo e cosa non dobbiamo fare, allora non è più un bene comune, ma diventa un male, qualcosa di oppressivo, come infatti l'Europa è percepita da moltissimi cittadini».

La Rete e le nuove tecnologie, dall'uso ossessivo degli smart phone agli e-book, fanno bene?

«Fanno bene perché credo a una comunicazione fondata sul “politeismo”: più media ci sono, dalla tv a Twitter, meglio è: ogni volta che si perde un pezzo di questi flussi ci impoveriamo tutti. Fanno male se l'uso che se ne fa non è critico: Rete e nuove tecnologie sono formidabili strumenti di formazione e conoscenza, quindi sono un bene enorme, ma a rischio di diventare un male mostruoso se divengono uno strumento per manipolare e falsificare la realtà attraverso l'insulto, la rabbia, la menzogna. La Rete è uno straordinario fattore di crescita, ma può avere effetti deleteri sulla democrazia».

Quando?

«Quando passa la convinzione che duecento haters, ignoranti e anonimi, esprimono la sensibilità di un Paese».

A proposito del Salone del Libro, cosa fa bene alla conoscenza e alla Cultura? Il libro non sta bene. Cosa si può fare?

«È vero, i dati sono sconsolanti: non solo siamo di fronte a una perdita quantitativa, perché la gente per mancanza di tempo e di denaro legge sempre meno, ma assistiamo anche una perdita qualitativa, perché di libri davvero importanti se ne vedono di rado... Cosa fare? Promuovere il libro in tutti i modi e le occasioni possibili, sfruttando spazi e tempi morti, facendo uscire la letteratura dall'idea “sacra”, e sbagliata, che si possa leggere solo quando si è a casa, in silenzio, tranquilli. No, si deve leggere in tram, in coda, sfruttando i mille tempi morti della giornata».

L'assessore alla cultura della Calabria ha proposto uno sconto di pena ai detenuti che in carcere leggono

«Eccellente. Anche se io sono per una proposta opposta. Mandare in carcere chi non legge. Soprattutto chi ha responsabilità di governo».

Reggio Calabria, arrestato l'ex ministro Scajola

Reggio Calabria, arrestato l'ex ministro Scajola



L’ex ministro dell’Interno e delle Attività Produttive, Claudio Scajola, è stato arrestato in un albergo a Roma dalla Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria che ha proceduto all’esecuzione di 8 provvedimenti restrittivi, emessi dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, Olga Tarzia, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia reggina, diretta dal Procuratore della Repubblica Dott. Federico Cafiero De Raho. Tra gli arrestati, oltre all’ex ministro, per cui l'accusa è di favoreggiamento, figurano personaggi legati al noto imprenditore reggino ed ex parlamentare Amedeo Matacena, pure colpito da un provvedimento restrittivo unitamente alla moglie Chiara Rizzo ed alla madre Raffaella De Carolis. Matacena è latitante, a seguito di condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. L'accusa per Scajola è di aver aiutato Matacena a sottrarsi agli arresti. Sono in corso numerose perquisizioni in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria e Sicilia, oltre a sequestri di società commerciali collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro. Imnmediate le dichiarazioni di Berlusconi che era in collegamento con Radio Capital: "Dolore per l'arresto di Claudio Scajola, non avevo sentore di questa inchiesta"

Fondi Lega Nord - È scaturito dalle indagini sui fondi neri della Lega Nord, di cui è figura chiave il faccendiere Bruno Mafrici, l’arresto di Claudio Scajola, eseguito stamane dagli uomini della Dia di Reggio Calabria. Grazie a un’intercettazione gli inquirenti sono venuti a conoscenza di rapporti fra l’ex ministro e la moglie di Matacena, Chiara Rizzo. La donna, secondo quanto sarebbe emerso, si adoperava per ottenere l’aiuto dell’esponente politico ai fini del trasferimento del marito, condannato con sentenza definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, in Libano. Dalle indagini sarebbe emerso il ruolo di un’altra persona che avrebbe lavorato al trasferimento di Matacena nel paese dei cedri. Si tratterebbe dello stesso personaggio che avrebbe avuto contatti con Marcello Dell’Utri ai fini di una sua fuga nel paese mediorientale.

