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mercoledì 11 novembre 2015

L'intervista scottante "Pagavo in nero i moralisti di sinistra con soldi, tartufi, cene, viaggi e sbronze"

Giuliano Soria, il papà del Premio Grinzane: "Soldi in nero, tartufi, cene , viaggi e sbronze. Così pagavo i moralisti di sinistra"


Intervista a cura di Giacomo Amadori



Giuliano Soria quando parla ama tenere le mani appoggiate dietro la testa. Quasi a stringere i ricordi. Buoni per molti, ma non per tutti. Langarolo doc, 64 anni, a marzo è stato condannato in Appello a 8 anni e tre mesi per la gestione del Premio Grinzane Cavour di cui è stato per quasi un trentennio il dominus assoluto. È accusato di aver sperperato 4 milioni di fondi pubblici. Soldi che lui sostiene di aver in gran parte utilizzato correttamente e in parte dovuto versare nella greppia che ingrassava il caravanserraglio degli habitué del castello. In particolare quella fetta di mondo progressista che camuffa l’ingordigia con pose pensose e sopraccigli corrucciati . E così il “conto” di Cavour ha rimpinzato politici, intellettuali, giornalisti, attori, per lo più girotondini del pensiero debole e della tasca robusta. Oggi Soria è ritornato in pista con mille progetti, dirigendo due collane di libri e riprendendo le sue lezioni di Letteratura spagnola all’Università di Roma Tre. Ma soprattutto ha pronti un romanzo e un pamphlet sulla sua vicenda giudiziaria che dovrebbe uscire dopo la sentenza della Cassazione. Ora con le mani a sorreggere la nuca affronta anche questa intervista.

Soria che cosa sta succedendo nel mondo della cultura torinese? Prima hanno condannato lei e adesso indagano pure sulla conduzione del Salone del libro da parte del presidente Rolando Picchioni, accusato di peculato. 

«A Torino la pentola ha perso il coperchio. Non c’è solo il salone del libro in crisi, ma un sacco di altri enti, dal museo del cinema, alla film commission al teatro stabile. Chiuso il vivaio Fiat che aveva collocato i suoi in mille incarichi, la città è nuda in mano alla solita cricca comunista che blocca tutto, guardando al passato e non al futuro. Usa la cultura per piazzare personaggi scomodi o peggio. Per esempio Picchioni, lo hanno nominato al Salone perché in politica “rompeva”, “sapeva troppo”, “era un rompicoglioni”». 

In appello ha ottenuto un’importante riduzione della condanna che le aveva inflitto il tribunale e ora è in attesa della Cassazione. Nel frattempo sta preparando un pepatissimo pamphlet su chi si è rimpinguato grazie al premio Grinzane. 

«Sì, ma sarà anche un libro-denuncia sul linciaggio morale che ho subìto. Pensate che un giornale torinese ha dedicato una pagina intera a mia madre inventandosi che era stata in carcere. Sono stati querelati ed hanno pagato fior di quattrini! Per fortuna mia mamma non si è persa d’animo e anzi, a 90 anni suonati, ha inaugurato un blog di cucina e ha scritto il suo romanzo d’esordio, intitolato La littorina di Nosserio».  

Alcuni suoi stretti collaboratori sostengono che il suo pamphlet contenga nomi eccellenti. Dicono che varie pagine siano dedicate a importanti magistrati… 

«Dicono il vero, del resto basta andare a controllare i verbali di approvazione dei bilanci del Grinzane per trovare personaggi interessanti. Comunque su questi argomenti ho l’assoluto divieto da parte del mio difensore Luca Gastini a proferire anche una sola parola. Si aspetta un grande risultato dalla Cassazione e non vuole che qualche mia uscita possa interferire negativamente. Ma questo mi sento di dirlo comunque: pensate che avrei chiesto a un autorevolissimo magistrato torinese di far parte del consiglio del premio se avessi avuto qualcosa da nascondere nei conti? In ogni caso nel mio libro denuncia non parlerò solo di giudici».  

Non ha paura delle querele? 

«Se vuole saperlo io ho accusato decine di persone del mondo della politica e dello spettacolo, ma nessuno, dico nes-su-no, mi ha querelato. Come mai?». 

Allora passiamo al piatto forte: gli scrocconi della politica, del mondo dell’arte, del giornalismo e del cinema. Da chi cominciamo? 

«Dai giornalisti. Ho dovuto pagare in nero un’enormità di servizi direttamente a chi li realizzava. Nella vostra categoria Corrado Augias era ed è il più sfacciato di tutti. Lui lavora solo in nero. Lo sanno tutti. Fa il moralizzatore in pubblico e poi in privato è indecente. Sarà venuto 15-20 volte a presentare il premio e mi diceva se mi paghi in nero mi devi dare 5-7 mila euro, se no il doppio. Me li ha chiesti persino quando abbiamo presentato un suo libro al Grinzane Noir di Orta (Novara ndr)». 

Sono accuse gravi. Mi vuole dire che neppure Augias l’ha denunciata? 

«Assolutamente no. E su di lui non ho finito. Veniva spessissimo a Parigi a pranzo da me con la moglie e mi diceva sempre: “Bisogna che una volta ti inviti io”. Ebbene una sera lo ha fatto, nella sua casa in Montparnasse. L’appartamento era molto piccolo ed erano attesi otto invitati. Allora io gli chiesi: “Ma dove ci metti?”. Lui mi guardò e disse: “Hai ragione, allora andiamo al ristorante”. Scelse il prestigioso La Coupole, a tavola eravamo tre uomini e cinque donne. Alla fine sentenziò che il conto andava diviso tra i soli cavalieri. In pratica mi ha fatto offrire a due sue ospiti la cena che si sarebbe dovuta tenere a casa sua». 

Veniamo alla politica. Lei ha raccontato di aver elargito all’attuale governatore del Piemonte Sergio Chiamparino un sostanzioso finanziamento in nero.  

«Confermo di avergli consegnato un bel gruzzolo in contanti: 20.000 euro glieli ho dati in un bar in piazza Vittorio a Torino e ho i testimoni. Glieli ho messi in una busta nascosta dentro a un giornale. Lui era imbarazzato dalla presenza della scorta, ma ha preso la busta. Eccome se l’ha presa! Altri 5.000 glieli ho portati in casa dell’ex assessore alla Cultura Fiorenzo Alfieri, uno che mi scroccava spesso casa a Parigi e che faceva il ”raccoglitore” dei fondi pro Chiamparino». 

Si prende la responsabilità di quel che dice? 

«Certo che sì». 

Una delle ospiti più assidue della sua corte è stata Mercedes Bresso, l’ex governatrice del Piemonte. Lei nella sua memoria difensiva ha scritto che aveva imposto il marito Claude Raffestin in tutti i viaggi e persino dentro a una giuria. Ha pure detto che «Bresso esigeva che si invitassero i suoi amici a spese nostre».  

«La Bresso ha avuto molto dal Grinzane, soprattutto in termini d’immagine. Poi sul piano personale anche una grandiosa festa per il suo compleanno nel teatro d’opera dell’ex ambasciata prussiana a San Pietroburgo, dove mi aveva chiesto di organizzare un’edizione del premio. Fu un ricevimento per duecento ospiti, da vera zarina! Anche il marito ci deve molto. In alcune occasioni hanno utilizzato gli eventi del Grinzane per ritagliarsi i loro personali vantaggi».  

Lei asserisce di essere intervenuto per far pubblicare il noir della Bresso Il profilo del tartufo? 

«Certo. Era una cosa che non stava in piedi da sola. Io me ne occupai pagando di tasca mia anche un pesante lavoro di editing. Quando uscì, la signora nelle prime pagine si sperticava in lodi nei miei confronti. Poi, dopo che mi indagarono, fece fare in fretta e furia una nuova edizione. È tutta da ridere!». 

A proposito di tartufi, è vero che gli scrocconi del suo seguito ne andavano matti? 

«Il più ghiotto era il “compagno” Gianni Oliva, ex assessore regionale del Pd, un gran mangiatore di trifola. Dovevo rifornirlo spesso, ovviamente gratis: pare che il tartufo sia un afrodisiaco e, parola di Oliva, con lui sortiva quell’effetto». 

Nel suo libro nero ci sono altri politici? 

«Sì, per esempio c’è un onorevole romano: era insistente ed insaziabile, in particolare ai tempi in cui era sottosegretario. Lui veniva a prendere i soldi qui nel mio ufficio torinese al primo piano e mi chiedeva di chiudere le tende perché non ci vedessero dal palazzo di fronte. Avrà ritirato 30-40 mila euro e gli amici della sua corrente, che conosco personalmente, sospettavano che non li avesse portati al partito, ma se li fosse tenuti per sé». 

