Vittorio Feltri contro Eugenio Scalfari: "Giù il ditino, da te non prendiamo lezioni"
di Vittorio Feltri
Eugenio Scalfari riesce ad incantarci coi suoi articoli (e non parliamo dei libri) dilaganti. Domenica sulla Repubblica ne ha pubblicato uno infinito, nella primissima parte del quale ha ripetuto una dozzina di volte i termini «cultura» e «culturale», come fosse ossessionato dall’esigenza di apparire il più dotto degli scribi.
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Gli piace atteggiarsi a grande vecchio, e vecchio in effetti lo è. A suo modo è stato anche grande avendo fondato e portato al successo un quotidiano, appunto la Repubblica, con l’aiuto decisivo della fortuna. Che lui ebbe in abbondanza.
Il suo giornale maneggevole, che vide la luce nel 1976, per circa due anni campicchiò vendendo poche copie. Era sciapo e mingherlino. Poi il Corriere della Sera andò in crisi a causa della P2 e la musica cambiò. L’organo della borghesia lombarda, travolto dallo scandalo, perse acquirenti. Il Giorno dimagrì. Il capolavoro di Montanelli si mantenne sulle proprie posizioni conservatrici, e la Repubblica alzò la cresta superando la concorrenza tra il 1985 e il 1986. Onore al merito e alla buona sorte.
Da quel momento Scalfari si montò la testa, giustamente. E ancora oggi si crede una divinità, interloquisce anche col Papa oltre che con se stesso. Se si guarda allo specchio ha l’impressione di vedere riflessa l’immagine di Dio. Del quale discetta spesso pur proclamandosi agnostico. Ovvio, Dio è unico, altro che trino.
Nel pezzo comparso domenica scorsa, Eugenio si sforza di dimostrare il proprio immenso sapere dileggiando Claudio Cerasa, perché a suo insindacabile giudizio il Foglio non avrebbe rappresentanza culturale, dato che in edicola è comprato in esigue quantità, quasi che il livello di una testata si misurasse sulla base degli incassi commerciali. Tanto per essere gentile, egli accomuna il bellissimo prodotto inventato da Giuliano Ferrara a Libero, creato da me nel 2000, del quale ignora o finge di ignorare la storia, così come trascura di dire che la Repubblica negli ultimi tempi va a marcia indietro. Molto indietro.
Niente di grave. Sennonché Scalfari non perde occasione per vantarsi di una cultura quantomeno incompleta. Infatti, intorno allo scorso Natale scrisse una bischerata da cui si evince che non sempre è ferrato nelle materie delle quali si occupa. Ecco la frase galeotta: «Sono andato a rileggermi i quattro Vangeli sinottici del Nuovo Testamento...». Gli feci notare che i Vangeli sinottici sono tre e non quattro, autori Matteo, Marco e Luca. Sinottico viene dal greco synoptikos, sguardo d’insieme. Il quarto Vangelo, quello di Giovanni, tratta di cose che con la visione d’insieme non c’entrano. Il padreterno infallibile confonde le acque. Pensa che sinottici significhi ufficiali in contrapposizione con apocrifi, un errore da ginnasiale negligente.
Scalfari non è titolato per dare lezioni culturali né a Cerasa né ad altri colleghi. E tenga conto che la cultura esibita a ogni costo è come la coda dei cani, i quali la agitano per ostentarla davanti al padrone, inconsapevoli che essa è due dita sopra il culo.
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