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domenica 7 maggio 2017

La pistola puntata alla moglie E lui uccide il rapinatore: come lo ha ridotto lo Stato

La Storia Milano, il calvario del tabaccaio Giovanni Petrali dopo aver ucciso un rapinatore: inutile anche la nuova legge



L'incubo giudiziario di Giovanni Petrali, il tabaccaio milanese vittima di una violenta rapina nel 2003, non sarebbe cambiato con l'ultima modifica alla legge sulla legittima difesa. Ne è sicuro il figlio Nicolò, autore con suo fratello avvocato del libro "Legittima difesa, la vera storia di una rapina finita nel sangue", che al Tempo ripercorre quella dolorosa vicenda durata oltre otto anni.

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In una giornata di maggio del 2003, una come tante, due uomini armati fecero irruzione nel bar tabacchi della famiglia Petrali: "Mani in alto! Questa è una rapina!" urlano i due, nel libro i figli raccontano: "Uno dei malviventi si posiziona davanti al vetro divisorio della cassa e punta la pistola contro nostra madre, l'altro entra dietro il bancone trascinando con sé nostro padre e comincia ad arraffare i soldi nel cassetto. Sembra il copione della classica rapina, ma improvvisamente gli eventi precipitano".

I due criminali vedono una cassaforte nel muro, pretendono le chiavi, ma sia il signor Giovanni che sua moglie non le hanno. La situazione va fuori controllo, uno dei due prova a intimorirlo: "Vecchio bastardo!", l'altro taglia corto: "Spara! Spara! Spara!". A quel punto: "La pistola si sposta pericolosamente verso nostro padre - proseguono i due autori - che se la vede puntata contro, scorge il nero all'interno della canna e poi, dentro di sé, pensa 'è finita'". In quell'istante cambia per sempre la vita del signor Giovanni: "Un attimo di esitazione, o forse di distrazione da parte dei malviventi e scatta la reazione (...). La mano di nostro padre corre all'arma e bum, bum, bum esplode quattro colpi di pistola diritto davanti a sé, in direzione del rapinatore armato".

Quei colpi di pistola mettono in fuga i rapinatori, il signor Giovanni è come in "trance", si lancia all'inseguimento dei due tenendo in una mano l'arma e nell'altra la scopa con la quale lo avevano bloccato: "Dopo un lungo inseguimento i rapinatori, entrambi feriti, si accasciano sul marciapiede". Uno è morto lì, l'altro è ferito, con un polmone perforato.

Da quel giorno il signor Giovanni non ha parlato per quattro giorni, durante i quali raccontano i figli: "Il suo volto è una maschera impenetrabile, non riusciamo a squarciare il velo che sembra aver innalzato davanti a noi, non capiamo cosa stia provando". E di certo non hanno migliorato il suo recupero le decine di insulti anonimi ricevuti dalla famiglia: "Killer... Sei una merda nonno e tua moglie una puttana...", oltre ai tavoli del bar dati alle fiamme, mentre il signor Giovanni affrontava il suo calvario in tribunale.

Difeso da suo figlio Marco, in primo grado il signor Giovanni viene condannato a un anno e otto mesi di reclusione, con pena sospesa. Secondo il giudice dei quattro colpi sparati, solo il primo sarebbe stato di legittima difesa, mentre gli altri tre - due dei quali hanno colpito i criminali alle spalle - sono avvenuti fuori dalla "fase dell'offesa". La colpa del signor Giovanni sarebbe stata di non aver considerato tutto questo mentre un balordo gli puntava la pistola alla testa e minacciava sua moglie. Solo otto anni dopo, nel 2011, l'Appello ha ribaltato la sentenza, anche se l'incubo del signor Giovanni non è stato di certo cancellato in quell'aula di tribunale.

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