Le follie del Fisco italiano: chiede un milione di euro a una orfana di cinque anni
di Giacomo Amadori
L’Italia ha probabilmente un nuovo e poco invidiabile record. Quello degli evasori più piccoli del pianeta. O per lo meno questa è quanto fa immaginare l’Agenzia delle entrate. Infatti nel dicembre 2013 ha inviato un avviso di accertamento a sei zeri a due bambini di 12 e 5 anni e alla loro mamma. La colpa? Essere gli eredi di un imprenditore, presunto evasore, deceduto nel 2010. Già così la storia avrebbe dell’incredibile, ma a questo bisogna aggiungere che la contestata elusione fiscale risale al 2004 e che da allora l’Erario non è stato in grado di chiudere la partita. L’imprenditore era accusato di «abuso di diritto», ossia di non aver pagato un milione di tasse attraverso operazioni considerate sulla carta lecite, ma in realtà, per l’accusa, eseguite esclusivamente per pagare meno imposte, senza un vero fine economico. Per questo a inizio aprile la vedova e la figlia più piccola, assistiti dal commercialista milanese Paolo Troiano, si sono presentati negli uffici dell’Agenzia delle entrate. Ma la bambina era così piccina che per mostrarla al vigilante dietro al bancone della reception, è stato necessario sollevarla da terra. Il guardiano non ha fatto un plissé e ha preparato i pass per tutti. Subito dopo i tre sono saliti nell’ufficio del funzionario di turno per il confronto. Alla fine viene stilato il «verbale di contradditorio del contribuente», in cui sono indicati nome e data di nascita dei convenuti. Il funzionario (difficile immaginarlo serio) annota che la «contribuente» più piccola («sig.ra» è l’appellativo di rito) è nata nel febbraio del 2009, mentre il fratello, rappresentato dal commercialista, è del settembre 2002.
Una situazione talmente kafkiana che è difficile da descrivere anche per Troiano: «Il contesto giuridico fiscale italiano è talmente incerto e inaffidabile che anche i minorenni sono costretti al contraddittorio per fatti avvenuti quando non erano ancora nati. I clienti pensano che noi commercialisti siamo matti e che esageriamo la realtà. Per questo sono solito portarli con me, perché inizino a capire che cosa sta succedendo nel nostro Paese. Anche la bambina si è presentata con la sua carta di identità, è stata schedata all’ingresso ed è finita nel verbale». Il professionista contesta alla radice un sistema vampiresco che va a caccia di soldi anche dopo che il presunto evasore è defunto: «Sfido chiunque a ritrovare le carte di dieci anni prima, soprattutto se riguardano un imprenditore e un’azienda che non ci sono più. Ormai l’Agenzia delle entrate, con semplici pretesti, può perseguitare i contribuenti quasi all’infinito, grazie a una disposizione di legge che le consente di raddoppiare i termini dell’accertamento in presenza di violazioni “potenzialmente” rilevanti a livello penale. E questa norma viene utilizzata anche se il soggetto che avrebbe commesso il reato è morto da quattro anni». Ma che cosa è l’«abuso di diritto» contestato all’imprenditore defunto? «Per risponderle mi piacerebbe utilizzare le parole di Fantozzi dopo la visione della Corazzata Potemkin, ma preferisco essere urbano e dirle che è un regalo della Cassazione che si è inventata che l’amministrazione finanziaria può tassare le operazioni che ritenga abusive. Arriveremo al paradosso che ci contesteranno di aver evaso l’Iva per aver acquistato delle scarpe in un negozio dove costano 100 euro anziché 150». Ovviamente anche l’importo dell’accertamento in corso al «fantasma» dell’imprenditore è già finito nel calderone delle statistiche dell’Agenzia delle entrate: «Si tratta di dati manipolati per sostenere la falsa tesi che in Italia l’evasione fiscale sia la vera ragione dei problemi dello Stato ed evitare così di intervenire sulla spesa pubblica». Il commercialista ha, però, parole di comprensione per il funzionario che ha contestato la presunta elusione a una bambina di cinque anni: «È una persona corretta e precisa nel suo lavoro, un uomo che, con ogni probabilità, oltre ad applicare le leggi è obbligato a seguire le direttive dei suoi superiori che hanno tutte la stessa matrice: “Accertate, sempre e comunque”. Tanto non pagano mai per i loro errori».
I guasti causati da questa ossessione per gli incassi del fisco secondo Troiano sono evidenti: «In Lombardia una serie di multinazionali giapponesi ha deciso di disinvestire perché “attenzionate” morbosamente dall’Agenzia delle entrate». Davanti a un quadro del genere il commercialista e altri suoi colleghi hanno iniziato a raccogliere una casistica di presunti abusi dell’autorità finanziaria in vista della pubblicazione di un libro bianco sul tema. Per esempio un’azienda agricola è stata punita per aver fatto «riposare» per un anno i propri terreni, una pratica usuale per i contadini, ma non per gli esattori che hanno contestato la mancata produzione di reddito. In un altro caso l’Agenzia delle entrate ha provato a emettere, su certi presupposti, un accertamento da 1 milione di euro, senza riuscirci, e due giorni dopo ne ha contestati 40. Grazie a questa piccola antologia di orrori fiscali, scopriamo l’odissea dell’imprenditore che ha provato a ottenere il rimborso dell’Irpeg: il contenzioso con lo Stato è durato a lungo e il privato ha vinto sino al secondo grado della giustizia tributaria. Purtroppo per lui, dopo anni, la Cassazione ha dato ragione all’amministrazione perché ormai i termini per il rimborso erano scaduti. Come si suol dire: oltre al danno, la beffa. Disarmante pure la storia del commerciante che aveva due negozi e che, a causa della crisi, ne ha dovuto chiudere inizialmente uno. Nonostante questo il fisco ha continuato ad assediarlo: i funzionari dell’amministrazione gli hanno fatto 2-3 controlli l’anno per gli scontrini. Tutti senza esito. Ma questo non è bastato a salvarlo. A causa degli studi di settore è stato pure costretto a iniziare numerosi contenziosi con lo Stato. Una trafila che lo ha stroncato e lo ha costretto ad abbassare anche la seconda saracinesca: evidentemente gli affari non gli andavano bene come ipotizzato dalle tabelle dell’Erario. Ma gli esattori, si sa, non demordono. Come dimostra l’ultimo aneddoto: un giorno hanno bussato alla porta di una donna completamente ignara per accollarle parte di un accertamento andato a vuoto nei confronti del compagno. Chi era presente giura che di fronte alle sue proteste il funzionario avrebbe replicato: "Peggio per lei che ha un uomo del genere. Perché non lo ha lasciato?".
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