Matteo Renzi vuole votare nel 2017: la prova nella legge di Stabilità
di Elisa Calessi
La lettura ufficiale è quella che, a un certo punto della conferenza stampa, dà lo stesso Matteo Renzi: «Si scrive legge di stabilità ma si pronuncia legge di fiducia». Siccome, da metà di quest’anno, è cominciata una timida ripresa che dovrebbe continuare nel 2016, il governo ha deciso di puntare tutte le proprie fiches per rafforzarla. Come? Lasciando più soldi possibile nelle tasche degli italiani (abolizione della Tasi), così che - con un’iniezione di fiducia - inizino a consumare, il mercato si muova, il Pil cresca. La lettura maliziosa, che però gira anche tra i fedelissimi del premier, è che quella licenziata dal consiglio dei ministri sia una legge di stabilità «elettorale». In senso stretto perché sarà il biglietto da visita del Pd per la campagna delle prossime amministrative, quelle che si svolgeranno nella primavera 2016 e che, di fatto, saranno le elezioni di mid-term del governo. In senso lato perché, se la scommessa di Renzi riesce, se la ripresa si rafforza e i risultati diventano visibili, potrebbe diventare il volano per elezioni politiche da anticipare al 2017, quando i vantaggi percepiti dagli italiani sono ancora freschi. Come ha detto il premier, «la ripartenza deve essere sostenuta e l’unico modo è dare degli choc fiscali. Perciò via l’Imu e le tasse sulla prima casa». Il messaggio da cartelloni elettorali è pronto: «Cari italiani, le tasse vanno giù».
Finito il consiglio dei ministri, Matteo Renzi, accompagnato dal ministro Padoan, scende nella sala stampa di Palazzo Chigi. Presenta la manovra da 27 miliardi con il solito gioco pirotecnico di 30 tweet («è la prima legge di stabilità spiegata via Twitter», scherza) e 30 slide («mi hanno detto che tecnicamente non vale se non ci sono»). La caratteristiche di fondo, spiegano i suoi, sono due: è «espansiva» ed è «popolare». In questo senso, la misura che dà la cifra di tutta la manovra, e che «Matteo ha difeso con i denti», persino al prezzo di litigare con l’Europa e di rinviare al 2017 l’abbassamento dell’Ires, è l’abolizione della tassa sulla prima casa. Per un motivo innanzitutto numerico: riguarda oltre il 70% degli italiani. Se la misura degli 80 euro, calcolano i suoi, riguardava dieci milioni di italiani, qui si arriva a toccarne almeno cinque volte di più. Così come «popolare», soprattutto nel mondo delle imprese e del commercio, è l’aumento a 3mila della soglia dei contanti. O gli interventi sulle partite Iva, penalizzate lo scorso anno. «Tutte misure», spiega un fedelissimo, «che hanno un target popolare».
Il premier si diverte a giocare con la caricatura che, già mette in conto, gli faranno: «Abbiamo 25 tweet di buone notizie», esulta. Detta lo slogan, che poi è anche l’hashtag del diluvio di tweet che farà lanciare: «L’Italia con il segno più». Sintesi: «Fino a qualche anno fa il mondo tirava, l’Italia arrancava, adesso l’Italia è ripartita, ma il mondo non si sente benissimo». È arrivato il momento di «consolidare questa ripresa». Ma per farlo è «fondamentale che gli italiani abbiano la consapevolezza che il futuro è nelle loro mani». Basta «vittimismo». «Il nostro destino non è a Bruxelles o a Pechino». Per la prima volta non si nasconde alcuna «una fregatura»: «le tasse vanno giù in modo sistematico e per certi versi sorprendente», assicura. «Quest’anno con l’abolizione della Tasi, dell’Imu agricola, delle misure per gli autonomi, l’anno prossimo con l’Ires, poi con l’Irpef». Glissa sulla prima cattiva notizia: il taglio della tassa sui profitti delle imprese è stata rinviata. Ma, aggiunge, potrebbe essere anticipata di nuovo se l’Europa ci verrà incontro per l’emergenza migranti. Le altre buone notizie sono i «minimi per le partite Iva, una sorta di Jobs Act per i lavoratori autonomi», «l’intervento straordinario sulle case popolari», perché, altro tweet, «ci preoccupiamo di chi arranca». Ancora: «i superammortamenti per le aziende, uno sconto per chi ci crede da subito».
Misura, tweet, slide. Il ritmo travolge le notizie non buone. Per esempio il fatto che gli sgravi fiscali per chi assume saranno il 40% degli attuali. Il premier lo trasforma in uno slogan-tirata d’orecchi: «Meno di prima, affrettarsi prego». La spending review è di soli 5 miliardi? Non si sono toccati gli sgravi perché «poi avreste titolato con una mano dà, con una toglie». Poi c’è l’Europa. «La vera discussione che abbiamo fatto è se accettiamo di rispettare tutte le regole europee o no». Una parte era per farlo, un’altra per farlo «ma con fantasia». Si è deciso di rispettare le regole, a cominciare da quella del 3%, ma applicando tutta la «flessibilità» possibile, che si concretizza in 13 miliardi. Su questo tema si concede qualche siparietto con il ministro Padoan, alla sua sinistra. Per esempio quando gli chiede di «fare la faccia corrucciata, ci siamo messi d’accordo così», quando dice che «a Bruxelles ci sono Paesi che teorizzano il rispetto delle regole e poi non le rispettano». O quando gli chiede di rispondere lui, «perché io sarei meno diplomatico», sulle dichiarazioni fatte dalla Commissione contro l’abolizione della Tasi. La scommessa è chiara. L’anno prossimo si capirà se è vinta. E da questo dipenderà la durata della legislatura.