Non ha elargito solo buste, ma anche lussuosi soggiorni. Ci indichi qualche bon vivant a spese dei contribuenti… 

«A parte i nomi che ho già fatto e che sono quindi noti c’è un famoso storico dell’arte, Salvatore Settis». 

Settis? Ma è appena stato adottato dal blog del Movimento5stelle. Sarà un brutto colpo per gli attivisti… 

«Su Settis posso dire che ha fatto modificare lo Statuto della Scuola Normale di Pisa pur di essere rieletto la terza volta direttore. Giudicate voi!».  
Ha detto di aver ricompensato in nero star come Stefania Sandrelli, Isabella Ferrari, Charlotte 

Rampling, Michele Placido, Giancarlo Giannini, Franco Nero, Vincenzo Cerami. Chi era il più avido?  

«Il più ingordo era Giannini. Finita la cerimonia voleva essere pagato subito, ovviamente cash. Mi ricordo che una volta mi chiese insistentemente i soldi in un corridoio, altrimenti non sarebbe entrato nella sala dove si teneva la cena di gala. L’ho dovuto saldare sull’unghia, credo nell’anticamera di un bagno. Cose da matti. In realtà pochi attori italiani e stranieri sono immuni dal sistema del nero. Pensi che ho dovuto retribuire in contanti Eleonora Giorgi persino per farla venire alla festa della Vendemmia nell’ottobre del 2008…». 

Sono affermazioni gravi... 

«Me ne assumo la responsabilità». 

Ha scritto che il grande romanziere statunitense Philippe Roth è costato 30.000 euro in forma non ufficiale. Ci spieghi meglio. 

«Quando premiavamo uno scrittore all’estero, lo facevamo cash e senza fattura. L’ho rimunerato personalmente all’Italian Academy della Columbia university. Ricordo che era irritato perché i giornalisti italiani non parlavano in inglese e nemmeno il direttore editoriale dell’Einaudi».  

Chi altro è stato pagato sottobanco? 

«Quasi tutti. Da José Saramago a Osvaldo Soriano, da Paulo Coelho, ad Adolfo Bioy Casares a Sepulveda. Non è andata diversamente con i cubani. Pensi che Tahar Ben Jelloun, da presidente della giuria, mi disse che non voleva la ricevuta, ma essere liquidato in contanti. Una cosa impossibile per i giurati, che venivano ricompensati in modo ufficiale. Ben Jelloun ha un rapporto particolare con il denaro. Ricordo che voleva divorziare dalla moglie e quando scoprì quanto gli sarebbe costato iniziò a sussurarle “j’e t’aime”. L’ho pure dovuto salvare da una grana giudiziaria, visto che per cupidigia aveva venduto i diritti di un suo libro a due diversi editori». 

Col Grinzane lei ha anticipato diversi premi Nobel, come quello al nigeriano Wole Soyinka.  

«Uno snob. Mi scrisse che non trovava giusto che dei ragazzi di liceo giudicassero uno scrittore del suo livello, visto che era un principe dell’antico popolo Yoruba. C’è da dire che dopo che lo abbiamo premiato alcuni protestarono facendoci notare che l’opera con cui aveva vinto era un rimaneggiamento di quella del leggendario Amos Tutuola, un nomade che trasmette i suoi racconti per via orale». 

Tutuola chi? 

«Amos Tutuola. Si presentò a un appuntamento con me in Africa con la sua tribù e i suoi cammelli, annunciato da una nuvola di polvere. Quando lo invitammo in Italia, si fermava per strada ad abbracciare i copertoni delle ruote».  

Come sono questi premi Nobel visti da vicino? 

«Umanissimi. Mi ricordo che il polacco Czeslaw Milosz, ormai ottantenne, venne al premio e si ubriacò di Barolo. Gli chiedemmo perché a fine serata si stesse scolando tutto il vino che era rimasto sulla tavola e lui ci spiegò che quello era l’unico modo “to fuck” la giovane e splendida moglie che lo attendeva in stanza. A| contrario, Soynka non aveva certo bisogno dell’alcol per soddisfare le donne, quel monumentale africano era un grande amatore. Almeno così mi assicurò una mia collaboratrice. Con Sepulveda, invece, ricordo tremende ciucche di grappa».  

Ha conosciuto anche il grande Jorge Luis Borges. 

«Parlavamo di tutto e sul conflitto delle Falkland mi regalò un aforisma fulminante: la definì la guerra tra due calvi per un pettine. Quando gli domandai quale fosse il più grande errore della sua vita mi mise una mano sulla spalla, quasi accarezzandomi, e disse: “Caro Soria, mi sono dimenticato di essere felice”».  

Torniamo al suo j’accuse. Lei sembra particolarmente divertito dalla voracità di Alain Elkann, padre di John, il presidente della Fiat Chrysler Automobiles… 

«È un flagello per le lettere italiane: vacuo e spendaccione con i soldi degli altri. Al grande evento del Grinzane a New York superò sé stesso: pretese la first class per sé e la moglie, allora era Rosi Greco, e l’alloggio all’Hotel Carslyle, un 5 stelle lusso. Mi ricordo quanto mi disse l’avvocato Gianni Agnelli di lui: “Possibile che mia figlia Margherita tra tutti gli ebrei geniali abbia finito per sposare l’unico c…”».  

In questi mesi qualcuno l’ha chiamata per chiederle di essere cancellato dal suo mémoire? 

«Moltissimi mi hanno contattato per essere risparmiati. Esponenti della politica e della Rai. Ma qui non vale il noto proverbio africano: “Dove c’è un desiderio si trova sempre un cammino”. Qui non ci sarà cammino».

È allarme in tavola sull'olio d'oliva: extra-frode, i 7 grandi marchi nei guai

Torino, frode sull'olio d'oliva spacciato per extravergine: indagati 7 grandi marchi




L'olio d'oliva spacciato per extravergine da 7 grandi marchi, alcuni recentemente acquisiti da gruppi stranieri. A scoprire il raggiro sono stati i carabinieri del Nas di Torino dopo le verifiche partite a seguito di una segnalazione di una rivista di consumatori alla procura torinese. Secondo le analisi eseguite a campione dai laboratori dell'agenzia delle Dogane e dei Monopoli su oli di note marche, il prodotto non era extravergine come invece pubblicizzato sulla bottiglia. Per questo il pm Raffaele Guariniello ha iscritto nel registro degli indagati una decina di rappresentanti legali di varie aziende per frode in commercio. Il magistrato ha anche informato il ministero delle politiche agricole. Nel mirino sono finite Carapelli, Bertolli, Sasso, Coricelli, Santa Sabina, Prima Donna e Antica Badia.

La denuncia di Coldiretti - A favorire le frodi è certamente il record di importazioni con l'arrivo dall'estero nel 2014 di ben 666mila tonnellate di olio di oliva e sansa, con un aumento del 38% rispetto all'anno precedente. È quanto afferma la Coldiretti nel commentare l'indagine torinese: "Occorre fare al più presto luce per difendere un settore strategico del Made in Italy con l'Italia che - sottolinea la Coldiretti - è il secondo produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna con circa 250 milioni di piante su 1,2 milioni, con un fatturato del settore è stimato in 2 miliardi di euro con un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative". L'Italia, continua Coldiretti, è però anche "il primo importatore mondiale di oli di oliva che vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all'estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri. Un comportamento che favorisce le frodi che vanno combattute anche con l'applicazione della disciplina del settore".

Arriva una carognata sulle multe: chi, quanto e perché pagherà di più

I comuni vogliono cancellare lo sconto del 30% per i pagamenti delle multe saldate entro i primi 5 giorni




La possibilità di pagare le multe con il 30% di sconto se saldate entro cinque giorni potrebbe non esistere più. La volontà di cancellare il seppur piccolo incentivo viene dai comuni. L'Associazione dei Sindaci ha proposto in Senato l'abolizione e una serie di misure che ad hoc per incassare più soldi. Lo sconto dei 5 giorni è in vigore solo da due anni ma sembra destinato ad avere vita breve. Secondo quanto dichiarato da sindaci e amministratori delle casse comunali il decreto varato dal governo Letta è stato un flop. Il motivo sarebbe riconducibile all'aumento del gettito complessivo delle multe perché quando i vigili multano un cittadino tutto finisce nel bilancio del Comune. Non ci finisce, cioè, quello che materialmente i comuni incassano, ma il totale teorico che dovrebbero ottenere se tutti pagassero nei tempi previsti. Una somam teorica che senza quel 30% si alzerebbe consentendo di aumentare il bilancio comunale. Come sempre però, se il Senato dovesse approvare la manovra, a rimetterci saranno i cittadini.