Le accuse a Matacena - Amedeo Matacena, l’ex deputato di Forza Italia latitante a Dubai dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa comminatagli dal Tribunale di Reggio Calabria, tentava di salvaguardare il suo patrimonio, sottoposto a sequestro, facendolo confluire in società fittizie, a cui capo c’erano suoi factotum. Si tratta dei destinatari di alcune delle otto ordinanze di arresto emesse dalla Dda di Reggio Calabria ed eseguite stamani dalla Dia. Gli uomini della Direzione investigativa antimafia reggina hanno finora individuato e sequestrato beni per 50 milioni di euro ma si tratterebbe solo di una parte dei capitali sulle cui tracce si stanno muovendo gli inquirenti che stanno cercando altre disponibilità di Matacena su conti esteri. Matacena è erede del patrimonio del padre Amedeo Matacena senior, fondatore di una società che gestisce i traghetti nello Stretto di Messina. Nella vicenda avrebbero avuto un ruolo anche la moglie di Matacena jr, Chiara Rizzo, e la suocera, Raffaella De Carolis.

Quadro indiziario grave - «Non esistono intoccabili. Tutti sono uguali davanti alla legge», ha sottolineato il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, nel corso della conferenza stampa sull’operazione che ha portato all’arresto dell’ex ministro Claudio Scajola. «Un aspetto che colpisce tutti - spiega - è come una persona che ha ricoperto posizioni di vertice possa curarsi di altra persona condannata e che si è rifugiata all’estero per sottrarsi alla pena». «Al momento ci muoviamo su quadro indiziario grave e tale è stato ritenuto dal giudice che  emesso l’ordinanza», ha aggiunto Cafiero De Raho, nel corso della conferenza stampa. «Aspettiamo l’esito dei processi prima di gioire - ha detto il magistrato - ma è emerso un quadro indiziario grave nell’ambito di un’altra indagine nata con una prospettiva diversa». Il riferimento è alla complessa inchiesta «breakfast» sul riciclaggio di capitali della ’ndrangheta al nord. Scajola è accusato di «procurata inosservanza della pena» a beneficio di Matacena che, condannato a 5 anni di carcere con pena definitiva nell’ottobre scorso, avrebbe voluto riparare in Libano con il sostegno dell’ex ministro.

Pina Picierno non lascia, ma raddoppia. Nuova (Tragica) sparata sugli 80 euro di Matteo Renzi: Leggi cosa ha detto

Pina Picierno: "Gli 80 euro faranno aumentare i consumi del 15%"

di Franco Bechis 

Le affermazioni della Picierno, candidata
al Parlamento Europeo con il Partito Democratico:
"Con 80 euro le famiglie italiane fanno la spesa
per due settimane. Con gli 80 euro di Renzi i consumi
aumentano del 15%". E' pur vero che in campagna elettorale
si "fanno promesse" pur di ottenere

qualche voto in più, ma il Pd le spara veramente grosse
di G.D

Ha perso la pazienza davanti alla deputata del Movimento 5 stelle, Laura Castelli. Così Pina Picierno, deputata del Pd e candidata come capolista all'Europarlamento è sbottata durante la trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber mercoledì 7 maggio. Di fronte alle critiche sull'inefficacia di quegli 80 euro messi da Matteo Renzi nelle tasche degli italiani, la Picierno ha assicurato: "ma leggiti il Censis, che ha detto che così aumenteranno del 15% i consumi!". Una sciocchezza megagalattica, naturalmente. Perchè i consumi finali delle famiglie italiane ammontano a circa 963 miliardi di euro. E il 15% vale 144 miliardi di euro. Nemmeno un premio Nobel dell'Economia convincerebbe gli italiani a spendere 144 miliardi grazie al regalo di Renzi che nel 2014 vale appena 6,6 miliardi di euro. Si tratta ovviamente di una gaffe della Picierno, che segue quella delle due settimane di spesa assicurate con quegli 80 euro (l'hanno mezza linciata dopo questa affermazione gran parte delle massaie italiane). Naturalmente il Censis non ha mai detto sciocchezze simili. Anzi, aveva criticato la manovra Renzi che per il fatto di non essere strutturale avrebbe inciso poco sui consumi degli italiani (secondo l'Istat per lo 0,2%, altro che per il 15%). Il Censis ha fatto un esempio che traduciamo con cifre ipotetiche. Oggi quegli 80 euro sono sicuri solo per il 2014. Che ne faranno gli italiani che li ricevono? Spenderanno solo una parte di quella somma: 40 euro. Il resto verrà tenuto da parte visti i tempi difficili. Se invece gli italiani fossero sicuri di avere quegli 80 euro non solo nel 2014, ma per sempre, invece die 40 euro ne spenderebbero 46, cioè il 15 per cento di più... Forse tradotto così, lo capirà pure la Picierno evitando altri scivoloni in campagna elettorale. Chissà se ci ringrazierà...

