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giovedì 8 maggio 2014

Chi farà fuori Matteo Renzi? Ecco la lista dei 43 senatori del Pd pronti ad affossare il Governo

Roberto Calderoli: "Nel Pd in 43 pronti a tradire"


Intervista a cura di Brunella Balloli 



«Prima tanta spocchia, ma adesso hanno calato un po’ le orecchie. Anche perché è chiaro che si va verso un’altra maggioranza. Ci sono 43 senatori Pd contrari alla riforma del Senato voluta da Matteo Renzi». Sorride sornione il senatore della Lega Roberto Calderoli, l’eroe delle opposizioni che a Palazzo Madama ha fatto andare sotto il governo con un suo ordine del giorno in commissione Affari costituzionali. Da ex ministro delle Riforme padroneggia la materia, «per cui è difficile che mi freghino su quello che so», e quando presiede i lavori è sempre uno spasso, come quando ieri, senza scomporsi, ha fermato la protesta dei Cinquestelle che esibivano una maglietta con scritto Schiavi mai. «Colleghi», ha detto Calderoli, «gli spogliarelli al Senato non sono consentiti. E in presenza di certi fisici sono anche sconsigliati».

Senatore, chi ha abbassato le orecchie?

«Il governo, mi pare evidente. Spariscono i senatori eletti dal presidente della Repubblica, il Senato è un vero Senato e non un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci, resta l’autonomia delle Regioni, quindi c’è una trasformazione dello Stato in senso federale vero e non il contrario come voleva Renzi».

Ma dopo il suo odg, che richiama alla Devolution, è stato votato il testo base del governo. E Renzi ha detto che il suo vale zero.

«È il contrario: sono saltati tutti i paletti voluti da Renzi. Perché c’è l’impegno dei relatori e quindi, anche controvoglia del governo, a sostenere tutti gli emendamenti che verranno votati e che modificheranno il testo perché si realizzi il contenuto del mio ordine del giorno».

Il premier, però, ha attaccato: volevano rimanere nella palude, ma noi andiamo avanti.

«Che si esca dalla palude è vero. Ma usciamo dalla palude perché il Senato ha dimostrato di avere le idee chiare, che sono opposte di quelle del governo».

Eppure, la ministra Maria Elena Boschi è stata dura. Non la daremo vinta ai Calderoli, ha detto.

«Ecco, questo è proprio un errore strategico. Sarà l’inesperienza, l’età. Pensi che è venuta da me, davanti ai funzionari, alla sua presidente di commissione e agli altri a minacciarmi».

La Boschi l’ha minacciata?

«Mi ha detto: o è così, come diciamo noi, o si va a votare. A parte che non sta a lei dirlo, ma pensava di farmi paura? Le ho risposto: guarda cara, queste cose dille al tuo gruppo che se andiamo a votare adesso, con la tanto vituperata legge che porta il mio nome, finisce che tu e il tuo partito non eleggete tutti quei parlamentari che avete adesso. Se fanno due calcoli non gli conviene. Perché se è così, dopo il voto, devono fare gli accordi conForza Italia o con i Cinquestelle per governare. Si vede che cominciano ad avere i loro problemi». 

Numeri ballerini al Senato?

«Sono sotto gli occhi di tutti. In presenza di maggioranze variabili, com’è avvenuto in commissione, nel momento di votare gli altri emendamenti in Aula, c’è una maggioranza ma è quella che ha sostenuto il mio ordine del giorno martedì».

Però, un conto è la commissione, un altro l’Aula intera...

«Sì, ma io so che la mia maggioranza ce l’ho sul Senato».

In suo favore hanno votato Fi, M5S, Sel e Gal, più Mario Mauro e il Pd Mineo non ha votato. Però Fi ha anche detto sì al testo del governo. Dunque?

«Berlusconi ha scelto la linea della responsabilità per avere comunque un testo base da cui far partire il lavoro. Ma dopo avere votato la mia idea di riforma, votando gli emendamenti in questo senso si determinerà un’altra maggioranza, che non è più quella che sostiene l’esecutivo Renzi, ma un’altra che sostiene le mie proposte di riforma».

Cioè, oltre a Mineo ci sarebbero altri Pd pronti a dare il via libera alla proposta Calderoli?

«Sì. Intanto Mineo non ha partecipato al voto sull’odg proprio perché era fuori per rispondere al telefono a Renzi, poi non ha partecipato al voto sul testo base. Ma in Aula non c’è solo lui, ce ne sono alcune decine di Pd...».

La minoranza del ddl Chiti?

«Mi risulta che i firmatari del disegno di legge Chiti siano almeno la metà di quelli che all’interno del gruppo Pd la pensano in maniera diversa da Renzi rispetto alle riforme. Cioè, se i sostenitori del ddl Chiti sono 23, almeno 43 sono i senatori democrati dissidenti in tema di riforme».

Stiamo parlando di 43 possibili franchi tiratori su 108 senatori Pd?

«Mi risulta. E, del resto, è chiaro dal continuo ricorso alla fiducia su ogni provvedimento».

Sul decreto Lavoro, infatti, il premier l’ha annunciata.

«Certamente, altrimenti ogni volta andrebbe incontro a un bagno di sangue. Io non so come fanno. Ma se fossi nel presidente della Repubblica, e non voglio arrogarmi questo diritto, comincerei a essere un po’ preoccupato».

Perché?

«Ma come perché. Dieci giorni fa hanno chiesto la fiducia sul decreto Lavoro alla Camera e ieri ne annunciano un’altra su un testo tutto modificato. Oltre ad essere un segno di debolezza, io una chiamata al Colle per farmi spiegare cosa sta succedendo la farei. Si chiede la fiducia su due cose che sono completamente diverse. Se fossi in Napolitano direi: “Matteo, da che parte stai?».

Torniamo agli equilibri a Palazzo Madama. A favore del suo ordine del giorno ha votato anche il M5S. Stupito?

«Sono all’opposizione come la Lega. E sul voto di protesta è facile trovare dei punti di convergenza, anche se loro a volte esagerano con le manette, le grida. Oggi (ieri, ndr) erano tutti ammanettati e ho scherzato: chiamo il fabbro?. Però, noi,come gli altri all’opposizione facciamo il nostro lavoro per cui Renzi smentisca la frase sull’accozzaglia perché siamo persone elette dal popolo».





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