DE LUCA INDAGATO Nuova botta delle toghe al Governatore-padrone

Nuovi guai per De Luca: indagato l'ex braccio destro (e forse anche lui)




Carmelo Mastursi, l’ex capo della segreteria di Vincenzo De Luca, risulta indagato nell’ambito di una inchiesta aperta dalla Procura di Roma che coinvolge anche un magistrato del Tribunale di Napoli, Anna Scognamiglio. Iscritto nel registro degli indagati anche il marito del magistrato partenopeo, la stessa che ha firmato il 22 luglio la sentenza di sospensione della sospensiva per il governatore della Campania. Si indaga per rivelazioni di segreto d’ufficio e per corruzione. Nei giorni scorsi la Squadra Mobile di Napoli aveva perquisito gli uffici di Mastursi in regione e la sua abitazione a Salerno sequestrando un telefono cellulare e un computer portatile. Secondo quanto si apprende, gli indagati in questa vicenda, anche se come atto dovuto, sarebbero sette e uno di questi sarebbe proprio il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Il fascicolo è stato aperto da un’intercettazione nella quale il marito del giudice Scognamiglio, parlando con Mastursi, ha chiesto «un favore» spiegando che in cambio avrebbe fatto "intervenire" la moglie su una vicenda che stava a cuore all’ex capo della segreteria del presidente della Giunta campana.

martedì 10 novembre 2015

Il record della "patonza d'autore": venduta per 170 milioni di dollari. Ecco a chi

Il record della "patonza d'autore": venduta per 170 milioni di dollari. Ecco a chi




È stata la seconda asta su un'opera d'arte più cara di sempre quella sul capolavoro "Nu couché" di Amedeo Modigliani, venduto questa notte a New York per 170,4 milioni di dollari, circa 158 milioni di euro. A sborsare la cifra record è stato il musero Long di Shangai dopo nove minuti serratissimi di rilanci. Una cifra incredibile, anche per la stessa casa d'aste Christiés che sperava inizialmente di ricavare al massimo 100 milioni di dollari sull'opera di Modigliani. Finora aveva fatto meglio solo Pablo Picasso con la famosa "Donne di Algeri", battuto all'asta per 179,4 milioni di dollari. Nel club dei 100 milioni ci sono stati anche sculture di Alberto Giacometti, opere di Andy Warhol, Eward Munch e Francis Bacon. L'asta però potrebbe avere effetti notevoli sulla quotazione dell'opera artistica di Modigliani, che nei suoi 35 anni di vita ha prodotto appena un centinaio di opere, mentre di Picasso e Warhol ne esistono centinaia.

L'intervista Rivera: "Io politico sì, calciatore no L'Abatino? Non l'ho mai sopportato"

Gianni Rivera: "Mai stato un calciatore, ho solo giovato a pallone"



Intervista a cura di Giancarlo Perna



Oggi che ha 73 anni...» dico a Gianni Rivera che reagisce all' istante: «Settantadue, non cominciamo a invecchiare la gente!» e aggiunge scherzosamente piccato: «Ho vissuto 17 anni ad Alessandria dove sono nato e ho tirato i primi calci al pallone, 35 a Milano dove ho fatto tutta la carriera di calciatore e dirigente rossonero, da 20 abito a Roma, gli anni della mia attività politica. Facendo le somme viene fuori la mia età». Settantadue, appunto. Un riassunto della sua vita, in stile parabola. Diavolo di un Rivera. Uomo di poche parole e parchi gesti, ma tutti significativi.

Il luogo dell' appuntamento, per cominciare. Simboleggia i due momenti della sua esistenza, lo sportivo e il politico. Siamo nel Circolo del Tennis sotto la collina di Monte Mario, preferito dai parlamentari. Mentre parliamo, seduti in terrazzo con vista sulla terra rossa, Giorgio La Malfa si esibisce in un doppio. Assiduo è pure Giuliano Amato, il più accanito, che davanti alla tv studia i colpi dei vari Federer e cerca di riprodurli sul campo. Gli altri soci sono contenti di salutare Rivera, anche se per discrezione non si avvicinano, e si capisce che è ancora vivissimo il mito del celebre centravanti milanista. L' unico a scambiare due parole è Ciro Cirillo, anima del Circolo, ex prima categoria e maestro di Adriano Panatta. «Se Gianni non avesse fatto il calciatore, sarebbe stato un campione di tennis», sentenzia e spiega: «Come tutti quelli che hanno occhio per la palla». Ossia, se la palla è la tua passione, ne sarai comunque un giocoliere. Lo ignoravo ma vedo che anche Gianni approva con la testa. Ha i capelli candidi, Rivera, ma mossi e ondulati come nelle foto anni '60. È in completo scuro molto distinto e la camicia bianca col colletto slacciato. Nel taschino della giacca ha la cravatta pronta all' uso se si presentassero circostanze più formali.

«Internet le dà più spazio che ad Alcide De Gasperi», dico, avendolo accertato documentandomi per l' intervista. Rivera sorride: «Io sono nell' era di internet che ai tempi di De Gasperi non esisteva. Altrimenti non avrebbe avuto rivali». Saggia e coerente risposta da simpatizzante dc. «Lei ha avuto due vite -gli dico, per sondarlo un po'-, una da sportivo, l' altra da politico. Quest'ultima, meno brillante». «Sono complessivamente soddisfatto della mia vita politica - replica-. Ho fatto quattro legislature, cinque anni da sottosegretario alla Difesa e sono stato deputato Ue. Non volevo le cose a tutti i costi. Quel che mi è capitato ho preso». È pacato e realista anche quando gli chiedo: «Famiglia modesta, studi limitati (terza avviamento, ndr) ma numero uno nella vita. A cosa attribuisce il successo?». «A stimolarmi è stata proprio la modestia della nascita. Stirpe contadina. Papà fu fabbro delle ferrovie per sfuggire alla fatica dei campi. Eravamo però legati alla terra, ai valori veri. Ci si accontentava di ciò che si aveva».

Tra i calciatori dei suoi tempi, lei spiccava per garbo. Era borghese d' istinto?

"I miei  pensavano che i figli dovessero superarli nell' ascesa sociale. Mi fecero studiare. Smisi perché ero già in serie A, pensando: se va male, riprendo. Per fortuna, andò bene. Un solo pentimento: non ho studiato le lingue. Come gli anglosassoni che parlano solo inglese, io parlo solo italiano".

Lei disse: "Mai stato calciatore. Ho solo giocato a pallone". Che intendeva?

"Il calciatore è visto oggi come un protagonista. Ai nostri tempi, andavamo al ristorante dagli amici per avere lo sconto. Oggi, i calciatori sono pagati per andare al ristorante e dargli lustro. Ecco perché non sono un calciatore, nel significato attuale".

Rivera, saldamente sposato da trent' anni con Laura Marconi che gli ha dato due figli, si è sottratto solo a una domanda sulla sua precedente vita privata.

"Ho già dato"

A tratti, mi sembra diffidente. Sbaglio?

"I piemontesi sono naturalmente riservati. Io ho sempre cercato di non occupare lo spazio destinato agli altri" risponde mentre applaude un elegante smash di La Malfa.

Forse per questa reticenza, scambiata per pigrizia e snobismo, i suoi critici le rimproveravano di non correre dietro la palla.

"Se c' era da conquistarla mi davo da fare anche io. Ma avevo compiti diversi dai difensori. Io agivo da calamita con gli avversari diretti: mi stavano sempre attaccati per sorvegliarmi e difficilmente potevano essere pericolosi per la nostra porta".

Di lei è stato detto: il calciatore più amato e più odiato.

"In una città con due squadre, gli avversari ti vedono come fumo negli occhi. Il tifoso controlla prima che la squadra avversa abbia perso, poi se la sua ha vinto".

Quale dei suoi soprannomi -Signorino, Abatino, Golden boy- la rappresenta meglio?

"I meno simpatici erano i diminutivi. Comunque, non ci badavo. Sapevo da me quando giocavo bene e quanto valevo".

Si scontrava con arbitri e cronisti sportivi.

"Ho contestato gli arbitri quando era evidente che qualcosa non funzionava. Ero capitano e, visto che la società taceva, parlavo io. Con i giornalisti reagivo se, invece di parlare del gioco, toccavano sensibilità personali".

Suo rivale per antonomasia fu Sandro Mazzola. Che prova per lui oggi che siete entrambi ultrasettantenni?

"Anche da avversari -capitani delle due squadre cittadine, Inter e Milan- ci siamo stimati. In azzurro abbiamo giocato quasi sempre insieme. Oggi, lui è a Milano, io a Roma e vivendo in ambienti diversi ci si perde".