Le follie del Fisco italiano: chiede un milione di euro a una orfana di cinque anni

Le follie del Fisco italiano:  chiede un milione di euro  a una orfana di cinque anni


di Giacomo Amadori 



L’Italia ha probabilmente un nuovo e poco invidiabile record. Quello degli evasori più piccoli del pianeta. O per lo meno questa è quanto fa immaginare l’Agenzia delle entrate. Infatti nel dicembre 2013 ha inviato un avviso di accertamento a sei zeri a due bambini di 12 e 5 anni e alla loro mamma. La colpa? Essere gli eredi di un imprenditore, presunto evasore, deceduto nel 2010. Già così la storia avrebbe dell’incredibile, ma a questo bisogna aggiungere che la contestata elusione fiscale risale al 2004 e che da allora l’Erario non è stato in grado di chiudere la partita. L’imprenditore era accusato di «abuso di diritto», ossia di non aver pagato un milione di tasse attraverso operazioni considerate sulla carta lecite, ma in realtà, per l’accusa, eseguite esclusivamente per pagare meno imposte, senza un vero fine economico. Per questo a inizio aprile la vedova e la figlia più piccola, assistiti dal commercialista milanese Paolo Troiano, si sono presentati negli uffici dell’Agenzia delle entrate. Ma la bambina era così piccina che per mostrarla al vigilante dietro al bancone della reception, è stato necessario sollevarla da terra. Il guardiano non ha fatto un plissé e ha preparato i pass per tutti. Subito dopo i tre sono saliti nell’ufficio del funzionario di turno per il confronto. Alla fine viene stilato il «verbale di contradditorio del contribuente», in cui sono indicati nome e data di nascita dei convenuti. Il funzionario (difficile immaginarlo serio) annota che la «contribuente» più piccola («sig.ra» è l’appellativo di rito) è nata nel febbraio del 2009, mentre il fratello, rappresentato dal commercialista, è del settembre 2002.

Una situazione talmente kafkiana che è difficile da descrivere anche per Troiano: «Il contesto giuridico fiscale italiano è talmente incerto e inaffidabile che anche i minorenni sono costretti al contraddittorio per fatti avvenuti quando non erano ancora nati. I clienti pensano che noi commercialisti siamo matti e che esageriamo la realtà. Per questo sono solito portarli con me, perché inizino a capire che cosa sta succedendo nel nostro Paese. Anche la bambina si è presentata con la sua carta di identità, è stata schedata all’ingresso ed è finita nel verbale». Il professionista contesta alla radice un sistema vampiresco che va a caccia di soldi anche dopo che il presunto evasore è defunto: «Sfido chiunque a ritrovare le carte di dieci anni prima, soprattutto se riguardano un imprenditore e un’azienda che non ci sono più. Ormai l’Agenzia delle entrate, con semplici pretesti, può perseguitare i contribuenti quasi all’infinito, grazie a una disposizione di legge che le consente di raddoppiare i termini dell’accertamento in presenza di violazioni “potenzialmente” rilevanti a livello penale. E questa norma viene utilizzata anche se il soggetto che avrebbe commesso il reato è morto da quattro anni». Ma che cosa è l’«abuso di diritto» contestato all’imprenditore defunto? «Per risponderle mi piacerebbe utilizzare le parole di Fantozzi dopo la visione della Corazzata Potemkin, ma preferisco essere urbano e dirle che è un regalo della Cassazione che si è inventata che l’amministrazione finanziaria può tassare le operazioni che ritenga abusive. Arriveremo al paradosso che ci contesteranno di aver evaso l’Iva per aver acquistato delle scarpe in un negozio dove costano 100 euro anziché 150». Ovviamente anche l’importo dell’accertamento in corso al «fantasma» dell’imprenditore è già finito nel calderone delle statistiche dell’Agenzia delle entrate: «Si tratta di dati manipolati per sostenere la falsa tesi che in Italia l’evasione fiscale sia la vera ragione dei problemi dello Stato ed evitare così di intervenire sulla spesa pubblica». Il commercialista ha, però, parole di comprensione per il funzionario che ha contestato la presunta elusione a una bambina di cinque anni: «È una persona corretta e precisa nel suo lavoro, un uomo che, con ogni probabilità, oltre ad applicare le leggi è obbligato a seguire le direttive dei suoi superiori che hanno tutte la stessa matrice: “Accertate, sempre e comunque”. Tanto non pagano mai per i loro errori».

