LA MANO DI BERLINO Bce, il golpe della Merkel: fuori Draghi e dentro Weidmann, l'uomo con cui vuole massacrarci
di Fausto Carioti
Scordiamoci Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella. Mettiamo Mario Monti e i suoi successori a palazzo Chigi nella categoria cui appartengono: quella degli irrilevanti. L'unico santo protettore che ha avuto l'Italia negli ultimi cinque anni e mezzo è Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea dal novembre del 2011. Se oggi non siamo in ginocchio come la Grecia, il merito non è dei governicchi che si sono succeduti a Roma, ma dell'intelligenza con cui il banchiere de noantri, dal grattacielo di Francoforte, è riuscito a proteggere il nostro paese e gli altri grandi indebitati di Eurolandia.
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Ora immaginiamo cosa succederebbe ai conti pubblici e ai depositi bancari italiani se al posto dell'attuale capo della Eurotower arrivasse uno che si comporta in maniera diametralmente opposta. Uno che non si sa dove finiscono le sue idee e iniziano quelle di Angela Merkel, perché sono le stesse. Uno convinto, al pari della cancelliera, che Draghi sia stato troppo generoso con noi e che in questi anni il nostro paese abbia «abusato» della flessibilità concessa. Un'Europa definitivamente "berlinizzata" e un'Italia kaputt: quello che avremo dal novembre del 2019, se la Merkel riuscirà a portare Jens Weidmann, suo ex consigliere e oggi numero uno della Bundesbank, sulla poltrona che adesso è occupata da Draghi. Finora la presidenza della Bce non è mai andata a un tedesco, proprio per evitare che il paese economicamente e politicamente più forte avesse in mano anche la leva della banca centrale. Una regola non scritta, che però è diventata obsoleta nel nuovo ordine europeo, dove chi comanda non intende più nascondersi.
Così a Berlino hanno rotto gli indugi e dato il via alla sfida finale, quella che stabilirà i rapporti di forza per i decenni a seguire. La cancelliera ha deciso che l'Europa dovrà essere una sorta di protettorato tedesco, pronto a occupare parte dello spazio lasciato libero dalla scelta isolazionista di Donald Trump e a svolgere un ruolo molto più importante nello scenario mondiale. Se necessario, anche opponendosi a Stati Uniti e Russia. La nomina di Weidmann è un pezzo essenziale del mosaico e le probabilità che vada in porto sono alte. Olanda, Francia e Italia, i tre paesi dell'euro con la più solida tradizione bancaria, hanno già visto un proprio uomo ai vertici dell' Eurotower, e dunque sono fuori gioco; la Spagna a questo giro pare accontentarsi della vicepresidenza e i paesi del Nord Europa fanno già blocco con la Germania.
Per l'Italia è iniziato così il conto alla rovescia. I messaggi che il presidente della Bundesbank e attuale numero due della Bce ha inviato in questi anni non lasciano spazio alle illusioni. Weidmann ha detto che le aspettative di chi aveva scommesso sul proseguimento degli sforzi di risanamento dell' Italia dopo l' entrata nell' euro sono «andate deluse», che il nostro paese ha violato il patto di stabilità più volte di quante lo abbia osservato; in aperta polemica con Draghi ha sempre sostenuto che il quantitative easing (il programma di acquisto dei titoli degli Stati di Eurolandia messi sotto pressione dai mercati) è inutile e sbagliato, e ha bocciato come «ultraespansiva» la politica monetaria della Bce, invocando la sua «normalizzazione». Sarebbe sbagliato, però, ridurlo a un semplice "falco": Weidmann è la prosecuzione della Merkel sotto altre forme.
Ha lavorato per lei, come consigliere economico, per cinque anni, e quando nel 2011 la cancelliera forzò la mano per imporlo - lui, il suo protetto - alla guida della Bundesbank, facendo carne di porco dell' autonomia della banca centrale tedesca, il settimanale Der Spiegel lo dipinse come un individuo «pragmatico e flessibile»: «Sia che stesse trattando per il governo l' acquisto di una parte della quota della Daimler nella società aeronautica Eads, sia che stesse preparando i sussidi per salvare la casa automobilistica Opel, Weidmann ha sempre dimostrato di essere un leale, efficiente e silenzioso servitore della cancelliera». Anche da banchiere, ha offerto la sua rigidità in esclusiva all' Italia e a pochi altri paesi, comportandosi in modo molto più "politico" nei confronti delle banche tedesche, che in pancia hanno derivati e altri titoli su cui il suo istituto non ha mai fatto davvero luce.
I due la pensano all'unisono su tutto, inclusa la «opportunità» rappresentata dall'arrivo in Europa di centinaia di migliaia di immigrati: per Weidmann «la Germania ha bisogno di ulteriore forza lavoro per potere garantire il mantenimento del proprio benessere», ed è la stessa cosa che sostiene la sua dante causa. L'altro suo sponsor per la poltrona di capo della Bce è Wolfgang Schäuble, il potente ministro delle Finanze. Luterano, leader della Cdu (la Democrazia cristiana tedesca) prima della Merkel, Schäuble nei giorni scorsi ha detto che «il crescente numero di immigrati musulmani non rappresenta una minaccia, ma un'opportunità di apprendimento per i cristiani e tutti coloro che vivono in Germania». È il secondo pilastro su cui a Berlino vogliono costruire l'Europa di domani: conti pubblici rigidi e confini flessibili, anzi spalancati, per la gioia delle imprese manifatturiere tedesche, sempre a caccia di manodopera a basso costo.
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