A me imbarazza tifare per squadre zeppe di stranieri e una Nazionale infarcita di "oriundi". Sbaglio?

"È inevitabile. Ma basterebbe un po' di attenzione da parte delle società per le Giovanili e maggiori controlli sui contratti degli stranieri che sono quelli su cui più si sorvola".

Che senso ha fare tifo nazionalistico quando in campo si parlano tutte le lingue?

"Conta il colore della maglia. Tanto, quando giocano, i calciatori non parlano".

Il calcio l' ha fatta ricca come Gigi Buffon?

"Buffon è nato molto dopo di me e non c' è paragone. Io stavo un po' meglio dell' altro Buffon, Lorenzo, altro grande portiere azzurro. Appena ho lasciato io, negli anni '80, le squadre hanno cominciato ad arricchirsi con gli sponsor. Prima la pubblicità era vietata".

La corruzione nel calcio?

"Dove ci sono i soldi, la corruzione è automatica. Il danaro prende il sopravvento su tutto, anche sulla morale. Già il Cristo disse: O vinco io, ho vince Mammona".

È devoto?

"Nel modo giusto, alla maniera di Padre Eligio (prete dei bisognosi, oggi ultra ottantenne, noto negli anni '60 per l' amicizia col golden boy, ndr)".

Cattolico conservatore o progressista?

"Non ragiono con questo metro.
So però che il Cristo era più innovatore dei conservatori di oggi".

Entrò in Parlamento nell' 87 con la sinistra dc. Perché con la Dc e perché con la sinistra?

"Fui introdotto da Giovanni Goria e Bruno Tabacci (entrambi, sinistra dc, ndr), ma ero amico di tutti. Ero per la squadra, come nel calcio. Anche in politica, se non c' è accordo, spariscono i partiti".

Fu sottosegretario alla Difesa di Max D' Alema, l' ex comunista diventato premier. Non le si contorsero le budella?

"Se sei nell' istituzione, ti muovi nella logica istituzionale. Seguivo i ministri sopra di me. Il migliore fu il dc Beniamino Andreatta, primo a dirsi favorevole all' abolizione dell' esercito di leva".

Col Cav, invece, sempre ai ferri corti, fin da quando acquistò il Milan (1986).

"Al contrario. Auspicavo l' arrivo di un tycoon per tirare il Milan dalle secche".

Ma appena arrivò l' arcoriano, lei che era vicepresidente della vecchia società, sbatté la porta.

"Fu Berlusconi a creare le condizioni perché me ne andassi, allontanandomi dalla gestione".

Come accadde?

"Ti fa capire che se non lo consideri il Re Sole, non ti metterà tra i collaboratori. Se gli fai un po' ombra non ti accetta".

Al Berlusca premier non fece sconti.

"Consideravo Berlusconi ineleggibile perché concessionario di reti tv. Il famoso conflitto d' interessi, tuttora vigente. Io rispetto le leggi e per me un ineleggibile non deve stare in Parlamento".

Matteo Renzi?

"Appare troppo. Forse si sente costretto a occupare la scena avendo i nemici in casa. Ma dovrebbe limitarsi".

Spera qualcosa dal suo agitarsi?

"Una guerra totale alla burocrazia e una netta diminuzione del peso fiscale".

Non è un parlare da centrosinistra...

"Sono del centrosinistra che ragiona. Quello a favore della gente e non solo dell' istituzione".

Dopo 72 anni, che opinione ha di sé?

"Soddisfacente. Poteva andare meglio se fossi stato più politico. Ma se l' ho fatto di mestiere, non lo sono per vocazione».

Caivano (Na): Caso Braucci Dopo 4 anni di inefficienza alla Provincia Monopoli recupera a stento 130 mila euro

Caivano (Na): Dopo 4 anni di inefficienza alla Provincia e dopo 4 giorni di chiusura del Plesso scolastico Braucci Monopoli recupera a stento 130 mila euro



di Gaetano Daniele





Finalmente la montagna ha partorito il topolino. Monopoli, nonostante i 4 anni e mezzo in Provincia da consigliere provinciale di maggioranza in quota Forza Italia-Cesaro, e dopo 4 anni e mezzo di nulla per scongiurare la chiusura dello stesso Liceo Scientifico Braucci, arrivando, difatti, alla chiusura del Plesso per 4 giorni, oggi,  il neo Sindaco Monopoli, a stento riesce a recuperare 130 mila euro per risanare, forse, una situazione insostenibile per insegnanti e alunni che, appunto, proprio mentre il neo Sindaco si destreggiava a destra e a sinistra in campagna elettorale e proprio mentre si insediava nei banchi del civico consesso, veniva staccata appunto, la corrente al Liceo Scientifico Braucci. 4 giorni di chiusura e quindi 4 giorni di lezioni perse per i liceali del Braucci, perchè la Provincia, ora Città Metropolitana, non versava più all'Ente Comune, i soldi per le forniture Elettriche. E Monopoli all'epoca dov'era? forse a studiare la sua candidatura a Sindaco? 

Insomma, il primo cittadino Monopoli, riesce a scongiurare la chiusura del Liceo Scientifico Braucci recuperando a stento 130 mila euro, sventolando pure a destra e a manca la bandiera dell'utilità come se avesse fatto il piacere a qualcuno, al Preside o agli insegnati o persino agli alunni, quando garantire il regolare funzionamento del Plesso è di base. Che figuraccia avrebbe fatto nei riguardi di insegnanti, alunni e genitori, in breve agli occhi dell'opinione pubblica, se il Liceo Scientifico Braucci, avesse chiuso nuovamente per mancanza di fondi? 

La solita politica che lascia passare messaggi di regolare amministrazione come chissà quali manovre politiche intelligenti, appunto, di intelligente non c'è niente. Pensate se un qualsiasi capo di famiglia esultasse a fine mese solo perchè ha pagato la bolletta elettrica. Si pensi al concreto, si pensi al reddito di cittadinanza. Si pensi alla nuova gara rifiuti, escludendo favoritismi e garantendo trasparenza. Si pensasse ai buoni pasto e alle graduatorie. Si pensasse ad una nuova riqualificazione ambientale delle strade, considerando che alcuni giorni fa per una giornata intensa di pioggia i cittadini non sono potuti neanche uscire dalle proprie abitazioni, solo qualche fortunato, si, con la Canoa. Speriamo domani di non vedere sventolata un'altra bandiera dell'utilità solo perchè dopo una giornata di pioggia non si è dovuto prendere la Canoa. 

Il favore di Conte a Renzi: ecco chi farà le nuove divise della Nazionale

Per la Nazionale di Conte nuove divise griffate Ermanno Scervino




Tra sette mesi si giocano gli Europei di calcio di Francia 2016. La nazionale italiana di Antonio Conte è già qualificata e può quindi pensare a cose più leggere di gol, classifiche e differenze reti. Tipo le divise da portarsi Oltralpe. Si sa, ad ogni manifestazione ufficiale il look cambia per stare al passo coi tempi e per essere il più "cool" possibile. In più, in questo caso, c'è da lasciarsi alle spalle (anche sul piano del look) la disastrosa spedizione di Brasile 2014. E così, nuove maglie, nuovi pantaloncini, ma anche nuove giacche, cravatte, pantaloni e quant'altro. Roba normale. Meno, forse, lo è lo stilista che tra qualche mese vestirà gli azzurri. Mollati Dolce & Gabbana, la Figc ha scelto Ermanno Scervino. Sarto forse poco al grande pubblico se paragonato alle grandi griffe made in Italy, ma con una asso nella manica: essere fiorentino (ma va?) ed essere lo stilista preferito dei Renzi, Matteo e Agnese, la mogliettina del premier che non si perde una sfilata di Scervino oltre a indossarne i capi.

Loris, arriva la svolta clamorosa cosa ha detto Veronica al marito

Veronica Panarello ammette: "Quella mattina non ho portato Loris a scuola"




Comincia a parlare, a ricordare, Veronica Panarello. La donna accusata di aver ucciso suo figlio Loris ha incontrato il marito Davide Stival in carcere e, secondo quanto scrive il quotidiano La Sicilia, gli avrebbe detto: "Quella mattina il bambino io non l'ho accompagnato a scuola", ma poi avrebbe ribadito: "non l'ho ammazzato io. Ho un buco, mi ricordo solo questo - aggiunge - non ti basta? Ora stammi vicino...".

Stangata da 10 miliardi sui rifiuti Ecco i comuni dove si paga di più

Tari, stangata da 10 miliardi sulla monnezza


di Antonio Castro



Per essere rifiuti li paghiamo (e li pagheremo) sempre più a peso d' oro per smaltirli. Sia quelli che produciamo a casa, sia quelli che vengono realizzati nei processi produttivi delle imprese. La sostanza è che la Tari (la tassa sui rifiuti che dal gennaio 2014 ha assorbito e sostituito Tarsu e Tares) è aumentata (la media d' incremento nazionale è dell' 1,5/2%), e continuerà a crescere.