I guasti causati da questa ossessione per gli incassi del fisco secondo Troiano sono evidenti: «In Lombardia una serie di multinazionali giapponesi ha deciso di disinvestire perché “attenzionate” morbosamente dall’Agenzia delle entrate». Davanti a un quadro del genere il commercialista e altri suoi colleghi hanno iniziato a raccogliere una casistica di presunti abusi dell’autorità finanziaria in vista della pubblicazione di un libro bianco sul tema. Per esempio un’azienda agricola è stata punita per aver fatto «riposare» per un anno i propri terreni, una pratica usuale per i contadini, ma non per gli esattori che hanno contestato la mancata produzione di reddito. In un altro caso l’Agenzia delle entrate ha provato a emettere, su certi presupposti, un accertamento da 1 milione di euro, senza riuscirci, e due giorni dopo ne ha contestati 40. Grazie a questa piccola antologia di orrori fiscali, scopriamo l’odissea dell’imprenditore che ha provato a ottenere il rimborso dell’Irpeg: il contenzioso con lo Stato è durato a lungo e il privato ha vinto sino al secondo grado della giustizia tributaria. Purtroppo per lui, dopo anni, la Cassazione ha dato ragione all’amministrazione perché ormai i termini per il rimborso erano scaduti. Come si suol dire: oltre al danno, la beffa. Disarmante pure la storia del commerciante che aveva due negozi e che, a causa della crisi, ne ha dovuto chiudere inizialmente uno. Nonostante questo il fisco ha continuato ad assediarlo: i funzionari dell’amministrazione gli hanno fatto 2-3 controlli l’anno per gli scontrini. Tutti senza esito. Ma questo non è bastato a salvarlo. A causa degli studi di settore è stato pure costretto a iniziare numerosi contenziosi con lo Stato. Una trafila che lo ha stroncato e lo ha costretto ad abbassare anche la seconda saracinesca: evidentemente gli affari non gli andavano bene come ipotizzato dalle tabelle dell’Erario. Ma gli esattori, si sa, non demordono. Come dimostra l’ultimo aneddoto: un giorno hanno bussato alla porta di una donna completamente ignara per accollarle parte di un accertamento andato a vuoto nei confronti del compagno. Chi era presente giura che di fronte alle sue proteste il funzionario avrebbe replicato: "Peggio per lei che ha un uomo del genere. Perché non lo ha lasciato?".

Fisco, da qui a giugno 33 miliardi di tasse: la guida per sopravvivere

Fisco, da qui a giugno 33 miliardi di tasse: la guida per sopravvivere


di Sandro Iacometti 



Sfuggire al fisco, come abbiamo visto nei giorni scorsi, è assai difficile. Soprattutto per chi le tasse cerca di pagarle, facendo i dovuti conti con i morsi della crisi e la giungla di adempimenti a cui la legislazione italiana sottopone tutti i contribuenti. L’inchiesta di Libero partita con le confessioni del finanziere delle Fiamme Gialle sulle direttive imposte a funzionari e pubblici ufficiali incaricati degli accertamenti ha dimostrato che lo stato di polizia fiscale in vigore nel nostro Paese prescinde spesso dalla volontà di combattere l’evasione, ma risponde più all’obbiettivo di raggiungere soglie di incasso predefinite a tavolino. Detto questo, però, conoscere le norme può aiutare a cavarsela. E, in alcuni casi, anche a risparmiare qualcosa. Nei prossimi mesi il lavoro dei contribuenti per ottemperare alle disposizioni di legge sarà duro e intenso. Da qui alla metà di giugno imprese e famiglie dovranno versare nelle casse di Stato e comuni qualcosa come 33 miliardi di euro.