I tagli ai trasferimenti alle amministrazioni locali, l' evasione dal pagamento del tributo, e la necessità di fare cassa, hanno fatto lievitare la tariffa comunale per lo smaltimento dei rifiuti. E gli italiani negli ultimi due anni si sono trovati con una tassazione locale minore che è letteralmente esplosa: dai 60 euro che si pagano a Fermo (appartamento di 100 mq con tre residenti), agli oltre 523 euro l' anno che si sborsano a Cagliari (ed è pure scesa del 6,4% l' imposta 2015 rispetto al 2014).

Nel mezzo ci sono tutte le sfumature (e tutte le variazioni possibili). A prendersi la briga di analizzare tutte le possibili varianti dell' imposta - ripartita e aggregata per 104 province - ci ha pensato Ref Ricerche, pensatoio di analisi che ha realizzato per il Sole 24 Ore un approfondimento. L' analisi ha fatto emergere che la gestione dei rifiuti a livello nazionale (costo aggregato circa 10 miliardi), è coperto per il 99,5% dalla tassazione dei cittadini. Insomma, lo Stato ci rimette veramente poco in questo caso per sanare la differenza. Salta anche fuori che mediamente per "gestire" un chilogrammo di rifiuti sborsiamo 0,33 centesimi. Anche se la differenza tra il costo sostenuto al Nord e quello pagato nelle regioni meridionali, ovviamente, varia: al Nord - secondo l' analisi Ref - si pagano in media 30 centesimi, mentre al Centro come al Sud il costo/chilo supera i 37 centesimi di euro.

Perché, principalmente la variazione tariffaria è imputabile alla diffusione della differenziata. Nei comuni e nelle province dove è più sviluppata, spesso (ma non sempre) il costo al chilogrammo scende. A Salerno (dove la raccolta differenziata supera il 65%), una famiglia tipo paga la bellezza di 493 euro in media, non proprio un premio per uno dei pochi comuni del Sud ad avere adottato percentuali nordiche di differenziata. Insomma, il prelievo in aumento (solo una quarantina di comuni hanno deliberato riduzioni delle tariffe), nonostante la crescita della differenziata, dimostra che i sindaci usano come un bancomat - in mancanza di altre risorse finanziarie certe - anche la tassa sui rifiuti.

Se le famiglie boccheggiano tra aumenti e bollette folli, non se la passano certo meglio le imprese che - sempre stando all' analisi Ref - hanno visto crescere, e non di poco, la tariffa tra il 2012 ed oggi. E nonostante qualche limatura recente il bilanciamento tra rincari e riduzioni non basta a riportare l' imposta ai livelli di 3 anni fa.

La sostanza è che per far quadrare i conti i sindaci hanno spremuto dove hanno potuto, con un ventaglio tariffario che passa dai 2,54 euro al metro quadrato, agli oltre 18,23 euro (sempre per un metro quadrato di rifiuti). Resta da chiedersi - come hanno fatto alla Confesercenti giusto qualche giorno fa - se quest' esplosione tariffaria sia giustificata poi dall' effettivo servizio reso. Nel 2015, tanto per fare un esempio, il costo per la fornitura idrica alle famiglie è lievitato dell' 8,8% (rispetto al 2014), e in quattro anni è addirittura lievitato del 36,6%. Considerando complessivamente tutte le utenze - stima la Confederazione - quest' anno le famiglie pagheranno il 10% in più rispetto a quattro anni fa (9,6%) e lo 0,9% in più rispetto al 2014.

Per le famiglie la tassa sui rifiuti nel 2015 è salita del 2%. Il record va a Cagliari con 523 euro. A Napoli, sommersa dall' immondizia, si sborsano quasi 500 euro. Salasso in crescita anche per le aziende. Ecco l' elenco dei capoluoghiStangata da 10 miliardi sulla monnezza.

TSUNAMI FORZA ITALIA Il piano degli anti-Bologna vogliono un nuovo leader

Forza Italia, i moderati pronti a scendere in campo con Diego Della Valle




La "svolta" leghista non è piaciuta ai moderati di Forza Italia, le colombe azzurre sono sempre più attratte dal richiamo di Diego Della Valle. Aspettano e sperano nella sua discesa in campo e, stando a quanto scrive Repubblica, sarebbero già pronti alla scissione. A lui si sarebbero rivolti molti nomi in vista di Forza Italia e di Ncd, i conservatori di Fitto e il movimento di Tosi. L'obiettivo è quello di raccogliere in un'unica lista tutti quelli che non hanno approvato la scelta di Bologna. Rimproverano a Silvio di aver ceduto a Salvini e ai suoi toni che vengono considerati troppo radicale rispetto a loro che stanno su posizioni più moderate. E poi ci sono di mezzo i calcoli. Amesso anche che il centrodestra unito avrà molti voti al capo di Forza Italia spetterebbero tra Camera e Senato trentacinque posti. Troppo pochi. Per questo si guarda e si aspetta la discesa in campo di Della Valle. Il quale per ora resta fermo. Da tempo l'imprenditore marchigiano è tentato dalla politica. Ma contattato da Repubblica ha preferito non parlare. 

I NUMERI NON MENTONO La classifica: Renzi sprofonda Ha perso 5 posti in due anni

La classifica dei Paesi più felici del mondo: l'Italia è solo 37esima




Renzi parla, parla, e dice che stiamo andando verso tempi migliori. C'è pero un prestigioso indice mondiale, formulato da un istituto londinese, il Legatum Institute, che dice che non è vero. E che, anzi, l'Italia rispetto a due anni fa è andata in retromarcia. Il "prosperity index" è una monumentale classifica di tutti i Paesi del globo che identifica quelli più felici, prosperosi e sani in base a molteplici fattori: 89, tra cui il reddito pro-capite, il livello di occupazione, l'educazione, la sicurezza, la libertà personale, la mobilità sociale ecc...

Ebbene, tra i 142 Paesi della lista il più fortunato è la Norvegia, che guida una top ten nella quale rientrano Svizzera, Danimarca, Nuova Zelanda, Svezia, Canada, Australia, Olanda, Finlandia e Irlanda. Gli Stati Uniti scivolano alla posizione numero 11, seguiti da Islanda (che però vince nelle categorie libertà personale, sicurezza e opportunità) e Lussemburgo. La Germania è quattordicesima, seguita da Gran Bretagna, Austria, Singapore, Belgio, Giappone, Hong Kong, Taiwan, Francia, Malta, Spagna, Slovenia e Repubblica Ceca.

E l’Italia dove sta? Al 37° posto, cioè dietro a Costa Rica e Kuwait e appena davanti a Trinidad & Tobago. La nostra migliore performance è nel settore Sanità, la peggiore riguarda la libertà personale. Nel 2014 eravamo sempre lì, trentasettesimi. Ma nel 2013, anno in cui il fiorentino prese il potere dalle mani di Enrico Letta eravamo ben cinque posizioni più avanti, al 32° posto.

Arriva la rivoluzione del catasto così il Fisco misura la tua casa

Catasto, la rivoluzione: il Fisco calcola i metri quadati




Basta calcoli basati sui vani. I metri quadrati entrano nelle visure catastali E' una vera e propria rivoluzione quella che interessa 57 milioni di immobili. Il documento di riconoscimento sarà rilasciato dall'Agenzia delle Entrate e conterà il numero di metri quadrati. “Da ogguu l’Agenzia delle Entrate rende disponibile la superficie catastale nelle visure delle unità immobiliari censite nelle categorie dei gruppi A, B e C. Una novità che semplifica la vita ai proprietari di 57 milioni di immobili, mettendo a loro disposizione un dato finora visibile solo nelle applicazioni degli uffici, e che manda definitivamente in soffitta i calcoli basati sui vani”, si legge nel comunicato.  “Arriva direttamente in visura anche la superficie ai fini Tari, per consentire ai cittadini di verificare con facilità la base imponibile utilizzata per il calcolo della tassa rifiuti”, aggiunge l'Agenzia delle Entrate.  

SPERIMENTAZIONE -  Oltre ai dati identificativi dell’immobile (sezione urbana, foglio, particella, subalterno, Comune) e ai dati di classamento (zona censuaria ed eventuale microzona, categoria catastale, classe, consistenza, rendita), da oggi sarà riportata direttamente in visura anche la superficie catastale. La novità, che arriva al termine di un periodo di sperimentazione che ha coinvolto gli uffici provinciali lascia al momento fuori gli immobili che presentano un dato di superficie “incoerente”. Per quanto riguarda gli immobili non dotati di planimetria, che risalgono perlopiù alla prima fase di censimento del Catasto edilizio urbano, e sono di conseguenza privi anche del dato relativo alla superficie, i proprietari possono presentare una dichiarazione di aggiornamento catastale.