Le scadenze - Due gli appuntamenti principali con cui dovremo fare i conti: la dichiarazione dei redditi (Irpef, Ires e Irap) e la tassazione sugli immobili (Tasi e Imu). Per la prima è prevista una raffica di scadenze. La prima, ieri, per la presentazione del 730 all’ente previdenziale o al sostituto d’imposta. Entro il 3 giugno si dovrà invece consegnare il modello al Caf, mentre il 16 giugno sarà la volta di Unico, la cui presentazione telematica da parte del dell’intermediario dovrà poi avvenire entro il 30 settembre. La data del 16 giugno è quella in cui si incrocia il primo pagamento della nuova tassa sugli immobili. Andranno, infatti, in scadenza, sia l’acconto Tasi che quello Imu, escluse le abitazioni principali. Per Ires e Iarp valgono le stesse scadenze dell’Irpef, con il saldo del 2013 da pagare sempre entro il 16 giugno.

Mobili e case - Risparmiare qualcosa di questi 33 miliardi che dovranno essere versati non sarà facile. Ma qualcosa si può fare, soprattutto sul fronte del meccanismo delle deduzioni e detrazioni. Tra le novità fiscali del 2014 c’è sicuramente il nuovo bonus mobili, in base al quale si potrà portare in detrazione il 50% delle spese sostenute dal 6 giugno 2013 (10 rate, importo massimo 10mila euro) per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici destinati all’arredo di immobili oggetto di interventi di recupero edilizio. Per il bonus ristrutturazioni si tratta di una conferma, con la detrazione prevista al 50% per un importo massimo di 96mila euro (sempre in 10 rate). Non tutti sanno che rientra in questa tipologia di agevolazione fiscale anche il box auto di nuova costruzione, che si potrà portare in detrazione purché reso di pertinenza dell’immobile e acquistato direttamente dal costruttore. Infine, la detrazione per gli interventi di rispermio energetico passa dal 50 al 65%.

Cedolare secca - Sconticino anche per i redditi da affitto. Per i contratti con cedolare secca a canone concordato l’aliquota sostitutiva è scesa dal 19 al 15%. E il prossimo anno si ridurrà fino al 10%. Si tratta di misure compensate dall’incremento della tassazione per chi non opta per la cedolare secca, con la deduzione forfettaria prevista per i redditi da locazione che scende dal 15 al 5%, e il ritorno dell’Irpef sulle seconde case, che sarà pagata nella misura del 50%.

Sgravi - In materia di detrazioni, la buona notizie riguarda sicuramente quella per i figli, che passa da 800 a 950 euro per quelli di eta superiore a tre anni e da 900 a 1.220 euro per gli altri. Per quest’anno entra poi in vigore l’aumento dal 19 al 24% della detrazione per le erogazioni liberali in denaro a onlus e partiti politici. Per il resto, però, la situazione peggiora. Ferme restando tutte le tipologie di spese (sanitarie, interessi passivi del mutuo prima casa, rette asili nido, abbonamenti a palestre) che restano con una detrazioe al 19% e quelle (contributi previdenza complementare e obbligatoria, contributi colf) che sarà possibile dedurre dall’imponibile, da quest’ anno non sarà più possibile abbattere il reddito con il contributo al servizio sanitario inserito nell’Rc auto. Altra novità negativa riguarda le polizze vita, con il limite dell’importo da portare in detrazione che scende da 1.291 a 630 euro.

Tasi e Imu - Sarà un vero e proprio inferno, invece, il capitolo immobili. A pochi settimane dalla scadenza, infatti, nessuno sa ancora nulla. Per capire se il 16 giugno si dovrà pagare o meno la prima rata Tasi e Imu 2014 occorre attendere e vedere se il Comune dove è ubicato l’immobile provvede a fare una nuova delibera oppure no. Per i Comuni che entro il 23 maggio 2014 non delibereranno e pubblicheranno entro il 31 maggio le aliquote Imu i proprietari delle prime case non di lusso non pagheranno l’Imu e salteranno la prima rata Tasi di giugno. A dicembre pagheranno la Tasi in base alle aliquote (tra l’1 e il 3,3 per mille) decise dal Comune. Se invece il Comune delibera l’aliquota Tasi prima del 31 maggio, allora i proprietari di prime case pagheranno al 16 giugno la prima rata con le nuove aliquote. I proprietari di seconde case e altri immobili pagheranno, invece, il 16 giugno il 50% dell’imposta Tasi (quella base dell’1 per mille) e Imu (fino all’11,6% cumulato con la Tasi), indipendentemente dal fatto che ci sia stata o meno, la delibera del Comune.