Volkswagen ora corre ai ripari: 900 euro a chi ha l'auto taroccata

Voucher da 1.000 euro e assistenza stradale gratuita ai proprietari di auto taroccate




Volkswagen offrirà voucher e buoni acquisti per 1.000 dollari e assistenza stradale gratis ai proprietari delle auto diesel coinvolte nello scandalo-emissioni negli Usa. Lo ha comunicato la branch americana della casa automobilistica di Wolfsburg. Immediata la reazione dell'Unione nazionale consumatori: "E agli italiani nulla? Gli italiani non sono cittadini di serie B rispetto agli americani. Solo perché temono la class action americana, che a differenza di quella italiana prevede anche il danno punitivo, non è accettabile che ci siano trattamenti differenziati da nazione a nazione".

Giovane, bella e laureata alla Bocconi: la donna che inguaia Fassino

Chiara Appendino è la candidata sindaco per i grillini a Torino




Per anni è stata la leader indiscussa dell'opposizione alla maggioranza del sindaco Piero Fassino tra i banchi del Comune di Torino. Ora, Chiara Appendino potrà sfidare il sindaco del capoluogo piemontese anche alle urne, quando la prossima primavera anche a Torino si voterà per il nuovo sindaco. Trentuno anni, occhi azzurri, di buona famiglia, la grillina è stata scelta dai militanti del Movimento 5 Stelle come candidata sindaco per il 2016.

Come scrive il quotidiano "La Stampa", che le dedica un ritratto, la Appendino è una 5 Stelle dei primissimi tempi, quelli dei meet up, quando ancora il M5S non si era strutturato in un senso apertamente politico. La sua è una candidatura trasversale, che può far presa sia su quegli ambienti della borghesia torinese che sono stufi dell'amministrazione Pd ma non votano più il centrodestra, sia sulle fasce più popolari della cittadinanza e non a caso ieri ha lanciato la sua candidatura dal quartiere operaio della Falchera. In più, diversamente da quel vecchio arnese di Fassino, ha un volto fresco, vivace e molto telegenico. Figlia di un ingegnere e di una professoressa d'inglese, sposata con un giovane imprenditore con cui aspetta un figlio, lavora nell'azienda di famiglia come esperta di contabilità e bilanci (è laureata alla Bocconi) e da tempo ha rinunciato a precepire il gettone di presenza in Comune.

La truffa su WhatsApp, è allarme rosso L'emoticon micidiale: addio smartphone

WhatsApp, l'ultima truffa: il messaggio che vi disintegra il cellulare




Il cavallo di Troia torna a colpire, e questa volta lo fa tramite WhatsApp. In questi giorni tutti gli utenti dovranno fare attenzione ai messaggi che riceveranno perché sta girando una truffa che minaccia di mandare in tilt il vostro smartphone. "Bellissime le nuove emoticon animate di WhatsApp. Le hai viste?", recita il messaggio virus. Ma questo è solo uno dei vari travestimenti che usa il cavallo di troia per adescarvi nella sua trappola e invogliarvi a cliccare. Una volta aperto il link, il virus viene scaricato sul dispositivo e automaticamente inoltrato a tutti contatti WhatsApp della propria rubrica. Per non farvi fregare dunque state attenti ad aprire i link sulle chat dei vostri amici: rischiate il cellulare.

L'intervista Ingroia inguaia Napolitano: "Vi svelo quelle strane telefonate"

Antonio Ingroia a Libero: "Vi svelerò le telefonate di Napolitano"


intervista a cura di Giacomo Amadori 



Di persona Antonio Ingroia è più basso di come appaia in tv. Ma è anche più simpatico. Lo studio spartano dell'avvocato Ingroia è a Roma in un ammezzato a pochi passi da Porta Pia. All'ingresso mi accolgono gli uomini della sua corte, gentili e adoranti nei confronti del Capo. Ingroia parla nell'altra stanza. Appare e scompare. I suoi collaboratori, compresi due (due!) cordialissimi addetti stampa, mi conducono in una sala riunioni attrezzata per l'intervista dove appoggio la borsa sul tavolo. Il factotum di Ingroia, Antonio pure lui, una specie di groupie dell'omonimo ex magistrato, mi fulmina: «Lì si siede il Presidente». Presidente di che? Domando io. «Di Azione civile». Il partitino fondato nel 2013 dallo stesso Ingroia e ormai ridotto al trastullo per feticisti della politica. Ubbidiente sposto la valigetta e quando arriva Ingroia mi rivolgo a lui in perfetto stile fantozziano: «Presidente, professore, avvocato, dottor Ingroia». Lui capisce lo sfottò e abbozza autoironico.
Si inizia.

Pochi giorni fa è arrivata la prima sentenza del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia ed è stata un' assoluzione per Calogero Mannino. L'ex ministro ha parlato di una persecuzione lunga 25 e a chi gli chiedeva se il suo sia stato un processo politico ha risposto che solo Ingroia aveva un' impostazione di quel tipo...

«Potrei dire che da un politico navigato come Mannino il giudizio sul mio "spessore politico" lo prendo come un complimento, quanto all' accanimento sarebbero troppi i persecutori, giudici compresi. La verità è un' altra: sono le prove dei suoi rapporti con i mafiosi che hanno inseguito Mannino per tutti questi anni, confermate persino dalla Cassazione che lo ha assolto. Ciò non toglie che sia stato giudicato innocente in modo definitivo dal concorso esterno e assolto in primo grado per la trattativa. Questo gli va riconosciuto, però non esageri».

In che senso? Un uomo innocente non può neppure lamentarsi dopo 25 anni di processi?

«Intendo che comunque la procura, pur sconfitta nella sua impostazione originaria di cui non disconosco la paternità, può contare su un bicchiere mezzo pieno: infatti quella di Mannino è stata una assoluzione per insufficienza o contraddittorietà delle prove, non per la loro mancanza. In più il giudice, con quel tipo di decisione, ha ammesso che la trattativa c' è stata e che costituisce reato».

Mannino ha anche detto che a voi interessava non tanto la verità quanto l' opera teatrale del "guitto" Marco Travaglio, in cui vi «impartiva gli indirizzi relativi al processo».

«Battuta per battuta noi pm potremmo lamentarci del fatto che siano stati realizzati spettacoli su indagini che ci sono costate sacrifici e sudore e che per questi non abbiamo preso neanche le royalties».

Se è per questo Travaglio ha messo la copertina a una sua requisitoria e l' ha contrabbandata come un proprio libro. Il direttore del Fatto almeno in questo caso le avrà riconosciuto una percentuale?

(Sorride) «Non riuscirà a farmi litigare con Marco. È uno dei pochi amici che mi sia rimasto nel vostro mondo. Posso dire che grazie a lui ho avuto la soddisfazione di far conoscere il mio lavoro al grande pubblico».

Ultimamente alcuni giornali che l' hanno sempre sostenuta, come La Repubblica, sembrano averla un po' abbandonata.

«È vero che ho perso per strada più di un amico e questo è accaduto a causa del processo sulla trattativa che era scomodo non solo a destra ma anche a sinistra».

Quale critica al suo operato l' ha infastidita maggiormente?

«Il fatto che l' inchiesta sui rapporti Stato-mafia sia stata descritta come un mio personale trampolino di lancio verso la politica, mentre è stato un lavoro serio in quanto summa di quasi 20 anni di indagini sulle collusioni della politica con la mafia per cercare verità e giustizia sulla morte di uomini dello Stato traditi da quello stesso Stato. Oggi posso riconoscere che fosse una sfida forse troppo ambiziosa e dall' esito incerto vista la complessità anche giuridica della materia, difficile da sostenere in un' aula di giustizia».

Però a prendere le pernacchie per una simile scommessa adesso sono rimasti i suoi ex colleghi, Nino Di Matteo in testa, mentre lei, come dice Mannino, è «fuggito»...

«Io non sono abituato a fuggire dai miei processi come dimostrano i procedimenti contro Marcello Dell' Utri e Bruno Contrada, entrambi condannati definitivamente, dopo anni di indagini che ho seguito fino in fondo. Nel caso della trattativa ero diventato non solo un parafulmine, ma, a un certo punto, persino un peso. Attiravo continue polemiche che si scaricavano negativamente sul processo. Per questo ho ritenuto fosse utile, conclusa l' indagine, farmi da parte».