Redditometro - Discorso a parte meritano le nuove armi in mano al fisco per scovare le dichiarazioni incongruenti. Da qualche settimana sono in viaggio le prime 20mila lettere ad altrettanti contribuenti che, sulla base del nuovo redditometro, sono considerati in odore di evasione fiscale. Si tratta di contribuenti per i quali è stato rilevato uno scostamento superiore al 20% tra reddito dichiarato e spese sostenute nel corso dell’anno. Con la promessa degli agenti del fisco che i controlli non partiranno se lo scostamento sarà inferiore a 12mila euro. Per difendersi da questo strumento l’unico modo è conservare tutto il più a lungo possibile. Dagli scontrini alle ricevute fiscali, fino ad un taccuino in cui annoterete anche la paghetta di vostro figlio o il regalo ricevuto dal lontano parente. Un contributo nell’individuazione delle spese effettuate dai contribuenti arriverà dal nuovo spesometro entrato in vigore il 22 aprile per i commercianti e il 30 per le banche. Da allora i soggetti passivi di Iva dovranno comunicare al fisco tutte le operazioni superiori a 3.600 euro. Per chi non ottemperasono previste sanzioni che vanno da 258 a 2065 euro.

Cartelle - Per chi finirà comunque, malgrado le cautele, nella morsa del fisco ci sono alcuni piccoli «contentini». Il primo è che da oggi, sulla base della media dei tassi bancari, gli interessi di mora dovuti in caso di pagamento delle cartelle esattoriali oltre i 60 giorni dalla notifica scenderanno dal 5,22 al 5,14% su base annua. Poi, con il decreto salva Roma Ter approvato ieri è stata prorogata al 31 maggio la possibilità di pagare le cartelle in un’unica rata senza interessi di ritardata iscrizione a ruolo e senza mora.

Come stangano gli evasori: Non paghi le tasse? Ti sequestrano anche l'assicurazione sulla vita...

All'evasore fiscale può essere sequestrata la polizza vita



Se ci si macchia di un reato tributario è possibile subire anche il sequestro delle polizze assicurative sulla vita. Risulta dunque irrilevante, se si sconfina nel penale, il divieto di sottoposizione a misure cautelari o esecutive previste dal codice civile. Il principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 18736 depositata martedì 6 maggio e di cui dà conto Il Sole 24 Ore. Dunque, gli evasori fiscali potrebbero vedersi prosciugata la polizza assicurativa sulla vita, una delle forme di previdenza complementare più sfruttate dagli italiani.

Il ricorso - Il principio è stato sancito in Cassazione, che ha detto l'ultima parola sul caso di un contribuente finito nel mirino per dichiarazione fraudolenta e al quale erano state sequestrate tre polizze assicurative sulla vita. Dopo il rigetto dell'istanza di dissequestro stabilita dal Gip, l'indagato si era appellato al tribunale del Riesame, che aveva però confermato la decisione. Dunque il terzo e decisivo ricorso in Cassazione. Il principio in base al quale il contribuente si appellava sta nell'articolo 1932 del Codice civile, che prevede che le somme dovute dall'assicuratore al contraente (il caso di una polizza vita, appunto) non possono essere sottratte per ragioni esecutive o cautelari.

Il principio - La Suprema corte ha però rigettato il ricorso, confermando la decisione già assunta dal Tribunale del riesame sulla legittimità del sequestro. Nel dettaglio, per i giudici, il divieto a misure cautelari o esecutive in casi simili riguarda soltanto la responsabilità civile, e non quella penale. Dunque, il sequestro preventivo può essere applicato anche, per esempio, a una polizza assicurativa sulla vita, uno strumento finanziario che, fino a questo momento, ha goduto di grande "popolarità" proprio per il fatto che era considerato non aggredibile in alcun caso da parte dei terzi.