Veniamo alla sua nuova vita. Nei giorni scorsi ha riservato parole dure al giudice romano Caterina Brindisi, che non ha accolto una sua istanza: ha scritto che per la signora è «evidentemente meglio non sentire, non vedere, non sapere». Da avvocato sta rivedendo la sua opinione sui magistrati?

«In realtà mi è capitato anche da pubblico ministero di trovare giudici che non volessero né sentire, né vedere, né sapere. Un meccanismo di autodifesa corporativa che scatta spesso quando ci sono di mezzo magistrati o altri pezzi delle istituzioni».

Ogni riferimento al procedimento Stato-mafia è puramente casuale... Ritiene che in quel processo siano stati protetti pezzi di istituzioni?

«Più che nel processo lo si è fatto fuori dal processo perché quel processo non si celebrasse mai. E un ruolo lo hanno però svolto anche la magistratura associata e il Csm a colpi di procedimenti disciplinari nei confronti dei pm che doverosamente facevano quelle indagini».

Con il senno del poi insisterebbe ancora ad opporsi alla richiesta del Quirinale di distruzione immediata dei nastri con le intercettazioni tra il presidente Giorgio Napolitano e l' ex ministro Nicola Mancino?

«Per me la legge va applicata comunque anche di fronte alla richiesta di commissione di un abuso proveniente dalla più alta carica dello Stato, perché la richiesta di distruzione immediata era soltanto un abuso».

Non sono stati dello stesso parere i giudici della Corte costituzionale.

«Come ha detto il presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky quella era una sentenza politica, perché, aggiungo io, quei giudici avevano come una pistola puntata alla tempia: se avessero smentito il Capo dello Stato sarebbe scoppiata una gravissima crisi istituzionale che avrebbe potuto portare alle dimissioni del Presidente della Repubblica».

Spengo il registratore. Mi confida che cosa diceva Napolitano di tanto grave ai suoi interlocutori?

«Non è ancora arrivato il momento, anche se, probabilmente, un giorno lo racconterò: credo che «tutte le verità» di uno Stato democratico vadano svelate ai cittadini. Ma non in un' intervista».

In che modo pensa di farlo?

«Magari attraverso un romanzo, un mezzo che mi permetterebbe di usare certi filtri per raccontare una realtà che va ben aldilà della più fervida immaginazione».

Ha già un' idea per il titolo?

«Potrebbe essere "Caro Giorgio come stai?". Come le pare?».

Torniamo al suo nuovo mestiere di avvocato. Lei aveva giurato che non avrebbe mai assistito mafiosi e corrotti e invece sta difendendo i presunti complici di Massimo Ciancimino, condannato in via definitiva per riciclaggio del patrimonio mafioso del padre (l' ex magistrato è in piedi e mi guarda in tralice).

«Niente di incoerente perché nessuno dei miei assistiti è incriminato per fatti di mafia. In più aggiungo che sono convinto dell' innocenza di questi imputati che sono rimasti stritolati da quello che io definisco il sistema Cappellano».

Ovviamente sta parlando dell' amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara, sotto indagine a Caltanissetta per corruzione e altri reati... Perché dice che sono stati schiacciati da questo sistema?

«Su tutti i giornali è scritto che dall' inchiesta nissena emerge che Cappellano Seminara aveva l' interesse a enfatizzare se non addirittura a inventare l' origine "mafiosa" di certi patrimoni, specie se di ingente valore, per ottenere incarichi e onorari che venivano poi parametrati sul valore della aziende confiscate. Un sistema che gli consentiva di elargire incarichi e prebende a famigliari e amici dei magistrati che spesso erano quelli che lo avevano nominato amministratore e gli avevano liquidato lauti onorari».

Uno di quei magistrati è Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione. Sul suo conto in queste settimane sono emerse intercettazioni imbarazzanti. La sensazione è che ci sia un' Antimafia che più che gli ideali persegua interessi particolari.

«Per anni abbiamo cercato di convincere i cittadini che combattere la mafia non solo è giusto, ma è anche utile. Non immaginavo che dei professionisti di questa lotta avrebbero cercato sì l'utile, ma per se stessi, come sta emergendo».

Non trova che sia quanto mai attuale l' invettiva di Leonardo Sciascia contro i professionisti dell' Antimafia?

«Sciascia sbagliò obiettivo, colpendo Paolo Borsellino, ma ebbe un' intuizione profetica».

In tanti citano Giovanni Falcone e Borsellino. Quali sono, secondo lei, i veri eredi e chi, invece, si fa bello con i loro nomi a sproposito?

«Per me non ci sono veri eredi, ma ci sono troppi aspiranti eredi».

Faccia qualche nome...

«L' elenco è troppo lungo e non basterebbe lo spazio di questa seppur lunga intervista. E mi riferisco anche a qualche importante ex magistrato oggi in politica».

Per alcuni il processo in corso a Roma contro i presunti complici di Ciancimino rischia di trasformarsi in una specie di resa dei conti tra lei e il procuratore della Capitale Giuseppe Pignatone, suo ex collega a Palermo.

«Non credo nella personalizzazione della giustizia, però è noto che negli anni io e Pignatone ci siamo trovati più volte su posizioni diverse, come in questo caso. Pignatone è "affezionato" ai procedimenti che riguardano la famiglia Ciancimino. Si era occupato prima del padre e poi del figlio. Persino quando era procuratore di Reggio Calabria e venne fuori l' intercettazione bufala di Massimo Ciancimino che si vantava di fare da padrone di casa nel mio ufficio a Palermo. La cosa bizzarra è che in questi anni sono stato accusato io di essere troppo affezionato a Ciancimino junior, mentre sono stato l' unico a farlo arrestare quando ero procuratore aggiunto a Palermo».

Lei è indagato dalla procura del capoluogo siciliano per abuso d' ufficio per il suo ruolo di commissario della E-servizi, società partecipata dalla Regione. Si sente un perseguitato dalla giustizia?

«Per altre cose sì, ma non è questo il caso, visto che la procura aveva già chiesto l' archiviazione. Il procedimento è rimasto aperto a causa di una contestazione della Corte dei conti. Però, siccome i giudici contabili un mese fa mi hanno prosciolto, confido che la cosa si chiuda anche al palazzo di giustizia».

È sotto inchiesta, per calunnia, pure a Viterbo. Non ha mai paura di finire vittima di uno sbaglio dei suoi ex colleghi togati?

«Sinceramente sì. Soprattutto oggi che faccio l' avvocato mi rendo conto di tanti errori giudiziari. Le inefficienze del sistema sono più gravi di quanto non sospettassi da magistrato. Nel caso del procedimento che sto seguendo a Roma, per esempio, anche se dimostreremo l' errore degli inquirenti, ci troveremo di fronte a danni irreversibili con società fallite, uomini ammalati e imprenditori rovinati».

Ci sono delle furbizie che i pm usano per incastrare gli indagati? Mi resulta che non di rado i nomi sul registro generale vengano iscritti il più tardi possibile per allungare i termini delle investigazioni…

«Ci sono le astuzie dei difensori, ma anche quelle dei sostituti procuratori. E ora che sono dall' altra parte della barricata ho il vantaggio rispetto ai miei colleghi avvocati di poter smascherare certi espedienti furbetti».

Me ne può svelare uno?

«Ci sono i cosiddetti stralci a catena che permettono con un gioco di scatole cinesi di tenere aperto un filone d'indagine facendolo emigrare da un fascicolo in scadenza a un altro».

Forse anche da una procura all'altra?

«Qualche volta è accaduto pure questo».

Da pm che cosa ha sbagliato? C'è un errore che si sente di ammettere?

«Con il senno del poi mi sono sempre chiesto se si potesse fare di più per prevenire la morte di due uomini».

Di chi sta parlando?

«Di Borsellino e del giudice Luigi Lombardini. Del primo ero stato collega a Palermo e del secondo mi sono occupato da pm: era accusato di complicità in estorsione per il sequestro di Silvia Melis. Paolo è stato ucciso dalla mafia e da altro, dentro a un intrigo di Stato e avremmo potuto «proteggerlo» meglio. Lombardini si è suicidato dopo un mio interrogatorio. Stavamo andando a perquisire la sua stanza, dove poi trovammo documenti importanti a suo carico, e lui stava camminando davanti a me. All' improvviso, con un balzo felino, si è chiuso nel suo studio e dopo pochi attimi abbiamo sentito un colpo di pistola. Sono episodi che non si dimenticano e che ti cambiano».

È meglio la vita da magistrato o quella da avvocato?

«L'esistenza blindata del pm antimafia è infernale. Di quegli anni mi mancano solo... le intercettazioni (sorride e attende la reazione del cronista, nda). Sto scherzando, ma non troppo. Da avvocato accertare la verità è molto più difficile, perché si combatte con armi spuntate contro una magistratura che spesso è un muro di gomma rispetto alle istanze della difesa».

Almeno le mancherà il suo vecchio ruolo da star?

«Devo essere onesto: era una vita molto stancante, così fitta di impegni».
(Squilla il telefono e Ingroia tuba: «Amore, sono ancora impegnato nell' intervista, raggiungimi in studio»).

Mi scusi, ma lei è sposato?

«No, ho una nuova compagna».

La domanda sorge spontanea: si cucca di più da legale o da magistrato?

«Non posso rispondere, Giselle è gelosissima. E poi l'ho conosciuta nel "trapasso" tra le due carriere».

Ripensando a quel periodo, rientrerebbe in politica, candidandosi a premier, come fece nel 2013?

«No, in quelle condizioni avrei fatto meglio a restarmene in Guatemala. Però grazie a quella scelta sbagliata oggi mi ritrovo a fare l' avvocato e il nuovo lavoro mi piace molto».

Eppure per il prossimo 28 novembre ha indetto quella che ha pomposamente chiamato «l' assemblea nazionale» del suo partito. Pensa di non presentarsi?

«Vuole farmi fare il congresso da solo? Azione civile è un movimento piccolo, ma combattivo. Non lo posso abbandonare».

Non si chiamava «Rivoluzione civile»? Anche lei è nato incendiario ed è finito pompiere?

«Mi sono reso conto che la rivoluzione non si può fare in due mesi. Partiamo dall' azione e vediamo se si può fare la rivoluzione».

Perdoni la battuta: vi incontrerete in una cabina telefonica?

«Spiritoso. Ci riuniremo al Centro Congressi Frentani, lei ovviamente è invitato, ma onestamente non abbiamo prenotato l' aula da mille posti (ride di nuovo)».

Mi tolga una curiosità: lei, «toga rossa» per antonomasia, è comunista?

«No. Non lo sono mai stato. Sono un movimentista».

Le posso chiedere che cosa pensa dei giudici in politica?

«Ritengo che anche i magistrati abbiano il diritto di mettersi in gioco nella Cosa Pubblica e che la loro esperienza possa essere e sia stata utile. Credo pure che chi ha fatto politica per molto tempo non debba più rientrare in magistratura. Sul piano personale sono sempre rimasto stupito che tra i critici più aspri della mia scelta ci siano dei politici che non si sono mai dimessi dalla magistratura, mentre io non ho neppure messo piede in Parlamento».

Sta parlando di Luciano Violante?

«Non solo di lui, anche di Anna Finocchiaro, ad esempio, e di altri».

A proposito di porte girevoli, lei ha provato a rivestire la toga e ha rinunciato dopo che l' hanno spedita a mangiare la mocetta ad Aosta.

«Proprio perché il Parlamento è ancora pieno di magistrati in aspettativa, in quel momento non vedevo perché solo io che avevo fatto politica per due mesi dovessi rinunciare alla mia vecchia professione. Comunque ora posso dire grazie al Csm per quella porta sbattuta in faccia perché oggi, come ho detto, faccio l' avvocato con soddisfazione ed entusiasmo».

Nella stanza appare una giunonica e affascinante valchiria bionda più alta di Ingroia di 20 centimetri e a occhio e croce più giovane di almeno 20 primavere. È lei la nuova compagna dell' ex pm. Che sembra divertito per lo stupore del cronista: «Su un giornale l' hanno definita la bionda misteriosa sopra il cielo di Ingroia», ridacchia. E indica con la mano la differenza d' altezza. Immagino le battute invidiose di certi ex colleghi del magistrato, ma Giselle chiosa: «Antonio non è un uomo complessato». Cuoricini nell' aria. L' intervista è finita. E il cronista chiude la porta.

L'accusa infamante a capitan Totti "Pagava in nero i vigili urbani per..."

Luca Odevaine: "Totti pagava vigili in nero per fare scorta al figlio"




Il calciatore della Roma, Francesco Totti, avrebbe pagato "in nero" alcuni vigili urbani di Roma per l’attività di vigilanza ai figli. La circostanza, tutta da verificare, è stata raccontata da Luca Odevaine, già componente del Tavolo per il coordinamento nazionale sull’accoglienza ai richiedenti asilo, nell’interrogatorio reso nel carcere di Terni il 15 ottobre scorso. "È vero che dei
vigili urbani facevano vigilanza ai figli di Totti" ha affermato Odevaine, ribadendo quanto già detto a suo tempo da Salvatore Buzzi ma lo facevano fuori dall’orario di lavoro e venivano pagati in nero, dallo stesso Totti".

Secondo Odevaine, "l’esigenza era nata dal fatto che era giunta una voce di un progetto di rapimento del figlio di Totti. Ne parlai con il colonnello Luongo dei carabinieri, il quale, tenuto conto della genesi e della natura della notizia, convenne con me che non era il caso di investire il comitato per la sicurezza ma che si poteva trovare un modo per provvedere».

lunedì 9 novembre 2015

Napoli: Amministrative Sta nascendo un nuovo Polo locale?

Napoli: Amministrative Sta nascendo un nuovo Polo locale? 



di Gaetano Daniele



Sergio Angrisano
Coordinatore nazionale di Federazione Movimenti base

NAPOLI - Si è svolto, presso il Grand Hotel Europa, l’incontro politico a cui hanno partecipato, movimenti, associazioni e comitati civici, tra cui la Federazione Movimenti Base, Movimento Terra di Riscatto, "Primavera Castellana", "Insorgenza Civile", "Movimento Piú Sud", Movimento Popolare per il Mezzogiorno”, Forza Sociale, Associazione Noi Polizia, Associazione Guardie Italiane Ambientali, Generazione Identitaria, Secondigliano Futura, Movimento Itinerari, Movimento per la Campania, Comitato Civico Porta Capuana, Associazione Territorio Flegreo, FAST (Sindacato Operatori delle Ferrovie) e alcuni imprenditori come liberi ascoltatori. Sul tavolo lo scottante tema delle “Amministrative, Napoli capofila”. “Sta nascendo un nuovo polo locale? Chissà vedremo, adesso è ancora presto per poterlo dire, di sicuro un “Polo” equidistante tra Centrodestra e Centrosinistra”, commenta Sergio Angrisano, coordinatore nazionale di Federazione Movimenti Base;  “Siamo stanchi delle vecchia politica, oggi mettiamo in campo una serie di movimenti formati da uomini del fare, che da sempre sono in mezzo alla gente per  ascoltare e risolvere i problemi seri che affliggono i napoletani”, aggiunge Gaetano Graziano, dirigente d’azienda.

Ferrari, bomba atomica di Marchionne scoppia il putiferio nel mondo dei motori

Ferrari, Sergio Marchionne: "Il tetto ai costi di Jean Todt un concetto osceno"




Al Mugello, domenica, c'erano 50mila persone. Tre volte tanto rispetto all'affluenza attesa per le finali del mondiale del monomarca Ferrari. Ad attirarli, la presenza in pista di Sebastian Vettel e Kimi Raikkonen, ma soprattutto i maxi-schermi sui quali è stata trasmessa l'amara gara di Valencia dell MotoGp. Nonostante la delusione per Valentino Rossi, in casa Ferrari c'era aria di festa. Una festa alla quale ha preso parte il presidente, Sergio Marchionne, che ha spiegato di aspettarsi "una grande stagione" il prossimo anno. Marchionne ha aggiunto: "I risultati fino adesso, considerando da dove siamo partiti, dimostrano che abbiamo fatto enormi passi in avanti. Ho fiducia nella nuova vettura, vedrete a marzo quando inizierà a correre".

Le parole più dure, però, sono quelle riservate a Jean Todt, presidente della Fia e vecchio team principal della Ferrari, che ha aspramente criticato in pubblico il diritto di veto esercitato dalla Ferrari contro il tetto economico alle forniture di motori ai team minori. Marchionne spara: "La nostra posizione è di una chiarezza incredibile e cercare di illuderci che sia la Fia sia la Fom possano passare ai costruttori l'obbligo, l'impegno e l'onere economico di finanziare altre squadre è è un concetto assolutamente osceno e al di fuori di ogni logica industriale". E ancora, il presidente Ferrari aggiunge: "L'idea che abbiamo un obbligo morale di dare le power unit la trovo veramente ai limiti. Se sapeste quale è lo sforzo finanziario della Ferrari per lo sviluppo, i costi di cui si è parlato non coprono nulla". Parole durissimi, quelle del presidente, ormai ufficialmente in guerra con i vertici dell'automobilismo mondiale.